Giuseppe Cola Giuseppe Cola
 

S.Arcangelo

Il primo autore che eseguì una ricerca archeologica (quindi il primo archeologo di Tolfa) presso S. Arcangelo, fu Alessandro Bartoli le cui memorie, misteriosamente scomparse, sono state rese pubbliche dal Morra". Così si espresse in vari appunti: “S. Arcangelo Abbazia dei Benedettini con Castello i cui avanzi sontuosi esistono ai    Comunali territorio di Tolfa». «Vi era ancora alle falde del Monte altra Chiesa dedicata a S. Benedetto e non molto distante quella di S. Biagio di cui i Benedettini erano devotissimi». “Le ali (della Chiesa di S. Arcangelo) erano voltate a crociera come chiaramente si scorge da un pieduccio rimasto sulla parete destra e divise da piloni che coll'aiuto di capitelli e foglie di ninfea e protone di uomini, in qualche faccia a volute a spirale di sovrapposto basso rilievo sostenevano gli archi (a) pieno centro e ricavati dalla pietra locale di trachite cristallizzata». Per il campanile di S. Arcangelo così si espresse: «Sulla cima del lato destro addossato al muro esterno, di forma quadrata con addentellature sulla fascia ». Per lo stile, il Bartoli rilevò una somiglianza con la chiesa di S. Egidio Vecchio. Il Bartoli  vide e misurò i resti del Castello ( m. 72,60 x 26,40 ), chiuso da una cinta curvilinea e posto di fronte alla Chiesa. Il Morra individuò i resti del Cenobio e rivolse un appello per uno scavo approfondito. Evidentemente l'appello è stato recepito se i G.A.I. hanno, di recente, pubblicata una apposita monografia storica-archeologica alla quale si rimanda per ogni ulteriore delu-cidazione. Unitamente alle risultanze archeologiche di S. Arcangelo va ricordato che nelle sue immediate vicinanze, presso le cosiddette « Coste del Marano» poste tra Montecocozzone e lo stesso S. Arcangelo, è stato rinvenuto un «ripostiglio» e sono stati recuperati i famosi -bronzetti». Si tratta di documenti archeologico databili, secondo Peroni(82) al X secolo a.C., ora parzialmente esposti al Museo Pigorini di Roma, che testimoniano la presenza dell'uomo preistorico nel territorio in esame. Altro dato archeologico è che presso S. Arcangelo non è stata riscontrata ceramica romana mentre è presente una «frequentazione étrusca». Nell' 853 Leone IV, su richiesta di Tuscania, gli conferma il Vescovado specificandone i confini ed i luoghi ad esso soggetti; tra i  beni dei Vescovado, la Chiesa di S. Arcangelo è menzionata due volte. Sembra che le menzioni non siano pertinenti al S. Arcangelo dei Monti alla Toìfa: nella prima è detto che la Chiesa. di S. Arcangelo, si trova nei dintorni di Corneto, nella seconda è indicata nel Castello di Viterbo. Torna su Un particolare studio meriterebbe il già citato toponimo di S. Angelo posto alle pendici settentrionali dei Monti della Tolfa. Per quanto si riferisce al confine del Vescovado tuscanese, è utile riprodurre il brano fornito dallo stesso documento dal quale risulta che il, confine giungeva, a quella data, al fiume Mignone percorrendone gran parte: «a Mari Magno, et inde per fluvius Minionem, sicuti recte estenditur in Crypta S. Pancratii et in Pedem Leuprandii qui est inter territorium Orclanus et Bledanum, et recte pergit ad cavam fardengam, et inde transit ad Buttem aquaeductus, quae est in strata B. Petri Apostoli, et inde ... », brano che, tradotto dal Signorelli, suona: « dal Mare Magno per il fiume M ignone si estendeva in linea retta sino alla Grotta di S. Panerazio  ed al piede di Liutprando fra i territori di Orcla (92) e Bieda; di là a cava Fardenga e quindi alla Botte dell’ acquedotto sulla strada dell' Apostolo Pietro ... ». Ritornando direttamente