Monte Cocozzone
Per quanto riguarda il
nome dato al Castello, a molti sconosciuto ad altri
meno, il Martinori propone la derivazione da Geizzone antico feudatario del Castello. Dal
momento che i primi documenti storici del Castello dimostrano che ha sempre
ruotato sotto la giurisdizione di Viterbo, è probabile che il suo nome «Montecocozzone» (o «Montecozzò», nel
gergo locale) provenga dall'unione di due famiglie feudatarie di Viterbo:
quella dei Cocco e quella dei Geizzone (= Coco-zone). Per la famiglia di Geizzone ne parleremo più dettagliatamente, per
quella dei Cocco è possibile rintracciare documenti e notizie tra i vari storici e storiografi di Viterbo menzionati nella bibliografia di S. Arcangelo. E’ chiaramente un'ipotesi come può essere che il suo nome provenga dalla conformazione del monte che sembra un «cocuzzolo ». In un documento citato nell'analisi storica è menzionato«Montis Octozonis»; il nome dato porta ad avanzare l'ulteriore ipotesi che il Castello fosse
suddiviso in «zone». In attesa del documento
chiarificatone, per nostra comodità, lo chiameremo «Monte-cocozzone».
Per quanto riguarda la topografia del Castello è
opportuno avvertire il lettore o il visitatore che i toponimi sono due: il
primo è il toponimo «Castellaccio- posto a 399 metri s.l.m., il secondo è «Monte Cozzone» posto a 402 metri s.l.m. La nostra indagine
storica interessa. il primo toponimo presso il quale
sono visibili le risultanze archeologiche medioevali descritte in avanti che
indicheremo « Castello di Montecocozzone» dal quale
dipendeva forse il «Costone del Castellaccio» che probabilmente ne formava la
tenuta. Come risulta dalle carte dell' I.G.M., il Castello di Montecocozzone è posto tra il «Fosso di Costa Grande», il «Poggio del
Finocchio», quello del «Caprarecciolo» e la «Tiglia».
Indubbiamente il monte dove è posto il Castello è uno dei punti più avanzati
nella parte settentrionale della catena della Tolfa e dalla sua sommità si avverte la sensazione di dominio, riparo e protezione,
circondato com'è dai dirupi circostanti. Se si ritiene valida la necessità e
funzione delle cosiddette«Torri semaforiche», il Castello di Montecocozzone ne è
senz' altro un tipico esempio: volgendo lo sguardo a sud, nella sella della «Grasceta dei Cavallari» si staglia, nettamente e
soggettivamente, il Castello di Tolfa Vecchia che
in sintonia con quello di Tolfa Nuova, portava a
controllare la zona marina; volgendo lo sguardo a nord, la vista corre verso il viterbese; a destra la vista è occultata dai monti
vicini; a sinistra lo sguardo si perde verso il mare. Il Castello di Montecocozzone poteva rappresentare una « Torre
semaforica» tra il territorio viterbese, quello cornetano e quello dei Monti della Tolfa. A questo punto sarebbe doveroso riempire la
pagina di bibliografia ma il lettore è esentato da questa « noiosa » ma estremamente importante elenc azione perché gli autori che si sono interessati, più o meno marginalmente,
delle vicende storiche di Montecocozzone sono i
medesimi riportati nella bibliografia di S. Arcangelo con una particolare
menzione del Pinzi che pubblica una serie considerevole di documenti e notizie.
