Giuseppe Cola Giuseppe Cola
 

 

Il Castrum di Carcari

In corrispondenza del toponimo  Pian Calcari  ( a nord  dell’attuale  frazione di Tolfa che è S.Severa  Nord) è stata riconosciuta  un’antica discarica di anfore, tegole e mattoni d’epoca romana  da mettere in relazione ad una figlina rustica, storicamente accostabile alla fabbrica di laterizi della  Massa Liciniana. Va  aggiunto  che nell’edizione del   1950  dell’ I.G.M. riporta presso  Pian Calcari i resti di una fornace di laterizi da collegare probabilmente alla cava di argilla  rimasta in funzione  fino a qualche decennio fa. Nella zona in esame è rinvenibile ceramica d’epoca romana ed è ancora visibile uno sperone di un antico muro. E’ questo il documento archeologico utile ad avanzare l’ipotesi  dell’identificazione con il  Castrum  medievale  del quale si traccia  il seguente profilo storico. Ad onore della cronaca  va registrato a settentrione di Pian Carcari  un altro toponimo, quello de il Castellaccio  presso il quale però non risulta ceramica antica. Le uniche testimonianze archeologiche sono :un muro largo circa 1’50 m. costruito con pietra locale e cementato con calce magra e molto scadente ; alcuni blocchetti  di tufo   decisamente estranei alla natura del luogo ; una scoria di fusione di ferro. Tuttavia risulta evidente la vocazione estrattiva dell’intera zona presso cui predomina la calcite, minerale usato nelle  antiche <<Carcare>> ossia quelle fornaci dove si cuoceva la pietra per la produzione e  di calce. Probabilmente è proprio dalle <<calcare>> che il <<Castrum>>ha preso,il nome. .

PROFILO STORICO

La prima menzione di Carcari risale al  1066 : il Conte Raniero, figlio del Conte Sassone, e sua moglie Stefania, donarono all’Abbazia di Farfa la chiesa di S.Lorenzo con tutte le sue pertinenze. Nel documento è espressamente detto :positam in Comitatu Centumcellensi,iuxta mare magno, in loco qui vocatur Herflumen qui vulgo dicitur Gerflumen.Ipsam ecclesia quae   vocatur S.Laurentii in territorio, quod vocatur Carcari, cum finibus suis et vines tersi, pascuis. La menzione di Carcari in  questo  pensare non tanto ad un Castrum quanto  ad un toponimo indicante un territorio di tal denominazione, è infatti espressamente detto in territorio quod vocatur  Carcari. Probabilmente la costruzione del  Castrum medievale è avvenuta più tardi ad opera di una di quelle famiglie  che emersero, o tentarono di emergere, durante il disordine politico in cui versava lo Stato della Chiesa. In effetti durante l’XI secolo, col cessare delle incursioni saracene , tutto  il litorale  situato a Nord di Roma andò ripopolandosi e fu oggetto di numerose contese. E’ durante questa fase storica che l’Abbazia di Farfa  giunse a controllare la costa che va dalla foce del Mignone fino a S .Severa, mediante  restituzioni e donazione di beni. Pertanto è probabile  che anche il  territorio di Carcari fosse controllato dalla stessa Abbazia di Farfa e appartenesse al Comitatu Centumcellensi cioè al un territorio spettante alla Diocesi di  Centumcellae. Comumque  il primo documento che menziona espressamente  il  Castrum  di Carcari  risale al 1130. Innocenzo II, per un prestito di 200 denari papiensi  concesso da Pietro Latro, gli cedette in pegno le Rocche di Carcari e del Sasso, metà di Civitavecchia, Gobitam   ed il Casale quod dicitur vulgare ( odierno casale smerdarolo) . Il pignoramento  fu confermato  da Alessandro III 81159-1181)  e poi riscatttato da  Celestino  III