PAOLO FRANCHI
I FALCONIFORMI DEI MONTI DELLA TOLFA
RINGRAZIAMENTI
Voglio ringraziare in primo luogo l'amico Pietro Tidei che ha favorito
i miei contatti con l'Amministrazione Provinciale di Roma, il cui contributo
è stato determinante per la realizzazione; l'Amministrazione
Comunale di Tolfa che si è assunta l'onere della presentazione;
tutti quanti Enti o persone hanno contribuito in maggiore o minor misura
alla realizzazione di quest'opera.
PREFAZIONE
Sono nato qui, tra queste colline, in questa zona dal paesaggio così
vario, un tempo tutta foresta, poi pascolo, ora, in parte, terra lavorata.
I boschi, anche se numerosi, non sono molto estesi: l'alto fustosta
scomparendo. Anche le siepi, un tempo di rovo e di pruno selvatico,
lasciano il posto a recinzioni metalliche sostenute da paletti in cemento.
I versanti che guardano il mare sono ricoperti di piante sempreverdi;
i restanti, di querce, pochi castagni, molti roveti. Caratteristiche
e inconfondibili sono le cime del Monte della Rocca, della Tolfaccia,
del Marano. Su queste volteggiano i falchi. Ogni momento di libertà
ho cercato sempre di viverlo all'aria aperta, nella solitudine della
campagna, solo anch'io, per essere quanto più simile a loro,
ai falchi. A questi ho dedicato molto tempo: gli animali non hanno fretta.
Chi va in cerca dei rapaci non porti l'orologio: l'unità di misura
temporale non è l'ora, ma il giorno segnato dal sole che cala.
Per anni ho osservato questi uccelli descrivere larghi giri nel cielo,
di primavera, senza capirli. Ho cercato, quindi, di farmi accettare.
Chi non viene accettato dai falchi, non li potrà mai capire.
Il falco teme l'estraneo, la novità, i contorni non ben definiti,
ciò che non riesce immediatamente a capire. Per essere accettati
bisogna sempre indossare lo stesso vestito, fare sempre gli stessi gesti,
percorrere la stessa strada alla stessa ora, penetrare a poco a poco
nel loro mondo, connaturarsi quasi nel loro habitat. Bisogna essere
soli, imparare a nascondersi agli occhi indiscreti avere la stessa paura
che ha il falco. Inoltre non si deve camminare a testa bassa, curvo,
con fare circospetto perché ciò lo metterebbe in allarme.
E' necessario anche imparare a fotografare con gli occhi il paesaggio:
una macchia scura che ieri non c'era potrebbe essere lui. Il continuo
osservare i falchi aguzza la vista. Ho incontrato molti rapaci e li
ho seguiti nella loro vita di tutti i giorni apprendendo sempre qualcosa
di nuovo, e sono proprio queste mie esperienze, le mie conoscenze, che
ho inteso mettere per iscritto un po' per farne partecipi altri appassionati
ma anche e soprattutto per chiarirle a me stesso, per rifletterci sopra
e arrivare a capire meglio questo mondo ancora abbastanza sconosciuto.
Non starò a ripetere ciò che è possibile trovare
su tutti i testi di ornitologia: cercherò di dare dei rapaci
una immagine forse non troppo scintillante, ma spero abbastanza vera.
L'autore
INTRODUZIONE
Questo lavoro che è frutto di osservazioni giornaliere, protrattesi
per molti anni saltuariamente dal 1965 e sistematicamente dal 1976 ad
oggi, vuole dare un quadro abbastanza esatto e completo dei rapaci presenti
nella mia zona e preminentemente di quelli nidificanti. Le escursioni
sono state effettuate da maggio ad agosto e durante i vari appostamenti
sono stati raccolti numerosi dati che, confrontati fra loro e rielaborati,
hanno permesso di trarre conclusioni più generali. I rapaci oggetto
di questa ricerca sono stati osservati nel territorio tolfetano-cerite,
formato da colline di origine vulcanica, compreso fra le province di
Roma e Viterbo e racchiuso dal corso del fiume Mignone a N, dalla Braccianese-Claudia
edE, a S dalla strada Bracciano-Cerveteri, e ad W e SW dal mare Tirreno.
E' un territorio abbastanza esteso (70 mila ettari circa), dal paesaggio
estremamente vario: i boschi (cerro, leccio, lentisco, castagno, faggio
ecc.) si alternano infatti con i pascoli, la macchia mediterranea lungo
la fascia costiera, i roveti, la terra coltivata (foraggio, cereali,
ortaggi). Questa zona, per certi aspetti ancora
incontaminata anche se minacciata e pressata dal cemento, è interessante
dal punto di vista naturalistico per la presenza di molti uccelli rapaci
nidificanti. Schede (Cartina) (Morfologia esterna dei falconiformi)
I RAPACI IN GENERALE.
Gli uccelli rapaci, per il loro aspetto fiero, la forza, il loro coraggio,
hanno sempre colpito la fantasiapopolare; antiche raffigurazioni, insegne,
stemmi gentilizi rappresentano questi uccelli. I rapaci hanno sempre
avuto uno strano destino: di essere amati da tanti e da tanti altri
odiati. Per alcuni misteriosi, per altri crudeli e sanguinari nemici;
per altri ancora simbolo di regalità e potenza, questi uccelli
sono sempre stati oggetto di interesse ma raramente di studi approfonditi.
Ci si è limitati, spesso, a descrivere il loro aspetto fisico
desunto da esemplari morti, ci si è fermati a giudizi superficiali
(rapaci = nocivi predatori), senza considerare i vari aspetti della
loro vita, i rapporti con gli altri animali, la loro funzione nella
natura. Raramente e solo per alcune specie è stato fatto uno
studio etologico, cioè l'analisi del comportamento e delle abitudini
nel loro ambiente naturale. Questa ignoranza ha fatto sì che
Avvoltoi, Nibbi e Albanelle, innocui divoratori di carogne fossero considerati
invece sterminatori di selvaggina. Allo stesso modo la fantasia popolare
è arrivata a costruire improbabili leggende su rapaci rapitori
di bambini. Abbastanza comodo e semplice è osservare i falchi
che volteggiano alti nel cielo; più difficile è cogliere
gli altri momenti della loro vita di ogni giorno.
L'alba trova il rapace appollaiato su un albero o uno spuntone di roccia
dove ha passato la notte. Il falco dorme con la testa reclinata da una
parte, generalmente a sinistra, le penne arruffate e sostenendosi su
una gamba sola. Appena sveglio con il becco ravvia eventuali piume del
petto fuori posto e compie dei brevi voli fino a svegliarsi completamente.
A secondo il tipo di alimentazione e di conseguenza di prede, il falco
può cominciare subito la caccia, oppure indugiare presso un ruscello
o una pozza di acqua limpida a fare il bagno. Diverse fra i rapaci sono
le tecniche per bagnarsi. Il Nibbio Bruno entra in acqua immergendo
soltanto i tarsi e gettandosi addosso l'acqua con il becco. Il Gheppio
invece si immerge fino all'addome e, messe le ali semichiuse e la coda
a ventaglio con questa percuote l'acqua provocandodelle piccole onde
dalle quali si lascia cullare. Anche il modo di cacciare è diverso
fra le varie specie e ciò è dovuto a molti fattori quali
la mole del rapace, la conformazione del becco e degli artigli, in definitiva
a tutte quelle differenziazioni che ogni specie ha acquistato in secoli
di adattamento e specializzazione nei confronti delle specie cacciate.
Su queste diversità di struttura fisica e di conseguenza di comportamento
si basa appunto la classificazione scientifica dei rapaci nelle famiglie
dei Falconidi, degli Accipitridi e dei Vulturidi che saranno oggetto
della nostra trattazione particolareggiata.
Caratteristica comune è quella di afferrare la preda e ucciderla
con gli artigli o aiutandosi con il becco. Alcuni catturano la preda
al volo, oppure scendendo in picchiata la urtano con la forza di un
proiettile facendola precipitare. Altri stanno a lungo in agguato, posati
su un posto di osservazione da cui si lanciano all'improvviso, altri
ancora sorvolano instancabilmente prati e margini di boschi aspettando
che la loro presenza faccia alzare qualche animale. Catturata la preda,
la consumano sul luogo, oppure, se è grande, la afferrano con
un artiglio e la trascinano sul terreno in un posto più tranquillo.
