S.Arcangelo
Il primo autore
che eseguì una ricerca archeologica (quindi il primo archeologo di Tolfa) presso S. Arcangelo, fu Alessandro Bartoli le cui memorie, misteriosamente scomparse, sono state rese pubbliche dal Morra". Così si
espresse in vari appunti: “S. Arcangelo Abbazia dei Benedettini con Castello i
cui avanzi sontuosi esistono ai
Comunali territorio di Tolfa». «Vi era ancora alle
falde del Monte altra Chiesa dedicata a S. Benedetto e non
molto distante quella di S. Biagio di cui i Benedettini erano devotissimi».
“Le ali (della Chiesa di S. Arcangelo) erano voltate a crociera come
chiaramente si scorge da un pieduccio rimasto sulla parete destra e divise da piloni che coll'aiuto di capitelli e foglie di ninfea e
protone di uomini, in qualche faccia a volute a spirale di sovrapposto basso
rilievo sostenevano gli archi (a) pieno centro e ricavati dalla pietra locale
di trachite cristallizzata». Per il campanile di S. Arcangelo così si espresse: «Sulla cima del lato destro addossato al muro esterno, di
forma quadrata con addentellature sulla fascia ». Per lo stile, il Bartoli rilevò una
somiglianza con la chiesa di S. Egidio Vecchio. Il Bartoli
vide e misurò i resti del Castello ( m. 72,60 x 26,40 ), chiuso da una cinta
curvilinea e posto di fronte alla Chiesa. Il Morra individuò i resti del Cenobio e rivolse un appello per uno scavo approfondito.
Evidentemente l'appello è stato recepito se i G.A.I. hanno, di recente, pubblicata una apposita
monografia storica-archeologica alla quale si
rimanda per ogni ulteriore delu-cidazione. Unitamente alle risultanze archeologiche di S. Arcangelo va ricordato che nelle sue
immediate vicinanze, presso le cosiddette « Coste del Marano» poste tra Montecocozzone e lo stesso S. Arcangelo, è stato
rinvenuto un «ripostiglio» e sono stati recuperati i famosi -bronzetti». Si
tratta di documenti archeologico databili, secondo Peroni(82) al X secolo a.C., ora parzialmente
esposti al Museo Pigorini di Roma, che testimoniano
la presenza dell'uomo preistorico nel territorio in esame. Altro dato
archeologico è che presso S. Arcangelo non è stata riscontrata ceramica romana
mentre è presente una «frequentazione étrusca». Nell' 853 Leone IV, su richiesta di Tuscania,
gli conferma il Vescovado specificandone i confini ed i luoghi ad esso
soggetti; tra i beni dei Vescovado, la Chiesa di S. Arcangelo è
menzionata due volte. Sembra che le menzioni non siano pertinenti al S.
Arcangelo dei Monti alla Toìfa: nella prima è detto
che la Chiesa. di S. Arcangelo, si trova nei
dintorni di Corneto, nella seconda è indicata nel Castello di Viterbo. Un particolare studio meriterebbe il già citato toponimo di S. Angelo posto alle pendici settentrionali dei Monti della Tolfa. Per quanto si riferisce al confine del
Vescovado tuscanese, è utile riprodurre il brano
fornito dallo stesso documento dal quale risulta che
il, confine giungeva, a quella data, al fiume Mignone percorrendone gran parte: «a Mari Magno, et inde per fluvius Minionem, sicuti recte estenditur in Crypta S. Pancratii et in Pedem Leuprandii qui est inter territorium Orclanus et Bledanum, et recte pergit ad cavam fardengam, et inde transit ad Buttem aquaeductus, quae est in strata B. Petri Apostoli, et inde ... », brano che, tradotto dal Signorelli, suona: « dal Mare Magno per il fiume M ignone si estendeva in linea retta sino alla Grotta
di S. Panerazio ed al piede di Liutprando fra i territori di Orcla (92) e Bieda; di là a cava Fardenga e quindi alla Botte dell’ acquedotto sulla
strada dell' Apostolo Pietro ... ». Ritornando direttamente al S. Arcangelo dei
