Giuseppe Cola Giuseppe Cola
 

S.Maria sul Mignone

LA  TOPONOMASTICA

Santa Maria del Mignone è il  nome dato ad un insediamento monastico presente  per gran parte del medioevo e poi ridotto ad una tenuta agricola. Pertanto  di non facile identificazione  ma con  una precisa impronta storica riscontrabile nella toponomastica. Osservando il corso del Mignone sulla carta dell’I.G.M., partendo dalla sua foce,  sulla riva  destra del   fiume risultano tre toponimi : Spalle di S.Maria, Casale di S.Maria e Ara di S.Maria. Essi sono la residua testimonianza della presenza storica di tale insediamento. Indubbiamente quello più significativo  è dato  dal Casale di S.Maria con il quale si ipotizza l’identificazione. Il Casale è posto a m.157 s.l.m., è situato su di un’area pianeggiante e domina , per la sua posizione  tanto suggestiva quanto strategica, la fertile  vallata del Mignone.  Attualmente essa è frazionata  dai  Casali dell’Ente Maremma mentre gli estesi vigneti e le vasti messe  sembrano far riconoscere le antiche colture. Dai primi documenti storici risulta che S.Maria  possedeva : Monte Gosberto  et Gualdo   et Ripa Albella et cum ipso Portu de mari.  Monte Gosberto  è scomparso come  toponimo, tuttavia  la denominazione di Monte  farebbe pensare  ad un luogo  più alto , accostabile  presumibilmente all’attuale toponimo Monte Capanna. Il  termine  Gualdo  deriva  dalla  parola  longobarda  Wald  che  significa  bosco  o brughiera ( non casualmente  attorno all’attuale Casale  di S.Maria si estende  un vasto bosco.   per quanto concerne  l’identificazione del porto, non avendo  documenti specifici, si avanza l’ipotesi che  possa essere quello adiacente alla foce del Mignone, presso la Torre di Bertaldo, riportato dalle antiche fonti come Portus jani (Porto di Giano) o forse con lo scalo romano di  Rapinium. Tale ipotesi può essere convalidata dall’oggettiva considerazione che dal colle di S.Maria è visibile la foce del Mignone con l’adiacente porto, per cui  i monaci potevano  controllare il trasporto delle merci che dal Monastero partivano e, seguendo il tratto terminale del Mignone, raggiungevano il punto d’imbarco. Un valido aiuto alla   ricerca topografica  è dato da un documento risalente al 939. Il documento attesta una permuta di beni patrimoniali posti nelle adiacenze di S.Maria del Mignone e situati sia sulla riva sinistra  e  sia su quella destra del fiume. Permuta avvenuta tra  Campone, abate di Farfa, ed i figli di Ermengarda: Sigifredo, Teuzone, Eribrando, Giovanni e Belinzone ( nomi di chiara origine longobarda). L’Abate Campone cedette  un pezzo di terra sito sulla riva destra, posto in Comitatu Tuscaniensi  e avente i seguenti confini: il fiume Mignone, una strada pubblica  che si dirigeva al guado di Ripa Albella (l’attuale terreno di Monte Riccio è interessato da argilla biancastra)  ed il fosso Cancrese ( identificabile con l’odierno fosso  Ranchese)  che si versa nel Mignone. Insomma è probabile  che la terra ceduta corrisponda in gran parte  all’attuale zona di Monte Riccio. In cambio l’Abate Campone ricevette dai figli di Ermengarda due Casali posti in Comitatu Centumcellensi e chiamati uno Cerviano e l’altro Canneto Leone. Tra i confini dei Casali menzionata   una strada che si dirigeva al Mignone e a  S.Severella. Gli altri beni che  ricevette Campone sono Casale Passivi, Casa Sicuri  e Casale  Seccano. Anche se auspicabile , una ricerca storico-topografica  di questi Casali non è stata svolta, tuttavia  la toponomastica aiuta  a riconoscere almeno uno. Sulla carta dell’I.G.M. è riportato Poggio Campo Sicuro  che, dato il nome, può essere accostabile all’antico Casale  Casa Sicuri. Se dunque la toponomastica consente di ipotizzare l’identificazione dell’insediamento monastico con l’omonimo Casale, le risultanze archeologiche  ivi emergenti convalidano l’ipotesi in maniera  forse definitiva.