Se è leggera e facilmente trasportabile si sollevano con essa
e si portano sul loro posatoio abituale dove con comodo compiono le
varie operazioni che precedono il pasto vero e proprio. Postasi la preda
sotto di loro in modo da gravare con tutto il peso del corpo, tenendola
ferma, con gli artigli, cominciano a mettere a nudo l'addome strappando
piume o ciuffi di pelo a secondo che la vittima sia un uccello o un
mammifero. Successivamente, con potenti colpi di becco, si aprono un
passaggio e danno inizio al banchetto cominciando dagli organi interni,
poi attaccando i muscoli e lasciando soltanto le ossa maggiori, il cranio
e le estremità. Se capita loro di ingerire qualche parte non
digeribile la eliminano coi così detti boli che vengono rigurgitati
e che hanno la forma di pallottole compatte. E' l'analisi dei boli alimentari
oltre alla osservazione diretta delle prede catturate che ci permette
di sapere quale è il tipo di alimentazione del rapace. Le ore
più calde del giorno sono da lui trascorse nello stesso posto
dove consuma il pasto. Passa questo periodo a liberare accuratamente
gli artigli da ogni residuo di carne rimasta attaccata, a pulirsi il
becco strofinandolo contro la corteccia dell'albero o la superficie
ruvida di un sasso, ed a lisciarsi le penne che devono essere sempre
in ottimo stato. Proprio per la vita che il falco conduce, una vita
di caccia, estremamente difficile, deve essere sempre in forma perfetta;
la muta avviene in lui gradualmente perdendo si può dire una
penna alla volta e non prima che la nuova sia ricresciuta. Nel tardo
pomeriggio il rapace riprende la caccia fino a che la sera non lo costringe
a ritirarsi nel suo rifugio notturno nell'attesa che il sole annunci
l'inizio di una nuova giornata. I rapaci in genere, non sono gregari,
anzi sono portati dalla loro stessa natura ad essere aggressivi, la
qual cosa però non si verifica durante il periodo della riproduzione
ed è logico che sia così. La coppia, una volta formata
si mantiene molto unita almeno finché ci sono i piccoli. Giunta
la primavera, i due rapaci trascorrono alcuni giorni alla ricerca di
zone adatte alla riproduzione e ad affermare la loro supremazia sui
territori prescelti. Ingaggiano così furibonde lotte, principalmente
con le cornacchie, fatte di lunghi inseguimenti, schermaglie aeree che
si concludono sempre in modo incruento. Quindi quelli che sono riusciti
a scacciare i concorrenti ed assicurarsi un posto, iniziano la fase
del corteggiamento. La coppia, sfruttando le correnti ascensionali con
grandi giri concentrici si innalza altissima nel cielo fin quasi a scomparire,
poi, improvvisamente uno dei due si stacca dall'altro scendendo in picchiata
per poi risalire velocissimo. I due infine si posano a molti metri da
terra, sulla cima di un grande albero o roccia; per prima si posa la
femmina subito seguita dal maschio e dopo qualche breve inseguimento
avviene l'accoppiamento. Il nido per molte specie di rapaci è
sempre lo stesso, utilizzato per anni di seguito. Quelli posti sulla
roccia non hanno bisogno di manutenzione alcuna; per quelli sugli alberi,
qualche piccola riparazione basta a renderli di nuovo efficienti ed
a questo pensa la coppia con sollecitudine. Diversa è la grandezza
di questi nidi e ciò è dovuto al tatto che, non costruendolo
loro, utilizzano strutture preesistenti, in massima parte nidi di Cornacchia.
Ho notato quindi che il nido occupato per la prima volta è molto
più piccolo di quello che è servito più anni perché
in quest'ultimo c'è grande accumulo di materiale. Le uova, deposte
a distanza di poco tempo l'una dall'altra giungono tutte a schiudersi
a meno che l'uovo non sia fecondo. Ciò capita se un uovo viene
deposto dopo alcuni giorni, cioè con ritardo rispetto alle altre.
L'incubazione dura circa un mese portata avanti in massima parte dalla
femmina che però abbandona qualche volta il nido per andare a
caccia. Durante la cova è possibile arrivare fin sotto l'albero
dove la femmina sta covando senza che questa si alzi in volo. Se la
sosta e l'osservazione si prolungano, il rapace abbandona il nido e
descrivendo larghi giri nel cielo si allontana. Immediatamente si unisce
nel volo il maschio che prima se ne stava nascosto fra la chioma di
un albero. Insieme più volte sorvolano il nido, ma non vi fanno
ritorno se non quando il disturbatore non se ne sia andato. Cessato
il pericolo, inizia l'avvicinamento: prima i falchi volano su un albero,
distante una cinquantina di metri dal nido e su questo restano a lungo.
Poi a piccoli voli, tenendosi nascosti tra il fogliame, raggiungono
il loro albero. Per seguire le varie fasi della riproduzione non è
necessario salire sulla pianta per controllarne lo svolgimento. Finché
c'è sopra la madre, e questo è facilmente accertabile
dal fatto che sporgono in fuori la testa e la coda, è chiaro
che le uova non si sono ancora dischiuse; la nascita dei piccoli è
annunciata dal fatto che il nido viene lasciato molto spesso incustodito
e che i rapaci cacciano in coppia. Il numero dei giovani falchi e la
loro età è facilmente controllabile dalla quantità
di escrementi che si trovano alla base dell'albero, molto visibili perché
bianchi. Fin da piccoli i rapaci non sporcano il nido, dal quale si
sporgono per far cadere fuori gli escrementi; i genitori cominciano
abbastanza presto la ricerca del cibo e compiono i loro viaggi tesi
a nutrire i piccoli con più frequenza al mattino finché
la temperatura si mantiene fresca. Durante le ore più calde consumano
all'ombra gli ultimi resti del pasto. I genitori insegnano ai figli
a starsene appiattiti sul fondo del nido ed a restare immobili se avvertono
qualche pericolo. Durante la riproduzione le prede migliori vanno ai
figli, mentre l'alimentazione dei genitori è quasi esclusivamente
composta di coleotteri. Se si sale fino al nido non si provoca nessuna
reazione negli adulti che si limitano a sorvolare il nido e a tenerlo
sotto controllo. Se i nidiacei sono già abbastanza grandi alla
vista della persona reagiscono con un istintivo moto di fuga arrivando
a gettarsi nel vuoto. Fino a che i genitori visitano frequentemente
i piccoli, questi se ne stanno buoni, poi, quando gli intervalli si
fanno più lunghi, incominciano a dare segni di impazienza. In
principio è il più grande che solleva la testa e comincia
a ruotarla da una parte all'altra, poi si mette in piedi, quindi allunga
un'ala poi l'altra, e successivamente le batte simulando il volo. A
imitazione del fratello incominciano anche gli altri, poi, improvvisamente
si nascondono come se si fossero ricordati in quel momento degli insegnamenti
materni.
Un giorno mentre stavo riprendendo un giovane Nibbio Bruno che faceva
bella mostra di sé sull'orlo del nido, la madre, incurante del
pericolo rappresentato dalla mia presenza, è piombata sul nido
e dopo averlo costretto ad abbassarsi, se ne è andata precipitosamente
Probabilmente i falchi credono che tolta l'immagine dagli occhi, questa
venga cancellata anche dalla memoria e forse per gli animali è
proprio così. Lo struzzo insegna! I nati, dopo un altro mese
circa, abbandonano il nido, ma restano ancora nelle vicinanze se non
sono disturbati. Quando i piccoli spiccano i primi voli hanno già
appreso i primi rudimenti dell'arte del cacciare. Ancora implumi la
madre porta loro piccole prede intere da dilaniare o spennare. Successivamente,
superato questo primo stadio di conoscenza, i genitori talvolta lasciano
cadere dall'alto piccoli uccelli o rettili per abituarli ad afferrare
al volo. Altro utile esercizio in questo periodo di addestramento è
quello di far sì che i piccoli tirino via con forza la preda
dal becco della madre per sviluppare la loro combattività. Nel
periodo successivo sembrano scomparsi, salvo farsi rivedere in grande
numero quando una particolare circostanza per esempio la bruciatura delle stoppie rende una zona ricca di prede. Una
volta ne ho contati più di sessanta, e probabilmente era un gruppo
costituito da questi giovani unitisi ad altri in fase migratoria. Scheda (3)
I FALCONIDI: FALCONIDAE.
I rapaci presenti sui Monti della Tolfa, appartenenti alla famiglia
dei Falconidi sono il Gheppio, il Grillaio, il Falco della Regina, il
Lodolaio, il Lanario e il Falco Cuculo. Di questi, soltanto il Gheppio
e il Lanario sono nidificanti. Caratteristica comune a tutti i Falconidi
è quella di non uccidere la preda con gli artigli, ma con il
becco. Il colpo mortale viene sferrato alla nuca della vittima in modo
da spezzare le vertebre cervicali. Cacciano volando velocemente o restando
immobili nel cielo; non si nutrono di carogne. Nessuna specie è
in grado di costruirsi il nido. Genere
Falco e Gheppio
GHEPPIO. FALCO T. TINNUNCULUS, L.
Insieme al Nibbio Bruno è il rapace più comune nella zona
ed è sempre reperibile durante tutto l'anno. In inverno passa
la maggior parte del tempo appollaiato su una sporgenza di una parete
rocciosa o tufacea, luogo dove consuma anche il pasto e facilmente riconoscibile
per la macchia bianca degli escrementi. Questo luogo è scelto
in modo che per la particolare conformazione serva anche da riparo contro
le intemperie. Da questo punto posto in posizione dominante il Gheppio
si stacca per fare brevi giri di perlustrazione, portandosi su terreni
puliti dove riesce meglio a scorgere la preda rappresentata da topi,
lucertole, e insetti. Durante la caccia assume spesso la caratteristica
posizione detta « spirito santo ». Essa è comune
anche al Biancone ma con tale uccello non può essere confuso
per la diversità della mole e del colore. Questa posizione consiste
nel restare immobili nel cielo con le ali aperte ma non completamente
e nel farle vibrare velocemente, un po' come fa l'allodola, cosa che
consente al Gheppio di restare sospeso nell'aria. Da questa posizione
scende in breve picchiata fino a posarsi sul terreno dove artiglia la
vittima designata. Se il luogo osservato non offre nessuna preda, con
un rapido volo si sposta di un centinaio di metri e riprende la posizione
che si definisce « spirito santo ». In estate lo troviamo
presso rocce esposte a mezzogiorno e che offrano possibilità
di nidificazione o più spesso vicino a casali o ruderi. E' un
rapace di piccole dimensioni con la groppa rossiccia e il sotto delle
ali biancastro argenteo. Il maschio ha nuca e coda grigia a differenza
della femmina che ha una colorazione uniforme. Vive solitario, a coppie
durante il periodo riproduttivo, a gruppi durante la migrazione, ed
è facile osservarlo in questo periodo sui fili della luce. Quanto
alla riproduzione, la femmina appena avverte tale stimolo si sceglie
il territorio ed il nido che, come abbiamo detto può essere fatto
in una cavità di una roccia o in un buco di un vecchio edificio.