al S. Arcangelo dei Monti della Tolfa, si riporta la rnenzione del 963 che sembra sia pertinente al S.Arcangelo di Corneto e si illustra il documento del 976. Il documento,    pur non  garantendo la certezza,  induce  ad  attribuire  il Monastero menzionato al S. Arcangelo dei Monti della Tolfa e ad indagare, in analogia con il precedente documento del 939, sul territorio posto sulla riva sinistra della Valle del Mignone. Si tratta di un atto di vendita mediante il quale Ugone del fu Teandimundo, soprannominato Teuzo (forse il medesismo del documento precedente), ed indicato abitatore del Castello di Corneto (come il precedente), vende a Leone, Abbate del Monastero di S. Arcangelo, la sua porzione di cinque casali per il prezzo di 100 soldi d'argento. I casali menzionati sono: quello di S. Quirico , quello posto nel Castello di Monte Sinico, di Binule, di Turture (o Tortora, oTortura) posto in Colle e quello di Cigliano. Per tali casali sono dati i seguenti confini: - il fiume Mignone; - il fossato « Uisginese - da identificarsi con attuale fosso «Verginese» (il nome dovrebbe derivare dal fatto che il fosso è «vergine » di sorgente e raccoglie le acque di una serie di altri fossetti); - «Flaianu» (dovrebbe trattarsi del «Vico Flaiano» del documen-to precedente); - «Polleianu» (sarebbe interessante, poterlo identificare con l'attuale toponimo locale «Polletrara»). Indubbiamente i due documenti citati, quello del 939 e l'altrodel 976, sono molto importanti ai fini della topografia locale e permettono di riconoscere una serie di casali, cinque per ogni documento. Dal primo documento è possibile far corrispondere i casali indicati con gli attuali casali dell'Ente Maremma che sembrano la ripetizione di una precisa utilizzazione agricola; nel secondo documento sarebbe interessante potervi riconoscere altrettanti casali attuali come: «Casalavio», «Casal dei Frati», «Casali della Conserva» e «Casale Baldone». E’ chiaramente un'ipotesi perché i casali indicati nel secondo documento possono essere pertinenti, quindi riconoscervi altrettanti casali, ai toponimi posti sulla riva destra del « Fosso Verginese» tra i quali «Angiano» e «Pignano» si avvicinano molto al«Flaianu» del documento. Ulteriore incertezza sulla pertinenza di S. Arcangelo la possiamo riscontrare nel 990. Nel documento è detto che Pietro cornetano, figlio del Conte Vinigi, dona alla Chiesa di S. Maddalena del Mignone, posta sotto l'Abbazia di Farfa, la Chiesa di S. Angelo indicata vicino a Corneto. Le medesime incertezze a quale S. Arcangelo sono pertinenti le menzioni nei precedenti documenti, non dimenticando l'altro S.Angelo precedentemente indicato, si riscontrano in altri due documenti che vengono illustrati e preceduti da alcune sommarie vicende storiche. Come è noto, il Monastero di S. Maria sul Mignone apparteneva all'Abbazia Imperiale di Farfa (è tra i beni farfensi confermati da Carlo Magno) ed era ritenuto il capoluogo farfense nella Tuscia. Data l'importanza, il suo possesso fu conteso dal Monastero dei SS. Cosma e Darniano di Roma, fondato tra il 936 e il 948 con il quale sorsero lunghe vertenze giuridiche. Tra le varie conferme di S. Maria sul Mignone all'Abbazia di Farfa è utile ricordare quella di Ottone 1, nel 967, il quale restituì alla Chiesa l'esarcato e le altre terre usurpate da Berengario 11, quella di Ottone Il nel 981 e quella di Ottone III nel 999. Ottone III restituì Ugo nella sede farfense e il medesimo Torna su Abbate nominò, con atti del 1002 e 1003, Graziano Abbate di S. Maria sul Mignone posta in «territorio Tuscanensi». Negli atti è posta la condizione di governare e