nel 1193 che pagò 200 once d’oro ai discendenti di Pietro Latro. La successiva notizia è del 1288 : un certo Rinaldo da Carcari figura come testimone ad alcuni Signori di Tolfa Nuova quando questi si aggiudicarono dal Comune di Corneto il diritto di pesca sul fiume Mignone, dal ponte di S..Martino fino al mare. Con la fin e della potenza farfense, Innocenzo III 81198-1216) concesse i beni dell’Abbazia  al Monastero di S.Paolo di Roma, tra questi anche la Rocca di S.Severa già in possesso del Monastero dal 1130. ad opera  dell’antipapa  Anacleto II. Infatti nella  conferma di  beni  del 15 maggio 1218 di Onorio III si  legge :Castrum Sancite  Severe cum ecclesia et pertinentiis suis. Anche se non è documentato. è probabile che Carcari facesse parte delle pertinenze di S.Severae perciò  concesso  e appartenuto al Monastero di S.Paolo. Nella divisione del patrimonio dei Venturini avvenuta   il    1 gennaio  1290 tra Giovanni di Bonaventura  e suo nipote Alessio, sono menzionate le Rocche e di S.Severa  e di  Carcaro.  E’ probabile che Carcari  andasse a Giovanni. Entrambe l e  Rocche appartenevano al viterbese Giovanni Tignoso, già proprietario dal 1251, per averle acquistate dal Monastero  di S.Paolo, autorizzato a vendere da Gregorio IX nel 1237. Castri Carcharis è menzionato di nuovo nel 1334, in un documento nella Biblioteca Vaticana, assieme a Tolfa Nuova,al Sasso, a Monte Castagno e alla  tenuta S.Ansino. Dai Venturini , Carcari passò a Stefano dei Normanni, lo stesso  che  nel 1346 aveva accusato di furto Puccio di Nallo da Carcari che fu assolto dalla condanna del pagamento di 500 fiorini d’oro. Il 7 luglio 1348 Stefano dei Normanni  vendette la Rocca di  Carcari al Prefetto Giovanni di Vico  per la somma di 6.000 fiorini. L’11 luglio dell’anno successivo il Prefetto  a sua volta la rivendette  a Nerio del fu Baldo  dei Signori di Tolfa nuova. L’atto di vendita, che  fu redatto dal notaio Bartolomeo del fu Nanni di Tolfa Nuova, fu stipulato  con la formula fictum  et simulatum  et fraudem  factum e con il patto del riscatto  mediante il rimborso del prezzo realmente pagato. Carcari  passò poi a Pietro di Vico, fratello di Giovanni. Fu contrastato da Francesco  e Battista di Vico, da Giovanni detto Topone, domicello   viterbese, di Tolfa Nuova e dal Comune di Roma. Per quanto sopra esposto, è possibile dedurre che il territorio di Carcari appartenesse ad una giurisdizione La Chiesaccia A Nord di S. Severa, presso la località "Piana di S. Lorenzo" la toponomastica locale vi riconosce "La Chiesaccia " cioè una Chiesa distrutta e/o abbandonata. Attualmente attraversata dalla ferrovia e dall' autostrada Roma-Civitavecchia, la località è delimitata dal torrente "Rio Fiume", dal fosso "Quartaccio "e dalla macchia di "Monte Rosso". Sopra ad una modesta altura che domina la "Piana di S. Lorenzo" è ancora possibile individuare ciò che resta di una struttura dai caratteri medioevali. E’ la struttura riconosciuta come " La Chiesaccia ". Torna su A Sud di tale struttura si trova il Casale " Smerdarolo " che è ricostruito su fondamenta più antiche parzialmente visibili. Per la sua denominazione e per le preesistenti fondamenta, sarebbe interessante poterlo identificare con il Casale menzionato nel XII sec.: " quod dicitur vulgare .In mancanza di una specifica indagine archeologica e a seguito di una perlustrazione di superficie, le risultanze archeologiche de " La Chie-saccia " possono essere così sintetizzate: fondamenta