Quindi comincia a volare, a simulare picchiate a sfiorare con il petto
il nido lanciando alti e ripetuti richiami. Il maschio non tarda a venire
e comincia così il corteggiamento fatto di fughe, inseguimenti,
e soste che si concludono con l'accoppiamento; la femmina depone generalmente
cinque o sei uova incubate per circa un mese. Durante la cova il Gheppio
rimane al suo posto se non è direttamente infastidito, altrimenti
fugge. Se invece ha i piccoli nel nido, diventa temerario ed aggressivo
e tra forti grida compie numerose picchiate che si concludono con virate
ad angolo retto a tre metri dal viso del disturbatore. I giovani Gheppi
restano nel nido un mese. Quindi cominciando dai più maturi,
lo abbandonano allontanandosi dalla zona che non è mai abbastanza
grande per nutrirli ancora tutti.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
La popolazione dei Gheppi sia stazionari e nidificanti che nidificanti
soltanto sui Monti della Tolfa, è rimasta pressoché invariata
negli ultimi anni. Qualche perdita del tutto irrilevante che subisce
la specie in inverno a causa della caccia è compensata ampiamente
in primavera dalla grande prolificità della specie.
Nidi costruiti su roccia 10; su fabbricati 34, metà dei quali
abitati o frequentati in qualche modo da persone. Numero delle covate
portate a termine in media all'anno: 23. Numero delle uova deposte per
ogni nido: 6 (5-7).
Giovani involati nel 1976, 102 circa; nel '77, 95; nel '78, 90; nel
'79, 80.
Altezza dei nidi su fabbricati 7-8 metri (anche
4 m.); su pareti di roccia o tufo 15-20 m. Esposizione dei nidi su roccia
prevalentemente a Sud; su fabbricati tutte le direzioni.
GRILLAIO. FALCO NAUMANNI, FLEISCHER Grillaio
Facilmente confondibile con il Gheppio, se ne differenzia per il colore
rosso mattone del groppone ed il volo interrotto molto spesso da brevi
soste su alberi e cespugli; in questo ricorda un po' l'Upupa. La sua
presenza sui Monti della Tolfa è limitata alla stagione primaverile.
E' specie gregaria. L'ho osservato solo rare volte in questa stagione:
1 individuo il 5-5-1973, un altro il 30-4-1974.
FALCO DELLA REGINA. FALCO ELEONORAE, GÉNÉ Falco della regina
Non è comune, anzi direi accidentale sui Monti della Tolfa; ne
ho osservato uno ucciso da un cacciatore e successivamente fatto imbalsamare.
La sua cattura è avvenuta in autunno presso un capanno per colombacci
ai quali probabilmente il rapace si era unito insieme a degli Sparvieri.
Il suo aspetto è paragonabile a quello di un Gheppio tranne nel
colore che è molto più scuro.
LODOLAIO. FALCO S. SUBBUTEO, L. Lodolaio
E' presente sui Monti della Tolfa come migratore in primavera e in autunno
al seguito degli stormi di uccelletti di passaggio. Si può osservare
in piccoli gruppi di quattro-cinque individui che a volte sostano anche
più giorni se le condizioni generali sono favorevoli. Durante
le ore calde se ne sta nascosto tra il fogliame di grandi alberi e la
sua presenza è tradita dai forti e ripetuti richiami. Nelle prime
ore del mattino e nel pomeriggio sorvola il bosco con volo rapidissimo,
poi prende quota portandosi su terreni aperti dove, avvistata la preda,
compie spettacolose picchiate. E' riconoscibile per la piccola mole,
per il colore scuro, la testa nera, le ali appuntite che lo fanno assomigliare
ad un Pellegrino in miniatura. Non l'ho mai visto all'inizio dell'estate
e non credo che sia nidificante, nella zona, mentre è molto numeroso
in agosto e ciò può spiegarsi,
o con una precoce migrazione o con il fatto che nidifichi in altre regioni
vicine e poi si irradi raggiungendo la nostra zona.
FALCO CUCULO. FALCO V. VESPERTINUS, L. Falco
Cuculo
E' un piccolo rapace molto simile ai Gheppio per forma, dimensioni e
volo. Sui Monti della Tolta è accidentale durante il periodo
della migrazione. Ha istinto gregario, si nutre di piccole prede che
cattura sul terreno e di insetti presi al volo.
LANARIO. FALCO BIARMICUS FELDEGGII, SCHLEGEL Lanario
E' reperibile in una sola zona dei Monti della Tolfa dove nidifica regolarmente
su una parete rocciosa esposta a sud. Conosco altre due coppie ma non
nidificanti e per esse vale lo stesso discorso fatto per il Lodolaio.
Si riconosce per la colorazione scura del piumaggio e per la testa marrone
rossiccia. In assenza del falcone Pellegrino (qualcuno sostiene che
ci sia — Di Carlo —), è il rapace che caccia con
maggiore maestria riuscendo a catturare uccelli e mammiferi di piccola
e media mole. In marzo-aprile la femmina depone tre o quattro uova.
L'ambiente preferito è quello sassoso e desertico. Nelle vicinanze
del nido è molto aggressivo. Cattura anche insetti al volo e
se ne ciba immediatamente, tenendoli con una sola zampa.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
A quanto mi risulta una coppia occupa una sola zona dei Monti della
Tolfa che si trova al limite est della parte di territorio da me esplorata
e oggetto di questa trattazione; altri quattro esemplari si trovano
in altra zona, ma non credo abbiano nidificato, perché li ho
osservati solo in agosto.
ACCIPITRIDI. ACCIPITRIDAE.
Sono tutti rapaci che catturano e uccidono la preda con gli artigli.
Sui Monti della Tolfa sono presenti specie migratrici e nidificanti.
Migratrici sono le A!banelle, il Falco di Palude e l'Aquila Reale; nidificanti
la Poiana, il Nibbio Bruno, il Nibbio Reale, il Biancone, lo Sparviero
e il Falco Pecchiaiolo. Abanella minore
ALBANELLA MINORE. CIRCUS PYGARGUS, (L) Albanella
Minore
E' un rapace che appare in gran numero alla fine dell'estate durante
la migrazione e si trattiene solo alcuni giorni preferendo terreni aperti
e non molto distanti dal corso dei fiumi. Vola a bassissima quota sfiorando
la vegetazione con un volo irregolare e caratteristico posandosi spesso
sui cespugli. E' molto confidente e questo fa sì che vada a riempire
molto spesso il carniere di apertura di cacciatori delusi per la mancanza
di selvaggina. L'Albanella ha ali strette e lunghe, una colorazione
che va dal marrone bruciato della parte superiore al giallo della inferiore.
La testa e gli occhi, posti in posizione frontale fanno assomigliare
questo rapace ad uno Strigide. La coda è barrata di bianco. La
specie è abbastanza numerosa in agosto, reperibile tutti gli
anni lungo il basso corso del fiume Mignone: osservati alcuni individui
il 10-8, il 13-8, il 24-8, il 3-9, il 15-9 del 1979. Meno frequente
in primavera: osservazioni il 23-4. Non ne
ho mai rinvenuto il nido; altri Autori ne hanno constatato tuttavia
la nidificazione nel comprensorio ed anche in territori vicini, sia
a Nord che a Sud.
FALCO DI PALUDE. CIRCUS AE. AERUGINOSUS (L) Falco
di Palude
E' presente durante la migrazione, facilmente confondibile con le Albanelle
ma di mole maggiore e corporatura più pesante. Vola a pochi metri
dal suolo e si getta sulla preda improvvisamente; molto spesso si posa
sul terreno.
ALBANELLA REALE. CIRCUS C. CYANEUS (L) Albanella
Reale
L'Albanella Reale l'ho osservata in primavera estate sorvolare dei campi
di grano non allontanandosi mai però dall'acqua dei corsi dei
fiumi. Anch'essa non credo che nidifichi sui Monti della Tolfa dato
che poco più a Nord la maremma toscana offre un habitat più
favorevole. Quei pochi individui che giungono da noi provengono quasi
sicuramente dalla laguna di Orbetello dove le Albanelle sono numerose.
Si distingue dall'Albanella minore per la colorazione bianca che più
di una volta mi ha provocato fortissime emozioni credendo di riconoscere
in lei il Capovaccaio che è stato oggetto di un mio lungo studio.
Osservata in primavera – estate, ma non credo che nidifichi sui
Monti della Tolfa.
1 individuo visto in volo fra Tarquinia e Montalto
il 6-5-1976; un altro in località Farnesiana il 9-8-1977.
AQUILA REALE. AQUILA CH. CHRYSAETOS (L) Aquila
Reale
Una coppia di Aquile Reali forse proveniente dal Parco Nazionale d'Abruzzo
è transitata sui Monti della Tolfa nell'inverno di pochi anni
fa ed un esemplare è il caso di dire che « ci ha lasciato
le penne »: un cacciatore vistosi posare davanti al capanno questo
grande animale che egli nella sua semplicità o ignoranza non
conosceva, come in seguito ha dichiarato, preso dal panico, e forse
suggestionato da racconti di mostri alati, ha sparato uccidendolo. Quindi,
tornato in paese con l'esemplare ucciso lo ha ceduto ad una trattoria
in cambio di cinquemila lire. Fino a poco tempo fa l'esemplare imbalsamato
faceva bella mostra di sé presso l'osteria sopra detta. L'altro
esemplare superstite io l'ho potuto osservare per una intera mattinata
mentre svolazzava visibilmente spaesato da un albero all'altro. Non
potevo sapere che l'altra aquila fosse stata uccisa,
e che quella fosse l'infelice compagna dell'altra, l'ho scoperto più
tardi.
POIANA. BUTEO B. BUTEO (L) Poiana
Un tempo comune e stazionaria sui Monti della Tolfa, oggi è in
lieve diminuzione. E' un rapace di grande mole con ali arrotondate alle
estremità e coda anch'essa rotonda e breve. Volteggia alta nel
cielo ad ali aperte ed immobili mantenendo questa posizione a lungo
ed esplorando il terreno sottostante in cerca di topi, serpi ed altri
piccoli animali. Se viene catturata e tenuta in cattività si
dimostra goffa, impacciata e codarda tanto che basta la sola presenza
dell'uomo per farla fuggire a nascondersi. In primavera dopo i soliti
voli di corteggiamento per riprodursi costruisce o riadatta un nido
vicino al tronco principale di un albero e la femmina vi depone due
o tre uova; durante la cova se è disturbata abbandona immediatamente
il nido. L'alimentazione dei piccoli è costituita in massima
parte da topi e lucertole. Questi lasciano il nido dopo cinquanta giorni.