conservare quanto è di proprietà e pertinenza di Farfa nel «Comitatu Tuscanensi et Centumcellensi», nelCastello di Corneto e nella Chiesa di Orchia. Nel 1005 Giovanni XVIII (1004-1009) ribaltò la situazione politica attribuendo S. Maria sul Mignone al Monastero dei SS. Cosma e Damiano. Durante il pontificato di Giovanni XVIII, l'Abbate Ugo, che aveva recuperato i beni usurpati, abdicò, nel 1007, nelle mani di Enrico Il e all'Abbate Ugo successe l'Abbate Guido I. Evidentemente Graziano, Abbate di S. Maria sul Mignone nominato da Ugo, tentò di allargare i suoi possedimenti aggiungendovi tanto la Chiesa di S. Peregrino (o meglio S. Pellegrino) che quella di S. Michele Arcangelo. Sergio IV (1009-1012) obbligò Graziano a restituire all'Abbate Guido 1 (successore di Ugo) le due chiese sopra citate. Quindi è certo che la Chiesa di S. Arcangelo venne restituita alla proprietà farfense ed è probabile che l'Abbate Graziano avesse posto S. Arcangelo nel Vescovado tuscanese. La probabilità può essere convalidata dal fatto che, nel 1245, S. Arcangelo dei Monti della Tolfa venne assegnato al Vescovado di Tuscania e nel documento è espressamente detto « de Monte preoccupato » senza riferire a quale periodo. Nel 1013 Enrico Il scese in Italia per farsi incoronare e l'anno successivo confermò S. Maria sul Mignone al Monastero di Farfa mentre si trova l'Abbate Ugo ripristinato nella sede farfense. Intanto che Ugo concedeva i suoi possedimenti in «Marchia Tuscana» al Conte Gerardo, figlio di Rainerio Abbate dei SS. Cosma e Damiano, la causa per il possesso di S. Maria sul Mignone fu giudicata, nel 1048, dal Vescovo di Tuscania Benedetto il quale sentenziò in favore di Farfa"". Tre anni dopo fu ripresa la vertenza giuridica e questa volta si ritrova menzionato S. Arcangelo. La lite fu discussa alla presenza del Vescovo di Bieda Inghelberto, messo di Leone IX (1049-1057),e Adelberto, messo di Bonifacio duca di Toscana. L'Abbate Rainerio non si presentò alla discussione della causa che venne rimandata assegnando, temporaneamente, all'Abbate Berado 1 di Farfa tanto S. Maria sul Mignone quanto la Chiesa di S. Michele che quella di S. Pellegrino. Come è vero che i documenti citati precedentemente non danno la certezza della pertinenza al S. Arcangelo dei Monti della Tolfa, è altrettanto vero che nel secolo successivo, cioè XII, non abbiamo maggiore fortuna anche se ne favoriscono una collocazione storica. Menzionando i documenti forniti dal Savignoni che, dallo stesso autore, sono ritenuti una «vera e propria falsificazione», riportiamo le indicazioni del Silvestrelli nel 1161 il Conte Farulfo fece atto di sottomissione al Comune di Viterbo per i Castelli di Monte Monastero, S. Giovenale, Alteto e S. Arcangelo; - nel 1188 la Contessa Kleria (Chiera o Ciara) figlia del Conte Farulfo, sottomise a Viterbo il Castello di Barbarano. Tra le date sopra esposte, s'inserisce anche la notizia che vuole come Federico 1 donasse al Comune di Viterbo, nel 1170, i Castelli di: Monte Monastero, Alteto, S. Giovenale e S. Arcangelo"'. Al di là della autenticità dei documenti e della notizia, è certa la presenza dei Conti Farulfo che possedevano, in quel tempo, i Castelli menzionati, che seguono, sempre in quel tempo, vicende storiche simili come pure è certo che i Farulfo si sottomisero al neo Comune di Viterbo. Indaghiamo ora, sia pure sommariamente, sulla famiglia dei Farulfo che è menzionata anche col titolo di Conti. Già nell'875 è menzionato un Farulfo di Farulfo, nei primi anni dell' XI secolo una lunga serie di Farulfo: Farulfo di Adalberto, Berardo di Farulfo, Crescenzio e Gebbone di Farulfo, Guidone