S.Maria sul Mignone
LA TOPONOMASTICA
Santa Maria del Mignone è il nome dato ad un insediamento monastico presente per gran parte
del medioevo e poi ridotto ad una tenuta agricola. Pertanto
di non facile identificazione ma con una precisa impronta storica
riscontrabile nella toponomastica. Osservando il corso del Mignone sulla carta dell’I.G.M., partendo dalla sua foce, sulla riva destra del fiume
risultano tre toponimi : Spalle di S.Maria,
Casale di S.Maria e Ara di S.Maria. Essi sono la residua testimonianza della presenza storica di
tale insediamento. Indubbiamente quello più significativo
è dato dal Casale di S.Maria con il quale si ipotizza l’identificazione. Il Casale è posto a m.157 s.l.m., è situato su di
un’area pianeggiante e domina , per la sua posizione tanto suggestiva
quanto strategica, la fertile vallata del Mignone. Attualmente essa è frazionata dai Casali
dell’Ente Maremma mentre gli estesi vigneti e le vasti messe sembrano far
riconoscere le antiche colture. Dai primi documenti storici risulta che S.Maria possedeva : Monte Gosberto et Gualdo et Ripa Albella et cum ipso Portu de mari. Monte Gosberto è scomparso come toponimo,
tuttavia la denominazione di Monte farebbe pensare ad un
luogo più alto , accostabile
presumibilmente all’attuale toponimo Monte Capanna. Il termine
Gualdo deriva dalla parola longobarda Wald che significa bosco o
brughiera ( non casualmente attorno all’attuale Casale di S.Maria si estende un vasto bosco. per quanto concerne l’identificazione del
porto, non avendo documenti specifici, si avanza l’ipotesi che
possa essere quello adiacente alla foce del Mignone,
presso la Torre di Bertaldo, riportato dalle
antiche fonti come Portus jani (Porto di Giano) o forse con lo scalo romano di Rapinium.
Tale ipotesi può essere convalidata dall’oggettiva considerazione che dal colle
di S.Maria è visibile la foce del Mignone con l’adiacente porto, per cui i monaci potevano controllare il trasporto delle
merci che dal Monastero partivano e, seguendo il tratto terminale del Mignone, raggiungevano il punto d’imbarco. Un
valido aiuto alla ricerca topografica è dato da un documento
risalente al 939. Il documento attesta una permuta di beni patrimoniali posti
nelle adiacenze di S.Maria del Mignone e situati sia sulla riva sinistra e sia su quella
destra del fiume. Permuta avvenuta tra Campone,
abate di Farfa, ed i figli di Ermengarda: Sigifredo, Teuzone, Eribrando, Giovanni e Belinzone ( nomi di chiara origine longobarda). L’Abate Campone cedette un pezzo di terra sito sulla
riva destra, posto in Comitatu Tuscaniensi e avente i seguenti confini: il
fiume Mignone, una strada pubblica che si
dirigeva al guado di Ripa Albella (l’attuale
terreno di Monte Riccio è interessato da argilla biancastra) ed il fosso Cancrese ( identificabile con
l’odierno fosso Ranchese) che si versa nel Mignone. Insomma è probabile che la terra
ceduta corrisponda in gran parte all’attuale zona di Monte Riccio. In
cambio l’Abate Campone ricevette dai figli di Ermengarda due Casali posti in Comitatu Centumcellensi e chiamati uno Cerviano e l’altro Canneto Leone. Tra i confini dei Casali menzionata
una strada che si dirigeva al Mignone e a S.Severella. Gli altri beni che ricevette Campone sono
Casale Passivi, Casa Sicuri e Casale Seccano. Anche se auspicabile , una ricerca storico-topografica di
questi Casali non è stata svolta, tuttavia la toponomastica aiuta a
riconoscere almeno uno. Sulla carta dell’I.G.M. è riportato Poggio Campo
Sicuro che, dato il nome, può essere accostabile all’antico Casale Casa Sicuri. Se dunque la toponomastica
consente di ipotizzare l’identificazione dell’insediamento monastico con
l’omonimo Casale, le risultanze archeologiche
ivi emergenti convalidano l’ipotesi in maniera forse definitiva.