perimetrali, in parte visibili, che forse cingono l'intera altura; resti di muratura sparsi attorno; frammenti di marmo bianco di cui uno pregevole, con colatura di piombo, appartenente forse ad una colonna; un " torcularium " di pietra con canale di raccolta e di scolo; parte di un' ipotetica macina; una consistente quantità di tegole, mattoni e di conci in pietra calcarea. Su tutta la superficie della " Piana di S. Lorenzo " è possibile rinvenire ceramica romana che si confonde con quella medioevale a testimonianza di una continuità storica. Il nome dato alla piana, le risultanze archeologiche e i documenti che seguono permettono di ipotizzare la identificazione de " La Chiesaccia " con la storica Chiesa di S. Lorenzo della quale si traccia il presente preliminare profilo storico. Sinora è sconosciuta l'origine della Chiesa di S. Lorenzo, tuttavia la sua denominazione e una valutazione storica complessiva farebbero pensare a S. Lorenzo Siro che, secondo la tradizione, avrebbe fondato nel VI sec. il Monastero di Farfa. D' altra parte l'interesse farfense nel Comprensorio è ampiamente documentato con S. Maria sul Mignone. Comunque la prima menzione di S. Lorenzo risale al lontano 854. A seguito dei danni provocati dalle incursioni saracene, Leone IV (847-855) concesse al Monastero di S. Martino, presso cui aveva studiato , sia il Monastero di S. Sebastiano e sia la Massa Liciniana. Nella concessione è detto che presso la Massa Liciniana, percorsa dal torrente "Genufluvio" (da identificarsi con l'attuale "Rio-Fiume” ), si trovavano l' Oratorio di S. Lorenzo ed il fondo "Casaria". Pertanto, alla difficile localizzazione della Massa Liciniana, la menzione offre la prima indicazione topografica dell' Oratorio mediante il torrente "Rio Fiume" citato nei documenti successivi. Lo Stato della Chiesa in fase embrionale, le devastazioni causate dal Saraceni, i Papi che privilegiavano i diversi Monasteri e i vari Signorotti che tentavano di emergere col favore o a danno della Chiesa, questa era la situazione politica locale nei secoli X e XI. Si presume che anche la Chiesa di S. Lorenzo fosse coinvolta nella caotica situazione. La si trova infatti in possesso del Conte Rainero, figlio dei Conte Sassone (probabile ideatore del Castello del Sasso), da identificarsi con quel Rainero, Rettore della Sabina neil' XI sec.. Rainero aveva per moglie la Contessa Stefania il cui nome suggerisce una parentela con la potente famiglia dei Crescenzi all' epoca in lotta con il Monastero di Farfa. Grazie soprattutto all' infaticabile opera di Berardo I, Abate di Farfa, che aveva ottenuto da Enrico III lo scettro pastorale nel 1048, il Conte Rainero e sua moglie Stefania, a redenzione delle proprie anime, nel 1066 donarono al Monastero di Farfa la Chiesa di S. Lorenzo con tutte le sue pertinenze. Il documento precisa che la Chiesa era posta in " Comitatu Centumcellensi", in territorio "Carcari" e presso il torrente "Heriflumen" detto "Gerflumen". In pratica il documento convalida la menzione precedente di mostrando la vicinanza della Chiesa di S. Lorenzo con il torrente " Rio Fiume " riconosciuto dalla Cartografia antica come "Heriflumen ". Con la citata donazione il Monastero di Farfa, in vertenza giuridica con quello dei SS. Cosma e Damiano per il possesso della fertile valle del Mignone controllata da S. Maria sul Mignone, venne così ad egemonizzare l' altrettanto fertile "Piana di S. Lorenzo". L'espansione farfense, o meglio il ripristino di