In inverno è facile vedere la Poiana posata su pali o cespugli
o inseguita da uno stormo di uccelletti.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
Un tempo molto numerosa, oggi è ancora facile vederla ma non
come prima. Una causa di questa diminuzione è senz'altro la competitività
con altre specie più combattive quali Sparvieri e Nibbi. Le aree
occupate dalla Poiana nella nostra zona e da me visitate nei vari anni
ammontano a 29. Distanza fra i nidi: minima km 1, massima km 4,5.
Il numero dei nidi occupati nei vari anni:
1976 |
1977 |
1978 |
1979 |
12 |
10 |
8 |
7 |
Distribuzione dei
nidi per ambiente: alberi grandi, anche in boschi tagliati sulle cosiddette
« guide ». E' presente tutto l'anno, come dimostrano le
date di osservazione del 1979: 19-1 loc. Tramontana, 2-2 Cava del Ferro,
27-3 Cava del Ferro, 8-4 Colle di mezzo, 4-5 Casalavio, 12-6 Monte Cozzone,
24-7 La Roccaccia, 14-8 Freddara, 17-9 Monte Cozzone, 20-10 Cava del
Ferro, 2-11 S. Pietro, 13-12 Rota. Nidi costruiti su ceduo: 21; su alto
fusto 8, di cui 3 su castagno e 5 su cerro o quercia. Numero delle covate
in media all'anno 10; uova deposte in un singolo nido 2 e qualche volta
3; giovani involati nel '76, 30; nel '77, 18; nel '78, 18; nel 79, 16. Altezza dei nidi su quercia 7-8 m.; su castagno
15 m. Esposizione dei boschi: 16 verso Sud-Sud-Ovest, 13 verso Nord.
NIBBIO BRUNO. MILVUS M. MIGRANS Nibbio Bruno
E' un uccello molto comune sui Monti della Tolfa. Arriva i primi di
aprile in piccoli gruppi formati da sei o più individui che rimangono
insieme un giorno o due. Successivamente si dividono ed ogni coppia
si irradia su tutto il territorio alla ricerca di un angolo tranquillo
dove incominciare il delicatissimo periodo della riproduzione. Probabilmente
nel loro volo di migrazione si servono della Sardegna come di un ponte
gettato attraverso il Mediterraneo. Giungono infatti nelle prime ore
del mattino e fanno la loro prima tappa presso l'immondezzaio dove cercano
di arrangiarsi e di racimolare qualche cosa durante questo primo giorno
di permanenza sul continente. Non tutte le coppie arrivate si fermano
sui Monti della Tolfa. Infatti alcune proseguono per il lago di Bracciano,
altre decisamente verso il Nord. Ho notato che i Nibbi che volteggiano
sul lago di Bracciano hanno una colorazione più chiara delle
penne ventrali. Il loro colore è bruno-rossiccio uniforme, contrariamente
alla colorazione nero fumo di quelli che stanno sui monti. Esclusa l'ipotesi
di trovarsi alla presenza di una sottospecie, le cause di questa diversa
colorazione possono attribuirsi alla particolare alimentazione o al
contatto della zona ventrale con l'acqua. Ciò trova conferma
nel fatto che anche le anatre sono soggette a questa diversa pigmentazione.
Nell'entroterra i Nibbi Bruni preferiscono le colline ricoperte da boschi
di alto fusto circondati da grandi radure incolte. In volo si riconosce
per le dimensioni grandi, la colorazione scura, la coda leggermente
forcuta. Nei suoi voli di spostamento batte ritmicamente le ali portandole
molto in alto sopra la schiena, mentre è in cerca di preda mantiene
le ali immobili dirigendo il suo volo con impercettibili movimenti della
coda. Per la caccia preferisce campagne aperte e incolte ma nella tarda
primavera e inizio dell'estate sorvola molto spesso i campi falciati
di fresco o le stoppie dove trova abbondanti coleotteri e piccoli rettili.
Le ore più calde del giorno le trascorre appollaiato sui rami
di un grande albero ombroso ad una cinquantina di metri dal nido. Il
nido è posto su alberi di alto fusto, un po' inoltrato nel bosco.
La sua alimentazione è costituita quasi esclusivamente da piccoli
animali catturati sul terreno o da resti di animali morti. Caratteristici
sono due Nibbi Bruni che hanno scelto come territorio di caccia l'autostrada
Civitavecchia-Roma. La percorrono per un po' in una direzione, poi invertono
la rotta e fanno marcia indietro fino a che non avvistano un riccio
o un passero schiacciato sull'asfalto che si affrettano a raccogliere.
(E c'è chi dice che le autostrade non servono a nessuno). Non
è però questa coppia, né quella che si è
stabilita nei pressi dell'immondezzaio che può offrirci un ritratto
autentico del Nibbio Bruno dei Monti della Tolfa.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
Poco meno di una decina di anni fa il Nibbio Bruno non era affatto comune
nella zona. C'è stata una vera e propria invasione nel 1970 che
ha provocato come conseguenza l'abbandono di alcune zone da parte delle
Poiane molto meno adattabili dei Nibbi Bruni. La specie, anche se non
ha più toccato le punte massime è molto numerosa e in
continua espansione. Di questa specie ho trovato sui Monti della Tolfa
almeno 29 aree occupate. Il numero dei nidi occupati nei vari anni sono
cosi ripartiti:
1976 |
1977 |
1978 |
1979 |
20 |
15 |
10 |
8 |
La distanza dei
nidi è: minima km 1 circa; massima idem. Distribuzione dei nidi
per ambienti: alberi grandi in boschi a ceduo. Nidi costruiti su alberi
in boschi a ceduo: 20; in boschi di alto fusto 9 di cui 2 su castagno
e 7 su quercia. Numero delle covate in media all'anno: 13; uova deposte
in un singolo nido, 3; giovani involati nel '76, 50 circa; nel '77,
30; nel '78, 28; nel '79, 20.
Altezza dei nidi 8-10 m da terra. Esposizione dei boschi dove si trovano
i nidi: 5 Est-Nord-Est, 24 Sud-Sud-Ovest. Le date di arrivo da me registrate
oscillano tra il giorno 20-3 e il 28-3; gli avvistamenti per i vari
anni sono infatti:
1976 |
1977 |
1978 |
1979 |
1980 |
21-3 |
20-3 |
25-3 |
28-3 |
28-3 |
La partenza avviene
nella seconda quindicina di agosto: in questo
periodo si notano concentrazioni sino a 60 individui che sorvolano le
stoppie appena bruciate, es. il 17-8-1977.
NIBBIO REALE. MILVUS M. MILVUS (L) Nibbio
Reale
E' un rapace più comune da noi di quanto possa sembrare ad un
osservatore superficiale che forse lo confonde spesso con il Nibbio
Bruno più piccolo, più scuro e con la coda molto meno
forcuta. Dopo il Nibbio Bruno e il Gheppio è il rapace più
numeroso sui Monti della Tolfa ed è distribuito uniformemente
su tutto il territorio. Arriva in primavera e si trattiene tutta l'estate
riproducendosi, poi è presente in autunno come migratore; quindi
possiamo dire che si trova nella zona quasi tutto l'anno. E' un uccello
di grandi dimensioni, con ali strette e lunghe, coda che presenta una
biforcazione molto accentuata, di colore marrone rossiccio il dorso
mentre sotto le ali presenta due macchie bianche che servono ad individuarlo
facilmente. L'habitat è quello del Nibbio Bruno con in più
una maggiore preferenza per i luoghi aperti anche abitati. Cattura la
preda sul terreno, la sua alimentazione è composta in prevalenza
di carogne, lucertole e insetti. Per la riproduzione la coppia occupa
ogni anno lo stesso territorio che a secondo l'abbondanza o meno di
cibo può estendersi per un chilometro di raggio o molto di più.
Il corteggiamento, come per tutti i falchi d'alto volo, avviene a grandi
altezze ed è fatto di giri, picchiate, improvvise risalite che
si concludono con la sosta sulla cima di un albero per permettere l'accoppiamento.
Il Nibbio Reale non costruisce un proprio nido ma utilizza quello abbandonato
da un qualsiasi uccello di una certa dimensione. Ambedue i componenti
la coppia lavorano alla sua riparazione o ristrutturazione nelle prime
ore del mattino o verso sera quando la temperatura è più
fresca. Le uova, generalmente due, deposte spesso a distanza di molti
giorni l'una dall'altra, non si schiudono simultaneamente e quindi è
possibile osservare dei piccoli molto diversi fra loro per mole e stadio
del piumaggio. Questa particolare situazione fa sì che i giovani
Nibbi rimangano a lungo nel nido: la loro permanenza infatti si protrae
per circa due mesi, dato che il più grande aspetta il più
piccolo. Ormai maturi, non abbandonano ancora l'albero su cui sono nati
perché sanno che in caso di bisogno i genitori sono pronti a
correre in loro aiuto.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI
La specie in questi ultimi anni è progredita adattandosi meglio
di altri rapaci alle mutate condizioni ambientali.
Numero dei nidi occupati nei vari anni:
1976 |
1977 |
1978 |
1979 |
8 |
8 |
6 |
9 |
Distanza dei nidi
fra loro: minima km 3; massima km 4, Distribuzione dei nidi per ambiente:
boschi di alto fusto. Aree di nidificazione conosciute 29. Numero delle
aree occupate: 13; nidi su ceduo: 10; alto fusto 3, di cui 2 su castagno. Numero delle covate in media all'anno: 8; uova deposte in ogni nido
2; dove è presente anche il terzo uovo è nella quasi totalità
infecondo.