Monti della Tolfa, si riporta la rnenzione del 963 che sembra sia pertinente al S.Arcangelo di Corneto e si illustra il documento del 976. Il documento, pur non garantendo la certezza, induce ad attribuire il Monastero menzionato al S. Arcangelo dei Monti della Tolfa e ad indagare, in analogia con il precedente documento del 939,
sul territorio posto sulla riva sinistra della Valle del Mignone. Si tratta di un atto di vendita mediante il quale Ugone del fu Teandimundo,
soprannominato Teuzo (forse il medesismo del documento precedente), ed indicato abitatore del Castello
di Corneto (come il precedente), vende a Leone, Abbate del Monastero di S. Arcangelo, la sua
porzione di cinque casali per il prezzo di 100 soldi d'argento. I casali
menzionati sono: quello di S. Quirico , quello posto
nel Castello di Monte Sinico, di Binule, di Turture (o
Tortora, oTortura) posto in Colle e quello di Cigliano. Per tali casali sono dati i seguenti
confini: - il fiume Mignone; - il fossato « Uisginese - da identificarsi con attuale fosso «Verginese»
(il nome dovrebbe derivare dal fatto che il fosso è «vergine » di sorgente e
raccoglie le acque di una serie di altri fossetti); - «Flaianu»
(dovrebbe trattarsi del «Vico Flaiano» del
documen-to precedente); - «Polleianu» (sarebbe
interessante, poterlo identificare con l'attuale toponimo locale «Polletrara»).
Indubbiamente i due documenti citati, quello del 939 e l'altrodel 976, sono molto importanti ai fini della topografia
locale e permettono di riconoscere una serie di casali, cinque per ogni
documento. Dal primo documento è possibile far corrispondere i casali indicati
con gli attuali casali dell'Ente Maremma che sembrano la ripetizione di una
precisa utilizzazione agricola; nel secondo
documento sarebbe interessante potervi riconoscere altrettanti casali attuali
come: «Casalavio», «Casal dei Frati», «Casali della
Conserva» e «Casale Baldone». E’ chiaramente
un'ipotesi perché i casali indicati nel secondo documento possono essere
pertinenti, quindi riconoscervi altrettanti casali, ai toponimi posti sulla
riva destra del « Fosso Verginese» tra i quali «Angiano»
e «Pignano» si avvicinano molto al«Flaianu»
del documento. Ulteriore incertezza sulla pertinenza
di S. Arcangelo la possiamo riscontrare nel 990. Nel documento è detto che
Pietro cornetano, figlio del Conte Vinigi, dona alla Chiesa di S. Maddalena del Mignone, posta sotto l'Abbazia di Farfa, la Chiesa di S. Angelo indicata vicino a Corneto. Le
medesime incertezze a quale S. Arcangelo sono pertinenti le menzioni nei
precedenti documenti, non dimenticando l'altro S.Angelo precedentemente indicato, si riscontrano in altri
due documenti che vengono illustrati e preceduti da alcune sommarie vicende
storiche. Come è noto, il Monastero di S. Maria sul Mignone apparteneva all'Abbazia Imperiale di Farfa (è tra i
beni farfensi confermati da Carlo Magno) ed era
ritenuto il capoluogo farfense nella Tuscia. Data l'importanza, il suo possesso fu
conteso dal Monastero dei SS. Cosma e Darniano di Roma, fondato tra il 936 e il 948 con
il quale sorsero lunghe vertenze giuridiche. Tra le varie conferme di S. Maria sul Mignone all'Abbazia di Farfa è utile ricordare quella di Ottone 1, nel 967, il quale restituì alla Chiesa
l'esarcato e le altre terre usurpate da Berengario 11, quella di Ottone Il nel
981 e quella di Ottone III nel 999. Ottone III restituì Ugo nella sede farfense e il medesimo Abbate nominò, con atti del 1002 e 1003, Graziano Abbate di S. Maria sul Mignone posta in «territorio Tuscanensi». Negli atti è posta la condizione di governare e conservare