LE RISULTANZE ARCHEOLOGICHE
Va osservato che il Casale presenta segni di ristrutturazioni
subite nel corso dei secoli soprattutto mediante l’utilizzo
del materiale preesistente e sul tetto del Casale sono evidenti elementi
architettonici risalenti all’epoca medievale. Il Valsero, che vide
i ruderi della Chiesa, afferma che sulla
facciata vi era scolpito un angelo che consegna all’eremita Sansone uno
stendardo. Di incerta collocazione sono le
colonne rimaste: due sono intere, in pietra dura, collocate su due resti
di muro fatto con pietra locale e malta (più larghe alla base e alte
circa m.2,5 ), un tronco di colonna di
peperino(diametro cm.65) giace sul prato ed
un altro ( diametrro cm 5 ) è addossato ad un
angolo del Casale. Sempre di incerta datazione
è la macina in peperino (diametro m.1,20) per la
produzione olearia che si trova davanti all’ingresso del Casale. Nelle
vicinanze dello stesso è presente un fontanile antico, ora
abbandonato, dove confluivano le acque di una sorgente e
sulle cui pareti sono visibili mattoni laterizi blocchi di pietra e due fregi.
L’elemento archeologico più interessante è la presenza romana. Frammenti
di ceramica e resti di strutture romane sono rinvenibili in
tutta l’area circostante. Importante è una lapide marmorea risalente al II o III sec.d.C. murata ad una parete del Casale, misurante attualmente cm.57 in altezza, cm 49 in larghezza e cm..4 di spessore,
priva dell’angolo superiore destro e con il margine destro resecato per
l’intera altezza. Forse soltanto l’altezza corrisponde alle dimensioni
originarie. L’iscrizione epigrafica è posta su tre
righe, sulla prima: Herculi ( al
dativo per significare forse una dedica); nella seconda: L.Sertorius e....(
forse il dedicante); nella terza: et Pyrallis.. Il culto riservato ad Ercole in Etruria è collegato alla presenza di acque sorgive
ed in particolare a quelle termali. Il Pasqui nel corso delle ricognizioni topografiche condotte per la redazione
della carta archeologica d’Italia, nel 1884 visitò il sito di S.Maria. segnalò la presenza di tracce di una strada che raggiungeva la cima del
colle di S.Maria e avanzi di antiche abitazioni.
Inoltre lo studioso ritrovò presso il toponimo Ara di S.Maria alcune vestigia di un vasto abitato di epoca romana ed i ruderi di un tempietto vicino ad una sorgente d’acqua
presso cui vide frammenti di colonne,una lapide mutila ed altri oggetti.
Da quanto esposto si potrebbe ipotizzare che nell’ area di S.Maria vi fosse un fons Erculis. Di fatto nei pressi del Casale è ben visibile un ampio fontanile (come già
esposto) dove affluivano le acque sorgive dei dintorni. Anche se il presente
lavoro non può considerarsi esaustivo in mancanza soprattutto di ceramica alto medievale, si può azzardare
l’ulteriore ipotesi che l’insediamento medievale era stato costruito sopra ad
un preesistente tempio romano. Di certo il luogo ha tramandato una memoria
sacrale che si manifesta con la recente costruzione di una Cappelletta ricavata in un ambiente del Casale
il cui altare è sorretto da un altro tronco di colonna antica (diametro di
circa cm.24.)