precedenti diritti, si consolidò due anni dopo: nel 1068 il Conte Gerardo, figlio di Gerardo, altro probabile Rettore della Sabina, donò al Monastero di Farfa il Castello e la Chiesa di S. Severa, 15 Casali, metà del porto e la quinta parte delle terre della cittadina. La politica condotta dall' Abate Berardo I si completò nel 1072: il Conte Rainero, in punto di morte, donò al Monastero di Farfa la metà di Civitavecchia ed il porto. Lo stesso Rainero obbligò suo figlio Sassone a rispettare la volontà paterna. Così nello stesso anno il Conte Sassone rilasciò all'Abate Berardo I la formale conferma di quanto donato dal padre ad esclusione della Chiesa di S. Silvestro che Rainero aveva riservato al Monastero di S. Angelo in Ripa. Nello stesso anno venne conclusa a favore di Farfa la vertenza giuridica pendente con il Monastero dei SS. Cosma e Damiano per il possesso di S. Maria sul Mignone, per cui l' Imperiale Abbazia di Farfa, per merito del suo interprete principale l' Abate Berardo I, divenne l' arbitro di tutta la fascia costiera e di una buona fetta dell' entroterra, ad iniziare dal fiume Mignone per terminare a S. Severa, ivi compresa la Chiesa di S. Lorenzo. I beni farfensi di S. Maria sul Mignone furono in seguito usurpati da alcuni Signorotti, ma i tentativi vennero conciliati nel 1083: altro Conte Raniero di Gerardo, Guido di Guidone e Rodilando di Roccione restituirono all'Abate Berardo I quanto usurpato. Per compensarli della spontanea restituzione, l' Abate offrì loro due anelli ed una spada. Tra i testi presenti all'atto della restituzione figura il Conte Sassone del fu Rainero. Se altri tentarono di appropriarsi dei beni farfensi, il Conte Sassone tentò invece di rivendicare i suoi diritti intentando un processo. La vertenza venne risolta nel 1084 da Enrico IV che, con Torna su amplio diploma, confermò al Monastero di Farfa: S. Maria sul Mignone, “ monte Goisberto o Gusberto “, “ Ripa Albella “ ed il relativo porto; la Chiesa di S Lorenzo con tutte le sue pertinenze; S. Severa con tutte le sue pertinenze; la metà di Civitavecchia ed il porto. Probabilmente ci furono altri tentativi di rivendicazione da indurre Enrico V a confermare nel 1118 al Monastero di Farfa quanto aveva fatto il suo predecessore. I beni del Monastero di Farfa passarono poi a quello di S. Paolo che è documentato nel Comprensorio dal X sec.. La Chiesa di S. Lorenzo dovette seguire le sorti di S. Severa che nel 1218 è confermata da Onorio III al Monastero di S. Paolo. Nel corso del Medio Evo si perdono le tracce della Chiesa di S. Lorenzo. Nel 1580 appare la "Piana di S. Lorenzo" come tenuta che apparteneva all' Ospedale di S. Spirito e che componeva la Dogana dei Pascoli della Provincia del Patrimonio assieme alle seguenti altre tenute: "Campo Maggiore", "La Selvotta", "Carcari", "Banditella delle Larghe", "Santa Pupa" (Manziana), " MonteSassone ", "S. Marinella ", "Il Piano di S. Severa", "Sant' Ansino", " Le Pietricelle " e " Laiola ". Il rinnovato Castello di S. Severa ormai gestiva e controllava gran parte delle terre poste nell' entroterra, così nel1600 sia il Feudo di Carcari e sia la " pruna " di S. Lorenzo venivano amministrati dal Castellano di S. Severa. Negli anni quaranta del nostro secolo alcuni Tolfetani occuparono a danno del S. Spirito la "Piana di S. Lorenzo" fondandovi la Cooperativa "Don Minzoni". Attualmente la " Piana di S. Lorenzo ", di circa 510 ettari (di cui circa la metà a bosco: " Monte Rosso " e " Monte