quanto è di proprietà e pertinenza di Farfa nel «Comitatu Tuscanensi et Centumcellensi», nelCastello di Corneto e nella Chiesa di Orchia. Nel 1005 Giovanni XVIII
(1004-1009) ribaltò la situazione politica attribuendo S. Maria sul Mignone al Monastero dei SS. Cosma e Damiano. Durante il pontificato di
Giovanni XVIII, l'Abbate Ugo, che aveva recuperato
i beni usurpati, abdicò, nel 1007, nelle mani di Enrico Il e all'Abbate Ugo successe l'Abbate Guido I. Evidentemente Graziano, Abbate di S. Maria sul Mignone nominato da Ugo, tentò di allargare i suoi possedimenti aggiungendovi tanto la
Chiesa di S. Peregrino (o meglio S. Pellegrino) che quella di S. Michele
Arcangelo. Sergio IV (1009-1012) obbligò Graziano a restituire all'Abbate Guido 1 (successore di Ugo) le due chiese sopra
citate. Quindi è certo che la Chiesa di S. Arcangelo venne restituita alla proprietà farfense ed è probabile
che l'Abbate Graziano avesse posto S. Arcangelo nel
Vescovado tuscanese. La probabilità può essere
convalidata dal fatto che, nel 1245, S. Arcangelo dei Monti della Tolfa venne assegnato al
Vescovado di Tuscania e nel documento è espressamente detto « de Monte preoccupato » senza riferire a quale periodo. Nel 1013 Enrico Il scese in Italia per farsi incoronare e
l'anno successivo confermò S. Maria sul Mignone al Monastero di Farfa mentre si trova l'Abbate Ugo ripristinato nella
sede farfense. Intanto che Ugo
concedeva i suoi possedimenti in «Marchia Tuscana»
al Conte Gerardo, figlio di Rainerio Abbate dei SS. Cosma e Damiano, la causa per il possesso di
S. Maria sul Mignone fu
giudicata, nel 1048, dal Vescovo di Tuscania Benedetto il quale sentenziò in favore di Farfa"".
Tre anni dopo fu ripresa la vertenza giuridica e questa
volta si ritrova menzionato S. Arcangelo. La lite fu discussa alla
presenza del Vescovo di Bieda Inghelberto, messo di Leone IX (1049-1057),e Adelberto, messo di Bonifacio duca di Toscana. L'Abbate Rainerio non si presentò
alla discussione della causa che venne rimandata
assegnando, temporaneamente, all'Abbate Berado 1 di Farfa tanto
S. Maria sul Mignone quanto la Chiesa di S. Michele che quella di S. Pellegrino. Come è vero che i documenti citati precedentemente non danno la certezza
della pertinenza al S. Arcangelo dei Monti della Tolfa,
è altrettanto vero che nel secolo successivo, cioè XII, non abbiamo maggiore
fortuna anche se ne favoriscono una collocazione storica. Menzionando i
documenti forniti dal Savignoni che, dallo stesso
autore, sono ritenuti una «vera e propria falsificazione», riportiamo le indicazioni del Silvestrelli nel 1161 il Conte Farulfo fece
atto di sottomissione al Comune di Viterbo per i Castelli di Monte Monastero,
S. Giovenale, Alteto e S. Arcangelo; - nel 1188 la
Contessa Kleria (Chiera o Ciara) figlia del Conte Farulfo, sottomise a Viterbo il Castello di Barbarano. Tra le date sopra esposte, s'inserisce anche la notizia che
vuole come Federico 1 donasse al Comune di Viterbo,
nel 1170, i Castelli di: Monte Monastero, Alteto,
S. Giovenale e S. Arcangelo"'. Al di là della autenticità dei documenti e della notizia, è certa la presenza dei Conti Farulfo che possedevano, in quel tempo, i Castelli
menzionati, che seguono, sempre in quel tempo, vicende storiche simili come
pure è certo che i Farulfo si sottomisero al neo
Comune di Viterbo. Indaghiamo ora, sia pure sommariamente, sulla famiglia dei Farulfo che è menzionata
anche col titolo di Conti. Già nell'875 è menzionato un Farulfo di Farulfo, nei primi anni dell' XI secolo una lunga serie di Farulfo: Farulfo di
Adalberto, Berardo di Farulfo, Crescenzio e Gebbone di Farulfo,
Guidone di Farulfo, nel 1062 Pepo di Farulfo domiciliato in Viterbo, nel1159 un Guido