di Farulfo, nel 1062 Pepo di Farulfo domiciliato in Viterbo, nel1159 un Guido del fu Faruìfo, un Conte Farulfo è menzionato nella conferma di beni fatta da Gregorio VII al Monastero di S. Paolo, nel 1081. Per Cleria troviamo che era stata posta sotto la protezione del Comune di Viterbo dal padre Farulfo Conte di Monte Monastero; che era andata sposa a Ulfreduccio (o Offreduccio) di Rainaldi(uno dei Signori di Selva Pagana); Torna su che il Podestà di Viterbo, il quale agiva a nome della Contessa, aveva ceduto come dote ad Ulfreduccio, l'usufrutto dei Castelli di Monte Monastero e Barbarano; che la Contessa sopravvivesse al marito ma, morta senza lasciare credi naturali, le subentrò, come crede, il Comune di Viterbo; che viene rammentata per ultimo nel 1201117.Tra i citati documenti si inserisce un'altra notizia' 18 che vuole come Enrico VI togliesse, nel 1193, ai Viterbesi il Castello di «S.Angelo» per mezzo di Enrico di Calandino. Di certo la notizia è pertinente al Castello di S. Arcangelo dei Monti della Tolfa sia per il nome che per la concomitanza dell'azione infatti, nel medesimo anno ed il medesimo Enrico di Calandino diede alle fiamme il Castello di Monte Monastero. L'azione è chiaramente un riflesso della guerra mossa da Enrico VI a Viterbo il quale è costretto, per sedare la furia tedesca, a pagare mille libbre d'argento. Comunque, in mancanza di documentazioni più precise che ci porterebbero a ipotesi più o meno azzardate, lasciamo in sospesole conclusioni e, citando la menzione di S. Arcangelo nella bolla di Innocenzo III riportata dal Silvestrelli, passiamo ad illustrare le documentazioni certe che, illustrate cronologicamente, possono permettere una ricostruzione storica di S. Arcangelo dei Monti della Tolfa. La rivoluzione sociale e politica creatasi con la costituzione dei «Liberi Comuni», fece emergere nel XII secolo due città: Viterbo e Corneto. Due contendenti che tentano di sopraffarsi mentre il Comune di Roma (il Campidoglio) e l'apparato ecclesiastico, spesso in evidente contrasto, tentano, con l'aiuto dei vari Imperatori, di non farsi sfuggire di mano la propria egemonia politica e territoriale. All'epoca, la principale molla economica dei contrasti era rappresentata dalla produzione ed il commercio del grano nei luoghi dove la semina era possibile e vantaggiosa, mentre negli altri luoghi dove non era possibile, come sui Monti della Tolfa, la molla principale era rappresentata dal pascolo del bestiame e dal conseguente riferimento, molto producente, alla « transumanza » 1 19. Presso i Monti della Tolfa è possibile osservare: a Tolfa Nuova traspare una identità ed autonomia politica; Montecocozzone è posto sotto la giurisdizione di Viterbo; Monte Monastero è pos seduto dai Conti Farulfo che lo hanno posto, assieme al Castello di S. Arcangelo, sotto la giurisdizione di Viterbo; Tolfa Vecchia è posseduta dal Conte Guido di S. Fiora che forse la teneva in nome e per conto di Corneto, che è un probabile discendente della nota famiglia Aldobrandesca. La presenza a Tolfa Vecchia degli Aldobrandeschi di chiara origine longobarda (Hideprand, forse proviene da Ilthia=battagliae Brand=spad.T), è la testimonianza che il cosiddetto «Contado Aldobrandesco» dell'epoca e che oggi indichiamo come «Maremma toscana » con finalità prettamente agricole, giungeva sino ai Monti della Tolfa. In questo contesto politico ed economico intervenne un altro Conte, il Conte Ugolino di casa Niccolidi secondo il Pinzi e che, secondo il Wustenfeìd, proveniva, assieme ad altri Conti, da un casato tedesco al tempo degli Ottoni, il quale aveva dei possedimenti e forse una