La Chiesaccia
A Nord di S. Severa, presso la località "Piana di S. Lorenzo" la toponomastica locale vi riconosce "La Chiesaccia " cioè una Chiesa distrutta e/o abbandonata. Attualmente attraversata dalla ferrovia e dall' autostrada Roma-Civitavecchia, la località è delimitata dal torrente "Rio Fiume", dal fosso "Quartaccio "e dalla macchia di "Monte Rosso". Sopra ad una modesta altura che domina la "Piana di S. Lorenzo" è ancora possibile individuare ciò che resta di una struttura dai caratteri medioevali. E’ la struttura riconosciuta come " La Chiesaccia ". A Sud di tale struttura si trova il Casale " Smerdarolo " che è ricostruito su fondamenta più antiche parzialmente visibili. Per la sua denominazione e per le preesistenti fondamenta, sarebbe interessante poterlo identificare con il Casale menzionato nel XII sec.: " quod dicitur vulgare .In mancanza di una specifica indagine archeologica e a seguito di una perlustrazione di superficie, le risultanze archeologiche de " La Chie-saccia " possono essere così sintetizzate: fondamenta perimetrali, in parte visibili, che forse cingono l'intera altura; resti di muratura sparsi attorno; frammenti di marmo bianco di cui uno pregevole, con colatura di piombo, appartenente forse ad una colonna; un " torcularium " di pietra con canale di raccolta e di scolo; parte di un' ipotetica macina; una consistente quantità di tegole, mattoni e di conci in pietra calcarea. Su tutta la superficie della " Piana di S. Lorenzo " è possibile rinvenire ceramica romana che si confonde con quella medioevale a testimonianza di una continuità storica. Il nome dato alla piana, le risultanze archeologiche e i documenti che seguono permettono di ipotizzare la identificazione de " La Chiesaccia " con la storica Chiesa di S. Lorenzo della quale si traccia il presente preliminare profilo storico. Sinora è sconosciuta l'origine della Chiesa di S. Lorenzo, tuttavia la sua denominazione e una valutazione storica complessiva farebbero pensare a S. Lorenzo Siro che, secondo la tradizione, avrebbe fondato nel VI sec. il Monastero di Farfa. D' altra parte l'interesse farfense nel Comprensorio è ampiamente documentato con S. Maria sul Mignone. Comunque la prima menzione di S. Lorenzo risale al lontano 854. A seguito dei danni provocati dalle incursioni saracene, Leone IV (847-855) concesse al Monastero di S. Martino, presso cui aveva studiato , sia il Monastero di S. Sebastiano e sia la Massa Liciniana. Nella concessione è detto che presso la Massa Liciniana, percorsa dal torrente "Genufluvio" (da identificarsi con l'attuale "Rio-Fiume” ), si trovavano l' Oratorio di S. Lorenzo ed il fondo "Casaria". Pertanto, alla difficile localizzazione della Massa Liciniana, la menzione offre la prima indicazione topografica dell' Oratorio mediante il torrente "Rio Fiume" citato nei documenti successivi. Lo Stato della Chiesa in fase embrionale, le devastazioni causate dal Saraceni, i Papi che privilegiavano i diversi Monasteri e i vari Signorotti che tentavano di emergere col favore o a danno della Chiesa, questa era la situazione politica locale nei secoli X e XI. Si presume che anche la Chiesa di S. Lorenzo fosse coinvolta nella caotica situazione. La si trova infatti in possesso del Conte Rainero, figlio dei Conte Sassone (probabile ideatore del Castello del Sasso), da identificarsi con quel Rainero, Rettore della Sabina neil' XI sec.. Rainero aveva per moglie la Contessa Stefania il cui nome suggerisce una parentela con la potente famiglia dei Crescenzi all' epoca in lotta con il Monastero di Farfa. Grazie soprattutto all' infaticabile opera di Berardo I, Abate di Farfa, che aveva ottenuto da Enrico III lo scettro pastorale nel 1048, il Conte Rainero e sua moglie Stefania, a redenzione delle proprie anime, nel 1066 donarono al Monastero di Farfa la Chiesa di S. Lorenzo con tutte le sue pertinenze. Il documento precisa che la Chiesa era posta in " Comitatu Centumcellensi", in territorio "Carcari" e presso il torrente "Heriflumen" detto "Gerflumen". In pratica il documento convalida la menzione