Giovani involati nel '76, 14; nel '77, 13; nel '78, 12; nel '79, 15.
Altezza dei nidi molto variabile da 3 m a 15 m, Esposizione dei boschi:
9 verso Est; 4 verso Sud.
BIANCONE. CIRCAETUS G. GALLICUS Biancone
Questa splendida aquila è presente nella campagna brulla e disabitata
dei Monti della Tolfa con poche coppie nidificanti. E' un animale tipicamente
estivo e contrariamente agli altri rapaci che se ne stanno nascosti
nel bosco, è possibile vederlo volare nelle prime ore del pomeriggio.
Dal momento che gli animali non fanno niente senza un motivo preciso
questo comportamento è spiegabile col fatto che le sue prede
usuali sono i rettili e questi per muoversi aspettano le ore più
calde. Ha un volo maestoso ma pesante e spesso avvistata la preda si
libra immobile nella posizione definita « spirito santo ».
Da questa posizione piomba sulla vittima designata, la stringe fra gli
artigli e dopo averla uccisa con un preciso colpo alla nuca comincia
a divorarla sul terreno, oppure, sollevatala in alto e postosi contro
vento per restare sospeso nell'aria, consuma in questa posizione il
suo pasto. Molto belli sono i voli nuziali dei Bianconi dato che si
tratta di uccelli maestosi che rivelano in aria una insospettata agilità
ed eleganza. Anche il Biancone come i Nibbi arriva in primavera e comincia
subito a costruirsi il nido. E' questa di costruirsi il nido un'altra
caratteristica del Biancone. Inoltre, contrariamente agli altri rapaci
che nidificano sugli alberi e preferiscono porre il nido presso il tronco
principale, il Biancone lo costruisce sulla biforcazione di un ramo
secondario dove più folto è il fogliame e più facile
è la sua mimetizzazione. Mentre i nidi degli altri rapaci si
sviluppano in senso orizzontale, questo invece, in verticale; mentre
quelli presentano all'esterno stecchi rudemente intrecciati, questo
è rivestito di foglie che fino a quando si mantengono verdi lo
rendono invisibile dal basso. Peccato che poi si seccano ed allora la
mimetizzazione scompare. Terminata la costruzione del nido la femmina
depone generalmente un uovo dal quale non si separa mai anche se si
cerca di spaventarla battendo le mani. In questo periodo è alimentata
dal maschio. Il piccolo viene nutrito i primi tempi con lucertole e
orbettini, poi con prede via via più grandi. Certa propaganda
ha descritto il Biancone come grande mangiatore di vipere, affermazione
che io contesto sulla base di mie esperienze personali, osservazioni
e riflessioni.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
La popolazione di Bianconi è sempre stata molto esigua probabilmente
perché ogni coppia ha bisogno di molto spazio a disposizione
per reperire i rettili di cui è composta il 90% della sua alimentazione.
Il fatto stesso che allevi un solo piccolo è molto eloquente.
Le aree occupate dal Biancone a me note sono 5 (Felcetello, Poggio Ombricolo,
Ripa majale, Monte Janna, Stigliano).
Il numero dei nidi occupati per la nidificazione nei vari anni:
1976 |
1977 |
1978 |
1979 |
3 |
3 |
3 |
2 |
Distanza dei nidi
fra loro: minima Km 2,5; massima Km 3. Distribuzione dei nidi per ambiente:
boschi a ceduo. Nel 1979 arrivo il 31-3: osservazioni presso i nidi
per tutto il periodo della riproduzione: 23-5, 25-5, 12-6, 11-7, 12-7.
Aree di nidificazione conosciute: 5. Nidi su
ceduo: 2, alto fusto: 3.
Numero delle covate in media all'anno 3; uova deposte in ogni nido 1,
se 2 il secondo non è fecondo; giovani involati nel 76, 3; nel
'77, 3; nel '78, 3; nel '79, 2. Altezza dei nidi 10-15 m. Esposizione
dei boschi Sud.
SPARVIERO. ACCIPITER N. NISUS (L) Sparviero
Questo rapace mal si presta ad essere osservato con il binocolo o in
incontri fortuiti perché il suo regno è il bosco ed il
suo volo velocissimo e sempre nascosto dai rami degli alberi. Molto
accentuato, tra maschio e femmina è il dimorfismo sessuale: la
femmina è infatti quasi il doppio di statura del maschio e presenta
una colorazione grigia omogenea mentre il maschio ha le parti inferiori
rossicce. Nel bosco resta in agguato pronto ad avventarsi sulla prima
cosa che gli capita a tiro sia essa un uccello, un insetto o un topo.
Molto spesso si apposta vicino all'acqua dove sa che gli animali debbono
recarsi a bere. Catturata la preda, la divora sul posto oppure la trasporta
su un albero dove, messosi al sicuro, con le spalle contro il tronco
principale, dà inizio al pasto. Nidifica sugli alberi in un nido
abbandonato da corvidi dove la femmina depone quattro o cinque uova
che cova per poco più di un mese. I piccoli appena nati sono
già aggressivi e se si sentono in pericolo assumono la posizione
di difesa che consiste nel rigirarsi sul dorso presentando al disturbatore
gli artigli e il becco in posizione minacciosa. La madre nelle vicinanze
del nido è molto aggressiva e cerca di tener lontani gli intrusi
lanciando acuti e rapidi richiami e volando velocissima a pochi metri
di distanza. L'unico segno certo della sua presenza nel bosco è
dato dal suo richiamo alto e ripetuto udibile in primavera e nei pressi
del nido. La sua temerarietà nell'attaccare, anche se a distanza,
l'uomo, si ritorce a suo danno in quanto permette di individuare il
nido se fosse passato inosservato.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
Subentrato alle Poiane, insediandosi nelle zone un tempo abitate da
queste, ne è stato scacciato dall'uomo che ha disboscato, lottizzato
e costruito strade. Oggi la sua area di nidificazione si è molto
ristretta e ciò non consente alla specie di espandersi. L'arrivo
in primavera si desume dal richiamo che emette standosene nascosto nel
bosco, Nel 1979 l'ho udito la prima volta il 24-4. Abbastanza frequente
in autunno al seguito degli uccelli di passo: visto il 3-10 e il 10-10.
Conosco 10 aree occupate.
Il numero dei nidi occupati nei vari anni:
1976 |
1977 |
1978 |
1979 |
5 |
4 |
3 |
3 |
La distanza fra
i nidi è: minima Km 0,5 massima Km 7. Distribuzione dei nidi
per ambiente: alto fusto, castagneti. Nidi su ceduo: 7; su alto fusto:
3; su castagno: 3. Numero delle covate in media all'anno:
3-4; uova deposte in ogni nido, in media 4; giovani involati nel '76,
15; nel '77, 13; nel '78, 11; nel '79, 10. Altezza dei nidi 8-9 m. su
ceduo; su alto fusto 10-15 m. Esposizione dei boschi Est-Sud-Est; 1
castagneto è a Nord.
FALCO PECCHIAIOLO. PERNIS APIVORUS (L) Falco
Pecchiaiolo
Non è un rapace molto comune sui Monti della Tolfa e la sua specie
appare ancora più rara per la difficoltà che presenta
la sua identificazione in quanto è facilmente confondibile con
la Poiana. La colorazione del piumaggio e le sue dimensioni sono infatti
simili a quest'altro rapace da cui il Pecchiaiolo si diversifica per
la coda più lunga e barrata trasversalmente e la testa più
piccola. Frequenta terreni cespugliati e aperti e si lascia osservare
a lungo posato su pali della luce. Per catturare la preda corre e saltella
sul terreno inseguendo piccoli rettili e coleotteri. Il cibo principale
è costituito da api che cattura sia al volo che negli alveari
selvatici. Per la riproduzione occupa nidi in prevalenza di cornacchie
che riveste all'interno e all'esterno di foglie strappate all'albero
stesso dove è costruito. La femmina depone due uova che cova
per circa un mese. Per molti giorni dopo la nascita dei piccoli la madre
rimane ancora nel nido dove viene nutrita dal maschio; nel nido restano
dei pezzi di cera. Il Pecchiaiolo non fugge se non è minacciato
da vicino; quando lo fa, si allontana lentamente senza un grido. Durante
le ore calde del giorno, invece di starsene in una posizione dominante
preferisce posarsi su un sasso o addirittura sul terreno. Pur restando
sempre nella stessa zona, ogni anno cambia nido.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
La sua presenza sui Monti della Tolfa è scarsa e ciò è
dovuto al fatto che sono poche le zone adatte dove si possa riprodurre,
e possa trovare gli insetti che servono al suo sostentamento. In una
località particolarmente favorevole si riproducono regolarmente
due coppie con nidi molto vicini fra loro. Il numero di individui si
mantiene stazionario. Aree occupate: n. 3. Numero dei nidi occupati
nei vari anni:
1976 |
1977 |
1978 |
1979 |
2 |
2 |
2 |
2 |
Distanza fra i nidi:
minima Km 6; massima Km 8. Distribuzione dei nidi per ambiente: su querce,
in boschi di alto fusto. Nidi su quercia in alto fusto 3.
Numero delle covate in media all'anno 2; uova deposte in ogni singolo
nido 2; giovani involati nell'anno 1976, 4; nel '77, 4; nel '78, 4;
nel '79, 4. Altezza dei nidi: 1 è posto a 7-8 m gli altri 2 a
13-15 m. Esposizione dei boschi Sud-Est-Ovest.
VULTURIDI. AEGIPIIDAE
Sono uccelli di dimensioni molto grandi, con ali lunghe e coda corta;
il loro cibo è costituito in massima parte di carogne, e rifiuti
di ogni genere. Volano a lungo ad altissima quota e per questo è difficile seguirli ad occhio nudo. L'unico
Vulturide presente sui Monti della Tolfa è il Capovaccaio.
