I primi documenti
Nei documenti medioevali è spesso usato il comune nome di "Centumcellae"
per indicare sia Cencelle che Civitavecchia. Questo è il motivo per il quale cronisti, storici e
studiosi sono caduti nell'errore attribuendo il documento all'uno o all'altro
centro abitato. Anche se l'equivoco non è definitivamente chiarito, una revisione critica della storiografia locale permette
di tracciare un profilo storico della medioevale Cencelle.
Secondo lo scrivente, il primo documento in cui è possibile riconoscere Cencelle risale al 920. Nell'aprile di quell'anno un tal Acerisio,
figlio di Sindruda, dichiaratosi "habitator Castri Centumcellensis" chiese a Rimo, Abate di S. Maria sul Mignone, la
locazione di alcune terre per poterle lavorare. Un
altro documento è quello del 939 già ricordato. Nel mese di gennaio Campone, Abate di S. Maria sul Mignone, cedette ai figli di Ermengarda, abitatori "in turre" di Cometo, alcune terre situate sulla riva destra del Mignone e poste in "comitatu tuscanensi". In cambio l'Abate ricevette dei Casali
situati sulla riva sinistra del Mignone e posti in
"territorio Centumcellensi". Durante la contesa tra
l'Abbazia di Farfa ed il Monastero dei SS. Cosma e Damiano per il possesso di S. Maria sul Mignone, nel
999 l'Imperatore Ottone III confermò a Farfa i
diritti di S. Maria sul Mignone. Nella conferma è detto dei beni situati in "toto territorio tuscano aut cemtumcellensi". La migliore testimonianza è fornita nel 1072 quando cioè fu risolta la contesa tra l'Abbazia di Farfa ed il Monastero dei SS. Cosma e Damiano. Nel
giudizio di appartenenza a Farfa è detto dei beni patrimoniali situati "apud Cornetum et Centumcellense Urbem".
Nel XII secolo si avviò la formazione delle autonomie comunali come forma di autarchia nei confronti del potere
imperiale e papale. Nel 1143 Roma istituì presso il Campidoglio il suo "Libero
Comune". Dopo la frattura politica che ne derivò, nel 1188 Clemente III si
accordò con il Campidoglio sulla restituzione di terre e città del patrimonio di S. Pietro tolte a Papa Lucio. Il 3
aprile dell'anno successivo Clemente III ottenne da Enrico VI, in
rappresentanza di Federico I, la restituzione anche
di Cencelle. Dopo aver conquistato Tolfa Vecchia a danno del Conte Guido, il Conte
Ugolino, col consenso di sua moglie Sofia e dei figli Rainone e Ranuccio, sottomise al Comune di Cometo: Tolfa Vecchia, Monte Monastero e Civitella. Nell'atto di sottomissione è detto che
cederà allo stesso Comune i suoi possedimenti di Cencelle,
Insomma dai primi documenti è possibile riconoscere, in attesa di altre attestazioni, Cencelle prima come
fortezza, poi come città, con beni patrimoniali situati sulla riva sinistra del Mignone, con altri beni appartenenti al Comune di Corneto e soprattutto come luogo pertinente alla
Chiesa.