LE RISULTANZE ARCHEOLOGICHE  Torna su

Va osservato che il Casale presenta segni di ristrutturazioni subite   nel corso dei secoli soprattutto  mediante l’utilizzo  del materiale preesistente  e sul tetto del Casale sono evidenti elementi architettonici  risalenti all’epoca  medievale. Il Valsero, che vide i ruderi della Chiesa, afferma che  sulla facciata vi era scolpito un angelo che consegna all’eremita  Sansone uno stendardo.  Di incerta collocazione sono le colonne rimaste: due  sono intere, in pietra dura, collocate su due resti  di muro  fatto con pietra locale e malta (più larghe alla base e alte circa  m.2,5 ), un tronco di colonna di peperino(diametro cm.65) giace sul prato  ed un altro  ( diametrro cm 5 ) è addossato ad un angolo del Casale. Sempre di incerta  datazione è la macina in peperino (diametro m.1,20) per la produzione olearia che si trova  davanti all’ingresso del Casale.  Nelle vicinanze dello stesso è presente un fontanile antico, ora abbandonato, dove confluivano le acque di una sorgente   e sulle cui pareti sono visibili mattoni laterizi blocchi di pietra e due fregi. L’elemento archeologico  più interessante è la presenza romana. Frammenti di ceramica  e resti di strutture  romane  sono rinvenibili in tutta l’area circostante. Importante è una  lapide marmorea risalente al II o III sec.d.C. murata  ad una parete del Casale, misurante attualmente  cm.57 in altezza, cm 49 in larghezza e cm..4 di spessore, priva dell’angolo superiore destro e con  il margine destro resecato per l’intera altezza. Forse soltanto l’altezza corrisponde alle dimensioni originarie. L’iscrizione epigrafica  è posta su tre righe, sulla prima: Herculi  ( al dativo per significare  forse una dedica); nella seconda: L.Sertorius e....( forse il dedicante); nella terza: et Pyrallis.. Il culto riservato ad Ercole in Etruria è collegato alla presenza di acque sorgive ed in particolare  a quelle termali. Il Pasqui nel corso delle  ricognizioni topografiche  condotte per la redazione della carta archeologica d’Italia, nel 1884 visitò il sito di S.Maria. segnalò la presenza  di tracce di  una strada che raggiungeva la cima del colle di S.Maria e avanzi di antiche abitazioni. Inoltre lo studioso ritrovò presso il toponimo Ara di S.Maria alcune vestigia di un vasto abitato di epoca romana ed i ruderi di un tempietto vicino ad una sorgente d’acqua  presso cui vide  frammenti di colonne,una lapide mutila ed altri oggetti. Da quanto esposto si potrebbe ipotizzare che nell’ area di S.Maria  vi fosse un fons  Erculis. Di fatto nei pressi del Casale è ben visibile un ampio fontanile (come già esposto) dove affluivano le acque sorgive dei dintorni. Anche se il presente lavoro non può considerarsi  esaustivo in mancanza  soprattutto di ceramica alto medievale, si può azzardare l’ulteriore ipotesi che l’insediamento medievale era stato costruito sopra ad un preesistente tempio romano. Di certo il luogo ha tramandato una memoria sacrale che si manifesta con la recente  costruzione di una Cappelletta ricavata in un ambiente del Casale  il cui altare è sorretto da un altro tronco di colonna antica (diametro di circa cm.24.)