CAPOVACCAIO. NEOPHRON P. PERCNOPTERUS (L) Capovaccaio
E' il più piccolo degli avvoltoi, il suo collo non è nudo
completamente come nelle altre specie e questo lo rende inconfondibile.
Ne abbiamo notizia sin da epoca antichissima; è infatti raffigurato
nei geroglifici egizi e in bassorilievi indiani. In India è venerato
come animale sacro perché dalla morte ricava la vita ed è
presente nelle vicinanze di molti templi. Qui riceve il cibo dalle mani
degli uomini. Nelle regioni meno progredite la presenza del Capovaccaio
e degli avvoltoi in genere è indispensabile per eliminare i rifiuti
che senza questi spazzini inquinerebbero ben presto l'intero territorio.
E' riconoscibile facilmente per il colore dominante bianco, con le estremità
delle ali nere. Nei giovani la colorazione è scura. Un tempo
molto numeroso e stazionario sui Monti della Tolfa, oggi è presente
come migratore e in numero ridottissimo. Arriva a metà febbraio,
inizio di marzo, e raggiunge i luoghi consueti che sono terreni aperti,
non lavorati, e popolati da bestiame brado che fornisce involontariamente
la quasi totalità del nutrimento a questo Vulturide. Il Capovaccaio,
infatti, si nutre di animali morti e nel periodo primaverile estivo
è molto facile che una bestia muoia di parto, oppure muoia il
piccolo appena nato. In mancanza di questi si nutre di placente o sterco
addirittura. Nella tarda estate è facile osservarlo presso qualche
fontanile dove trova abbondanza di rifiuti per la maggior concentrazione
di bestiame e dove si disseta nelle ore più calde. Se un animale
muore, le prime ad accorgersi di ciò sono le Volpi che cominciano
a farsi strada nella carogna cominciando dalla apertura anale fino a
praticare un largo foro nell'addome da dove estraggono i visceri. A
giorno fatto, le volpi abbandonano momentaneamente la preda per ritornarvi
nel pomeriggio, e il loro posto viene preso dalle Cornacchie. Quando
anche le cornacchie se ne sono andate ed è quasi mezzogiorno,
arrivano i Nibbi e con essi il Capovaccaio. Contrariamente a molti altri
animali il Capovaccaio è più attivo durante le ore calde.
Si solleva dalla carogna che sono le tre pomeridiane e dopo essersi
dissetato riprende a volare coprendo distanze grandissime. Mentre è
intento a mangiare si lascia facilmente avvicinare — fino a una
distanza di trenta metri: su una cavalla morta lo ho osservato per cinque
giorni di seguito. Il nido è sempre lo stesso, utilizzato per
moltissimi anni finché una causa esterna non ne provoca l'abbandono.
Gli ultimi due nidi occupati nella nostra zona si trovano (tutti e due)
su pareti a strapiombo, mentre non c'è traccia di nidificazione
sugli alberi. La coppia sorvola a lungo il nido prescelto compiendo
varie evoluzioni specialmente al tramonto. L'accoppiamento avviene su
una roccia o sul terreno. Il nido viene rivestito di stecchi e lana
raccolta presso gli ovili o in qualche passaggio obbligato del gregge,
dove essa rimane attaccata ai fili spinati o ai cespugli più
bassi. In un nido da me visitato dopo l'abbandono della cova, ho rinvenuto
anche molte pelli di volpe. Come abbia fatto a procurarsele non mi è
chiaro. Le ipotesi che possono essere fatte sono tre: 1) ha catturato
le volpi lui stesso; 2) le ha trovate già morte, avvelenate,
ma in questo caso non sarebbe sopravvissuto; 3) ha aspettato che altri
animali ne mangiassero la carne e ha preso per sé la pelle. Tutto
invece sarebbe più chiaro se si provasse che le volpi uccise
con la stricnina non sono letali per i rapaci che ne mangiano la carne.
Il Capovaccaio depone una o due uova che cova per quaranta giorni. I
giovani impiegano quasi cinque anni per arrivare a completo sviluppo
ed assumere la colorazione bianca degli adulti.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE NEL CORSO DEGLI ANNI.
Occupa ancora quattro zone distinte dei Monti della Tolfa, ma sfortunatamente
con individui singoli, che conducono esistenze separate e si precludono
così ogni possibilità di riprodursi. L'ultima nidificazione
portata a termine risale al 1969-1970. Nel 1971 erano presenti soltanto
tre individui adulti. Una coppia si è riprodotta ma la cova non
è giunta a termine. Nel 1972 erano presenti ancora i tre individui,
senza tracce di nidificazione. Nel 1973 sono stati avvistati due o tre
individui, sempre isolati, e così pure nel 1974-1975. Anche quest'anno
ho osservato tre individui isolati. La specie è in diminuzione
per trasformazione di ambienti.
CONSISTENZA NUMERICA, DISTRIBUZIONE SPAZIALE, PREFERENZE DI HABITAT
PER LA NIDIFICAZIONE DEI FALCONIFORMI SUI MONTI DELLA TOLFA.
Numero di nidi rinvenuti nell'arco di tempo 1965-1975. Territorio Km2'
500.
Specie: |
Nidi: |
Densità: |
Distanza
dei nidi fra loro: |
in
Km: |
GHEPPIO |
41 |
1 x 12 |
Km² Minima:
0,5 |
Massima: 5 |
NIBBIO
BRUNO |
30 |
1 x 16,6 |
Km² Minima: |
Massima: 1 |
POIANA |
29 |
1 x 17,2 |
Km² Minima:
1 |
Massima: 4,5 |
NIBBIO
REALE |
13 |
1 x 38,5 |
Km² Minima:
2-4 |
Massima: 3 |
SPARVIERO |
10 |
1 x 50 |
Km² Minima:
7 |
Massima: 0,5 |
BIANCONE |
5 |
1 x 100 |
Km² Minima:
2,5 |
Massima: 3 |
PECCHIAIOLO |
3 |
1 x 166 |
Km² Minima:6 |
Massima: 8 |
CAPOVACCAIO |
3 |
1 x 166 |
Km² Minima:
4 |
Massima: 16 |
LANARIO |
1 |
1 x 500 |
Km² Minima: |
Massima: |
Totali: |
135 |
1 x 3,7 |
Km² |
|
RAPACI
CHE SPESSO OCCUPANO LA STESSA « NICCHIA »
NIBBIO – BIANCONE POIANA – SPARVIERO POIANA –
CAPOVACCAIO NIBBIO - PECCHIAIOLO - BIANCONE POIANA - NIBBIO –
GHEPPIO LANARIO - GHEPPIO - CAPOVACCAIO GHEPPIO - SPARVIERO - NIBBIO
Queste tavole sono desunte da una carta topografica della zona dove
ho individuato e contrassegnato con colori diversi i nidi da me rinvenuti
e che non posso rendere pubblica per evidenti fini protezionistici.
Numero di nidi occupati per la riproduzione nell'anno 1976.
GHEPPIO |
25 |
1X20 |
Km² |
NIBBIO
BRUNO |
20 |
1X25 |
Km² |
POIANA |
12 |
1X41,6 |
Km² |
NIBBIO
REALE |
8 |
1X62,5 |
Km² |
SPARVIERO |
5 |
1X100 |
Km² |
BIANCONE |
3 |
1X166 |
Km² |
PECCHIAIOLO |
2 |
1X250 |
Km² |
CAPOVACCAIO |
|
1X |
Km² |
LANARIO |
1 |
1X500 |
Km² |
Totali |
76 |
1x6,5 |
|
DISTRIBUZIONE
DEI NIDI PER AMBIENTE
GHEPPIO – Nido su rocce, ruderi, casali;
NIBBIO BRUNO – Su alberi grandi, in boschi a
ceduo;
POIANA – Anche in boschi tagliati, sulle così
dette <<guide>>;
NIBBIO REALE – Boschi di alto fusto;
SPARVIERO – Alto fusto, castagneti;
BIANCONE – Boschi a ceduo;
PECCHIAIOLO – Pareti di roccia o tufo;
LANARIO – Pareti rocciose.
ALCUNE PARTICOLARITÀ SUGLI UCCELLI RAPACI:
La prima riguarda il territorio di nidificazione: se una coppia, per
un qualsiasi motivo abbandona una zona favorevole, un'altra è
pronta a sostituirla. Certi nidi vanno letteralmente a ruba. Un anno,
ad esempio, una Poiana aveva deposto le uova in un nido non molto alto
da terra, su un albero facile a scalarsi così che c'era tutto
il giorno una processione di bambini che andavano a visitarlo. Ben presto
il rapace, costretto ad involarsi in continuazione, lo ha abbandonato.
Le uova, diventate fredde, non attraevano più i visitatori che
finirono per dimenticarle. Dopo qualche tempo sono passato da quelle
parti e, con mio grande stupore mi sono accorto che il nido era nuovamente
occupato e conteneva quattro Sparvieri. Un'altra volta, una coppia di
Nibbi Bruni aveva nidificato molto in anticipo e dato che il bosco non
era ancora vestito di foglie e il nido era visibilissimo, la cova fu
disturbata e abbandonata. Dopo pochi giorni il nido era di nuovo occupato,
ma questa volta da una coppia di Nibbi Reali che portarono a termine
regolarmente la cova. Questi fatti ci inducono a pensare che gli uccelli
siano molto più numerosi di quelli che si riproducono e ciò
è dovuto al fatto che i luoghi adatti per nidificare sono pochi
e ne restano sempre meno, e quindi chi arriva prima li occupa e agli
altri non rimane altro da fare che aspettare il loro turno nel caso
che una zona favorevole venga lasciata libera. La mia stessa osservazione
l'ha fatta Bruno Massa dell'Istituto di Zoologia dell'Università
di Palermo. Egli afferma: « ... che se per un motivo viene a mancare
una coppia in una determinata zona, non tarda ad insediarsi un'altra
coppia nella stessa zona, per cui c'è da ritenere che vi sono
individui in cerca di territorio... ». (II fatto che molte specie
di uccelli non nidificano più per trasformazione o scomparsa
di habitat favorevoli non penso possa imputarsi ai cacciatori!). Lo
stesso fatto lo « notarono per la prima volta gli zoologi M. M.