precisa egemonia politica e territoriale presso la nuova «Centumcellae». Negli anni iniziali del XIII secolo, il Conte Ugolino prese con la forza delle armi Tolfa Vecchia, Monte Monastero e Civitella spossessandone i precedenti proprietari. Intervenne il Comune di Corneto, richiesto dal Conte Guido di S. Fiora, e la risoluzione del conflitto culminò con la stipula del documento del 13 marzo 1201 mediante il quale il Conte Ugolino, dietro una lunga serie di condizione, fa, assieme ai figli Rainone e Ranuccio e la moglie Sofia, atto di vassallaggio a Corneto per i Castelli suddetti. Nelle trattative fu compreso evidentemente anche il Castellodi S. Arcangelo, topograficarnente posto in mezzo al conflitto, il cui Prete, in modo autonomo e sotto forma di donazione, lo sottomise a Corneto. L'atto è del 4 marzo  1201 cioè prima dell’ atto precedente, ed è stipulato tra il Prete Paltone (o Paolo) Abbáte della Chiesa di S. Arcangelo ed i Consoli del Comune di Corneto. Paltone sottomette il Castello di S. Arcangelo e «Casagnelis»"'con tutte le pertinenze, riservandosi l'uccellagione, le opere consuete, le insegne ed i diritti dominicali. Il gastaldo dovrà amministrare i beni per conto del Comune di Corneto e l'Abbate Paltone si obbliga a giurare il sequitamento di Corneto, a farlo giurare ai propri successori e agli uomini del Castello di età superiore ai 14 anni. Torna su E’ probabile che a seguito del conflitto e la conseguente trattativa, ma in particolare in deduzione del contesto storico generale, sia avvenuta una divisione territoriale del Castello di S. Arcangelo tra il Comune di Corneto ed i Signori di Tolfa Vecchia i quali allargarono così i propri confini territoriali anche oltre il fiume Mignone. E’ ltrettanto probabile che il Comune di Viterbo al quale apparteneva la giurisdizione dei Castelli di Monte Monastero e S. Arcangelo, delegata dalla famiglia dei Farulfo, si risentisse e sarebbe così spiegabile la guerra del 1211 mossa da Viterbo contro Tolfa Vecchia. Viterbo dovette ripristinare l'ordine precedente e Rainone diTolfa Vecchia, figlio del Conte Ugolino, tentò allora di espandere la sua forza territoriale in altro settore, occupando il Castello del Sasso. Per tale occupazione fu scomunicato da Onorio III (1216-1227) e, dopo l'assedio del 1228 patito dal Castello di Monte Monastero da parte delle milizie romane, Rainone si sottomise nel 1230 a Gregorio IX con la garanzia dei Prefetti di Vico l .Indubbiamente manca il documento, ma poiché nel documento seguente del 1238 è indicato un privilegio tra Rainone di Tolfa Vecchia ed il Comune di Corneto, è probabile che il Pontefice, per tamponare la situazione politica tra Viterbo, Corneto e lo stesso Comune di Roma, abbia dato il proprio consenso per ripristinare la situazione di fatto creatasi prima del 1211. La giurisdizione dei Castelli di Monte Monastero, Civitella e S. Arcangelo passarono quindi sotto l'egemonia politica e amministrativa di Corneto. Enrico, Abbate di S. Arcangelo e successore di Paltone, tentò di svincolarsi dagli accordi del privilegio tra Tolfa Vecchia e Cor-neto, intentando un processo. Con atto del 28 febbraio 1238, dietro preciso ordine del Console di Corneto, lacopo di Gepzio, l' Abbate di S. Arcangelo è costretto a rispondere per quanto spetta a Corneto.del Castello di S. Arcangelo in forza del privilegio tra Rainone di Tolfa Vecchia ed il Comune di Corneto. Il medesimo Abbate giura di rinunciare al processo d' appello e presta il consueto giuramento; il Console lacopo riceve il sequitamento anche da molti massari di S. Arcangelo e, allo scopo evidente di predisporre un preciso