LE ORIGINI
Sono tuttora sconosciute le origini di S,Maria poiché mancano documenti in proposito, forse l’insediamento monastico
nacque su di una preesistente Massa o come Domus cultae (insediamenti
rurali). Questi insediamenti sorsero con lo scopo di ripopolare le
campagne e sfruttarle adeguatamente. Accadeva spesso che i latifondi
appartenenti agli istituzioni ecclesiastici fossero
incolti ed abbandonati. Occorreva dunque creare un’armonica
organizzazione capace di raggiungere tale scopo. Furono queste forse le stesse
motivazioni storiche, politiche ed economiche che fecero sorgere sui
vicini Monti della Tolfa gli insediamenti monastici
di S.Arcangelo, S.Severella (odierna Farnesiana) e S.Lorenzo ( a
nord di S.Severa presso le omonime piane). Nella Tuscia e nella Campagna romana tali insediamenti
rurali si posizionarono quasi sempre sopra
precedenti strutture romane andate distrutte/o abbandonate. La presenza romana
è facilmente riscontrabile in tutta l’area circostante il Casale di S.Maria. Resta da
chiarire anche come mai S.Maria sia divenuta
una proprietà farfense. L’Abbazia di Farfa, presso Fara Sabina, fondata da S.Lorenzo Siro intorno al550,
fu distrutta dai Longobardi nel VV secolo, venne ricostruita dal
Duca Faroaldo di Spoleto che vi mandò dei
monaci franchi guidati da Tommaso da Morienna,
la Chiesa fu consacrata nel 707. La rinata
Abbazia si pose sotto la protezione di Re e Duchi
longobardi grazie ai quali potette allargare
i propri possedimenti nella Tuscia,
nella Campagna ( territorio a sud di Roma) e nelle Marche . E’ forse
grazie alle donazioni longobarde ché Farsa riuscii ad avere il Monastero di S.Maria del Mignone con le annesse
proprietà. A questo proposito va detto che il territorio tuscanese al quale S.Maria apparteneva era sotto la dominazione longobarda già dal
VII secolo, inoltre nel documento n. 68 del Regesto farfense del 766 è detto che il dominio di Teodorico,
Duca si Spoleto, si estendeva fino a Corneto , chiamato allora Civitas de Corgnito. Le prime
testimonianze della presenza farfense
risalgono ai primi anni della seconda metà dell’ VIII secolo : nel 765 un certo Locanulo habitatoris Corneti vende per 100 soldi d’oro all’Abate Alano di Farfa alcune proprietà in territorio di Corneto. In un
altro documento di poco posteriore, nel 767, è detto di un certo Teodoro
( nome di origine longobarda) locatarius numeri centumcellensis che si obbliga a
pagare un censo all’Abbazia di Farfa. Si può
dunque concludere che il Monastero di S.Maria del Mignone sia
sorto nell’VIII secolo con lo scopo di sfruttare quelle
fertili colline ritenute sin dall’antichità veri e propri
granai e che essendo il territorio Tuscanesi
sotto la dominazione longobarda , l’’insiedamento monastico fosse donato all’ Abbazia di Farfa
dagli stessi longobardi. Un ulteriore avallo
alla tesi esposta può derivare dal fato che i privilegi degli Imperatori
franchi Carlo Magno e Ludovico II a favore di Farfa , al di là della loro autenticità,
possono considerati conferme di beni e privilegi già acquisiiti e concessi dai Re longobardi.
I PRIMI DOCUMENTI
La prima
esplicita menzione di S.Maria del Mignone è contenuta nel privilegio dell’Imperatore
Carlo Magno a favore dell’Abbazia di Farfa. Nel
documento risalente all’800-801 è detto che Ingoaldo,
Abate di Farfa, ricorda all’Imperatore i privilegi
e le leggi concessi dai Re longobardi Astolfo, Desiderio e loro
predecessori e come gli stessi avessero posto sotto
la loro protezione l’Abbazia di Farsa. Quindi Carlo Magno,
sulla base della memoria prodotta da Ingoaldo, conferma l’Abbazia nel possesso dei suoi beni e
privilegi. Tra i beni figura la Cella di S.Maria del Mignone con il Monte Gosberto, il gualdo, la
Ripa Albella ed il Porto. Secondo gli
autori del Regesto farfense il documento è ritenuto
falso. in primo luogo l’anno, non concorda con
l’elezione dell’Abate Ingoaldo che è fatta risalire
all’816 e poi Carlo Mano, all’epoca del documento, era ancora in Itali a
non ad Aquisgrana. IL documento
ritenuto invece autentico è la conferma dell’Imperatore Ludovico II,
databile al’857 o all’859. L’Imperatore
conferma l’Abbazia di Farfa nel possesso
di tutti i suoi beni e privilegi già concessi dai
suoi antenati: Carlo Magno, Ludovico il Pio e Lotario. Il documento inizia
con l’elenco dei vari monasteri di proprietà frattense tra i quali quello di S.Maria del Mignone con tutte le sue pertinenze, situato
in territorio toscano. Nel documento S.Maria è ripetuta anche come Cella assieme al Monte Gosberto, al Gualdo, alla Ripa Albella e al
Porto.