Hensly e J. B. Cope, quando decisero di mantenere un boschetto sgombro
di uccelli. Non appena una coppia annunciava col canto di aver occupato
un territorio di cova, mettevano mano al fucile; ma il giorno dopo il
territorio era nuovamente colonizzato. Evidentemente esisteva in ogni
momento nei recessi del bosco una riserva di uccelli, numerosi ma condannati
al silenzio e all'astinenza sessuale; e, quando nella zona si liberava
un posto, un uccello poteva farsi sotto ad occuparlo ». (Droscher
« Il cosiddetto animale », Garzanti, pp. 96297). Tutto questo
dimostra che il numero delle coppie che si riproducono e permettono
così l'accrescimento della popolazione, è direttamente
proporzionale ai territori utili disponibili. Anche vietando la caccia
in modo assoluto, si otterrebbe un aumento della popolazione adulta,
rimanendo invariate le nascite e dopo poco tempo si finirebbe col provocare
uno smisurato aumento di popolazione con individui che sfruttano intensamente
i territori per procurarsi il cibo senza apportare niente di buono.
Un'altra caratteristica degli uccelli rapaci è quella di occupare
sempre lo stesso nido. Ci sono delle eccezioni: vengono riutilizzati
i nidi posti sulle rocce o presso il tronco principale dell'albero sul
quale sono posti. Quelli che si trovano sui rami esterni vengono cambiati
ogni anno. Una causa di ciò può essere individuata nel
fatto che i nidi posti presso il tronco sono meno esposti agli agenti
atmosferici quali pioggia e vento e quindi si conservano più
solidi e in migliore stato. La sensazione che si prova quando si scopre
un nido di falco è che esso sia facilmente individuabile: la
zona abbonda di punti di riferimento che balzano prepotentemente alla
vista. Eppure, quante ricerche, quanti appostamenti prima di arrivare
alla cova; dopo viene da domandarsi il perché non è stato
visto subito. Il rapace, forse per ritrovare più facilmente il
nido, usa dei punti di riferimento, come alberi più alti degli
altri, o con una forma particolare, pali della luce ecc. Si può
dire che il falco per far ritorno al nido segua delle frecce direzionali
solo a lui note: basta che impariamo a riconoscere questi « cartelli
indicatori » e i falchi non avranno più segreti per noi.
E' questa una mia personalissima teoria, comunque sperimentata con successo,
e che non posso esporre più diffusamente in questa sede per motivi
protezionistici. Dirò che per arrivare a ciò, ho percorso
il cammino a ritroso, trovando prima il nido e poi osservando il falco
nei suoi giri per arrivarvi. Abbiamo visto infatti in precedenza che
il rapace non punta mai direttamente sul nido, ma compie dei giri viziosi
e si posa a lungo su altri alberi, manovra questa che nelle intenzioni
del rapace serve a confondere l'osservatore e ogni altro ipotetico nemico.
Una leggenda da sfatare e quella che vuole i rapaci temibili aggressori
di chiunque si avvicini al nido e ai piccoli: di tutte le specie citate
in questo lavoro, soltanto il Gheppio, il Lanario e lo Sparviero reagiscono
con gridi e false picchiate che si concludono a distanza di quattro
o cinque metri dal disturbatore, mentre tutti gli altri rapaci fuggono
e si limitano ad osservare dall'alto. Non si è mai verificato
che un falco abbia attaccato una persona. Un'altra leggenda da sfatare
è quella relativa al Biancone mangiatore di vipere: ciò
è completamente falso e per molti motivi:
1) Se le quattro o cinque coppie di Bianconi presenti sui Monti della
Tolfa si cibassero esclusivamente di vipere, tutte quelle esistenti
sull'intero territorio non basterebbero a sfamarne una sola; quindi
mangiano altro.
2) Non essendo il Biancone immune al veleno perché dovrebbe rischiare
quotidianamente la vita? Da esperimenti fatti, risulta che sono proprio
i genitori ad insegnare ai piccoli a distinguere le vipere dalle serpi,
onde non incorrere in qualche spiacevole incidente. Dopo lunghi studi
e osservazioni condotti presso i nidi, si è giunti a stabilire
che le serpi rappresentano il novantacinque per cento delle vittime;
le lucertole il quattro per cento e i mammiferi il resto. C'è
stato qualcuno che evidentemente ha sostituito il termine serpi con
vipere per scopi che niente hanno a che fare con una disinteressata
ricerca naturalistica. Il prof. Bullini, titolare di ecologia ed etologia
all'Università di Roma, ha dichiarato che le vipere non sono
affatto in aumento, ma addirittura in lieve diminuzione e che il Biancone
non mangia vipere.
3) E' noto che il Biancone come tutti i rapaci d'alto volo caccia a
vista e per questo preferisce gli spazi aperti dove è più
facile avvistare la preda e catturarla. Ebbene, in venti anni di vita
in campagna, allo scoperto in un prato, ne ho trovate soltanto due e
nel particolare periodo della riproduzione. Le vipere fino a prova contraria,
se ne stanno nascoste in luoghi freschi e ombrosi, dentro cespugli,
sotto le pietre, sotto le cataste di legna e sono perfettamente mimetiche
e non credo che il Biancone oltre ad avere una vista acutissima possieda
pure delle antenne radar rivelatrici di vipere.
I RAPACI IN CATTIVITÀ
Ormai molte leggi regionali proteggono i rapaci e la parola nocivo è
stata tolta dall'uso comune: non è più consentito ucciderli
o detenerli vivi in voliera. Nonostante ciò può capitare
di dovere prendersi cura di un giovane falco o di un adulto ferito e
per questo ritengo utile fornire un ritratto della sua vita in cattività
e alcuni consigli per ben tenerli. L'allevamento non presenta molte
difficoltà dal momento che i rapaci sin dalla nascita sono in
grado, se posti vicino al cibo, di alimentarsi da sé. E' necessario
però che la carne sia tagliata a pezzettini in modo che ne possano
fare un sol boccone. La quantità deve essere però regolata
dall'uomo, perché i falchetti sono molto voraci e potrebbero
fare indigestione e addirittura morire se irrazionalmente alimentati.
In questo periodo mangiano di tutto e per rendere più facile
l'ingerimento del cibo è meglio che questo sia bagnato. Quando
sono piccoli è bene che i pasti siano due, uno al mattino e l'altro
la sera, poi si può arrivare ad uno solo al mattino ed infine
è consigliabile somministrare il pasto ogni due giorni. In mancanza
di prede vive, come uccelletti e piccoli mammiferi, si può somministrare
cuore di bue e colli di pollo con tutte le penne, le quali servono ai
rapaci per tenere pulito l'intestino. Ai Nibbi possono essere date anche
carogne o animali deceduti per malattia mentre ai rapaci più
delicati come Gheppi e Sparvieri questi provocano malattie e morte.
Ho avuto dei Gheppi in passato che dopo aver mangiato un coniglio morto
hanno presto manifestato strani sintomi come vomito, inappetenza, perdita
delle penne del capo e dopo breve agonia sono tutti morti. Un Nibbio
Reale e un Nibbio Bruno che stavano nella stessa voliera ed avevano
mangiato la stessa carne erano più vivi del solito. Probabilmente
i rapaci che si nutrono di carogne sono immuni da queste malattie. Sempre
a proposito del cibo, la preferenza dei rapaci che vivono in voliera
va senz'altro agli uccelli, poi ai piccoli mammiferi, al cuore di bue
ed infine ai rettili. Se il pasto è rappresentato da un serpente
aspettano molto prima di cominciare, poi, svogliatamente, cominciano
a beccuzzare la testa, l'addome da dove estraggono le interiora, infine
strappano qualche pezzetto di carne e lasciano tutto il resto. Se il
rapace in voliera è uno solo incomincia a mangiare sul terreno,
poi senza fretta afferra la carne con ambedue gli artigli e si porta
nel luogo abituale del suo pasto. Se i rapaci sono più di uno
e i pezzi di carne sono abbastanza per tutti ognuno prende la sua parte
e inizia a mangiare. Quindi il primo che finisce talvolta comincia a
molestare gli altri riuscendo spesso ad impossessarsi di una parte o
di tutta la carne rimasta loro. Per evitare di venir derubati, essi,
tengono la preda con un solo artiglio in modo che con l'altro libero
possono difendersi o fuggire sia sui rami che sul terreno. Qui usano
anche difendersi mettendosi sopra la preda con le ali e la coda aperte
nascondendola alla vista dell'avversario e facendo scudo col proprio
corpo. Se il cibo è cuore di bue il falco postosi sul suo abituale
posatoio, lo afferra con tutti e due gli artigli gravandoci sopra con
tutto il suo peso e strappando dei bocconi a colpi di becco. Se deve
mangiare un uccello, prima lo spenna parzialmente, poi affonda il becco
nelle parti molli dell'addome estraendo i visceri che mangia per primi.
La stessa cosa fa con i mammiferi. Se il cibo viene somministrato saltuariamente,
cioè non tutti i giorni, il rapace ne mangia una parte e il resto
lo nasconde anche se poi molto spesso non ricorda più di avere
fatto ciò o dimentica dove è il nascondiglio. E' indispensabile
somministrare ai nidiacei insieme alla carne del calcio puro per prevenire
il rachitismo molto frequente in animali allevati in cattività.
Nella voliera basta che ci sia un comodo posatoio e una vaschetta con
l'acqua per permettere ai falchi di fare il bagno. Essi infatti bevono
raramente ma amano fare il bagno tutti i giorni nella buona stagione.