Sottomissione a Viterbo
Se dai primi documenti si può rilevare ancora
qualche incertezza, con l'avviarsi del XIII secolo Cencelle si manifesta nella sua vera identità sociale e politica. "Et in quell'anno (1220) li Viterbesi comprarno Cincelle". "Anno Domini 1221. Li Romani
posero l'oste ad Viterbo e allogiaro alli Palazzi, poi vennero a combattere la Porta di
Santa Lucia et in Fabule furno cacciate, e tomarno ad Roma, e fu per Cincelle. Poi li Viterbesi andarno in
assedio ad Cometo, e feroli danno assai". Queste le
notizie riportate dalla cronaca ma che sono puntualmente confermate nei fatti e
nei documenti. Gli abitanti di Cencelle avevano contratto dei debiti con il Comune di Cometo,
per estinguerli si videro costretti a vendere i loro diritti patrimoniali al
Comune di Viterbo che, in contesa con quello di Corneto,
perseguiva una politica di espansionismo sui Monti
della Tolfa. Il formale atto di vendita fu
stipulato il 29 settembre 1220 presso la Chiesa di S. Pietro di Cencelle. Da una parte i rappresentanti del Comune
di Viterbo, dall'altra Enrico di Accettante nella
sua qualità di Sindaco del Comune di Cencelle,
furono venduti tutti i diritti patrimoniali ad eccezione di quelli privati e
delle parti di terra necessarie all'allevamento del bestiame. Il tutto per la sommma di 2.500
lire senesi, necessaria all'estinzione del debito contratto col Comune di Cometo. Ma l'interesse del Comune di Viterbo non fu solo economico. Viterbo ottenne la
sottomissione di Cencelle mediante il pagamento,
per ogni famiglia, di 24 denari senesi per il giorno della festa dell'Angelo
(29 settembre). Nell'atto politico di sottomissione veniva dichiarata obbedìenza alla Chiesa e al Papa Onorio
III, mostrando quindi avversità al Comune di Roma. Fu proprio il Campidoglio
che prese l'iniziativa: nel 1221 i Romani si allearono ai Cometani e insieme mossero guerra ai Viterbesì che inizialmente respinsero i primi poi
assediarono Corneto alimentando una guerra che durò
diverso tempo. Venne decisa dall'intervento di
Onorio III che, pagando il prezzo di vendita, riscattò Cencelle alla Chiesa. Il 9 dicembre 1244 Cencelle,
adunato il Consiglio col suono della campana maggiore, si liberò da Viterbo
prestando atto di omaggio e sottomissione al Papa e
ai suoi legittimi successori. Forse fu a seguito di tale sottomissione che
Onorio III fece ristrutturare le fortificazioni.
Sotto la giurisdizione della chiesa
Pertanto Cencelle si presenta con
un'amministrazione comunale e sotto il controllo politico della Chiesa che si
manifesta anche più tardi.. Il 22 gennaio 1227
Onorio III affidò il rettorato del Patrimonio di S. Pietro al Re Giovanni di Brienne assegnandogli tutto il territorio da Radicofani a Roma. Nell'assegnazione sono fatti
salvi i proventi di alcune città, tra cui Cencelle, che vengono concessi a Raniero Capocci (fatto Cardinale Diacono di S. Maria in Cosmedin da
Innocenzo III). L'amministrazione comunale ed il controllo politico sono
ulteriormente convalidati da due lettere: la prima d'Innocenzo IV del 1245, la
seconda di Urbano IV del 1264. Con la prima il Papa
informò i Viterbesi dalla nomina di Scambio a
Vescovo di Viterbo; la stessa comunicazione fu rivolta al clero, al Podestà al
Consiglio e al popolo di Cencelle. Con la seconda
Urbano IV invitò i Comuni fedeli alla Chiesa ad opporsi al tentativo di
Manfredi, figlio di Federico II, di invadere lo Stato della Chiesa, con l'aiuto
di Pietro di Vico; tra i Comuni destinatari della missiva figura anche Cencelle. Dal controllo, la Chiesa passò ad una
diretta giurisdizione: nel 1287, con decreto di Lituardo,
Vicario spirituale dal Patrimonio, venne nominato un
Commissario nelle terre di Cencelle, Civitavecchia, Tarquinia, Tolfa Vecchia e Tolfa Nuova. La
giurisdizione diretta si evidenzia tre anni dopo: il 25 novembre 1290 Nicolò IV
nominò suo Vicario presso Cencelle e Montecocozzone il suo famigliare Frate Paolo dell'ordine dei Templari. L'ulteriore conferma della giurisdizione diretta della Chiesa è fornita l'anno successivo.