del fu Faruìfo, un Conte Farulfo è menzionato nella conferma di beni fatta da Gregorio VII al
Monastero di S. Paolo, nel 1081. Per Cleria troviamo che era stata posta sotto la protezione del Comune di Viterbo dal padre Farulfo Conte di Monte Monastero; che era andata
sposa a Ulfreduccio (o Offreduccio) di Rainaldi(uno dei Signori di Selva Pagana); che il Podestà di Viterbo, il quale agiva a nome della Contessa, aveva ceduto come dote ad Ulfreduccio, l'usufrutto
dei Castelli di Monte Monastero e Barbarano; che la
Contessa sopravvivesse al marito ma, morta senza lasciare credi naturali, le
subentrò, come crede, il Comune di Viterbo; che viene rammentata per ultimo nel
1201117.Tra i citati documenti si inserisce un'altra notizia' 18 che vuole
come Enrico VI togliesse, nel 1193, ai Viterbesi il
Castello di «S.Angelo»
per mezzo di Enrico di Calandino. Di certo la
notizia è pertinente al Castello di S. Arcangelo dei Monti della Tolfa sia per il nome che per la concomitanza
dell'azione infatti, nel medesimo anno ed il
medesimo Enrico di Calandino diede alle fiamme il
Castello di Monte Monastero. L'azione è chiaramente un riflesso della guerra
mossa da Enrico VI a Viterbo il quale è costretto,
per sedare la furia tedesca, a pagare mille libbre d'argento. Comunque, in mancanza di documentazioni più precise
che ci porterebbero a ipotesi più o meno azzardate, lasciamo in sospesole
conclusioni e, citando la menzione di S. Arcangelo nella bolla di Innocenzo III
riportata dal Silvestrelli, passiamo ad illustrare
le documentazioni certe che, illustrate cronologicamente, possono permettere
una ricostruzione storica di S. Arcangelo dei Monti della Tolfa. La rivoluzione sociale e politica creatasi con la costituzione
dei «Liberi Comuni», fece emergere nel XII secolo due città: Viterbo e Corneto. Due contendenti che
tentano di sopraffarsi mentre il Comune di Roma (il Campidoglio) e l'apparato
ecclesiastico, spesso in evidente contrasto, tentano, con l'aiuto dei vari
Imperatori, di non farsi sfuggire di mano la propria egemonia politica e
territoriale. All'epoca, la principale molla economica dei contrasti era rappresentata dalla produzione ed il commercio
del grano nei luoghi dove la semina era possibile e vantaggiosa, mentre negli
altri luoghi dove non era possibile, come sui Monti della Tolfa, la molla principale era rappresentata dal pascolo del bestiame e
dal conseguente riferimento, molto producente, alla « transumanza » 1 19. Presso i Monti della Tolfa è possibile
osservare: a Tolfa Nuova traspare una identità ed autonomia politica; Montecocozzone è posto sotto la giurisdizione di
Viterbo; Monte Monastero è pos seduto dai Conti Farulfo che lo hanno posto, assieme al Castello di
S. Arcangelo, sotto la giurisdizione di Viterbo; Tolfa Vecchia è posseduta dal Conte Guido di S. Fiora che forse la teneva in nome e
per conto di Corneto, che è un probabile
discendente della nota famiglia Aldobrandesca. La
presenza a Tolfa Vecchia degli Aldobrandeschi di chiara origine longobarda (Hideprand,
forse proviene da Ilthia=battagliae Brand=spad.T),
è la testimonianza che il cosiddetto «Contado Aldobrandesco» dell'epoca e che oggi indichiamo come «Maremma toscana »
con finalità prettamente agricole, giungeva sino ai Monti della Tolfa. In questo contesto politico ed economico intervenne un altro Conte, il Conte Ugolino di casa Niccolidi secondo il Pinzi e che, secondo il Wustenfeìd, proveniva, assieme ad altri Conti, da
un casato tedesco al tempo degli Ottoni, il quale aveva dei possedimenti e
forse una precisa egemonia politica e territoriale presso la nuova «Centumcellae».