LE INCURSIONI
SARACENE
Nel nostro
comprensorio le incursioni barbaresche saracene raggiunsero il culmine nell’VIII
secolo. Nell’813 e poi nell’’829 i novelli barbari
attaccarono e distrussero la romana Centumcellae (odierna Civitavecchia). Il Signorelli cosi descrive quello che successe
in quegli ani nei dintorni di Centumcellae: I
saraceni fecero di quel luogo(Cntumcellae) il
loro covo da cui uscivano a devastare la Tuscia, a
guisa di locuste, si da ridurla in deserto inoltrandosi sin sotto Roma. Per
quanto concerne S.Maria del Mignone non si hanno documenti specifiche
della sua distruzione e/o saccheggio però è ragionevole che anche questo
insediamento monastico sia andato soggetto alle incursioni saracene
in considerazione che andarono distrutte e saccheggiate, oltre a centmcellae, tutte le altre zone circostabilire la data del presunto
saccheggio, probabilmente ciò avvenne sotto il pontificato di
Giovanni VIII(872-882)come affermano diversi autori. In quel lasso di tempo i saraceni tornarono a depredare la Tuscia, tanto che il Papa si rivolse a ll’Imperatore Carlo il Calvo per richiedere il suo
intervento: le chiese e i monasteri erano i n gran parte incendiati e
ridotti covo di predoni o di belve. I Vescovi cercavano rifugi nei luoghi
più sicuri e principalmente in Roma. Anche se l’incursione saracena non è
testimoniata sta di fatto che è avvenuto un certo periodo di abbandono causato anche dalla
distruzione dell’Abbazia di Farfa avvenuta
nell’89. La prova dell’abbandono di S.Maria del Mignone è deducibile da un primo documento
risalente all’883-888 in cui è detto che Teutone
18° abate di Farfa , concesse ad un certo Donato un pezzo di terra circostante S.Maria. Per la concessione Donato pagava un
censo annuale e s’impegnava a controllare i pericoli provenienti
dal mare. Quindi è evidente come la minaccia
saracena fosse ancora viva e costante. un ulteriore testimonianza viene fornita da un documento del 92. Rimone, Abate di Farfa,
concesse ad un tal Acerisio, figlio di Sindruda, che si dichiara abitante abitante in Castri Centumcellensis (la medievale Centumcellae, odierna Cencelle) , alcune terre di S.Maria del Mignone. La
concessione era subordinata al pagamento di 18 denari e per
la durata di 29 anni. Nello stesso documento sono menzionati casali
e vigne deserte a dimostrazione che a tale data il territorio
era ancora in stato di abbandono.
LA
RICOSTRUZIONE E LA LITE
Come si placò la ferocia saracena lentamente si avviò
la ricostruzione. l’Abbazia di Farfa fu ricostruita dall’ abate Ratfredo che, dopo qualche tempo, fu assassinato da due suoi monaci:Campone ed Ildebrandro. Quest’ultimi,
figli del loro tempo, si dettero ad una vita
dissoluta e un anno dopo divennero nemici. Campone
divenne abate di Farfa ed Ildebrando fu scacciato
dall’abate Campone si deve la ricostruzione di S.Maria del Mignone. al riguardo
incaricò il monaco Venerando, del Monastero di S.Giusto di Tuscania, che la riedificò
tra il 940 ed il 950. A consacrare ufficialmente il nuovo
edificio Venerando chiamò Valentino, Vescovo di Centumcellae ( odierna Cencelle). Campone e Venerando pervennero ad un accordo secondo cui l’usufrutto
delle rendite idi S.Maria sarebbe spettato a
Venerando ed ai suoi successori, dietro pagamento di un censo annuo
all’Abbazia di Farfa. Nel frattempo l’Abate
Benedetto Campanino aveva fondato a Roma il
Monastero dei SS.Cosma e
Damiano in Mica aurea presso Trastevere. Con il
consenso di Farfa,Venerando
fu consacrato Abate del nuovo Monastero e, finche visse, rese conto a Farfa dei censi che
riscuoteva sui possedimenti di S.Maria del Mignone. Ma il suo
successore Silvestro tolse a Farfa tali
diritti provocando cosi la nota controversia con Giovanni Abate di Farfa. Nel 967 la lite fu portata in giudizio
davanti all’Imperatore Ottone I che, prima nel Sinodo Generale poi
nella Basilica Maggiore diS.Pietro, nominò di nuovo Giovanni Abate
assegnandogli un Nunzio che lo accompagnasse e lo nominasse ufficialmente sul
posto. Oltre alla nomina, l’Imperatore Ottone I confermò all’ Abbazia di Farfa nel possesso di tutti i