 
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LE ORIGINI

Sono tuttora sconosciute le origini di S,Maria poiché mancano documenti in proposito, forse l’insediamento monastico  nacque  su di una preesistente  Massa  o come Domus cultae (insediamenti rurali). Questi insediamenti  sorsero con lo scopo di ripopolare le campagne e sfruttarle adeguatamente. Accadeva spesso che i latifondi appartenenti agli istituzioni ecclesiastici fossero incolti  ed abbandonati. Occorreva dunque creare un’armonica organizzazione capace di raggiungere tale scopo. Furono queste forse le stesse motivazioni storiche, politiche ed economiche che fecero  sorgere sui  vicini Monti della Tolfa gli insediamenti monastici di S.Arcangelo,  S.Severella (odierna Farnesiana) e  S.Lorenzo ( a nord di S.Severa presso le omonime piane). Nella Tuscia e nella Campagna romana tali insediamenti rurali si posizionarono  quasi sempre sopra precedenti strutture romane andate distrutte/o abbandonate. La presenza romana  è facilmente riscontrabile in tutta l’area circostante il Casale di S.Maria. Resta da chiarire anche come mai S.Maria sia divenuta  una proprietà farfense. L’Abbazia di Farfa, presso Fara Sabina, fondata  da S.Lorenzo Siro intorno al550, fu distrutta  dai Longobardi nel VV secolo, venne ricostruita  dal Duca Faroaldo di Spoleto  che vi mandò dei monaci  franchi  guidati da Tommaso da Morienna, la Chiesa  fu   consacrata  nel 707. La  rinata Abbazia  si pose sotto la protezione  di Re  e Duchi  longobardi  grazie ai quali potette allargare  i propri possedimenti  nella  Tuscia, nella Campagna ( territorio  a sud di Roma) e nelle Marche . E’ forse grazie  alle donazioni longobarde  ché Farsa  riuscii  ad avere  il Monastero di S.Maria del Mignone con le annesse proprietà. A questo proposito va detto  che il  territorio tuscanese  al quale S.Maria apparteneva era sotto la dominazione longobarda  già dal VII secolo, inoltre nel documento  n. 68 del Regesto farfense  del 766 è detto  che il dominio  di Teodorico, Duca si Spoleto, si estendeva fino a Corneto , chiamato allora Civitas de Corgnito. Le prime testimonianze  della presenza farfense  risalgono ai primi anni  della seconda metà dell’ VIII secolo :  nel 765 un certo Locanulo  habitatoris  Corneti vende per 100 soldi d’oro all’Abate Alano di Farfa alcune proprietà in territorio di Corneto. In un altro documento di poco posteriore, nel  767, è detto di un certo Teodoro ( nome di origine longobarda)  locatarius numeri centumcellensis che si obbliga  a pagare un censo  all’Abbazia di Farfa. Si può dunque   concludere che il Monastero di S.Maria del Mignone sia sorto  nell’VIII  secolo con lo scopo di sfruttare  quelle fertili colline   ritenute sin dall’antichità  veri e propri granai e che essendo il territorio Tuscanesi  sotto la dominazione longobarda ,  l’’insiedamento monastico fosse  donato all’ Abbazia di Farfa  dagli stessi longobardi. Un ulteriore avallo  alla tesi esposta  può derivare dal fato che i privilegi degli Imperatori franchi Carlo Magno  e Ludovico II   a favore di Farfa , al di là  della loro autenticità,    possono  considerati conferme di beni e privilegi già  acquisiiti e concessi dai Re longobardi.
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I PRIMI DOCUMENTI

La  prima esplicita menzione di S.Maria del Mignone è contenuta nel privilegio dell’Imperatore Carlo Magno a favore dell’Abbazia di Farfa. Nel documento risalente all’800-801  è detto che Ingoaldo, Abate di Farfa, ricorda all’Imperatore i privilegi e le leggi concessi dai Re longobardi  Astolfo, Desiderio e loro predecessori e come gli stessi avessero posto sotto la loro protezione l’Abbazia di Farsa. Quindi Carlo Magno, sulla base  della memoria   prodotta da Ingoaldo, conferma l’Abbazia  nel possesso dei suoi beni e privilegi. Tra i beni figura la Cella  di S.Maria del Mignone con il Monte Gosberto, il gualdo, la Ripa Albella  ed il  Porto. Secondo gli autori del Regesto farfense il documento è ritenuto falso. in primo luogo l’anno, non concorda con l’elezione dell’Abate Ingoaldo che è fatta risalire all’816 e poi Carlo Mano, all’epoca del documento, era ancora in Itali a  non ad Aquisgrana. IL documento ritenuto invece  autentico è la conferma  dell’Imperatore Ludovico II, databile al’857 o all’859. L’Imperatore conferma  l’Abbazia di Farfa nel possesso   di tutti i suoi beni e privilegi già concessi dai suoi antenati: Carlo Magno, Ludovico il Pio e Lotario. Il documento inizia  con l’elenco dei vari monasteri  di proprietà frattense tra i quali quello di  S.Maria del Mignone con tutte le sue pertinenze, situato  in territorio   toscano. Nel documento S.Maria è ripetuta anche come  Cella  assieme al  Monte Gosberto, al Gualdo, alla Ripa Albella e al Porto.