Negli anni iniziali del XIII secolo, il Conte Ugolino prese con la forza delle
armi Tolfa Vecchia, Monte Monastero e Civitella spossessandone i precedenti
proprietari. Intervenne il Comune di Corneto,
richiesto dal Conte Guido di S. Fiora, e la risoluzione del conflitto culminò
con la stipula del documento del 13 marzo 1201
mediante il quale il Conte Ugolino, dietro una lunga serie di condizione, fa,
assieme ai figli Rainone e Ranuccio e la moglie
Sofia, atto di vassallaggio a Corneto per i
Castelli suddetti. Nelle trattative fu compreso evidentemente anche il Castellodi S. Arcangelo, topograficarnente posto in mezzo al conflitto, il cui Prete, in modo
autonomo e sotto forma di donazione, lo sottomise a Corneto. L'atto è del 4 marzo 1201 cioè prima dell’ atto precedente, ed è stipulato tra il Prete Paltone (o Paolo) Abbáte della Chiesa di S.
Arcangelo ed i Consoli del Comune di Corneto. Paltone sottomette il Castello di S. Arcangelo e «Casagnelis»"'con tutte le
pertinenze, riservandosi l'uccellagione, le opere consuete, le insegne ed i
diritti dominicali. Il gastaldo dovrà amministrare i beni per conto del
Comune di Corneto e l'Abbate Paltone si obbliga a giurare il sequitamento di Corneto,
a farlo giurare ai propri successori e agli uomini del Castello di età superiore ai 14 anni. E’ probabile che a seguito del conflitto e la conseguente trattativa, ma in particolare in deduzione del contesto storico generale, sia
avvenuta una divisione territoriale del Castello di S. Arcangelo tra il Comune
di Corneto ed i Signori di Tolfa Vecchia i quali allargarono così i propri confini territoriali
anche oltre il fiume Mignone. E’ ltrettanto probabile che il Comune di Viterbo al
quale apparteneva la giurisdizione dei Castelli di Monte Monastero e S.
Arcangelo, delegata dalla famiglia dei Farulfo, si risentisse e sarebbe così spiegabile la guerra del
1211 mossa da Viterbo contro Tolfa Vecchia. Viterbo
dovette ripristinare l'ordine precedente e Rainone diTolfa Vecchia, figlio
del Conte Ugolino, tentò allora di espandere la sua forza territoriale in altro
settore, occupando il Castello del Sasso. Per tale occupazione fu scomunicato
da Onorio III (1216-1227) e, dopo l'assedio del 1228 patito dal Castello di
Monte Monastero da parte delle milizie romane, Rainone si sottomise nel 1230 a Gregorio IX con la garanzia dei Prefetti di Vico l .Indubbiamente manca il documento, ma poiché nel documento seguente del
1238 è indicato un privilegio tra Rainone di Tolfa Vecchia ed il Comune di Corneto, è probabile che il Pontefice, per tamponare la situazione
politica tra Viterbo, Corneto e lo stesso Comune di
Roma, abbia dato il proprio consenso per ripristinare la situazione di fatto
creatasi prima del 1211. La giurisdizione dei Castelli di Monte Monastero, Civitella e S. Arcangelo passarono quindi sotto
l'egemonia politica e amministrativa di Corneto.
Enrico, Abbate di S. Arcangelo e successore di Paltone, tentò di svincolarsi dagli accordi del
privilegio tra Tolfa Vecchia e Cor-neto, intentando un processo. Con atto del 28 febbraio 1238, dietro
preciso ordine del Console di Corneto, lacopo di Gepzio, l' Abbate di S.