Popolo ”), è gestita dalla medesima Cooperativa. Della Chiesa di S. Lorenzo non restano che i suoi ruderi nascosti dalla macchia mediterranea ed il laconico appellativo di "Chiesaccia ". Tra le risultanze archeologiche emergenti sulla "Piana di S. Lorenzo" particolare attenzione meritano alcuni resti di mura poligonali appartenenti forse ad una rocca antica cioè ad un "Castrum". Quanto sia lontana nel tempo la sua origine è tutto da verificare, però i resti possono essere confrontati tipologicamente con le mura del Castello di S. Severa e sono particolarmente concentrati nelle vicinanze del Casale " Smerdarolo ". Sono proprio questi resti che hanno consentito di avviare, in appendice a " La Chiesaccia ", la presente ipotesi di studio onde tentare di riconoscere il " Castrum " sinora sconosciuto. A seguito delle non ben definite vicende storiche che vanno dall' epoca pre-etrusca a quella romana, è possibile constatare lungo il litorale S. Severa-Civitavecchia le seguenti stazioni o fortificazioni : "Pyrgi", "Panapione", "Punicum", "CastroNovo " e "Centumcellae ". Anche se è assodata l' identificazione di "Pyrgi" con S. Severa e di "Centumcellae" con Civitavecchia, per le intermedi e restano ancora delle incertezze, tuttavia sembra certo che " Punicum " corrisponda a S. Marinella e " CastroNovo " alla "Torre Chiaruccia" e dintorni. Le maggiori incertezze permangono quindi per "Panapione". Percorrendo la Via Aurelia, l' attuale distanza tra S. Severa e Civitavecchia è di circa 19 km di cui 9 tra S. Severa e S. Marinella, 3 da S. Marinella alla " Chiaruccia " e 7 tra la " Chiaruccia " e Civitavecchia. Il totale della distanza corrisponde a circa13 miglia romane. Tale distanza non concorda con quella deducibile dalle contrastanti attestazioni romane, infatti secondo l' Itinerarlo Marittimo la distanza tra "Pyrgi" e "Centumcellae" è di 15 miglia ("Pyrgi" "Panapione " 3, "Panapione" "Castro Novo" 7, "Castro Novo" "Centumcellae" ; secondo l' itinerario di Antonino è di16 miglia ( "Pyrgi " "Castro Novo " 8," Castro Novo" "Centumcellae" 8); secondo la Tavola Peutingeriana è di19 miglia ( "Pyrgi" "Punicum" 6, " Punicum " " Catro Novo " 9, "Castro Novo " "Centumcellae " 4). Pur trascurando i dati forniti dalla Tavola Peutingeriana sulla quale pesano seri dubbi di attendibilità quanto meno sulle distanze, la differenza tra la distanza attuale e quella antica è di circa 2 o 3 miglia. La probabilità più concreta è che la romana Via Aurelia facesse un percorso più a monte rispetto a quello attuale come d'altronde testimonia il ponte romano de lIII sec. a.C. posto appunto a monte di S. Marinella. Se dunque la Via Aurelia faceva un percorso un po' più all' interno, dovuto anche al diverticeli che la collegavano alle stazioni o fortificazioni, è presumibile che da "Pyrgi" la strada si dirigesse verso l' ipotetico "Castrum" della "Piana di S. Lorenzo che pertanto potrebbe essere identificato con "Panapione". La convalida può venire dal dettagliato itinerario marittimo laddove è detto che "Panapione" distava da "Pyrgi" 3 miglia e da "Castro Novo" 7. In sostanza sono le vere distanze che corrono rispettivamente da S. Severa e da " La Chiaruccia " al " Castrum " della "Piana di S. Lorenzo". Il riscontro a tale ipotesi può essere fornito dalla nota descrizione fatta da Rutilio Namaziano nel 417 d.C. quando costeggiò il litorale esaminato per tornare in Patria. L' autore riporta che, dopo " Pyrgi ", con le sue belle Ville che avevano sostituito