LE INCURSIONI SARACENE

Nel nostro comprensorio le incursioni barbaresche saracene raggiunsero il culmine nell’VIII secolo. Nell’813 e poi nell’’829 i novelli barbari attaccarono e  distrussero la romana Centumcellae (odierna Civitavecchia). Il Signorelli cosi descrive quello che successe in quegli ani nei dintorni di Centumcellae: I saraceni fecero di quel luogo(Cntumcellae)  il loro covo da cui uscivano a devastare la Tuscia, a guisa di locuste, si da ridurla in deserto inoltrandosi sin sotto Roma. Per quanto concerne S.Maria del Mignone non si hanno documenti specifiche della sua distruzione e/o saccheggio però è ragionevole  che anche questo insediamento monastico sia andato  soggetto alle incursioni saracene  in considerazione che andarono distrutte e saccheggiate, oltre  a centmcellae, tutte le altre zone circostabilire la data del presunto  saccheggio, probabilmente ciò avvenne  sotto il pontificato  di Giovanni VIII(872-882)come affermano diversi autori. In quel lasso di tempo i saraceni tornarono a depredare la Tuscia, tanto che il Papa  si rivolse a ll’Imperatore Carlo il Calvo per richiedere il suo intervento: le chiese e i monasteri  erano i n gran parte incendiati e ridotti covo di predoni o di belve. I Vescovi  cercavano rifugi nei luoghi più sicuri e principalmente in Roma. Anche se l’incursione saracena non è testimoniata sta di fatto che è avvenuto  un certo periodo di abbandono causato anche  dalla  distruzione  dell’Abbazia di Farfa avvenuta nell’89. La prova  dell’abbandono di S.Maria del Mignone è deducibile da un primo documento risalente  all’883-888 in cui è detto che Teutone  18° abate di Farfa , concesse ad un certo Donato un pezzo di terra  circostante S.Maria. Per la concessione Donato  pagava un censo annuale  e s’impegnava a  controllare i pericoli provenienti dal mare. Quindi è evidente come la minaccia saracena  fosse ancora viva e costante. un ulteriore testimonianza  viene fornita  da un documento del 92. Rimone, Abate di Farfa, concesse ad un tal Acerisio, figlio  di Sindruda, che si dichiara abitante  abitante in  Castri Centumcellensis  (la medievale  Centumcellae,  odierna Cencelle) , alcune terre di S.Maria del Mignone. La concessione era  subordinata al pagamento  di 18 denari  e per la durata di 29  anni. Nello stesso documento  sono menzionati casali  e vigne deserte  a dimostrazione  che a tale data  il territorio era ancora in stato di abbandono.
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LA  RICOSTRUZIONE E LA  LITE

Come si placò la ferocia saracena lentamente si avviò  la ricostruzione. l’Abbazia di Farfa  fu ricostruita dall’ abate Ratfredo che, dopo qualche tempo, fu assassinato  da due  suoi monaci:Campone ed Ildebrandro. Quest’ultimi, figli del loro tempo, si dettero ad una vita dissoluta e un anno dopo divennero nemici. Campone  divenne abate di Farfa ed Ildebrando fu scacciato dall’abate Campone si deve la ricostruzione  di S.Maria del Mignone. al riguardo incaricò  il  monaco Venerando, del Monastero di S.Giusto di Tuscania,  che la riedificò tra  il 940 ed il 950. A consacrare  ufficialmente  il nuovo edificio  Venerando chiamò  Valentino, Vescovo di  Centumcellae ( odierna Cencelle). Campone e Venerando pervennero ad un accordo secondo cui l’usufrutto delle rendite idi S.Maria sarebbe spettato a Venerando  ed ai suoi successori, dietro pagamento  di un censo annuo  all’Abbazia di Farfa. Nel frattempo l’Abate  Benedetto Campanino aveva fondato a Roma il Monastero dei SS.Cosma e Damiano in Mica aurea presso Trastevere. Con il consenso di Farfa,Venerando fu consacrato  Abate del nuovo Monastero e, finche visse, rese conto a Farfa    dei censi  che riscuoteva sui possedimenti