In cattività l'ora preferita per le abluzioni è mezzogiorno,
quando cioè la temperatura è più calda. I falchi
non riconoscono la persona che si prende cura di loro se non per il
fatto che porta loro del cibo: più grande è la fame e
più sono mansueti e trattabili: è infatti su questo che
si basa l'addestramento del falconiere. Se il falco ha mangiato il giorno
prima, all'ingresso del falconiere in voliera, rimane impassibile e
immobile, limitandosi a seguire con lo sguardo le mosse di questo; se
ci si avvicina il falco fugge. Se è digiuno da due giorni, all'arrivo
del cibo comincia a dare segni di impazienza, cammina avanti e indietro
sul posatoio, emette ripetuti richiami e appena gli viene offerta la
carne si precipita a ghermirla e cerca di portarsela via; non riuscendovi,
prova più volte ma non accetta di mangiare stando sul pugno.
Inutile dire che questo comportamento varia inoltre da specie a specie.
I rapaci di minor mole sono i primi ad apprendere quello che si cerca
di insegnar loro; dei falchi che ho avuto, se dovessi fare una graduatoria
metterei al primo posto lo Sparviero, seguito dal Gheppio. quindi i
Nibbi delle due specie e ultima in assoluto metterei la Poiana che definisco
con il Savi, Falco Cappone, più cappone che falco. Il Gheppio
e lo Sparviero se molestati si pongono sul dorso e, protendendo becco
e artigli diventano inattaccabili; i Nibbi sempre volgendo il petto
al pericolo, si difendono accanitamente con colpi d'ala e di becco;
la Poiana, al solo cenno di voler alzare una mano, si appiattisce, fugge
e va a rincantucciarsi in un angolo dove si lascia prendere e sollevare
senza che manifesti reazione alcuna. In compenso però in qualcosa
eccelle: nel mangiare, essendo un uccello veramente insaziabile. Finché
i rapaci non sanno badare a se stessi ma sentono di dipendere in tutto
dall'allevatore, sono molto docili e se liberati fanno prima o poi ritorno
alla voliera, ma non appena il piumaggio è ben sviluppato, immemori
di tutto, fuggono e non fanno più ritorno. In questa loro fuga
molti trovano la morte, specialmente i grossi rapaci come Nibbi e Poiane;
qualche possibilità di sopravvivere ce l'ha il Gheppio in quanto
trova facile preda fra i passeri dovunque presenti. I falchi si adattano
facilmente alla vita in cattività perché essi, come molti
altri predatori sono pigri ed accettano volentieri il cibo che viene
loro porto e che non fanno fatica a procurarsi. La molla che li spinge
a muoversi è la fame. Se il falco non ha fame niente può
indurlo a cacciare. Tutto sommato in gabbia non si trovano male, non
si sentono alienati come scimmie, pappagalli, volpi ecc. Cosa succede
se all'improvviso decidiamo di liberarli? Ho fatto personalmente questi
esperimenti che ora illustro dettagliatamente. I primi giorni di aprile
del 1969 ho liberato un Gheppio che detenevo da alcuni anni, il quale
mi aveva impressionato favorevolmente perché nella voliera posta
in campagna riusciva a catturare insetti e lucertole. Le afferrava con
gli artigli, le portava sul suo posatoio da dove le lasciava cadere
divertendosi a riprenderle. Questo gioco, che a me sembrava un vero
e proprio allenamento alla caccia, durava qualche minuto e si concludeva
con la fuga del rettile che il falco non uccideva e tanto meno mangiava.
Alle lucertole preferiva il cuore di bue e gli uccelletti che gli procuravo.
Dopo averlo addestrato a catturare la preda e averlo abituato pian piano
alla libertà gli ho dato il via. Appena libero il Gheppio è
andato a posarsi sul tetto di un casale poco distante e lì è
rimasto per tutto il giorno a fare da zimbello ai passeri che ogni tanto
lo assalivano con grande clamore. A sera, gli ho gettato della carne
sul tetto. Il giorno seguente l'ho trovato che beccava la rete della
mia voliera nella quale era rimasto un Nibbio Bruno. La sua era una
fuga alla rovescia: una fuga dalla libertà. L'ho ripreso, rimesso
in gabbia e ho liberato al suo posto il Nibbio, anche questo preparato
ad essere indipendente. Dopo un breve volo si è posato su un
albero rimanendovi a lungo; poi, di albero in albero si è allontanato.
Il giorno dopo essendomi stata segnalata la sua presenza su una pianta
che costeggia la strada provinciale, sono andato e ho cercato di spingerlo
in un posto molto meno frequentato. Dopo una settimana era ancora nella
zona e precisamente sul tetto di un casale identico per forma e colore
dell'intonaco a quello presso il quale era stato liberato. Dopo un periodo
di libertà, non resistendo oltre alla fame, si è avvicinato
quindi al luogo che egli credeva di riconoscere e dove sapeva di trovare
ospitalità. L'ho ripreso porgendogli un pezzo di carne issato
sulla punta di un bastone. Passato un po' di tempo ho deciso di ritentare:
l'ho messo di nuovo in libertà. Questa volta il volo era più
sicuro ed il rapace è scomparso alla vista. Per alcuni giorni
non ne ho avuto notizie, poi è corsa voce in paese che alcuni
gitanti avevano avvistato un aquilotto che non sapeva volare. Si è
scatenata la caccia all'aquila ed un « signore » non ha
trovato di meglio che offrire al rapace ormai stremato una bella scarica
di legnate. In seguito a ciò l'animale ha perso un'ala: sono
stato costretto ad amputarla perché l'ho ritrovato con l'arto
quasi completamente staccato in una officina di carrozziere. In seguito
ho tolto alla voliera il tetto ma il Gheppio che era il solo che potesse
volare non ne ha approfittato per circa un mese, poi un giorno non l'ho
trovato più. Spero proprio che sia riuscito a sopravvivere. Prima
di questi fatti, ero convinto che i rapaci tenuti in gabbia e poi liberati
riuscissero a reinserirsi facilmente nel loro ambiente naturale e forte
di questa convinzione allevavo nidiacei che poi mettevo in libertà
alla fine dell'estate. Alla luce di queste esperienze mi sono ripromesso
di non allevarne più.
CONCLUSIONI
Dall'osservazione e dal confronto dei dati suddetti si possono trarre
delle conclusioni generali, in particolare è rilevabile la tendenza
ad una leggera flessione nella presenza di quasi tutte le specie nidificanti
sul territorio preso in esame. Una delle cause, come dovunque, è
l'inquinamento in particolare sulla costa mentre nelle zone interne
questo è piuttosto basso. La stessa cosa può dirsi dell'uso
di anticrittogamici e diserbanti molto comune in pianura (S. Severa,
S. Marinella, basso corso del fiume Mignone) ma non in collina dato
che gran parte del territorio non è coltivato ma utilizzato per
l'allevamento brado del bestiame. Una delle cause della scomparsa di
alcune coppie nidificanti va individuata nel taglio dei boschi: è
chiaro che il rapace il quale torna dai quartieri invernali per riprendere
possesso del suo territorio, non trovando più né il bosco,
né l'albero, né il vecchio nido, è incoraggiato
a proseguire. II taglio dei boschi oltre all'effetto primario di togliere
al falco la possibilità di nidificare, non permette il formarsi
di boschi di alto fusto che costituiscono l'habitat ideale dei rapaci.
Per meglio consentire il trasporto della legna vengono anche tracciate
strade che permettono di penetrare in luoghi prima raggiungibili solo
con ore di faticoso cammino. Accanto a queste vie di penetrazione, che
hanno una qualche giustificazione, ne sono sorte moltissime altre non
sempre motivate e necessarie. Le strade si sa attirano le macchine e
con queste arrivano i turisti della domenica che sono un altro importante
fattore di disturbo. Pochi sono gli amanti della natura e rispettosi
dell'ambiente, molti formano quella massa di chiassosi predatori, di
razziatori di castagne, frutta, legna e maialetti. Accanto a questo
tipo di turismo che definiremo transitorio, e che interessa alcuni periodi
dell'anno, ce n'è un altro più pericoloso e deleterio:
il turismo di « elite » rappresentato dai proprietari di
villette immerse nel verde e dai loro chiassosi amici. Anche la falconeria
e il collezionismo sono la causa della razzia e del commercio dei rapaci
vivi o naturalizzati con grave danno per tutte le specie e in particolar
modo per quelle più rare. La caccia, che comunque è chiusa
durante tutto il periodo della riproduzione, è un altro fattore
di disturbo per i falconiformi in migrazione.
RIASSUNTO
L'Autore espone i risultati di ricerche personali compiute, dal 1965
al 1980, nel comprensorio dei Monti della Tolfa (Alto Lazio), sui Falconiformi
(Falconidae Accipitridae, Aegipiidae). Vengono forniti dati particolari
per le varie specie osservate, riferite con dettagli ad iniziare dal
1976: per le specie nidificanti sono riportate le aree di nidificazione
occupate nei diversi anni, il numero dei nidi, la distanza dei nidi
fra loro, la distribuzione per ambiente. Note ecologiche e etologiche
da osservazioni da campo completano il lavoro.
SUMMARY
The author, using the results of his persona! research, aims at outlining
a short survey of the birds of prey (Falconidae, Accipitridae, Aegipiidae)
he has been studying for fifteen years (1965-1980) on the « Monti
della Tolfa ». He mentions every nesting species giving information
concerning particularly the areas chosen by each bird to build nests
during the aforesaid period, the generally decreasing number of the
nests he could find in each area every year, the distance of each nest
from the others, their habitat and arrangement. The article includes
also personal remarks about the behaviour of the above named birds and
ecological notes as the author tries to point out the reasons why a
species is now rare and absent while another one is still present and
numerous in the observed area.
P. Franchi: Via dei Castagni, 8 00059 Tolfa
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