Arcangelo è costretto a rispondere per quanto spetta a Corneto.del Castello di S. Arcangelo in forza
del privilegio tra Rainone di Tolfa Vecchia ed il Comune di Corneto. Il medesimo Abbate giura di
rinunciare al processo d' appello e presta il consueto giuramento; il Console lacopo riceve il sequitamento anche da molti massari di S. Arcangelo e, allo
scopo evidente di predisporre un preciso controllo, costituisce un Visconte
presso il Castello di S. Arcangelo. Mentre è documentata la giurisdizione del
Comune di Corneto sul Castello di S. Arcangelo, è
incerto a quale Diocesi appartenessero il medesimo
Castello e la relativa Chiesa. Nel 1093 le Diocesi di Centocelle e Bieda furono incorporate nella
Diocesi di Tuscania provocando dissidi con la
Diocesi di Sutri; nel 1192 la Diocesi di Tuscania venne associata
a quella di Viterbo"' e da tale data S. Arcangelo è evidentemente posto sotto
la Diocesi Tuscania-Viterbo. Il documento precedentemente citato del 1245 129 sembra
convalidare la probabilità che S. Arcangelo fosse appartenuto, prima
dell'unione, alla Diocesi di Tuscania. Innocenzo IV nomina Scambio Vescovo della Diocesi di Tuscánia-Viterbo e, per il suo sostentamento, gli
concede, con l'obbligo di mantenere i Monaci, il Monastero di S.
Giuliano della Diocesi di Tuscania, la Chiesa di S.
Nicola di Corneto ed il Monastero di S.Arcangelo «de Monte preoccupato eiusdem Diocesis ubi Monachi nigri morari». L'indicazione di «Monte sembra di poterla
attribuire al S. Arcangelo dei Monti della Tolfa,
l'indicazione successiva sembra convalidare una precedente appartenenza e la
terza indicazione fa conoscere che presso S. Arcangelo dimoravano i Monaci «nigri»
a differenza della chiesa di S. Nicola dove dimoravano i Monaci «albi». Alla
morte del Vescovo Scambio, i Monaci recuperarono l'amministrazione ma il Comune
di Corneto, al fine di ottenere un più diretto
controllo, istituì presso S. Arcangelo, Pietro di Bencivenne in qualità di Castellano e
gastaldo. L'atto è dell'8 maggio 1251, Pietro di Bencivenne giura di conservare la pace nel Castello
e di rendere cento all'Abbate ed al Conte che
risiedono in S. Arcangelo, dei redditi prodotti che dovranno essere versati al
Comune di Corneto. Dal controllo diretto, il Comune
di Corneto passò al vero e proprio acquisto del
Castello di S. Arcangelo. Il Pinzi fornisce il documento dal quale risulta che nel 1269 la cessione del Castello è ratificata dall'Abbazia di S. Arcangelo previo pagamento di 360 danari cortonesi e viterbesi,
In sostanza quindi, da una parte il Comune di Viterbo controlla il Castello di Montecozzone con il suo territorio, dall'altra il
Comune di Corneto, facendo suo il Castello di S.
Arcangelo, allarga il proprio dominio territoriale contendendo e contrastando
l'ege-monia viterbese volta prevalentemente alla
produzione ed al commercio di grano. Nelle riscossioni sessennali delle decime
per gli anni 1274-1280, è menzionato due volte Guastapane Abbate della Chiesa di S. Arcangelo. Il medesimo Abbate dovette riscattare il Castello di S. Arcangelo, precedentemente venduto al Comune di Corneto, a favore di Tolfa Vecchia ripristinando con Corneto apposito previlegio a conferma di quelli più antichi. Il giorno dopo l'atto di vassallaggio di Tolfa Vecchia a Corneto,
con atto del 18 agosto 1283 il Comune di Corneto nomina Castellano e gastaldo del Castello di S. Arcangelo, lannicelle Falecorde da Corneto. Dal medesimo documento risulta però che il Castellano doveva amministrare i diritti del Comune
in virtù del privilegio stipulato con l'Abbate del
luogo, probabilmente l'Abbate Guastapane. E quindi presumibile che l'Abbate Guastapane ripristinasse i precedenti diritti dei
Signori di Tolfa Vecchia sul Castello di S.Arcangelo. Tali diritti, rimanendo integro
il potere politico e amministrativo di Corneto,
sono documentati più tardi: con atto del26 febbraio 1293 i Signori di Tolfa Vecchia, nelle persone di Capello e Tebaldino di Guastapane,
Graziano e Guastapane di Nicolò, Gepzio di Martino e Oddone di Guitto, nel prestare
atto di vassallaggio a Corneto per Tolfa Vecchia, si obbligano a conserva-re il
Castellano costituito dal Comune presso S. Arcangelo e ad osservare i patti
stabiliti precedentemente. A convalida dei diritti
che godevano, sei anni più tardi sono espressamente indicati Signori di Tolfa Vecchia e S. Arcangelo: Tancredo Tebaldino e Guastapane figli del fu Guastapane, Pietrodi Bove, Guastapanello e Angelo di Pandolfo. I medesimi giurano il sequitamento del Comune di Corneto e si obbligano, tra l' altro ad accogliere ed onorare il Castellano che Corneto destinerà in S. Arcangelo. Intanto, tra il
1293 e il 1299, i Signori di Tolfa Vecchia si erano
spartiti tra loro i Castelli di Tolfa Vecchia, S.