di S.Maria del Mignone. Ma il suo successore Silvestro  tolse  a Farfa tali diritti provocando cosi la nota controversia con Giovanni Abate di Farfa. Nel 967  la lite fu portata in giudizio davanti all’Imperatore Ottone I che,  prima nel Sinodo Generale  poi  nella Basilica Maggiore diS.Pietro,  nominò  di nuovo Giovanni  Abate assegnandogli un Nunzio che lo accompagnasse e lo nominasse ufficialmente sul posto. Oltre alla nomina, l’Imperatore Ottone I confermò all’ Abbazia di Farfa  nel possesso di tutti i suoi beni  e privilegi che aveva acquisito con donazioni di fedeli e con decreti di Re longobardi (Liutprando,Ratgiso,Astolfo e Desiderio), d’Imperatori franchi (  Carlo, Ludovico I,, Lotario, Ludovico II, Carlo il Calvo e Berengario)  e con privilegi di Pontefici( Adriano,Stefano e <>Pasquale). Ma la vertenza giuridica per il possesso di S.Maria del Mignone fu  ripresa. Lamberto Cieco, già Vicario di Toscana e forse residente a Tuscania o in  un altro Castello di quella contea e che difendeva gli interessi  del Monastero dei SS.Cosma e Damiano, si oppose  al provvedimento  allungando la vertenza  fino al tempo di Ottone II  che nel 9981  confermò il decreto del padre. IN seguito l’Imperatore si adirò con l’Abate Giovanni di Farfa   togliendogli la dignità abbaziale. Giovanni si  rifugiò presso il fratello Azone, Abate, Abbate di un convento dell’Aventino, portando con se  alcun documenti  dell’Abbazia di Farfa tra cui  il decreto di proprietà  di S.Maria del Mignone ed il  liibellum su cui erano elencate le rendite di S.Maria. Ma  i documenti gli furono rubati dal  presbiter Orso, detto di  Male Passia, che li vendette a  Silvestro Abate dei SS. Cosma e Damiano. Inoltre Silvestro si fece fare una copia   di  un falso decreto dal quale risultava che S.Maria   apparteneva  al Monastero trasteverino, per cui  da  quel momento S.Maria  ne divenne proprietà. Ma Ugo, divenuto Abate di Farfa,  si appellò a Ottone III  riportando in giudizio la vertenza. Nel 998  l’ Imperatore, col consiglio   del  Marchese Ugo di Toscana, confermò Farfa nel possesso Torna su di S.Maria. In precedenza Papa Gregorio V  ( 996-999), pur essendo di origini tedesche, ricusò il Monastero di Farfa a provare  con il duello la non attendibilità  dei documenti avversi. L’Abbate farfense fu  cosi costretto  a riconoscere il  suo torto, ma non si  diede per vinto. Contro l’abuso usatogli protestò  presso l’Imperatore il quale, dopo aver esitato  per qualche tempo, chiamò Gregorio, Abate del Monastero dei SS.Cosma e  Damiano, dinanzi   al suo tribunale. L’Abate si rifugiò presso la Cella di S.Maria dove lo  rintracciò  il Marchese Ugo per accompagnarlo al giudizio imperiale. Per dodici volte fu chiamato, ma l’Abate trasteverino non si presentò, al che fui condannato in contumacia. L’Imperatore con l’approvazione di Papa Silvestro II (999-1003), nel 999 confermò Farfa   nel possesso di S.Maria che nel 990 aveva allargato i suoi  possedimenti  mediante la donazione da parte del Conte Pietro, figlio del Conte Guinisio della Chiesa di S.Angelo con  tutte le sue pertinenze, Dopo la sentenza di Ottone III , Farfa  ottenne la Cella di S.Maria per alcuni anni e  la concesse con due atti datati rispettivamente  dicembre  1002 e ottobre 1003 a Graziano nominandolo Abate del Monastero di S.Maria del Mignone. Sul finire del  IX ed inizio  dell’ XI secolo S.Maria del Mignone ebbe sotto il controllo vasti estensioni territoriali: controllava  beni nei territori  delle celle città  di Tuscania   e Centumcellae ( odierna Cencelle)  sia dentro che fuori le due città. aveva beni  anche  in Castello Corgniti et in Civitate  Orcle;  arrivando a comprendere anche  vasti  appezzamenti  nella