suoi beni e privilegi che aveva acquisito con donazioni di fedeli e con
decreti di Re longobardi (Liutprando,Ratgiso,Astolfo
e Desiderio), d’Imperatori franchi ( Carlo, Ludovico I,, Lotario,
Ludovico II, Carlo il Calvo e Berengario) e con privilegi di Pontefici(
Adriano,Stefano e <>Pasquale). Ma la vertenza
giuridica per il possesso di S.Maria del Mignone fu ripresa. Lamberto Cieco, già
Vicario di Toscana e forse residente a Tuscania o
in un altro Castello di quella contea e che difendeva gli interessi
del Monastero dei SS.Cosma e Damiano, si oppose al provvedimento allungando la vertenza
fino al tempo di Ottone II che nel 9981 confermò il decreto del
padre. IN seguito l’Imperatore si adirò con l’Abate Giovanni di Farfa togliendogli la dignità
abbaziale. Giovanni si rifugiò presso il fratello Azone, Abate, Abbate di un convento
dell’Aventino, portando con se alcun documenti dell’Abbazia di Farfa tra cui il decreto di proprietà
di S.Maria del Mignone ed il liibellum su cui erano elencate le rendite di S.Maria. Ma
i documenti gli furono rubati dal presbiter Orso, detto di Male Passia, che li vendette a Silvestro Abate dei SS. Cosma e Damiano. Inoltre Silvestro si fece fare
una copia di un falso decreto dal quale risultava che S.Maria
apparteneva al Monastero trasteverino, per
cui da quel momento S.Maria ne
divenne proprietà. Ma Ugo, divenuto Abate di Farfa,
si appellò a Ottone III riportando in giudizio
la vertenza. Nel 998 l’ Imperatore, col
consiglio del Marchese Ugo di Toscana, confermò Farfa nel possesso di S.Maria. In precedenza Papa Gregorio V (
996-999), pur essendo di origini tedesche, ricusò il
Monastero di Farfa a provare con il duello la
non attendibilità dei documenti avversi. L’Abbate farfense fu cosi
costretto a riconoscere il suo torto, ma non si diede
per vinto. Contro l’abuso usatogli protestò presso l’Imperatore il quale,
dopo aver esitato per qualche tempo, chiamò Gregorio, Abate del Monastero dei SS.Cosma e
Damiano, dinanzi al suo tribunale. L’Abate si rifugiò presso la
Cella di S.Maria dove lo rintracciò il
Marchese Ugo per accompagnarlo al giudizio imperiale. Per dodici volte fu
chiamato, ma l’Abate trasteverino non si presentò,
al che fui condannato in contumacia. L’Imperatore con l’approvazione di Papa
Silvestro II (999-1003), nel 999 confermò Farfa
nel possesso di S.Maria che nel 990 aveva allargato
i suoi possedimenti mediante la donazione da parte del Conte
Pietro, figlio del Conte Guinisio della Chiesa di S.Angelo con tutte le sue pertinenze, Dopo la
sentenza di Ottone III , Farfa
ottenne la Cella di S.Maria per alcuni anni e
la concesse con due atti datati rispettivamente dicembre 1002 e
ottobre 1003 a Graziano nominandolo Abate del Monastero di S.Maria del Mignone. Sul finire del IX ed inizio dell’ XI secolo S.Maria del Mignone ebbe sotto il controllo vasti estensioni territoriali: controllava beni
nei territori delle celle città di Tuscania
e Centumcellae ( odierna Cencelle) sia dentro che fuori le due città. aveva beni anche in Castello Corgniti et in Civitate Orcle;
arrivando a comprendere anche vasti appezzamenti nella valle
del Marta. Nonostante la conferma di Ottone
III , la contesa per il possesso di S.Maria del Mignone continuò. Da una parte gli
Abati farfensi seguivano la politica
filo-imperiale , dall’altra gli Abati del
Monastero dei SS.Cosma e Damiano seguivano quella
papale. Fu cosi che il 29 marzo 1005 Papa Giovanni XVIII (1004-1009) , con apposito privilegio, confermò il Monastero in Mica Aurea
nel possesso di S.Maria del Mignone. Tale documento è molto importante perché offre un spaccato sulle proprietà di S.Maria e sulla loro destinazione: La Chiesa,
la Corte , i portici e le Celle; gli oliveti, gli orti ed una struttura
dove presumibilmente abitavano i servi della gleba che erano addetti alla
coltivazione dei terreni. Le terre erano destinate alle seguenti
colture. vigneti, cereali e prati pascoli. Non meno
importante era l’utilizzo del bosco con gli alberi da frutto ed infruttiferi.