quelle rustiche, vide la Rocca che, seppure se ne era perduta la memoria, era stata di " Inuo ". Vide anche una porta cadente su case semidiroccate presso cui sovrastava, scolpita sulla pietra, una divinità pastorale munita di coma. " Inuo " corrisponde al Dio Pan che la mitologia raffigura con barba, corna, pelo e con piedi caprini, " Panapione " non sembra altro che la sua sostituzione. Insomma la presente appendice è un'ipotesi di studio che, qualora fosse accettata e confermata, aiuterebbe a comprendere meglio la topografia antica di questa fascia di terra, se invece fosse smentita, con l' ipotesi svanirebbe nel nulla anche il misterioso " Castrum “.  Torna su
pubblica in quanto vantavano diritti contemporaneamente  il Campidoglio, la Prefettura  romana e lo steso Stato  Ecclesiastico. Il Tomassetti riporta  che il Senato romano prese  le Rocche di Carcari e  di Trevignano  con la forza delle armi vi armorum. Il Campidoglio, a garanzia dei suoi diritti ed in accordo col Vicario papale Filippo, commise l’esame  della questione a Giacomo. Vescovo di Spoleto, che però mori senza deciderla. Su istanza dei Di  Vico,  Papa Urbano V 81362-137°), chiese  al Vescovo di Arezzo di riassumerla in giudizi. Ma anche il Vescovo di Arezzo non dovette  pronunciarsi in  merito se la vertenza fu giudicata  da Gregorio XI (1370-1378). Nel 1370  il Papa decise la controversia tra i Di Vico (Giovanni Sciarra, Ludovico e Francesco)    ed il Comune di Roma sentenziando definitivamente che le Rocche di Carcari, del Sasso e di Trevignano dovessero essere restituite al Comune di Roma. E’ singolare constatare come a Carcari  non sia documentata alcuna Chiesa di sua pertinenza, anche se  da una foto ( pubblicata in<Civitavecchiaed il suo entroterra> pg.13° fg 2, dalla A.A. Centumcellae) figurerebbero tracce di un affresco attribuibile ad una Chiesa. Ulteriore osservazione riguarda l’asserzione dell’Antonella quando informa che sul finire del XV secolo Carcari apparteneva alla Diocesi di Sutri. Dai registri del sale e del focatico risalenti  ai primi decenni del XV secolo risulta che <Carcari veniva tassato per 5 rubbia  semestrali per una popolazione calcolabile intorno ad un centinaio di abitanti. Nel 1433 Eugenio IV, per necessità di  denaro contante. ordinò  al Camerlengo  di vendere  S.Severa ad Everso dell’Anguillara per 1.75° fiorini d’oro. Nel 1454 lo stesso Everso è espressamente indicato come Signore di Monterano,Bieda,Carcari e S.Severa. Nel 1457Rverso Orsini, Conte di Anquillara, vendette il casale del Sasso al Cardinale Prospero Colonna per  3.000 ducati. Come confini sono menzionati :<< tenimenta Sancte Sivere, Carcarj, Montis Castagnj,, Sambucj, Castri Cerveterj ed il mare>>. Il 4 settembre 1464 mori il Conte Averso dell’Anguillara  ed il suo  patrimonio fu diviso tra i figli Francesco e Deifobo. E’ probabile che Carcari andasse al più irrequieto Deifobo, assieme a S.Severa e a metà  di Cerveteri e forse ad una parte del Sasso. Con l’assunzione al pontificato di Paolo II , in un primo momento . i due fratelli aderirono alla politica papale, ma in seguito  si ribellarono occupando sia Caprarola  sia  Tolfa Nuova . Nel 1465 Paolo II dapprima  li scomunicò poi, nel volgere di alcuni m mesi  allestì un esercito chiedendo aiuto a Re di  Napoli In breve  venne abbattuta la potenza dei Conti dell’ Anguillara, cosi il Papa riusci ad impossessarsi  di tutto il  loro territorio : Cerveteri,Veiano,Carbognano,Ronciglione,Biedam,Vetralla,Caprarola, Monterano,Rota, Tolfa