Altre notizie e documenti sul castello di Montecocozzone sono stati reperiti da vari autori che verranno
citati nelle note. Saltata quindi la bibliografia, veniamo ad illustrare
cronologicamente le documentazioni di Montecocozzone che, raccolte, ne possano prospettare un «profilo
storico». La conseguenza immediata del periodo storico che
va sotto la denominazione della «lotta delle investiture e che raggiunse
l'apice con il sequestro di Papa Gregorio VII (un Aldobrandesco di Soana) nella notte di
Natale del 1075, fu certamente la nascita dei liberi Comuni. Corneto è uno dei primi,
Viterbo, menzionato «Castrum» dal VIII
secolo favorito dai vari lmperatori, sale, neI XII secolo, al rango di Città contendendo la
stessa egemonia romana la cui politica era volta essenzialmente ai rapporti
commerciali con il Comune di Corneto. Il
«contendere» principale era la produzione di grano al cui commercio erano
interessati tanto i porti vicini di S. Severa e Civitavecchia, quanto le città di Pisa e Genova. Per il territorio del terna in esame, il primo Comune che vi allungò
le mani fu certamente quello di Viterbo. Dal Bussi apprendiamo che un Geizzone (Geizo)
e un Embriaco (Ebriaco)
che ritroveremo, nel XIII secolo, Signori di Montecocozzone, sono menzionati, nel 1198, tra i Consoli di Viterbo. E’
quindi il primo documento che attesti un diretto contatto tra Montecocozzone e Viterbo. Il Geizzone del documento può essere il medesimo indicato Console nel 1188
e nel 1207, come «Preceptor» nel 1212. Non è noto
chi sia l' Embriaco del
documento e menzionato Console anche nel 1207. E' probabile che discenda da
quella famiglia genovese degli Embriaco che, nell' XI e XII secolo, sonori conosciuti tra i più
ricchi commercianti con il Levante e con l'Africa. Non si conosce che cosa commerciassero ma se l'accostamento ipotizzato fosse
convalidato, sarebbe lecito e naturale parlare di allume o di ferro, due
minerali presenti nei Monti dellaTolfa.
Indubbiamente resta ancora un'ipotesi, molto importante, a testimonianza che l' allume ed il ferro sono stati beni di commercio
anche nel periodo indicato. Torniamo ai documenti. E’ certa la menzione di Montecocozzone negli atti di pace del 1235
tra Roma e Viterbo. Si tratta degli atti stipulati tra il Comune di Roma e
quello di Viterbo a seguito delle tante lotte; quella del 1234 è dovuta, secondo il Pinzi, all'occupazione del
Castello di Rispampani da parte delle milizie
romane inviate dal Campidoglio. La battaglia volse in favore dei Viterbesi aiutati dalle milizie tedesche di
Federico II; evidentemente tanto Montecocozzone quanto il Castello di Alteto aderirono a Viterbo se Gregorio IX, con apposita lettera, invitò i Vescovi
Giovanni e Stefano per provvedere alla liberazione dei prigionieri romani
detenuti presso Viterbo, Montecocozzone e Alteto. Come è stato
detto precedentemente, Montecocozzone era
strettamente legato al Comune di Viterbo il quale vi esercitava la propria
giurisdizione indicata da vari autori; tale giurisdizione è documentata nello
Statuto di Viterbo del 1237-1238. Tra i vari articoli è menzionato «Montis Cocozonis» tra i «tenimenti» di Viterbo presso i quali i cereali prodotti dovevano essere
consegnati a Viterbo, ad esclusione di quelli da utilizzare per la nuova semina
e per la vita dei contadini. Nel medesimo Statuto è menzionato il «Castrum»
di Montecocozzone appartenente al distretto di
Viterbo in una reciproca alleanza volta a non dare asilo ai ladroni e ai
diffidati. Altra citazione di Montecocozzone si
ritrova nello Statuto di Viterbo del 1251; è menzionato per una reciprocità di esenzioni dei pedaggi"'. Ulteriore documentazione si ritrova negli atti del processo del18 giugno
1263 dove risulta che Montecocozzone apparteneva al
distretto di Viterbo. Dal 1277 iniziano espressamente le citazioni dei Signori
di Montecocozzone; a tale data troviamo quale
Podestà di Viterbo Orso Orsini e quale Capitano del
popolo Tancredo di Montecocozzone discendente del già citato Geizzone.
Sono i medesimi che rinchiusero i Cardinali del Concilio riuniti per l'elezione
del sostituto di Giovanni XXI; il 25 novembre 1277 fu eletto Papa, in breve
tempo, Giovanni Gaetano Orsini che prese il nome di
Nicolò III. Nel 1279 è menzionato Capitano del popolo di Viterbo, Arturo di
Pietro di Montecocozzone anch’egli discendente di Geizzone; Arturo di Pietro ed il citato Orso Orsini ingrandirono la fontana di Viterbo, iniziata
nel 1212 e sulla quale è scolpito anche il nome di
Arturo di Montecocozzone. Ouindi emergono due nomi: Tancredo e Arturo quali Capitani del popolo di Viterbo che parteggiarono per gli Orsini e, possiamo dedurre, per Carlo d'Angiò.