precedente di mostrando la vicinanza della Chiesa di S. Lorenzo con il torrente " Rio Fiume " riconosciuto dalla Cartografia antica come "Heriflumen ". Con la citata donazione il Monastero di Farfa, in vertenza giuridica con quello dei SS. Cosma e Damiano per il possesso della fertile valle del Mignone controllata da S. Maria sul Mignone, venne così ad egemonizzare l' altrettanto fertile "Piana di S. Lorenzo". L'espansione farfense, o meglio il ripristino di precedenti diritti, si consolidò due anni dopo: nel 1068 il Conte Gerardo, figlio di Gerardo, altro probabile Rettore della Sabina, donò al Monastero di Farfa il Castello e la Chiesa di S. Severa, 15 Casali, metà del porto e la quinta parte delle terre della cittadina. La politica condotta dall' Abate Berardo I si completò nel 1072: il Conte Rainero, in punto di morte, donò al Monastero di Farfa la metà di Civitavecchia ed il porto. Lo stesso Rainero obbligò suo figlio Sassone a rispettare la volontà paterna. Così nello stesso anno il Conte Sassone rilasciò all'Abate Berardo I la formale conferma di quanto donato dal padre ad esclusione della Chiesa di S. Silvestro che Rainero aveva riservato al Monastero di S. Angelo in Ripa. Nello stesso anno venne conclusa a favore di Farfa la vertenza giuridica pendente con il Monastero dei SS. Cosma e Damiano per il possesso di S. Maria sul Mignone, per cui l' Imperiale Abbazia di Farfa, per merito del suo interprete principale l' Abate Berardo I, divenne l' arbitro di tutta la fascia costiera e di una buona fetta dell' entroterra, ad iniziare dal fiume Mignone per terminare a S. Severa, ivi compresa la Chiesa di S. Lorenzo. I beni farfensi di S. Maria sul Mignone furono in seguito usurpati da alcuni Signorotti, ma i tentativi vennero conciliati nel 1083: altro Conte Raniero di Gerardo, Guido di Guidone e Rodilando di Roccione restituirono all'Abate Berardo I quanto usurpato. Per compensarli della spontanea restituzione, l' Abate offrì loro due anelli ed una spada. Tra i testi presenti all'atto della restituzione figura il Conte Sassone del fu Rainero. Se altri tentarono di appropriarsi dei beni farfensi, il Conte Sassone tentò invece di rivendicare i suoi diritti intentando un processo. La vertenza venne risolta nel 1084 da Enrico IV che, con amplio diploma, confermò al Monastero di Farfa: S. Maria sul Mignone, “ monte Goisberto o Gusberto “, “ Ripa Albella “ ed il relativo porto; la Chiesa di S Lorenzo con tutte le sue pertinenze; S. Severa con tutte le sue pertinenze; la metà di Civitavecchia ed il porto. Probabilmente ci furono altri tentativi di rivendicazione da indurre Enrico V a confermare nel 1118 al Monastero di Farfa quanto aveva fatto il suo predecessore. I beni del Monastero di Farfa passarono poi a quello di S. Paolo che è documentato nel Comprensorio dal X sec.. La Chiesa di S. Lorenzo dovette seguire le sorti di S. Severa che nel 1218 è confermata da Onorio III al Monastero di S. Paolo. Nel corso del Medio Evo si perdono le tracce della Chiesa di S. Lorenzo. Nel 1580 appare la "Piana di S. Lorenzo" come tenuta che apparteneva all' Ospedale di S. Spirito e che componeva la Dogana dei Pascoli della Provincia del Patrimonio assieme alle seguenti altre tenute: "Campo Maggiore", "La Selvotta", "Carcari", "Banditella delle Larghe", "Santa Pupa" (Manziana), " MonteSassone ", "S. Marinella ", "Il Piano di S. Severa", "Sant' Ansino", " Le Pietricelle " e " Laiola ". Il rinnovato Castello di S. Severa ormai gestiva e controllava gran parte delle terre poste nell' entroterra, così nel1600 sia il Feudo di Carcari e sia la " pruna " di S. Lorenzo venivano amministrati dal Castellano di S. Severa. Negli anni quaranta del nostro secolo alcuni Tolfetani occuparono a danno del S. Spirito la "Piana di S. Lorenzo" fondandovi la Cooperativa "Don Minzoni". Attualmente la " Piana di S. Lorenzo ", di circa 510 ettari (di cui circa la metà a bosco: " Monte Rosso " e " Monte Popolo ”), è gestita dalla medesima Cooperativa. Della Chiesa di S. Lorenzo non restano che i suoi ruderi nascosti dalla macchia