Da una parte Nicola da Trevi’ in
rappresentanza di Nicolò IV, dall'altra Giacomo Sassi, in rappresentanza del Comune di Cencelle, il
2 gennaio 1291 venne firmato un trattato mediante il quale il Comune di Cencelle fu esentato dalla giurisdizione del
Rettore del Patrimonio e di altri, con l'obbligo dì pagare annualmente alla
Chiesa un censo di 50 libbre di paparini. Il
pagamento del censo è documentato sia nel 1299 e sia nel 1302. L'esenzione non
dovette essere applicata durante il trasferimento della Sede papale ad Avignone (1305) operato da Clemente V. Con
il trasferimento iniziò la serie dei Rettori, quasi tutti francesi, per
l'amministrazione del Patrimonio di S. Pietro. Il 2 marzo 1306 Clemente V
affidò il rettorato al suo famigliare Amanevo de Lebreto (settimo di tal nome). Al medesimo concesse
la facoltà di disporre della nomina dei Castellani e
Rettori di alcuni luoghi del Patrimonio, revocando ogni altra precedente
autorizzazione. Tra i luoghi a disposizione del Rettore figura anche Cencelle, Il ripristino della giurisdizione diretta
della Chiesa si ricava dalla relazione che fece Guitto Farnese, Vicario del Rettore, nel periodo compreso tra il 29 settembre
1319 ed il 2 giugno 1320. La relazione è che la città di Cencelle è soggetta alla Chiesa e paga annualmente
il censo di 50 libbre di paparini. Il pagamento
dello stesso censo è ripetuto sia nel 1352 e sia nel 1356.
Sottomissione a corneto
Se dunque Cencelle risulta sotto la giurisdizione della Chiesa, è altrettanto documentato che si era
sottomessa al vicino Comune di Cometo forse per
garantirsi una copertura militare. Il primo atto di sottomissione non è
riportato, ma è probabile che risalga al XII secolo, al tempo cioè dell'erezione a "Libero Comune" di Cometo, certamente prima della sottomissione al
Comune di Viterbo. Forse ci fu un tentativo di svincolarsi o forse una
repressione, di fatto nel 1303 il Vicario Generale del Patrimonio assolse il
Comune di Corneto dalle condanne inflitte per i
danni arrecati a Tarquinia, Tolfa Vecchia e Cencelle. Per rinnovare l'atto di sottomissione, il
2 agosto 1307 il Sindaco di Cencelle, Maestro
Leone, giurò il "sequitamento" (5) nelle mani dei
rappresentanti del Comune di Corneto. Il Sindaco di Cencelle promise, tra
l'altro, che gli abitanti di Cencelle avranno per amici gli amici di Cometo e per nemici i nemici e che, alla vigilia della festa di S. Maria di agosto, offriranno un cero i 10 libbre. Il
Sindaco di Corneto promise di difendere il popolo
ed il Comune di Cencelle da ogni nemico ad
eccezione della Chiesa, del Capitano del Patrimonio e del popolo romano. L'atto
formale della presentazione del cero avvenne il 14 di agosto alla presenza e con il consenso del notaio Gepzio di Egidio, in rappresentanza di Matteo di Bonifacio Vitelleschi (6), Castellano di Corneto in Cencelle. La
sottomissione in Corneto è ulteriormente
testimoniata nel 1362. E' del 30 di agosto l'atto
formale col quale il Consiglio generale e speciale di Cencelle incaricò il Sindaco a consegnare ai rappresentanti del Comune
di Corneto il cero di 10 libbre in virtù
dell'offerta che Cencelle soleva fare da tempo
immemorabile.