Infatti, ci informa Duprè Carlo d'Angiò, nella lite tra il Castellano di Rispampani e i Signori di Montecocozzone, dà torto al Castellano di Rispampani e vieta al suo Vicario di convocare i nobili in Campidoglio. Nel periodo in esame s'innesta bene un documento molto importante ai fini della topografia locale, nell'atto del 28 aprile1281, con il quale il Comune di Viterbo rinnova la concessione a Pietro e Manfredi di Vico del Castello di S. Giovenale, sono indicati i seguenti confini: «iuxta tenimentum Montis Cocozonis», « iuxta tenimentum Castri Blede », «iuxta tenimentum Barbarani». Dalla raccolta delle decime del Battelli, Montecocozzone è indicato sotto la Diocesi di Viterbo e, dalle riscossioni
sessennali1274-1280, risulta il Cippo della Chiesa di S. Maria menzionata dal Signorelli e risalente
al 1255. Quindi, nel XIII secolo, Montecocozzone ci
si presenta come«Castrum», con la relativa tenuta,
posseduto da Signori viterbesi giacente sotto la
Diocesi e giurisdizione di Viterbo, con una Chiesa dedicata a S. Maria e con una attività
prevalentemente agricola. Durante la contesa tra i « nobili » Orsini e la fazione «popolana»del Comune di Viterbo
anche i feudatari di Montecocozzone si trovano
divisi tra loro. Arturo e Tancredo, partigiani di quella nobile degli Orsini, capitanarono,
nel 1281, l'attentato al Gonfaloniere del popolo di Viterbo Pietro di Valle. Il
Comune di Viterbo presso il quale la fazione
popolana deteneva, in quel momento, il potere, emise contro di loro sentenza di
bando e li spodestò dal Castello di Montecocozzone.
Come ribelli e quindi della fazione nobile sono menzionati: Oddone di Raniero
(o forse Rainerio) di Geizzone; Raniero, Tancredo e
Arturo figli del fu Pietro di Raniero di Geizzone;. Albertuccio di Raniero; Plenerio di Geizzone e Oddicello di Plenerio. Una volta banditi e spodestati, il
Comune di Viterbo, nei primi mesi del 1282, investì del Castello di Montecocozzone nuovi feudatari, della fazione
popolana e parenti dei «ribelli». L'atto di procura del 7 febbraio 1282 è
stipulato davanti alla porta del Castello di Montecocozzone e alla presenza, tra gli altri, di Pietro di Vico. E’
interessante osservare come il tributo che gli investiti dovevano al Comune di
Viterbo, consistesse in due anelli d'argento destinati per le corse dei cavalli
che si svolgevano a carnevale e alla festa di S. Maria del 15 di agosto: uno del valore di 40 soldi per le
corse riservate ai nobili, l'altro del valore della metà per le corse dei
popolani. Il 26 febbraio 1282, a richiesta del Podestà, del Capitano e dei
Sindaci del Comune di Viterbo, i nuovi investiti del Castello di Montecocozzone riconoscono che il Castello ha sempre dipeso, in pace ed in guerra, dal Comune
di Viterbo e al medesimo si obbligano a servire in perpetuo. Si obbligano a
servire Viterbo i seguenti Signori di Montecocozzone:
Enrico di Embriaco per
sé e per suo padre; lanni e suo fratello; Rollando
dì Giovanni di Rollando; Bartolomeo di Simonetto e Pietro figlio del fu
Bartolomeo di Rollando di Geizzone. Il 4 marzo 1282
i seguenti Signori di Montecocozzone riconoscono
che il Castello e la sua tenuta appartengono alla giurisdizione del Comune di
Viterbo: Angeluccio e Tebaldino figli del fu Gentile di Plenerio di Geizzone per volontà della Contessa, loro madre e curatrice; la medesima Contessa nella
sua qualità di tutrice di Geizzarello suo figlio
(del fu Gentile). I medesimi precisano che Gentile e loro stessi hanno sempre
servito il Comune di Viterbo e si obbligano a servirlo in perpetuo. I
precedenti feudatari, sostenuti da Orso e Bertoldo Orsini,
si ribellarono a tale imposizione e, formata una lega, ripresero Montecocozzone scacciandone i nuovi investiti. Il
Comune di Viterbo presso il quale le famiglie dei
Gatti e degli Annibaldi, nemiche degli Orsini, detenevano il potere, nell' agosto del 1283
strinse d'assedio Montecocozzone. La guerra si protrasse
