LA
MADONNA DELLA SUGHERA
A CURA
DEL CIRCOLO DI CULTURA DI TOLFA
PUBBLICAZIONI
DEL CIRCOLO DI CULTURA DI TOLFA
N. 1
AL CADERE di una giornata tragica, il 15 marzo del 1799 — la più luttuosa data della storia di Tolfa — una lunga colonna di truppe francesi si allontanava dalla chiesa e dal convento della Sughera dirigendosi verso Civitavecchia. Il paese, saccheggiato, pressoché deserto, fumava qua e là degli incendi appiccati il dì innanzi dai soldati per favorire, contro l'accanita resistenza, l'occupazione casa per casa; alle loro spalle le milizie lasciavano la chiesa devastata e, negli spiazzi antistanti, un centinaio di cadaveri immersi nel loro sangue: le vittime della repressione che spietatamente aveva soffocato l'« insorgenza» tolfetana.
Nel profanato santuario non c'era più sull'altare maggiore la tavola famosa raffigurante la Vergine col Bambino. Vi era rimasta ininterrottamente per tre secoli; ora il sacro edificio ne era stato spogliato dallo straniero invasore.
Vari anni dopo un'altra immagine fu messa al suo posto. Del perduto originale non s'ebbe più notizia.
Del quadro esisteva però una vetusta copia: una tela eseguita nel Cinquecento, quindi riproduzione fedele, tratta dal vero. Rintracciatala, se ne è ottenuta la destinazione in via definitiva alla chiesa della Sughera; ed oggi a questa chiesa la porta il popolo di Tolfa, immutabilmente fedele, con l'unanime tributo d'ossequio di un corteggio filiale. Non è la sacra tavola originaria che secondo la pia tradizione i due cacciatori rinvennero nel 1501 sopra un albero di sughero; ma è pur sempre quello stesso volto, quella stessa dolce materna figura.
Narra l'antica cronaca che in quell'anno lontano, avvenuto lo straordinario ritrovamento, il clero e l'intero popolo portarono processionalmente la prodigiosa effigie di Maria — che avrebbe preso nome dal sughero — ad una chiesa del paese, col proposito, che non ebbe séguito, di colà conservarla. Dopo tanto volger di tempo, con analoga festa di fede, percorrendo il cammino inverso, il popolo di Tolfa onora oggi —come i suoi padri antichi — la Madonna della Sughera riportandone l'immagine alla chiesa eretta per Lei, ov'è l'artistico tabernacolo nella quale la si volle accolta; e con felice coincidenza, questo avviene nell'anno che il Sommo Pontefice ha voluto dedicare alla glorificazione della Madre di Dio: l'anno Mariano.
Le pagine che seguono costituiscono una breve notizia riassuntiva sulla tradizione relativa alla Madonna della Sughera, sulla chiesa, sulla venerata icone che ora permanentemente vi si colloca. Non m'è parso il caso di appesantirle con discussioni o richiami eruditi; sono brevi pagine le quali altro intento non hanno se non quello di contribuire a tener viva nel popolo di Tolfa sia la memoria di tradizioni lontane che ebbero parte notevole nella vita religiosa dei suoi maggiori, sia la conoscenza dei pregi storici e artistici di una chiesa plurisecolare. Possano. questi momenti di storia rivissuta, questa pia comunione di spiriti dei nepoti con gli avi, rendere più consapevole e pieno l'omaggio, più commossa e fidente la preghiera alla "Tuttasanta" umile ed alta più che creatura.
Ottobre 1954
OTTORINO MORRA
I
IL RINVENIMENTO
DELLA SACRA IMMAGINE
LA PIA tradizione dell'episodio al quale è legata l'origine della chiesa della Madonna della Sughera veniva narrata per le stampe la prima volta, a quanto sappiamo, in un opuscolo pubblicato dai Padri Agostiniani, custodi della chiesa, nel 1721 (1); Ragguaglio dell'invenzione della Sacra Immagine di Maria detta del Sughero. Seguita nella Tolfa l'anno del Signore 1501. con altre notizie de' miracoli occorsivi e della Fabbrica della Chiesa: Presentato alla Singolar Pietà Dell'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig. Prencipe Donn'Augusto Chigi. In Orvieto, appresso Livio Tosini 1721.
L'opuscolo è oggi rarissimo; ne sono noti in Roma un esemplare nella Biblioteca Vaticana e un altro nella Biblioteca Casanatense; una copia dattiloscritta è posseduta dalla biblioteca del Circolo di Cultura di Tolfa. Per più ampie notizie della chiesa, fino ai giorni nostri, v. F. M. MIGNANTI, Santuari della regione di Tolfa, a cura di O. Morra, Roma, 1936.sarà gradito ai tolfetani riudirla nella semplice forma di quello scritto.