Alcune vicende del XIV secolo
Il trasferimento della S. Sede ad Avignone, la discesa del Bavaro e le guerre interne a Viterbo presso cui Faziolo di Vico divenne, nel 1330, arbitro della
situazione, alimentarono una tale confusione che il Patrimonio era infestato da
ladroni. Il Castellano di Cencelle, in una sola
volta, ne prese sette che furono condotti a Montefiascone dal Notaio Matteo. A proposito di Montefiascone, va
registrato che nel 1349, cioè dopo la nota peste,
alcuni signori di Montefiascone locarono a Tommaso
Ione di Cencelle alcuni fondi rustici situati
presso Cencelle. Lo stesso Ione fu autorizzato a "castellare Tolfiziole" ( "La Tolficciola",
un modesto colle situato tra Tolfa Vecchia e Tolfa Nuova). Innocenzo VI, con l'intento di
riformare l'amministrazione della Chiesa, nominò suo Legato Vicario Generale in
Italia il Cardinale Egidio Albornoz. Nell'aprile
1354 caddero ad una ad una le città del Patrimonio e il 18 maggio cadde Corneto. Una volta
presa la città, il Capitano Salamoncelli chiese
all'Albornoz l'ordine di ritirarsi. L'Albornoz diede l’autorizzazione e nel contempo invitò Arturello di Tolfa Vecchia (al quale aveva scritto) a porre,
per l'accerchiamento di Cometo, due squadre di
cavalieri presso Cencelle e Montalto "pro dampnificando Cornetanos". Dopo l'azione dell'Albornoz,
il Campidoglio tentò d'imporre la propria forza sulle terre del Patrimonio
inviando le milizie romane. Quando le milizie, al comando di Rainaldo Orsini, si avvicinarono a Sutri (giugno 1357), il Rettore del Patrimonio invitò le seguenti città a stare all'erta e fare buona custodia: Tuscania, Cometo, Cencelle, Bomarzo, Bassano e Bassanello.
L'anno successivo, il Rettore del Patrimonio impose agli abitanti di Cencelle di ripararsi presso Corneto per timore dell'avvicinarsi della Compagnia di ventura di Anichino di Bongarden che stava al servizio della Repubblica di Perugia contro la Chiesa. Il timore fu infondato,
il danno venne invece dal ritorno delle milizie romane che, il 13 giugno 1360,
devastarono le terre di Corneto, Gallese, Bassanello e Cencelle.
Il giorno seguente le stesse milizie rubarono alcuni animali di Cometo e Cencelle che
poi condussero a Civitavecchia dove si
organizzarono per nuove azioni. Nel caos politico e amministrativo in cui
versava il Patrimonio durante il periodo avignonese,
il Notaio Giacomo dell'Amatrice, nel luglio 1362, estorse al Sindaco di Cencelle quattro fiorini, asserendo falsamente di
essere stato inviato dal Giudice dei malifici per
certe inquisizioni.
La popolazione
Conoscere o stabilire quale fosse il numero degli abitanti di una città
medioevale vissuta per diversi secoli e attualmente ridotta a qualche accenno di mura e di torri, è quasi impossibile. Tuttavia,
con l'aiuto di due documenti, si tenterà almeno di dare un'idea proponendo una base di studio. E' probabile che il XIII secolo
sia stato quello demograficamente più intenso. E' di questo periodo il primo
documento che permette la relativa indagine. All'atto formale del 29 settembre
1220 col quale il Comune di Cencelle vendette al
Comune di Viterbo i propri diritti patrimoniali,
parteciparono tra gli altri: un maestro, un calzolaio, dei fabbri, alcuni
addetti ai molini ed altri alle osterie. Un totale di circa
duecento persone che certamente non comprendeva l'intera popolazione di Cencelle, non figurando nell'elenco donne e
bambini; forse erano i capifamiglia. Moltiplicando il numero dei
partecipanti per cinque ( = ad un totale di una famiglia media) si perviene ad
un totale di circa 1.000 corrispondente alla
presunta popolazione presente nel XIII secolo. L'altro documento che permette
di indagare sulla popolazione è del XV secolo e si
tratta del registro del sale e del focatico edito dal Tomassetti che, secondo il Pardi, è una
copia di un originale redatto tra il 1422 ed il 1424. Dal registro risulta che Cencelle veniva tassata per 15‑10 rubbia semestrali di sale
equivalenti a 3390‑2260 chili annuali. Dividendo la quantità annuale per 7 ( = consumo individuale) si perviene ad una popolazione
oscillante tra 300 e 500 abitanti. Sarà stata questa la reale popolazione di Cencelle? Di certo nei secoli iniziali la città è
più densamente popolata; dopo la metà del XIV secolo
si avverte una certa diminuzione, dovuta forse alla peste del 1348 e/o al
terremoto dell’anno successivo; dal XV secolo Cencelle è ridotta ad una tenuta agricola che lentamente andrà spopolandosi.