per qualche mese e fu risolta dall'intervento di Martino IV che, al riguardo,
inviò i Cardinali Geronimo di Palestrina e Gervasio di S. Martino ai Monti. Fa osservare il Pinzi che la missione ufficiale dei Cardinali era
quella di sedare le ostilità, ma in effetti l'intenzione di Martino IV era
quella di avocare alla Chiesa il Castello di Montecocozzone. Infatti, Martino IV stava per pubblicare la sentenza di eresia con la conseguente confisca dei beni
contro Tancredo e Arturo di Montecocozzone. Colta
quindi l'occasione della guerra tra gli Orsini e i Viterbesi, con apposite lettere, Martino IV intimò agli uni e agli altri a desistere dalle ostilità. La
missione dei Cardinali giunse a buon fine e, composta la tregua prorogata fino
al 1284, i Viterbesi si ritirarono dall'assedio e
Martino IV ordinò ai due Cardinali di prendere sotto la loro custodia il
Castello di Montecocozzone che passò quindi al
controllo diretto della Chiesa. Dopo l'altra composizione del dissidio tra gli Orsini e Pietro di Vico, avvenuta nel 1285, Luca Savelli, Rettore e Capitano Generale del
Patrimonio, il 19 febbraio del 1286, riaffidò i Viterbesi e li assolse da qualunque sentenza per
gli assalti a molti Castelli tra i quali quello di Montecocozzone. Riaffidati i Viterbesi, Nicolò IV, il 27 novembre 1290, nominò
suo Vicario nel Castello di Centocelle e nel
territorio di Montecocozzone Fra Paolo dell'ordine
dei Templari è possibile dedurre che gli antichi feudatari di Montecocozzone, cioè a dire quelli capeggiati da Arturo e Tancredo, fossero riammessi nei loro diritti; nei documenti che seguono, li ritroviamo nella loro veste di rappresentanti del Castello. Il primo documento in tal senso è del 1291 anno in cui, nell'atto di nomina del Procuratore Sassi, figurano tra i presenti: Tancredo e Alberto di Rainerio di Montecocozzone.
Segue la quietanza del 27 settembre dello stesso anno, rilasciata da Arturo da
Monte (Cocozzone), alla presenza e con il consenso di Oddone di Pinerio (dovrebbe trattarsi di Plenerio) da Monte, al
Comune di Corneto; quietanza di 150 lire di denari paparini per l'ammontare della stima di 30 moggi di
grano che Corneto doveva a Oddone e poi a
lui. Seguono ancora altri atti del 17 giugno del 1305: Arturo di Montecocozzone viene risarcito dal Comune di Corneto per il furto di
alcune giovenche e porci asportati da alcuni Cornetani;
il medesimo viene risarcito dei danni che i Cornetani gli arrecarono, nel luglio del 1303, durante la spedizione del Comune di Corneto contro Tolfa Vecchia. E’ allo stesso Arturo di Montecocozzone, questa volta in veste di
Procuratore di Celluccio del fu Tancredo, che gli
vengono rimborsati 47 lire di denari paparini per
il furto di alcuni porci e di un ronzino. Arturo, indicato «miles»
da Viterbo, è presente come teste in altri atti del 17 giugno 1305. Si può
quindi ritenere che i suddetti Signori, antichi feudatari, di fatto si trovassero reintegrati nei loro diritti e
ufficialmente riconosciuti da Clemente V il quale, secondo il Martinori, concluse con essi un patto di concordia
nel 1313. Resta un vuoto documentario di circa 50 anni durante il quale è probabile che la nota peste del 1348 ed
il successivo terremoto del 1349, abbiano avuto una parte rilevante sul destino
del Castello di Montecocozzone. La documentazione
si ritrova 6 anni dopo la sottomissione del patrimonio da parte dell' Albornoz, avvenuta
nel 1354. Da una parte Innocenzo VI, nel 1356 stimolava il
Rettore del patrimonio ad una più stretta sorveglianza di Giovanni di Vico,
dall'altra il Prefetto, dopo aver abbassato la testa all'Albornoz,
tentava di riprendere il potere politico e territoriale. Il 18 aprile
1360 Giordano Orsini, Rettore del Patrimonio, spedì
a Civitavecchia Biagio di Aricio per riferire a Giovanni di Vico «quod non deberet Archangelum dni Artini de Viterbo