valle del Marta. Nonostante la conferma di Ottone  III , la contesa per il possesso  di S.Maria del Mignone continuò. Da una parte  gli  Abati farfensi  seguivano la politica filo-imperiale , dall’altra gli Abati  del Monastero dei SS.Cosma e Damiano seguivano quella papale. Fu cosi che il 29 marzo 1005 Papa Giovanni XVIII (1004-1009) , con apposito privilegio, confermò  il Monastero in Mica Aurea  nel possesso di S.Maria del Mignone. Tale documento è molto importante perché offre  un spaccato  sulle proprietà di S.Maria e sulla loro destinazione: La  Chiesa, la Corte , i portici e le Celle; gli oliveti, gli orti ed una struttura  dove presumibilmente  abitavano i servi della gleba che erano addetti alla coltivazione dei terreni. Le terre  erano destinate  alle seguenti colture. vigneti, cereali e prati pascoli. Non meno importante era l’utilizzo del bosco con gli alberi da frutto ed infruttiferi. Infine è ricordato  il diritto  di giurisdizione sul fiume Mignone  con i diritti  di pesca , l’utilizzo delle acque  quale forza motrice  per i molini  esistenti lungo il corso terminale del Mignone. Chi trasse guadagno durante la vertenza fu Graziano Abate di S.Maria del Mignone , L’Abate Graziano  considerò le proprietà farfense come fossero di sua esclusiva proprietà. Non casualmente Sergio IV (1009-1012) ammoni Graziano e gli abitanti di Corneto a non molestare  l’Abbazia di Farfa  con l’obbligo  di restituire  all’Abate Guido le  Chiese di S.Pellegrino  e di S.Michele. Nel 1014  L’Imperatore  Enrico II  confermò Farfa nel possesso  di tutti i suoi beni acquisiti o ricevuti. Il medesimi Imperatore  in un altro documento precisa che i beni farfensi  erano stati usurpati  dall’Abate Graziano. In questo stesso anno, secondo il cronista Valesio, i Saraceni invasero S.Maria. Altra conferma a Farfa nel 1027 da parte di Corrado II. Nel 1048 Benedetto Vescovo dio Tuscania  sentenziò che la Cella di S,Maria  apparteneva a Farfa. Ulteriori conferme a Farfa nel 1051  di Enrico III e di Leone IX  (1048-1054. Ancora Enrico  nel 1066 confermò l’Abbazia nel possesso dei suoi beni e privilegi, tra i beni  figura anche S.Maria del Mignone. A Berardo I ,Abate di Farfa , va riconosciuto il merito di aver risolto in so favore definitivamente   la secolare vertenza. Nel 1072 , sotto il pontificato di Alessandro II (1061-1073) la lite fu portata in giudizio nel palazzo lateranense alla  presenza di Vescovi, Sacerdoti-Cardinali, del prefetto e d tutte le autorità di Roma. Esaminati gli atti venne sentenziato che S.Maria del Mignone con il Gualdo, il Monte Gosberto, la Ripa Albella, il Porto  e tutti i suoi beni posti  presso Corneto e Cencelle(dia dentro che fuori le mura delle Città) fossero restituiti per sempre, senza ulteriori appelli, all’Abbazia di Farfa. Fu stabilito anche che Farfa pagasse al Monastero dei SS.Cosma e Damiano cento libbre di denari. Odmundo, Abate del Cenobio trasteverino, s’impegnò a nome proprio e dei suoi successori a non fare altre cause sulla proprietà di S.Maria sul Mignone. Ma l’anno successivo, l’Abate Odmundo impugnò l’atto asserendo di non aver rinunciato alla chiesa di S.Pietro presso  Corneto e che restituiva soltanto S.Maria del Mignone. Riaperta la  causa, venne stabilito  di dare un maggior compenso al Cenobio trasteverino che rinunciava cosi anche   alla Chiesa di S.Pietro.  Torna su

LE ULTIME VICENDE