Vitelleschi, di vico e anguillara
Il benedettino Urbano V (forse nel 1368, quando si recò a Montefiascone) concesse alla Mensa Episcopale di Montefiascone i redditi ed i proventi agricoli di Cencelle. Due anni dopo, prima di partire per la
Francia dove mori, nominò Castellano di Cencelle Giovanni Conte di Cerchiano. Il Papa ancora ad Avignone ed i soprusi del potere
ecclesiastico fecero scoppiare nel 1375 una ribellione nazionale alimentata e
condotta dalla Repubblica di Firenze. Nel Patrimonio di S. Pietro il Prefetto
Francesco di Vico aderì alla politica fiorentina mentre il cornetano Ludovico Vitelleschi si pose a
paladino del papato. L'11 settembre 1376 Gregorio XI,
per dimostrare la sua gratitudine per la difesa di Corneto assediata dal Prefetto, concesse al Vitelleschi il
godimento di beni confiscati ad alcuni ribelli. Due giorni dopo il Papa parti da Avignone ed il 5 dicembre sbarcò a Corneto da dove si diresse, per via mare, a Roma.
Nello sbarco il Papa fu aiutato dal Vitelleschi e
molestato da Francesco di Vico. Per l'aiuto prestato, il 7 febbraio 1377
Gregorio XI concesse a Ludovico Vitelleschi i
redditi ed i proventi agricoli di Cencelle per un
valore di 150 fiorini l'anno, revocando così la precedente concessione di Urbano V. Cencelle dovette poi pervenire a Giovanni Sciarra di Vico,
cugino di Francesco. Lo si deduce dal trattato del 5
marzo 1392 tra il Campidoglio e Bonifacio IX dove è
detto che i beni del Di Vico vengono assegnati alla giurisdizione del
Campidoglio, ad eccezione di Viterbo, Orchia e Cencelle che vengono assegnati alla giurisdizione
della Chiesa. Pertanto anche Cencelle aveva fatto
parte dei beni del Di Vico e col trattato ritornava
alla Chiesa. Per la Chiesa, nel 1394 si trova Castellano di Cencelle Francesco dell'Anguillara che vi teneva un custode in suo nome. Con il mutare degli eventi politici e
militari, nel 1396 Bonifacio IX fu costretto a
cedere a Giovanni Sciarra di Vico Orchia e Cencelle per
un simbolico censo annuo.
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5) Si tratta del giuramento col quale Cencelle s'impegnava a "seguitare" a prestare sottomissione a Cometo. Al medesimo giuramento erano sottoposti Tolfa Vecchia, S. Arcangelo, Monte Monastero, Civitella e Rota a
dimostrazione dell'influenza politica‑territoriale che vantava il Comune di Cometo. Al contrario l'influenza
del Comune di Viterbo si limitava al Castello di Montecocozzone.
6) Autorevole famiglia cornetana proveniente da Foligno da dove era stata cacciata dalla famiglia Trinci.
L'esponente più prestigioso va senz'altro
individuato nel Cardinale Giovanni Vitelleschi che,
come un secondo Albornoz, fu il braccio secolare di
Eugenio IV. Ma caduto in disgrazia e per ordine
dello stesso Papa fu fatto arrestare in Castel S.
Angelo dove morì il 2 aprile 1440.
Tartaglia, di vico e vitelleschi
Soprattutto a causa dello scisma il Patrimonio di S. Pietro era percorso e
funestato dalle cosiddette "Compagnie di ventura" che si ponevano al soldo dei
personaggi più prestigiosi. Tra i più celebri
Capitani di ventura vanno ricordati: Paolo Orsini,
Sforza d'Attendolo, Gentile da Monterano, Braccio da Montone e Angelo Broglio da Lavello detto
"Tartaglia". Il Tartaglia era Capitano di Braccio nonché Comandante in capo dell'esercito di Ladislao Re di Napoli. Con quest'ultima qualifica nel 1413 favorì l'entrata in Rorna del Re di Napoli. Nello stesso anno il Tartaglia s'impadronì di Cencelle. Nel'1414 Gregorio XII gli
riconobbe Tuscania e Cencelle.