« E' la Tolfa una Terra di buon nome nel Patrimonio di San Pietro — così il nostro opuscolo, dopo generiche parole introduttive sull'utilità del culto delle immagini sacre — immediatamente suggetta al Dominio Ecclesiastico, che ne riscuote annualmente ben pingue tributo, per le celebri miniere di Allume, che la arricchiscono. E' distante da Roma circa trenta miglia, non lungi dal Porto di Civitavecchia, benchè sollevata sopra di esso da più monti, fa precisamente
invidiarsi la salubrità del clima. Quivi dunque nell'anno di nostra salute 1501, e decimo del Pontificato di Alessandro VI, fu trovata la sudetta Immagine per un felice, e mirabile incontro : mirabile invero, perché occorso non senza special providenza del Cielo. Nel primo giorno di Novembre festa d'Ognissanti furon da improvisa voglia chiamati al divertimento della caccia i due principali della Terra Costantino Celli, e Bernardino Roso. Chi crederà naturale l'impulso in un giorno così solenne, solito a santificarsi interamente anche da i meno timorati di Dio, non che da persone esemplari, com'esser sogliono quelle di prima figura nella lor Patria? Ma eran'Eglino chiamati a preda molto diversa dalle solite. Arrendendosi perciò a quell'occulto stimolo, provveduti di archibusi, e di cani con innocente irriverenza uscirono ben per tempo alla caccia.
«Scorsero per varj posti, seguirono ansiosamente diverse traccie, ma tutte indarno, onde, stanchi già per l'affrettato cammino, rivolsero i passi verso la Tolfa, tornandosene senza cacciagione alcuna: quando i cani, per naturale avidità soliti a precorrere i cacciatori, innoltratisi nella Selva più vicina al paese detta Mazziana, fecero sentirsi con inusitato strepito abbajare a fermo: da che chiamati i padroni corsero come all'incontro di smisurato Cinghiale, che per qualche accidente si fosse colà avvanzato. I cani però fattisi ritrovare uniti in una positura anche insolita, cogli sguardi fissi in un albero di sughero fecero avvisati i Cacciatori di una Immagine dipinta in un Quadro, che nel mezzo di detta pianta come in trono risedeva. Dove appressatisi Costantino e Bernardino scuopriron con istupore, ch'ella era un'effigie di Maria nostra Signora, con in braccio il suo Divin Bambino, di un'aria tanto soave, bella, e veneranda, che li fè immantinente sospettare di cosa miracolosa. Venne poi subito loro in mente il solletico avuto alla caccia in un dì tanto solenne. Notarono il sito, ch'era poco distante dalla publica strada, di continuo praticato, senza esservi mai stata osservata Immagin veruna, consideraron lo strano abbaiamento de i cani, e i loro maravigliosi cenni verso del Quadro; indi mirando, e rimirando i divoti Signori quei Sacri sembianti, avrebbon giurato fosser'opra celeste. Ma non potendo più reggere i loro cuori alla tenerezza del giubbilo, si gittarono allora inginocchione; con molte lagrime, e sentimenti di umiltà, chiamandosi indegni d'esser favoriti i primi, veneraron con tutto lo spirito la lor Madre Maria in quel trono selvaggio, in cui le piacque farsi da essi trovare.
« Avrebbe induggiato assai più la loro divozione a piè di quell'albero, se l'ansietà di pubblicare a tutto '1 paese la nuova del prezioso acquisto, sù cui non ardiron di metter mani, non li avesse spinti velocemente alla Tolfa. Giunti però in un tratto all'abitato n'empirono ad alta voce la contrada, con invitar tutti ad accorrere, e venerare ciò, che di anzi nella selva era stato da essi scoperto; indicando quel di più la commozione de' cuori di ambedue, che rendeva lor malagevole il favellare. Non vi volle altro per mettere in piacevole scompiglio quei buoni abitatori, che corsero a folla come ognun si trovava al mentovato sito, di modo che spopolossi il paese. Vi si erano raunati uomini, donne, vecchi, giovani, putti: e quivi a piene voci di gioja con amorevoli saluti, e ringraziamenti andavan facendosi le prime accoglienze all'Imperatrice del Cielo.
In quelle comuni dimostranze di giubbilo stava più profondamente tra se considerando la cosa Donn'Ascanio Astori, che nel prefato tempo aveva la cura di tutte quelle anime: onde ben'apprendendola per una Grazia di sommo rilievo, qualor fosse stata con sante disposizioni ricevuta dal suo Popolo; scorgendolo quivi opportunamente intenerito, e compunto lo sopravvenne con quattro Pastorali parole.