mediterranea ed il laconico appellativo di "Chiesaccia ". Tra le risultanze archeologiche emergenti sulla "Piana di S. Lorenzo" particolare attenzione meritano alcuni resti di mura poligonali appartenenti forse ad una rocca antica cioè ad un "Castrum". Quanto sia lontana nel tempo la sua origine è tutto da verificare, però i resti possono essere confrontati tipologicamente con le mura del Castello di S. Severa e sono particolarmente concentrati nelle vicinanze del Casale " Smerdarolo ". Sono proprio questi resti che hanno consentito di avviare, in appendice a " La Chiesaccia ", la presente ipotesi di studio onde tentare di riconoscere il " Castrum " sinora sconosciuto. A seguito delle non ben definite vicende storiche che vanno dall' epoca pre-etrusca a quella romana, è possibile constatare lungo il litorale S. Severa-Civitavecchia le seguenti stazioni o fortificazioni : "Pyrgi", "Panapione", "Punicum", "CastroNovo " e "Centumcellae ". Anche se è assodata l' identificazione di "Pyrgi" con S. Severa e di "Centumcellae" con Civitavecchia, per le intermedi e restano ancora delle incertezze, tuttavia sembra certo che " Punicum " corrisponda a S. Marinella e " CastroNovo " alla "Torre Chiaruccia" e dintorni. Le maggiori incertezze permangono quindi per "Panapione". Percorrendo la Via Aurelia, l' attuale distanza tra S. Severa e Civitavecchia è di circa 19 km di cui 9 tra S. Severa e S. Marinella, 3 da S. Marinella alla " Chiaruccia " e 7 tra la " Chiaruccia " e Civitavecchia. Il totale della distanza corrisponde a circa13 miglia romane. Tale distanza non concorda con quella deducibile dalle contrastanti attestazioni romane, infatti secondo l' Itinerarlo Marittimo la distanza tra "Pyrgi" e "Centumcellae" è di 15 miglia ("Pyrgi" "Panapione " 3, "Panapione" "Castro Novo" 7, "Castro Novo" "Centumcellae" ; secondo l' itinerario di Antonino è di16 miglia ( "Pyrgi " "Castro Novo " 8," Castro Novo" "Centumcellae" 8); secondo la Tavola Peutingeriana è di19 miglia ( "Pyrgi" "Punicum" 6, " Punicum " " Catro Novo " 9, "Castro Novo " "Centumcellae " 4). Pur trascurando i dati forniti dalla Tavola Peutingeriana sulla quale pesano seri dubbi di attendibilità quanto meno sulle distanze, la differenza tra la distanza attuale e quella antica è di circa 2 o 3 miglia. La probabilità più concreta è che la romana Via Aurelia facesse un percorso più a monte rispetto a quello attuale come d'altronde testimonia il ponte romano de lIII sec. a.C. posto appunto a monte di S. Marinella. Se dunque la Via Aurelia faceva un percorso un po' più all' interno, dovuto anche al diverticeli che la collegavano alle stazioni o fortificazioni, è presumibile che da "Pyrgi" la strada si dirigesse verso l' ipotetico "Castrum" della "Piana di S. Lorenzo che pertanto potrebbe essere identificato con "Panapione". La convalida può venire dal dettagliato itinerario marittimo laddove è detto che "Panapione" distava da "Pyrgi" 3 miglia e da "Castro Novo" 7. In sostanza sono le vere distanze che corrono rispettivamente da S. Severa e da " La Chiaruccia " al " Castrum " della "Piana di S. Lorenzo". Il riscontro a tale ipotesi può essere fornito dalla nota descrizione fatta da Rutilio Namaziano nel 417 d.C. quando costeggiò il litorale esaminato per tornare in Patria. L' autore riporta che, dopo " Pyrgi ", con le sue belle Ville che avevano sostituito quelle rustiche, vide la Rocca che, seppure se ne era perduta la memoria, era stata di " Inuo ". Vide anche una porta cadente su case semidiroccate presso cui sovrastava, scolpita sulla pietra, una divinità pastorale munita di coma. " Inuo " corrisponde al Dio Pan che la mitologia raffigura con barba, corna, pelo e con piedi caprini, " Panapione " non sembra altro che la sua sostituzione. Insomma la presente appendice è un'ipotesi di studio che, qualora fosse accettata e confermata, aiuterebbe a comprendere meglio la topografia antica di questa fascia di terra, se invece fosse smentita, con l' ipotesi svanirebbe nel nulla anche il misterioso " Castrum “.
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