Arcangelo, Monte Monastero e Civitella. A detta del Guastapane, la spartizione dei Castelli venne eseguita in modo fraudolento e, per tale
motivo, i Guastapane di Tolfa Vecchia e di S. Arcangelo, forse con l'appoggio degli Anguillara, mossero guerra ai loro parenti Guastapane di Monte Monastero. La guerra iniziò nel Natale del1299 e fu
decisa dall'intervento del Comune di Corneto,
richiesto dai Signori di Monte Monastero, che avocò i Castelli di Monte Monastero e Civitella e chiese
ai Guastapane di Tolfa Vecchia di prestare il consueto giuramento di vassallaggio. Inizialmente Guastapane del fu Guastapane dovette rifiutarsi. Forse aspettava
l'intervento degli Anguillara; poi, presentatosi
nel campo di S. Arcangelo, alla presenza del Podestà e del popolo di Corneto, con atto del 30 dicembre 1299, giurò
solennemente il sequitamento di Corneto. Giurò anche di essere «cives et fideles» di Corneto e
di non molestare, sotto pena di 1000 marche d'argento, i Signori ed i vassalli
di Monte Monastero e Civitella. Caduto l'artefice
principale della guerra, seppelliti i morti, anche gli altri Signori di Tolfa Vecchia e di S. Arcangelo si affrettarono ad
eseguire l'omaggio a Corneto. Con atto del 3
gennaio 1300,i Signori di Tolfa Vecchia e di S. Arcangelo, nelle persone di Tancredo e Tebaldino del fu Guastapane, Puccio del fu
Bove (forse fuucciso nel conflitto), Angelo del fu
Pandolfo (forse fu ucciso nel conflitto) e Arturo del fu Gerardo, delegarono il
loro parente Guastapane del fu Guastapane per rinnovare la promessa di ossequio al Comune di Corneto. Il simbolico atto di omaggio che fino ad allora era stato limitato alla presentazione di un
cero, fu sostituito con un palio di seta del valore di 10 lire di paparini, a dimostrazione di un'autorità più
pressante e a punizione di una licenza che i Signori di Tolfa Vecchia e di S. Arcangelo non dovevano permettersi. Con la guerra
in narrativa, termineranno tutti i diritti territoriali che i Signori di Tolfa Vecchia vantavano su Monte Monastero e Civitella a seguito della
guerra precedente degli inizi dei XIII secolo. Monte Monastero e Civitella passarono sotto la giurisdizione del Comune di Corneto rimanendo ai Signori di Tolfa Vecchia i diritti
territoriali sul Castello di S. Arcangelo. Terminata la guerra ed assolti ai rituali dell'epoca, presso il Comune di Corneto intervennero altri Signori che reclamarono
i loro diritti sui Castelli di Tolfa Vecchia, S.