Infine è ricordato il diritto di giurisdizione sul fiume Mignone con i diritti di pesca , l’utilizzo delle acque quale forza motrice per i molini
esistenti lungo il corso terminale del Mignone. Chi
trasse guadagno durante la vertenza fu Graziano
Abate di S.Maria del Mignone , L’Abate Graziano considerò le proprietà farfense come fossero di sua esclusiva proprietà. Non casualmente
Sergio IV (1009-1012) ammoni Graziano e gli abitanti di Corneto a non molestare l’Abbazia di Farfa
con l’obbligo di restituire all’Abate Guido le Chiese
di S.Pellegrino e di S.Michele. Nel 1014 L’Imperatore Enrico II confermò Farfa nel possesso di tutti i suoi beni
acquisiti o ricevuti. Il medesimi Imperatore
in un altro documento precisa che i beni farfensi
erano stati usurpati dall’Abate Graziano. In questo stesso anno, secondo
il cronista Valesio, i Saraceni invasero S.Maria. Altra conferma a Farfa nel 1027 da parte di Corrado II. Nel
1048 Benedetto Vescovo dio Tuscania sentenziò
che la Cella di S,Maria
apparteneva a Farfa. Ulteriori conferme a Farfa nel 1051 di Enrico III e di
Leone IX (1048-1054. Ancora Enrico nel 1066 confermò l’Abbazia nel possesso dei suoi beni e privilegi, tra i beni
figura anche S.Maria del Mignone. A Berardo I ,Abate di Farfa , va riconosciuto il merito di aver
risolto in so favore definitivamente la secolare vertenza. Nel 1072 , sotto il pontificato di Alessandro II (1061-1073) la lite fu portata
in giudizio nel palazzo lateranense alla
presenza di Vescovi, Sacerdoti-Cardinali, del prefetto e d tutte le autorità di
Roma. Esaminati gli atti venne sentenziato che S.Maria del Mignone con
il Gualdo, il Monte Gosberto, la Ripa Albella, il Porto e tutti i suoi beni posti
presso Corneto e Cencelle(dia
dentro che fuori le mura delle Città) fossero restituiti per sempre, senza
ulteriori appelli, all’Abbazia di Farfa. Fu
stabilito anche che Farfa pagasse al Monastero dei SS.Cosma e Damiano
cento libbre di denari. Odmundo, Abate del Cenobio trasteverino, s’impegnò a nome proprio e dei suoi
successori a non fare altre cause sulla proprietà di S.Maria sul Mignone. Ma l’anno successivo, l’Abate Odmundo impugnò l’atto
asserendo di non aver rinunciato alla chiesa di S.Pietro presso Corneto e che restituiva soltanto S.Maria del Mignone.
Riaperta la causa, venne stabilito di
dare un maggior compenso al Cenobio trasteverino che rinunciava cosi anche alla Chiesa di S.Pietro.
LE ULTIME VICENDE
I documenti dell’XI secolo , che riguardano le proprietà farfense nella Tuscia,
aumentano sensibilmente rispetto ai secoli precedenti grazie alla
maggiore facilità che aveva Gregorio di Catino, compilatore del
Regesto, di rintracciare atti e documenti a lui contemporanei. Tra i numerosi
documenti, si assiste , intorno alla
metà del secolo, ad una serie di donazioni nel territorio di Corneto. Varie Chiese e terreni agricoli vennero donati a Farfa ,
importanti sono le Chiese di S.Pellegrino, S.Anastasio e S.Martino.