controllo, costituisce un Visconte presso il Castello di S. Arcangelo. Mentre è documentata la giurisdizione del Comune di Corneto sul Castello di S. Arcangelo, è incerto a quale Diocesi appartenessero il medesimo Castello e la relativa Chiesa. Nel 1093 le Diocesi di Centocelle e Bieda furono incorporate nella Diocesi di Tuscania provocando dissidi con la Diocesi di Sutri; nel 1192 la Diocesi di Tuscania venne associata a quella di Viterbo"' e da tale data S. Arcangelo è evidentemente posto sotto la Diocesi Tuscania-Viterbo. Il documento precedentemente citato del 1245 129 sembra convalidare la probabilità che S. Arcangelo fosse appartenuto, prima dell'unione, alla Diocesi di Tuscania. Innocenzo IV nomina Scambio Vescovo della Diocesi di Tuscánia-Viterbo e, per il suo sostentamento, gli concede, con l'obbligo di mantenere i Monaci, il Monastero di S. Giuliano della Diocesi di Tuscania, la Chiesa di S. Nicola di Corneto ed il Monastero di S.Arcangelo «de Monte preoccupato eiusdem Diocesis ubi Monachi nigri morari». L'indicazione di «Monte sembra di poterla attribuire al S. Arcangelo dei Monti della Tolfa, l'indicazione successiva sembra convalidare una precedente appartenenza e la terza indicazione fa conoscere che presso S. Arcangelo dimoravano i Monaci «nigri» a differenza della chiesa di S. Nicola dove dimoravano i Monaci «albi». Alla morte del Vescovo Scambio, i Monaci recuperarono l'amministrazione ma il Comune di Corneto, al fine di ottenere un più diretto controllo, istituì presso S. Arcangelo, Pietro di Bencivenne in qualità di Castellano e gastaldo. L'atto è dell'8 maggio 1251, Pietro di Bencivenne giura di conservare la pace nel Castello e di rendere cento all'Abbate ed al Conte che risiedono in S. Arcangelo, dei redditi prodotti che dovranno essere versati al Comune di Corneto. Dal controllo diretto, il Comune di Corneto passò al vero e proprio acquisto del Castello di S. Arcangelo. Il Pinzi Torna su  fornisce il documento dal quale risulta che nel 1269 la cessione del Castello è ratificata dall'Abbazia di S. Arcangelo previo pagamento di 360 danari cortonesi e viterbesi, In sostanza quindi, da una parte il Comune di Viterbo controlla il Castello di Montecozzone con il suo territorio, dall'altra il Comune di Corneto, facendo suo il Castello di S. Arcangelo, allarga il proprio dominio territoriale contendendo e contrastando l'ege-monia viterbese volta prevalentemente alla produzione ed al commercio di grano. Nelle riscossioni sessennali delle decime per gli anni 1274-1280, è menzionato due volte Guastapane Abbate della Chiesa di S. Arcangelo. Il medesimo Abbate dovette riscattare il Castello di S. Arcangelo, precedentemente venduto al Comune di Corneto, a favore di Tolfa Vecchia ripristinando con Corneto apposito previlegio a conferma di quelli più antichi. Il giorno dopo l'atto di vassallaggio di Tolfa Vecchia a Corneto, con atto del 18 agosto 1283 il Comune di Corneto nomina Castellano e gastaldo del Castello di S. Arcangelo, lannicelle Falecorde da Corneto. Dal medesimo documento risulta però che il Castellano doveva amministrare i diritti del Comune in virtù del privilegio stipulato con l'Abbate del luogo, probabilmente l'Abbate Guastapane. E quindi presumibile che l'Abbate Guastapane ripristinasse i precedenti diritti dei Signori di Tolfa Vecchia sul Castello di S.Arcangelo. Tali diritti, rimanendo integro il potere politico e amministrativo di Corneto, sono documentati più tardi: con atto del26 febbraio 1293 i Signori di Tolfa Vecchia, nelle persone di Capello e Tebaldino di Guastapane, Graziano e Guastapane di Nicolò, Gepzio di Martino e Oddone di