Arcangelo, Monte Monastero, Civitella e con
l'aggiunta di Rota. Nell'atto del 6 gennaio1300, sono menzionati: Odduccio e Veraldo figli del fu Guitto, i loro fratelli Simone e Guittarello ed il loro nipote Cola. Questi nuovi
Signori si dichiarano «cives et fideles» del Comune di Corneto per la quarta parte dei Castelli mentre per
le parti rimanenti dichiarano di amministrarli a nome del Comune. S' impegnano inoltre ad offrire allo stesso Comune, a titolo
di censo, un palio del valore di 40 soldi di denari paparini. S' impegnano a contribuire, per un
quarto, all'offerta del cero di 10 libbre dovuto dai Signori di Monte Monastero
e di non vendere, alienare o donare i propri diritti su Monte Monastero e Civitella; ad accettare il Castellano che il Comune
di Corneto destinerà in S. Arcangelo al quale
renderanno conto di tutti i proventi spettanti al Comune di Corneto. Da parte sua, il Comune promette di
proteggerli ricevendo il giuramento del sequitamento da Odduccio e Veraldo.
I documenti sopra esposti testimoniano come il territorio di Tolfa Vecchia fosse frazionato e diviso da una lunga serie di condomini tra i quali emergono, per notorietà, i
discendenti degli Aldobrandeschi ed i Guastapane. In osservanza all'atto precedente, il
25 aprile 1300, il Comune di Corneto nella persona
di Leonardo di Gaetano, istituisce Castellano di S.
Arcangelo lacopo di Bonafiglia da Corneto; il Sindaco del Comune concede al
Castellano istituito facoltà plenaria di governare il Castello, i suoi abitanti
e gli obbliga di raccogliere i proventi spettanti a Corneto. Per gli uomini di S. Arcangelo sono menzionati: Petruccio di Fiore, Gianni di Stefania e Dominuccio di Pietro ai quali, assieme ad altri
vassalli, il Comune di.Corneto obbligarono di
onorare il Castellano istituito, di essergli fedeli e obbedire ai suoi ordini.
Pochi giorni dopo, il 29 aprile, il Sindaco del Comune di Corneto, riceve il giuramento dei sequitamento dai seguenti uomini di S. Arcangelo: Muzio di Pietro, Tuzio di Sperante, Vegnate di Giovanni,
Domenico di Pietro, Gianni di Stefania . A
testimonianza dei diritti che i Signori di Tolfa Vecchia, vantavano sul Castello di S. Arcangelo, il Sindaco del Comune di Corneto obbliga a Guastapane del fu Guastapane,
assieme agli uomini sopra menzionati, di rispettare il Castellano istituito.
Tali diritti documentati negli atti precedenti sono ulteriormente convalidati
nel 1347. Il 7 agosto, Ielle del fu Nino, nella sua qualità di procuratore dei Signori,
vassalli e massari di Tolfa Vecchia, giura il sequitamento dell' allora Podestà
dei Comune di Corneto, Bartolo di Odorisio da
Foligno, e s’ impegna ad accogliere il Castellano istituito dal Comune presso
il Castello di S. Arcangelo. Con questo documento terminano le menzioni del
Castello dì S. Arcangelo e probabilmente la nota peste del 1348 ed il
successivo terremoto del 1349, ne decisero lo
spopolamento. Forse i Monaci furono gli ultimi che abbandonarono il luogo che,
divenuto una tenuta, fu rivendicato, nel 1356, dal Vescovo i Nicolò al Sinodo di Montalto. Come tenuta
appare nel secolo successivo nei Bilanci della dogana dei pascoli dai quali risulta che S. Agostino e la selva di S. Angelo
erano pertinenti al Cardinale di Spoleto e che rendevano, per 5000 pecore, 250
ducati. Con tale documento che non dà la certezza della pertinenza al S.
Arcangelo in questione ricordando, ancora una volta, la presenza del toponimo
di S. Angelo non molto distante dal S. Arcangelo, termina ogni ulteriore notizia. Forse, S. Arcangelo passò agli
appaltatori dell'industria dell' allume prodotto
presso Tolfa Vecchia dal XV secolo; dal 1826, l'
anno cioè della nota autonomia comunale di Allumiere che provocò un secolare contrasto con il vicino Comune di Tolfa, S. Arcangelo risulta incorporato nel territorio comunale di Tolfa. Oggi è miseramente ridotto ad un totale sfacelo e meta dell' occasionale visitatore alla riscoperta di qualche pagina di storia e di archeologia oppure alla ricerca di un angolo di pace o di qualche passeggiata romantica.
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