in possessione tenimenti Montis Cocozonis turbare» e con l'incarico preciso di
indagare quanti fanti e cavalli il Prefetto tenesse raccolti. Quindi si trova
Arcangelo di Artino che,
data la sua provenienza, fa pensare ad un ripristino di Viterbo sulla
giurisdizione di Montecocozzone. Dal Signorelli si apprende che, nel 1372, una donna
possedeva cinque voci (dovrebbe trattarsi di parti o di zone) di Montecocozzone e ne faceva cessione ad un tale di Carbognano. . Sembra abbastanza evidente una certa
decadenza politica del Castello di Montecocozzone che ormai é ridotto ad una tenuta agricola. Lo ritroviamo diviso in parti tra
Antonio e Pietro di Vetralla e Maria di Corneto, vedova di Arcangelo di Viterbo (dovrebbe trattarsi del già citato Arcangelo)
Antonio e Pietro vendettero la loro parte ad Everso dell' Anguillara mentre Maria donò la sua parte ai Monaci di S. Maria Nuova che a
loro volta la vendettero ad Everso: il 26 gennaio
1446 Everso dell' Anguillara comperò Montecocozzone e la «Montisciana»
in parte da Antonio di Giovanni di Fresco «alias Frate Sacco»di Vetralla per 100 fiorini; il 2 marzo 1446
comperò un'altra parte da Pietro Giugne « alias Pervicone » di Vetralla per 90 ducati d'oro; nel 1447, con l' approvazione di Nicolò V., il medesimo Everso comperò la quarta parte di Montecocozzone con le tenute « le Poppeet le Stragille»
dai Monaci di S. Maria Nuova di Roma e per il
prezzo di 275 ducati d'oro (in questo acquisto è compresa anche la parte che
Antonio di Giovanni di Fresco aveva ceduto al Convento di S. Maria Nuova). I beni acquistati da Everso dell'Anguillara furono ereditati dal figlio naturale Fabio Massimo con l'esclusione della
tenuta «Montisciana» che apparteneva alla
disciplina di Corneto. Probabilmente l'industria
dell'allume prodotta presso Tolfa Vecchia dal XV secolo è stata determinante al decisivo
declino del Castello di Montecocozzone. Ridotto ad
una tenuta agricola forse assegnata agli Olgiati,
appaltatori dell'industria dell'allume tra il 1578 ed il 1602, che vi costruiscono un fontanile. Medesimo fontanile lo
costruiscono presso la tenuta «Montigiana» che
dovrebbe trattarsi della medesima «Montisciana» precedentemente indicata; l'unico toponimo che più
si avvicina a tale nome è « Monteianna che però è
localizzato nei dintorni dello «Stazzalone» cioè nel versante marino dei Monti della Tolfa e quindi molto distante dal Castello di Montecocozzone. L'osservazione farebbe pensare
quindi ad un'altra località ancora sconosciuta e probabilmente corrispondente
al toponimo locale « la lannara » nei dintorni di Montecocozzone. Terminano qui le documentazioni sul
Castello di Montecocozzone che, come abbiamo potuto constatare, è, quasi sempre, appartenuto alla
giurisdizione del Comune di Viterbo e forse il passaggio nel comprensorio dei
Monti della Tolfa venne operato da Everso dell' Anguillara nel XV Sec. Come S. Arcangelo, anche Montecocozzone risulta incorporato dal 1826 nel
territorio del Comune di Tolfa. Come S. Arcangelo,
anche Montecocozzone è attualmente ridotto ad un completo sfacelo e stato di abbandono dove le
vacche, i cinghiali, i rettili e le volpi sono gli unici abitatori, disturbati
dall'occasionale cacciatore. Spero di aver contribuito alla conoscenza di
quella storia locale esclusa dai «grandi temi storici» ma certamente parte
integrante di una cultura e tradizione da salvaguardare. Dopo la lunga serie di itinerari, su documenti e personaggi pertinenti
la storia dei Monti della Tolfa nonché la
perlustrazione di luoghi ancora selvaggi, lungo strade più o meno agevoli,
viottoli dove la vegetazione ne rallenta il passaggio ed il saliscendi da un
colle ad un altro, credo che la giornata sia giunta al termine. Mentre il sole
si nasconde tra i Monti dell' allume-, le ombre si allungano come fantasmi e la luna tenta di illuminare la strada, credo che occorra rientrare.
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