Ormai il pericolo saraceno era andato scemando ed i terreni incolti e
abbandonai venivano ora occupati e
lavorati. L’Abbazia di Farfa , con una politica mirata, allargò i suoi possedimenti a sud del fiume Mignone, lungo la costa tirrenica. Cosi oltre a
controllare la fertile vallata del Mignone
attraverso l’insediamento monastico di S.Maria, Farfa riuscì a controllare l’altrettanto fertile
pianura del fosso Rio-fiume. Il maggiore merito di
questa politica spetta all’Abate Ugo, morto nel 1039, e all’Abate Berardo I che venne eletto nel 1048. Nel 1066 Farfa,, attraverso la
donazione del Conte Raineiro, figlio di Sassone,
(probabile ideatore del Castello del Sasso), entrò in possesso della
Chiesa di S.Lorenzo situata in Comitatu Centumcellensis e dotata di numerosi beni come vigne, terre e pascoli. Nel 1068 il
Conte Gerardo , figlio di altro Gerardo, donò
a Farfa il Castello di S.Severa e la sua Chiesa, 15 Casali, metà del porto e la quinta
parte delle terre. Nel 1072, l’anno della risoluzione della
vertenza giuridica tra Farfa e SS.Cosma e Damiano, Berardo I sifece
donare dal Conte Raineiro, in punto di
morte, la metà di Civitavecchia ed il porto. IL
controllo della costa tirrenica , dal Mignone fino al fosso di Rio-fiume , dovette provocare una certa reazione da parte dei
signorotti locali che, in barba a decreti, risoluzioni e
sentenze, tentarono di ampliare i propri possedimenti invadendo
terre e proprietà vicine. Anche S.Maria del Mignone non
andò esente da questi tentativi. Cosi nel 1083 il Conte Raineiro, figlio di Roccione,restitui all’Abate Berardo I tutti i beni che possedevano su S. Maria e ogni diritto che loro stessi e
i loro uomini avevano ottenuto e quanto avevano requisito al
Rettore di S.Maria. Per ricompensarli della
spontanea restituzione, l’Abate Berardo I offri loro due anelli e una spada. Tra i testimoni presenti all’atto figura il
Conte Sassone del fu Rainerio. L’anno seguente
l’Imperatore Enrico IV confermò l’Abbazia di Farfa nel possesso dei suoi beni e privilegi tra cui S.Maria de Mignone,
oltre alla Chiesa di S.Lorenzo, la Chiesa di S.Severa con i suoi locali e la metà di Civitavecchia con il porto. l’ultima
conferma imperiale documentata è del 1118. Enrico V confermò Farfa nel possesso dei sui beni e privilegi tra cui S.Maria del Mignone assieme alla Chiesa di S.Pietro in Casal Armone, S.Lorenzo e S.Severa.