Guitto, nel prestare atto di vassallaggio a Corneto per Tolfa Vecchia, si obbligano a conserva-re il Castellano costituito dal Comune presso S. Arcangelo e ad osservare i patti stabiliti precedentemente. A convalida dei diritti che godevano, sei anni più tardi sono espressamente indicati Signori di Tolfa Vecchia e S. Arcangelo: Tancredo Tebaldino e Guastapane figli del fu Guastapane, Pietrodi Bove, Guastapanello e Angelo di Pandolfo. I medesimi giurano il sequitamento del Comune di Corneto e si obbligano, tra l' altro ad accogliere ed onorare il Castellano che Corneto destinerà in S. Arcangelo. Intanto, tra il 1293 e il 1299, i Signori di Tolfa Vecchia si erano spartiti tra loro i Castelli di Tolfa Vecchia, S. Arcangelo, Monte Monastero e Civitella. A detta del Guastapane, la spartizione dei Castelli venne eseguita in modo fraudolento e, per tale motivo, i Guastapane di Tolfa Vecchia e di S. Arcangelo, forse con l'appoggio degli Anguillara, mossero guerra ai loro parenti Guastapane di Monte Monastero. La guerra iniziò nel Natale del1299 e fu decisa dall'intervento del Comune di Corneto, richiesto dai Signori di Monte Monastero, che avocò i Castelli di Monte Monastero e Civitella e chiese ai Guastapane di Tolfa Vecchia di prestare il consueto giuramento di vassallaggio. Inizialmente Guastapane del fu Guastapane dovette rifiutarsi. Forse aspettava l'intervento degli Anguillara; poi, presentatosi nel campo di S. Arcangelo, alla presenza del Podestà e del popolo di Corneto, con atto del 30 dicembre 1299, giurò solennemente il sequitamento di Corneto. Giurò anche di essere «cives et fideles» di Corneto e di non molestare, sotto pena di 1000 marche d'argento, i Signori ed i vassalli di Monte Monastero e Civitella. Caduto l'artefice principale della guerra, seppelliti i morti, anche gli altri Signori di Tolfa Vecchia e di S. Arcangelo si affrettarono ad eseguire l'omaggio a Corneto. Con atto del 3 gennaio 1300,i Signori di Tolfa Vecchia e di S. Arcangelo, nelle persone di Tancredo e Tebaldino del fu Guastapane, Puccio del fu Bove (forse fuucciso nel conflitto), Angelo del fu Pandolfo (forse fu ucciso nel conflitto) e Arturo del fu Gerardo, delegarono il loro parente Guastapane del fu Guastapane per rinnovare la promessa di ossequio al Comune di Corneto. Il simbolico atto di omaggio che fino ad allora era stato limitato alla presentazione di un cero, fu sostituito con un palio di seta del valore di 10 lire di paparini, a dimostrazione di un'autorità più pressante e a punizione di una licenza che i Signori di Tolfa Vecchia e di S. Arcangelo non dovevano permettersi. Con la guerra in narrativa, termineranno tutti i diritti territoriali che i Signori di Tolfa Vecchia vantavano su Monte Monastero e Civitella a seguito della guerra precedente degli inizi dei XIII secolo. Monte Monastero e Civitella passarono sotto la giurisdizione del Comune di Corneto rimanendo ai Signori di Tolfa Vecchia i diritti territoriali sul Castello di S. Arcangelo. Terminata la guerra ed assolti ai Torna su rituali dell'epoca, presso il Comune di Corneto intervennero altri Signori che reclamarono i loro diritti sui Castelli di Tolfa Vecchia, S. Arcangelo, Monte Monastero, Civitella e con l'aggiunta di Rota. Nell'atto del 6 gennaio1300, sono menzionati: Odduccio e Veraldo figli del fu Guitto, i loro fratelli Simone e Guittarello ed il loro nipote Cola. Questi nuovi Signori si dichiarano «cives et fideles» del Comune di Corneto per la quarta parte dei Castelli mentre per le parti rimanenti dichiarano di amministrarli a nome del Comune. S' impegnano inoltre ad offrire allo stesso Comune, a titolo di