I  documenti dell’XI secolo , che riguardano le proprietà farfense nella Tuscia, aumentano sensibilmente  rispetto ai secoli precedenti grazie alla maggiore  facilità che aveva  Gregorio di Catino, compilatore del Regesto, di rintracciare atti e documenti a lui contemporanei. Tra i numerosi documenti, si assiste , intorno   alla metà del secolo, ad una serie di donazioni nel territorio di Corneto. Varie Chiese e terreni agricoli  vennero donati a Farfa , importanti sono le Chiese di S.Pellegrino, S.Anastasio e S.Martino. Ormai il pericolo saraceno era andato scemando ed i terreni incolti e abbandonai  venivano ora  occupati e lavorati. L’Abbazia di Farfa , con una politica mirata, allargò i suoi possedimenti  a sud del fiume Mignone, lungo la costa tirrenica. Cosi oltre a  controllare la fertile vallata  del Mignone   attraverso l’insediamento  monastico di S.Maria, Farfa riuscì a controllare l’altrettanto fertile  pianura del fosso Rio-fiume. Il maggiore merito di questa politica spetta all’Abate Ugo, morto nel  1039, e all’Abate Berardo I che venne eletto nel 1048. Nel 1066 Farfa,, attraverso la donazione del Conte Raineiro, figlio di Sassone, (probabile ideatore del Castello del Sasso), entrò in possesso  della Chiesa di S.Lorenzo situata in Comitatu Centumcellensis  e dotata di numerosi  beni come vigne, terre e pascoli. Nel 1068 il Conte Gerardo , figlio di altro  Gerardo, donò a Farfa  il Castello di S.Severa  e la sua Chiesa, 15 Casali, metà del porto e la quinta parte delle terre. Nel 1072, l’anno della risoluzione della vertenza giuridica tra Farfa e SS.Cosma e Damiano, Berardo I  sifece  donare dal Conte Raineiro, in punto di  morte, la metà di Civitavecchia ed il porto. IL controllo  della costa tirrenica , dal Mignone fino al fosso di Rio-fiume , dovette provocare  una certa reazione da parte dei signorotti locali che, in barba  a   decreti, risoluzioni e sentenze, tentarono  di ampliare i propri possedimenti invadendo  terre e proprietà  vicine. Anche S.Maria del Mignone non andò esente da questi tentativi. Cosi nel 1083  il Conte Raineiro, figlio di Roccione,restitui all’Abate Berardo I  tutti i beni che possedevano su  S. Maria e ogni diritto  che loro stessi  e i loro uomini avevano ottenuto e quanto  avevano  requisito al Rettore di S.Maria. Per ricompensarli  della spontanea restituzione, l’Abate  Berardo I offri loro due anelli e una spada. Tra i testimoni presenti all’atto  figura il   Conte Sassone  del fu Rainerio. L’anno seguente l’Imperatore Enrico IV confermò  l’Abbazia di  Farfa  nel possesso dei suoi beni e privilegi tra cui S.Maria de Mignone, oltre alla Chiesa  di S.Lorenzo, Torna su la Chiesa di S.Severa  con i suoi locali e la metà di Civitavecchia con il porto. l’ultima conferma   imperiale  documentata è del 1118. Enrico V confermò Farfa nel possesso dei sui beni e privilegi tra cui S.Maria del Mignone  assieme  alla Chiesa di S.Pietro in Casal Armone, S.Lorenzo  e S.Severa. Omai i tempi stavano cambiando. le lotte scismatiche, la costituzione in liberi Comuni e l’egemonia di nobili locali, fecero venir meno   l’autorità degli Abati che fino ad allora avevano amministrato le proprietà fondiarie. cosi  per S.Maria iniziò la decadenza. S.Maria è ancora documentata nel 1262  in un diploma di Urbano IV  in cui risulta appartenere a   Farfa. E’ altresì  documentata nel 1295 nel Regesto farfense dove è precisato  che pagava un censo annuo all’Abbazia di Farfa di 4 bisansi d’argento, Il censo è molto esiguo dovuto probabilmente alla perdita di gran parte dei suoi possedimenti. Con due atti del 1288 e dl 1295 il Consiglio generale del popolo di Corneto mise all’asta  e quindi cedette ad alcuni Signori di Tolfa Nuova  ( odierna Tolfaccia) i diritti di pesca  sul fiume Mignone  dal ponte di S. Martino (identificabile  con gli attuali ponti de le Mole del Mignone) fino al mare , con la foce del fosso Melledra e lo stradello del Pantano(attualmente Pantano  è il ,toponimo dato ad un vasto territorio che va dalle  mole del Mignone