Nuova,Capranica, S.Severa e Cacari. Tutti questi beni  passarono pertanto alla R.C.A. ed è documentato  che Intanto sui M ;Monti della Tolfa era stata avviata  dal 1460 l’industria dell’allume  che nel giro di pochi anni divenne la più grande  industria estrattiva  di tutto il rinascimento. L’evento con tutti i suoi risvolti di carattere politico- economico decretò da una pare la fine di molti insediamenti  medievali, dall’altra Tolfa Vecchia (Tolfa attuale). Per Carcari segnò la fine, infatti nel 1479 Paolo II ordinò la sua demolizione la stessa sorte toccherà per Tolfa Nuova l’anno seguente ad opera  di S Sisto IV. Agli inizi del suo pontificato, SistoI V  concesse l’ormai << diruta>> Rocca  di Carcari e quella di S.Severa  all’Ospedale di S.Spirito in Sassia. Nel 1476 Sisto IV contrasse un prestito dal Cardinale di Rohan per la somma di 25.000 fiorini d’oro di camera. A garanzia della restituzione della somma Sisto I V  diede in pegno diversi castelli e alcune tenute tra le quali figura anche Carcari. Inoltre, a garanzia di un mutuo contratto con il  Cardinale Guglielmo d’Estouteville, il 14 ottobre 1478 Sisto IV gli diede in pegno le tenute di Carcari e di S .Severa assieme a Vico, Casamala, S.Ansino ed altre. Nella bolla il Papa dichiarò che le due tenute spettavano  all’Ospedale di S.Spiritio per sua speciale concessione. L’operazione finanziaria si concluse nel 1482 quando il Precettore del S .Spirito le riscattò dal Cardinale. Cosi anche la tenuta di Carcari  era andata a far parte  dell’immenso patrimonio  dell’Ospedale. Non solo, nel 154° il S.Spirito la ingrandi ricevendo in permuta dalla Camera Apostolica le attuali <<Piane di S.Lorenzo>> assieme a S.Marinella, in cambio donò il Castello di  S.Elia. La tenuta di  Carcari è elencata  nella costituzione di Gregorio XIII del 1 febbraio 1580 dove sono indicate i luoghi chr componevano la Dogana dei Pascoli  del Patrimonio. Nel documento risulta che il territorio spettante  all’Ospedale di S .Spirito in Sassia era cosi composto : << Banditella delle larghe, S.Pupa (odierna Manziana),Le Pietricelle, Laiola, Campo Maggiore, La Selvotta,Monte Sassano, S.Marinella, Il Pian di S.Lorenzo, S.Ansino. e Carcari>>. Nel 1660 un apposito amministratore  risiedeva nel Castello di S.Severa  e gestiva le tenute di Carcari, Pian S.Lorenzo  e S.Severa. Come ricorso storico della  vocazione estrattiva della zona, va registrato che nel 1936 furono scoperte nei dintorni di S.Severa giacimenti di caolino. Nella piana di monte Ansino , in località <<Forconcino>> furono individuati  giacimenti di argille caoliniche per una superficie di circa 800 ettari. Inoltre  in località <<La Scaglia>> , nel Comune di Tolfa, venne scoperta della trachite caolinica nonché marmo bianco di ottima qualità. Lo sfruttamento di questi due giacimenti iniziò nell’ottobre 1936. Il Pio Istituto del S.Spirito ha gestito le sue tenute fino agli anni 1977-78. A seguito  di una serie di provvedimenti legislative, il S.Spirito è stato sciolto ed i suoi beni sono passati alle Provincie ed ai Comuni. Attualmente i territori corrispondenti ai toponimi  << Pian Carcari, IL Castellaccio, le Cavarelle, Pian Sultano  ed altri sono di proprietà del Comune di Tolfa che fino a pochi anni fa li gestiva tramite  l’Azienda Agricola Speciale Zootecnica. a Tutt’oggi l’Azienda è stata sciolta  e i suddetti territori sono gestiti direttamente dalla<Assessorato  competente. Torna su

CONCLUSIONI