censo, un palio del valore di 40 soldi di denari paparini. S' impegnano a contribuire, per un quarto, all'offerta del cero di 10 libbre dovuto dai Signori di Monte Monastero e di non vendere, alienare o donare i propri diritti su Monte Monastero e Civitella; ad accettare il Castellano che il Comune di Corneto destinerà in S. Arcangelo al quale renderanno conto di tutti i proventi spettanti al Comune di Corneto. Da parte sua, il Comune promette di proteggerli ricevendo il giuramento del sequitamento da Odduccio e Veraldo. I documenti sopra esposti testimoniano come il territorio di Tolfa Vecchia fosse frazionato e diviso da una lunga serie di condomini tra i quali emergono, per notorietà, i discendenti degli Aldobrandeschi ed i Guastapane. In osservanza all'atto precedente, il 25 aprile 1300, il Comune di Corneto nella persona di Leonardo di Gaetano, istituisce Castellano di S. Arcangelo lacopo di Bonafiglia da Corneto; il Sindaco del Comune concede al Castellano istituito facoltà plenaria di governare il Castello, i suoi abitanti e gli obbliga di raccogliere i proventi spettanti a Corneto. Per gli uomini di S. Arcangelo sono menzionati: Petruccio di Fiore, Gianni di Stefania e Dominuccio di Pietro ai quali, assieme ad altri vassalli, il Comune di.Corneto obbligarono di onorare il Castellano istituito, di essergli fedeli e obbedire ai suoi ordini. Pochi giorni dopo, il 29 aprile, il Sindaco del Comune di Corneto, riceve il giuramento dei sequitamento dai seguenti uomini di S. Arcangelo: Muzio di Pietro, Tuzio di Sperante, Vegnate di Giovanni, Domenico di Pietro, Gianni di Stefania . A testimonianza dei diritti che i Signori di Tolfa Vecchia, vantavano sul Castello di S. Arcangelo, il Sindaco del Comune di Corneto obbliga a Guastapane del fu Guastapane, assieme agli uomini sopra menzionati, di rispettare il Castellano istituito. Tali diritti documentati negli atti precedenti sono ulteriormente convalidati nel 1347. Il 7 agosto, Ielle del fu Nino, nella sua qualità di procuratore dei Signori, vassalli e massari di Tolfa Vecchia, giura il sequitamento dell' allora Podestà dei Comune di Corneto, Bartolo di Odorisio da Foligno, e s’ impegna ad accogliere il Castellano istituito dal Comune presso il Castello di S. Arcangelo. Con questo documento terminano le menzioni del Castello dì S. Arcangelo e probabilmente la nota peste del 1348 ed il successivo terremoto del 1349, ne decisero lo spopolamento. Forse i Monaci furono gli ultimi che abbandonarono il luogo che, divenuto una tenuta, fu rivendicato, nel 1356, dal Vescovo i Nicolò al Sinodo di Montalto. Come tenuta appare nel secolo successivo nei Bilanci della dogana dei pascoli dai quali risulta che S. Agostino e la selva di S. Angelo erano pertinenti al Cardinale di Spoleto e che rendevano, per 5000 pecore, 250 ducati. Con tale documento che non dà la certezza della pertinenza al S. Arcangelo in questione ricordando, ancora una volta, la presenza del toponimo di S. Angelo non molto distante dal S. Arcangelo, termina ogni ulteriore notizia. Forse, S. Arcangelo passò agli appaltatori dell'industria dell' allume prodotto presso Tolfa Vecchia dal XV secolo; dal 1826, l' anno cioè della nota autonomia comunale di Allumiere che provocò un secolare contrasto con il vicino Comune di Tolfa, S. Arcangelo risulta incorporato nel territorio comunale di Tolfa. Oggi è miseramente ridotto ad un totale sfacelo e meta dell' occasionale visitatore alla riscoperta di qualche pagina di storia e di archeologia oppure alla ricerca di un angolo di pace o di qualche passeggiata romantica.

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