Nel perdurare dello scisma il riconoscimento di Cencelle avvenne anche da parte di Giovanni XXIII nel 1415 assieme a Tuscania, Canino e Spicciano per il censo di "unius asturis".
Lo scisma si chiuse con l'elezione papale di Martino
V (un Colonna) che nel 1420 portò il Tartaglia al soldo della Chiesa
riconoscendogli Cencelle. Ma l'anno successivo il
Tartaglia, che aveva restaurato le vecchie fortificazioni, morì ammazzato ad opera dello Sforza, quindi Cencelle ritornò alla Chiesa. Cencelle dovette poi pervenire nelle mani del Prefetto Giacomo di Vico per il quale fu
fatale l'alleanza di Eugenio IV con Giovanna Il
regina di Napoli. Infatti nell'inverno 1431‑1432
l'esercito pontificio, comandato dal cornetano Giovanni Vitelleschi, recuperò per la Chiesa
diversi luoghi presi al Prefetto tra cui Cencelle.
Dopo la tragica morte di Giacomo di Vico, ucciso nella Rocca di Soriano nel
1435, Eugenio IV istituì nel 1436 la Diocesi di Corneto con Montefiascone, separandola da quella di
Viterbo‑Tuscania. In quell'occasione
Eugenio IV confermò alla Mensa Episcopale i proventi agricoli di Cencelle aggiungendo quelli di S. Maria sul Mignone e S.
Savino. Sorsero delle liti, così il 13 febbraio 1451 Nicolò
V ripristinò Bartolomeo Vitelleschi, Vescovo
della Diocesi di Corneto e Montefiascone, nel possesso dei proventi agricoli di Cencelle, S. Maria sul Mìgnone e S. Savino "con pieno godimento di frutti,
redditi, pascolo e altri diritti usurpati per la malizia dei tempi".
La tenuta agricola
Intorno al 1460 iniziò l'industria dell'allume (probabilmente le prime
estrazioni avvennero nelle vicinanze di Cencelle)
sollevando interessi economici e politici a livello locale, nazionale ed
europeo. Tra gli episodi locali più rilevanti va registrata la guerra
dell'agosto 1468 tra Paolo Il e i signori di Tolfa Vecchia. Pochi mesi più tardi, il 10 dicembre 1468 lo stesso Papa concesse a Vianesio "protonotario Bononiensis" le seguenti tenute: Terzolo, Monteianna, Santa Maria sul Mignone, Cencelle e
Monte Romano. E' evidente quindi come Cencelle sia
ridotta ad una tenuta agricola ma pur sempre appetibile in quello straordinario
momento dell'industria dell'allume in cui c'era assoluto bisogno di enorme quantità di legname necessaria alle
fornaci e doveva essere soddisfatta la necessità alimentare dell'ingente numero
degli addetti all'industria. Per cui ogni più piccolo appezzamento di terra veniva utilizzato, disciplinato e finalizzato. Così,
a seguito di una supplica dei Cornetani, il 23
aprile 1512 Giulio Il concesse loro il permesso di
far pascolare le pecore bianche o nere (dette "mungane")
nel territorio oltre il fiume Mignone, ma soltanto
fino ai confini di Civitavecchia, Cencelle e Ancarano. Il
territorio di Cencelle interessò anche la famiglia
dei Farnese che è forse
identificabile con quella "lilia gens" indicata
sulla lapide (7) che si trovava all'ingresso del Castello di Tolfa Vecchia (ora giacente al Museo Civico di Tolfa). L'esponente più prestigioso di casa Farnese fu senz'altro
Alessandro Farnese, fatto Cardinale da Alessandro
VI e divenuto Papa nel 1534 col nome di Paolo III. Oltre allo stemma che
campeggia sotto la tettoia di un muro del Borgo significativamente chiamato "La Farnesiana", nel 1506 è
documentato il Cardinale Alessandro Farnese. In un