Con aiuto della toponomastica e della documentazione pervenuta, è stata avanzata  l’ipotesi  senza aver la pretesa di essere stati esaustivi,  che il  medievale <Cstrum>> di Carcari   possa essere identificato con lo sperone di muro antico che giace sopra ad un banco di caolino e trachite. La continuata estrazione ha probabilmente cancellatole restanti strutture della Rocca. Questo antico rudere si trova a settentrione della Frazione di Tolfa che è S,Severa Nord. Dall’esame dei documenti sembra che si possa dire quanto segue. : in primo luogo è verosimile accostare il territorio circostante alla Rocca con la romana <<<Massa liciniana>> che comprendeva la documentata fabbrica di laterizi (sarebbe un bel passo in avanti per la conoscenza complessiva della <massa> ; è rilevabile  un vero e proprio ricorso storico in epoca moderna  della destinazione del territorio, infatti l’attività estrattiva, iniziata quando meno del periodo romano, non  si è ancora esaurita   ed è tuttora operante una cava di caolino ed un impianto per la sua trasformazione ; Carcari non comprendeva soltanto la Rocca, ma disponeva anche di Casali  tuttora riconoscibili in parte ;infine attraverso il consumo di sale , si può calcolare intorno ad un centinaio  il numero dei suoi abitanti. Carcari ha seguito, per gran parte , le vicende della vicina  S.Severa e la sua storia può essere cosi sintetizzata. Probabilmente costruita  intorno all’ XI secolo, la Rocca è espressamente menzionata  per la prima volta  nel 113°. Forse appartenne  al Monastero di S.Paolo che la vendette al viterbese Tignoso e da questi al romano Giovanni di Bonaventura. Nel secolo XIV figura appartenuta  a Stefano dei Normanni a cui subentrò la potente famiglia dei Di Vico , prima con Giovanni e poi  con Francesco. Nel 1377 fu risolta a favore del Comune di Roma la vertenza giuridica sull’appartenenza della Rocca di Carcerai , segno di un rilevante interesse. Dovette poi pervenire alla Camera Apostolica  e successivamente alla  potente famiglia degli Anguillara. Con Paolo II ritornò alla Camera Apostolica per essere  fatta demolire  dallo stesso Papa nel 147°. cosi la Rocca divenne una tenuta  con il conseguente cambio di destinazione e come tale fu concessa all’Ospedale di S .Spirito in Sassia. Data in pegno  da Sisto IV  prima al Cardinale di Rohan  e poi al Cardinale d’Estouteville, fu riscattata dal S.Spirito  tramite il suo Precettore. Sciolto il S.Spirito in questi ultimi decenni, la tenuta di Carcari  è passata al Comune di Tolfa, attuale proprietario. Insomma le vicende storiche della Rocca di Carcari sono  analoghe  a quelle di tanti altri insediamenti medievali, si distingue soltanto  per la  sua singolare  denominazione  che fa pensare indubbiamente  allo sfruttamento del materiale calcareo. Va anche osservato  sin dall’epoca romana  il suo territorio dovette part e  di un<<ager>> pubblico e come tale conteso, nel medioevo dai rappresentanti  dell’apparato istituzionale  come la  Prefettura, il   Comune di Roma e lo stesso Stato ecclesiastico. Tra una coltivazione estrattiva ed un’altra, soprattutto dell’argilla  e del caolino, il territorio è stato sfruttato anche come tenuta agricola-zootecnica, ma chiaramente i popoli antichi (forse anche prima dei romani)  sono stati  attratti da questo luogo per la sua principale  vocazione che è quella estrattiva.

Tratto da : BOLLETTINO DELL’ANNO 1977 , S.T.A.S.  n. XXVI.

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