fino alla foce. La totale assenza  dei possedimenti  di S.Maria fa presumere che il suo territorio  fosse già stato fra Corneto,Centocelle (odierna Cencelle)  e Civitavecchia. Di certo si apprende   dal Signorelli  che sul finire del XIII secolo la Chiesa di S. Maria del Mignone   e la Chiesa di   S.Maria del Castello di Montecocozzone erano distrutte. Come altri insediamenti dei Monti della Tolfa  cosi anche quello di S.Maria del Mignone andò probabilmente abbandonato definitivamente a seguito della peste del 1348 ed il terremoto dell’anno successivo. Per tutto il XIV secolo non si hanno notizie storiche  su S.Maria rimanendo cosi a ricordo  soltanto il  toponimo. Nel 1435  Eugenio IV assegnò la macchia  d S.Maria alla mensa episcopale di Corneto. Intorno al 1440  quando lo Scarampo  , Commissario  generale, assediò la   Rocca di Civitavecchia  senza espugnarla , poi assieme  a  Ludovico Micheletti di Perugia. Antonello delle Serre ed il Castellano di Castel S.Angelo e con i loro eserciti, si rifugiarono presso S.Maria del Mignone. Nel 1451 Nicolò V (1447-1455) ripristinò Bartolomeo Vitelleschi, Vescovo di Corneto e Montefiascone nel possesso del Castello di Centocellae (odierna Cencelle) e delle tenute d S.Maria del Mignone e S.Savino con pieno godimento di frutti, redditi, pascolo ed altri diritti, usurpati, per malizia  dei tempi , e già concessi alla mensa episcopale di Montefiascone da Urbano V sul Castello di Centocelle e da Eugenio IV riconfermati  ed estesi   poi, dopo l’unione  della Chiesa di Corneto con quella di Montefiascone, a S.Maria del Mignone  e S.Savino. Nel 1469 S.Maria risulta ancora pertinente  al Vescovo di Corneto, è considerata tenuta di erba della Dogana  ed è venduta dai doganieri  per duc. 246 e bol. 65; anche S.Savino  è considerato tenuta  per 5.000 pecore  e 25 buoi , per una rendita di duc.523 e bol.26. Nel 154° la Chiesa di S.Maria  appariva abbandonata e completamente in rovina, tanto che il visitatore apostolico annotò l’esistenza soltanto di: muro sbrecciato a ricordo di tanto splendore. A metà  del XVII  secolo il Polidori riporta  che non vi si riconoscono che pochi muri  che disegnano il vano della Chiesa , sena riconnoscersi segno alcun del monastero, che si ha avuta memoria alcuna. Nella Costituzione di Gregorio XIII del 1580  S.Maria del Mignone   è  indicata  come tenuta  nel territorio di Corneto e componeva la  Dogana dei Pascoli  della Provincia del Patrimonio assieme  alle  seguenti  tenute:Pian S.Matteo, la Pietrara,Monte Riccio,Banditella, Monte  Quagliere, li Bagnoli, fontana della Torre, la Roccaccia, Forca di Palma, la Selvaccia, Bulignano, la Fucina, Montecemboli, Pian de Spillo , Vicarano, Pantano, tenuta di Alessandro de Attis, Doganella di qua del Mignone, il Terzuolo  di Alessandro Vitelleschi, Santa Asinella. Intanto sui Monti della Tolfa  era stata avviata l’industria dell’allume e per sopperire  alla mancanza di legna  e di legname  necessario nelle fasi della lavorazione fu emanata  il 10 dicembre 1609 una disposizione dal titolo: Bando et ordini  concernente le selve della Tolfa e d’altri   destinate per servitio delle lumiere. Nel bando è inclusa anche la tenuta di S.Maria. Per trasportare la legna  venne fatto costruire  sul fiume Mignone un ponte allo scopo  di prelevare la legna  dal gualdo (bosco) di S.Maria. Il lavoro fu affidato  nel 1661 a mastro muratore  Ambrogio Bernasconi. Nel 1780 il Consiglio  Comunale della Tolfa, nel completare   la descrizione dei terreni dell’allora nuovo catasto, considerava la tenuta di S.Maria  del Mignone  tra le terre camerali.  Tra le stesse terre figura anche la tenuta Montigiana.

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