accordo sull'appalto dell'allume tra Agostino Chigi,
Giacomo Migliorini, Vannino d'Antonio e Giovanni
d'Antonio è detto: "Se chaso venisse che per il Cardinale di Famese o altri
violentemente armata mano fusse fatto danno ala
lumiera dela Ternità ("La Trinità") o a l'altre lumiere ... ... Si teme cioè un intervento militare
di Alessandro Farnese che evidentemente era
interessato all'industria dell'allume o quanto meno al suo territorio (8). Non
casualmente nel 1532 la Camera Apostolica affittò la tenuta di Cencelle al Cardinale Alessandro Famese. Non casualmente nel
1537 sotto Paolo III, la Camera Apostolica vendette al figlio del Papa,
Pierluigi Farnese, la tenuta di Tolfa Nuova. Non casualmente nel portico di
Palazzo Farnese a Caprarola è visibile la torre (9) di Tolfa Vecchia. Sono
tutte circostanze che testimoniano il ruolo storico svolto dalla famiglia Farnese. Per ritornare direttamente a Cencelle, nel 1561 fu alienata dalla Camera
Apostolica. La Mensa Vescovile di Corneto e Montefiascone rivendicò i propri diritti sulla
tenuta per cui venne ad una vertenza con la Camera
Apostolica. Nel 1578, tra i capitoli dell'appalto dell'allume concesso a Bernardo Olgiati e Gio. Francesco Ridolfi è detto: "La Camera sia obbligata fare che il Vescovo di Cometo affitti fino di adesso alli Appaltatori tutta la tenuta di Cincelli per il medesimo prezzo che s'affitta hoggi, né si possa scusare con dire che promette il
fatto d'altri". Il 6 febbr; 1582 Gregorio XIII
risolse la vertenza la Camera Apostolica ed il Vescovo Corneto e Montefiascone sulla tenuta Cencelle che, veniva compresa nell' appalto dell'allume. Con apposito Breve venne decretato che la tenuta di Cencelle apparteneva alla Camera Apostolica. Nel 1780, nella suddivisione dei terreni in
comunali (di Tolfa), camerali annessi all'appalto
delle "Allumiere" e camerali annessi all’appalto
della Dogana del Patrimonio, la tenuta di Cencelle è elencata tra i beni camerali annessi all'appalto delle "Allumiere".
Assieme a Cencelle facevano parte delle tenute
camerali: "Banditella, Monte Sassetto, Piano di Gallo, Puntone di Carnevale, Monte S. Angelo, Casale,
Campo della Mola, Campo d'Asco, Campo Sicuro, Campo Reale, Campo Sallustio, S. Maria sul Mignone,
Campo Riccio, Monte Rotondo, Montigiana, Puntone
d'Asco, Puntone S. Angelo, Puntone di Ridolfo, Prati delle Bufale, Poggio Vivo, Spizzicatore, Spinacceta,
Prati di S. Maria, Prati della Mola, Montecocozzone, Palano, Quarto delle Bufale, Selvato". Cioè un
complesso di tenute che, tolte alcune e con l'aggiunta di altre, andrà a
formare il patrimonio comunale di Allumiere. Col
declinare dell'industria dell'allume, nel 1826 il Paese di Allumiere ottenne l'autonomia comunale. Le
fabbriche d'allume furono convertite in attività agricole ma la crisi economica
era così profonda che nel 1831 furono vendute le prime tenute. Nel 1836 la
Camera Apostolica, tramite il Tesoriere Monsignor Antonio Tosti (che darà il
nome alla cava "Tosti”) vendette al Monte di Pietà altre tenute agricole tra
cui quella di Cencelle. Attualmente la tenuta di Cencelle è sotto la
giurisdizione politica e territoriale del Comune di Tarquinia. E' di proprietà
del Signor Pio Stendardi che l'ha acquistata dalla Marchesa Carolina Sacchetti.