Omai i tempi stavano cambiando. le lotte
scismatiche, la costituzione in liberi Comuni e l’egemonia di nobili locali,
fecero venir meno l’autorità degli Abati che fino ad allora avevano
amministrato le proprietà fondiarie. cosi per S.Maria iniziò la decadenza. S.Maria è ancora documentata nel 1262
in un diploma di Urbano IV in cui risulta appartenere a Farfa. E’ altresì documentata nel 1295 nel
Regesto farfense dove è precisato che pagava
un censo annuo all’Abbazia di Farfa di 4 bisansi d’argento, Il censo è molto esiguo dovuto
probabilmente alla perdita di gran parte dei suoi possedimenti. Con due atti
del 1288 e dl 1295 il Consiglio generale del popolo di Corneto mise all’asta e quindi cedette
ad alcuni Signori di Tolfa Nuova ( odierna Tolfaccia) i diritti di pesca
sul fiume Mignone dal ponte di S. Martino
(identificabile con gli attuali ponti de le Mole del Mignone) fino al mare , con la foce del fosso Melledra e lo stradello del Pantano(attualmente Pantano è il ,toponimo dato ad un vasto
territorio che va dalle mole del Mignone fino
alla foce. La totale assenza dei possedimenti di S.Maria fa presumere che il suo territorio
fosse già stato fra Corneto,Centocelle (odierna Cencelle) e Civitavecchia. Di certo si apprende dal Signorelli che sul finire del XIII secolo la Chiesa di S. Maria del Mignone
e la Chiesa di S.Maria del Castello di Montecocozzone erano
distrutte. Come altri insediamenti dei Monti della Tolfa cosi anche quello di S.Maria del Mignone andò probabilmente abbandonato definitivamente a seguito della peste del 1348
ed il terremoto dell’anno successivo. Per tutto il XIV secolo non si hanno notizie storiche su S.Maria rimanendo cosi a ricordo soltanto il toponimo. Nel 1435
Eugenio IV assegnò la macchia d S.Maria alla mensa episcopale di Corneto. Intorno al 1440
quando lo Scarampo , Commissario generale, assediò la Rocca di Civitavecchia senza espugnarla , poi assieme
a Ludovico Micheletti di Perugia. Antonello delle Serre ed il Castellano di Castel S.Angelo e con i loro eserciti, si
rifugiarono presso S.Maria del Mignone. Nel 1451 Nicolò V (1447-1455) ripristinò Bartolomeo Vitelleschi, Vescovo di Corneto e Montefiascone nel possesso del
Castello di Centocellae (odierna Cencelle) e delle tenute d S.Maria del Mignone e S.Savino con pieno godimento di frutti, redditi, pascolo ed altri
diritti, usurpati, per malizia dei tempi , e
già concessi alla mensa episcopale di Montefiascone da Urbano V sul Castello di Centocelle e da Eugenio
IV riconfermati ed estesi poi, dopo l’unione della
Chiesa di Corneto con quella di Montefiascone, a S.Maria del Mignone e S.Savino.
Nel 1469 S.Maria risulta ancora pertinente al Vescovo di Corneto, è
considerata tenuta di erba della Dogana ed è venduta dai doganieri
per duc. 246 e bol. 65;
anche S.Savino è considerato tenuta per
5.000 pecore e 25 buoi , per una rendita di duc.523 e bol.26. Nel
154° la Chiesa di S.Maria appariva
abbandonata e completamente in rovina, tanto che il visitatore apostolico
annotò l’esistenza soltanto di: muro sbrecciato a ricordo di tanto
splendore. A metà del XVII secolo il Polidori riporta che non vi si riconoscono che pochi muri
che disegnano il vano della Chiesa , sena riconnoscersi segno alcun del monastero, che si ha
avuta memoria alcuna. Nella Costituzione di Gregorio XIII del 1580 S.Maria del Mignone
è indicata come tenuta nel territorio di Corneto e componeva la Dogana dei Pascoli della Provincia
del Patrimonio assieme alle seguenti tenute:Pian S.Matteo, la Pietrara,Monte
Riccio,Banditella, Monte Quagliere, li Bagnoli, fontana della Torre, la Roccaccia, Forca di
Palma, la Selvaccia, Bulignano, la Fucina, Montecemboli, Pian de Spillo , Vicarano, Pantano, tenuta di Alessandro de Attis, Doganella di qua del Mignone,
il Terzuolo di Alessandro Vitelleschi, Santa
Asinella. Intanto sui Monti della Tolfa
era stata avviata l’industria dell’allume e per sopperire alla mancanza
di legna e di legname necessario nelle fasi della lavorazione fu emanata il 10 dicembre 1609 una
disposizione dal titolo: Bando et ordini
concernente le selve della Tolfa e d’altri
destinate per servitio delle lumiere. Nel bando
è inclusa anche la tenuta di S.Maria. Per
trasportare la legna venne fatto costruire
sul fiume Mignone un ponte allo scopo di
prelevare la legna dal gualdo (bosco)
di S.Maria. Il lavoro fu affidato nel 1661 a
mastro muratore Ambrogio Bernasconi. Nel 1780
il Consiglio Comunale della Tolfa, nel
completare la descrizione dei terreni dell’allora nuovo catasto,
considerava la tenuta di S.Maria del Mignone tra le terre camerali. Tra le
stesse terre figura anche la tenuta Montigiana.
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