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7) La lapide riporta la seguente iscrizione: "CUI DEDIT NOMEN
CUI FELSINA MUROS LILIA GENS ORIUNDA DOMUM". La traduzione del testo è soggetta
a diverse interpretazioni secondo la costruzione che si propone e quindi
l'autentico contenuto risulta ancora enigmatico. Un
contributo alla risoluzione della traduzione può provenire dalle vicende
storiche dei Monti della Tolfa tramite le quali è
possibile riconoscere nel Medio Evo alcuni esponenti della famiglia Farnese e ipotizzare concretamente un ritorno
della "lilia gens" in epoca rinascimentale.
8) Dopo la morte di Agostino Chigi (1520) l'omonimo casato esaurì la sua
parabola ascendente perdendo temporaneamente di prestigio sia nel campo
politico che in quello economico. I successori si trovarono coinvolti in
vertenze giuridiche che contribuirono notevolmente al dissesto dell'impero
economico creato dal "magnifico" Agostino. Al contrario, il casato dei Farnese, con l'elezione papale di Paolo III, visse il suo momento di gloria più gratificante. Nel 1580 i
successori del Papa, dopo pressioni ed insistenze iniziate dal Cardinale
Alessandro Farnese, riuscirono ad acquistare dai Chigi l'artistico palazzo fatto costruire a Roma da
Agostino Chigi su progetto di Baldassarre Peruzzi. E' il palazzo famoso per gli affreschi del
Raffaello e che, dopo il forzato acquisto, prese il nome di "Farnesina".
L'acquisto dovette provocare un certo risentimento da parte dei Chigi, risentimento che si manifestò in tutta la
sua asprezza dopo la distruzione del 1649 di Castro, la città capitale
dell'omonimo Ducato e appartenente ai Farnese. Al
tentativo di Ranuccio Farnese di riprendersi
Castro, pagando il debito contratto, si contrappose la ferma opposizione di Alessandro VII (un Chigi,
1655‑1667) che nel 1659 rese inalienabile il Ducato di Castro. Sembra inoltre
che prima di morire, il Papa invitasse i suoi
successori a respingere tutte le pretese di Ranuccio. Evidentemente perdurava un rancore personale, e Alessandro VII, esperto
conoscitore, della storia della sua famiglia, intendeva rifarsi
anteponendo o facendo prevalere gli interessi personali a quelli politici.
9) La torre rappresenta il simbolo della famiglia Frangipani della Tolfa.
Sembra la medesima torre, a tre piani, che è riportata nel testo di Don
Ferrante della Marra (Discorsi delle famiglie estinte, 1641) e che è indicata
nello stemma di Scipione Frangipani della Tolfa, Arcivescovo di Trani (+1595). All'origine, la torre era d'argento su campo rosso; i Frangipani della Tolfa la usarono col campo mutato in azzurro. Nel 1469 i fratelli Ludovico e Pietro,
Signori di Tolfa Vecchia, vendettero alla Chiesa il
Feudo di Tolfa Vecchia con le annesse miniere per
il prezzo di 17.300 ducati e si trasferirono nel Regno di Napoli dove
acquistarono la Contea del Serino per 12.000
ducati. Pur trasferendosi, i fratelli mantennero il
predicato di Tolfa e la loro discendenza sarà
chiamata dei "Frangipani di Tolfa". Esula dal tema la loro genealogia, per quanto concerne la
parentela con i Farnese è utile riportare il
seguente brano: "Da Ludovico III Signor di Serino, e da Elisabetta sorella di Papa Paolo IV,
nacquero G. Battista, Paolo e Pietro e ne nacquero ancora molte femmine; la
prima fu Vittoria la quale maritata a Pardo Orsino Marchese della Valle
Siciliana, fu madre di quella unica (sic) figlia,
che erede di gran facoltà fu scelta da Papa Paolo III per sposa di Pierluigi Farnese primo Duca di Parma, e Piacenza, suo
figlio, in grazia, della quale sposa creò Cardinale Gio. Pietro Carrafa, zio carnale di sua madre, che fu
poi Papa Paolo IV".
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