« Bisogna, dissegli, o Popolo mio ben intendere il Cielo, che favorisce. Non dubito già siavi alcuno frà voi, che attribuisca al caso l'incontro de' nostri avventurosi cacciatori: hanno troppo del misterioso le circostanze per crederlo naturale. E se ancor senza queste vogliam ravvisarvi prodigio, contempliamo que' due Volti, fissiamoci in quelle sembianze, che destano segretamente ne' nostri cuori un caldo di non mai più intesa pietà. Non basta nondimeno il riceviamo come miracolo; convien distinguerne, ed apprezzarne le conseguenze. lo per me dico, che nel giorno d'oggi si è trovata la felicità di questo Paese [ . . . ]
« Fortunati noì! Mà per accoglier con la dovuta prontezza un beneficio sì segnalato è necessario pensar subito al luogo, ove debbasi trasferire l'Immagine, acciò resti tra noi in perpetua adorazione. A me par molto propria la vicina Chiesa, che chiamiamo della Misericordia, sì per ragion della vicinanza, come per esser disoccupata da altra 0ffiziatura; e più poi in riguardo al Titolo, che sembra messovi a posta per esser Tempio di Maria, che di Misericordia è Madre. Dimane sia il giorno del Di lei trasporto, per cui basta ci apparecchiamo con pompa tutta di Spirito. Pure per quello comporta la mediocrità del nostro Paese, intendo si raguni per l'ora del Vespero una la più solenne Processione, colla quale ci porteremo, tutti in questo luogo per degnamente condurre con esso noi l'amorosissima nostra Signora e con altre religiose esortazioni D. Ascanio Astori concludeva il suo dire.
Giova qui rammentare che la chiesa della Misericordia era nel luogo dell'attuale giardino comunale, e corrispondeva all'edificio ora adibito a cinematografo; fino a qualche decennio fa se ne vedeva ancora la piccola abside, così come, anche di fronte all'aspetto che la fabbrica ha presentemente, è facile ricostruire coll'immaginazione la facciata nella parete volta a nord ovest conservante superstite il segno del rosone. Era una chiesa campestre, isolata (il vicino palazzo del Municipio è della metà dell'Ottocento); il piccolo paese era ancora chiuso in massima parte entro le mura fatte costruire dai fratelli Lodovico e Pietro Frangipani alcuni decenni prima (2) GASPARIS VERONENSIS De gestis tempore Pontificis Maximi Pauli secundi. (Rer. It. Script., t. III, parte XVI. Le vite di Paolo II, di Gaspare da Verona e Michele Canensi, a cura di G. ZIPPEL, 1904). Lib. IV, pag. 52: e Ad Tulfam iam eundum est, ubi dominantur optimi viri Ludovicus et Petrus eius loci moenium auctores... ». Bibl. Vatic., Cod. Urb., n. 813, p. 486. e delle quali un'ala sussiste tuttora.
Segue l'opuscolo: « Fece il ragionamento del zelante Rettore, che pe'l vegnente giorno si portasse il Popolo processionalmente, e tutto disposto per una funzione sì divota al Sacro Sughero; donde calato il quadro per mano de' Sacerdoti, fù con indicibil compunzione di ogni cuore condotto sotto 'l baldacchino alla già preparata Chiesa della Misericordia. Quivi decentemente riposto sù 'l primo Altare, cantossi il Vespero, e ricevette la Vergine tutto quel dì le pubbliche adorazioni di quelle Genti, che non vedevansi sazie d'indugiare alla Dilei presenza. Ma finalmente collo spirar del giorno fù licenziato ciascuno, e serrata con tutta sicurezza la Chiesa.
« Restituironsi soprammodo contenti alle loro case i Tolfetani; ma non rimase già contenta Maria, a cui restarà di operare un miracolo evidentissimo col quale venissero a porsi in chiaro gli antecedenti che pur da taluno potean credersi avvenimenti del caso. La mattina susseguente dunque portossi di buon'ora un Sacerdote seguitato da parecchie altre persone alla Misericordia per aprir la Chiesa, e celebrarvi la prima Messa; dov'entrato, e dirizzati gli sguardi per salutare la Vergine, si avide con esso gli altri, che 'l Quadro mancava. Sorpresi tutti da un'eccessiva confusione non seppero convenire ne i loro timorosi giudizi. Altri pensarono a sacrilego furto, dall'invidia più tosto, che dall'avarizia eseguito. Altri arrivando al miracolo, ma non al fine, appresero, che si fosse in qualche rilevante punto dispiaciuto a Maria del Dilei ricevimento, e che avesse perciò Ella da se lasciato l'odioso soggiorno di quel paese condannato a perder le sue fortune quando appena le avea ricevute, per non averle poi sapute ricevere. Intrattanto divulgatosi per la Tolfa l'infausto romore di simil perdita, varj ancor quivi furono i sospetti, ma medesime in tutti le afflizioni, le lagrime [...]
« Frà tanti però, che così si lagnavano non mancovvi chi forse dalla Vergine ispirato colpì il segno delle Dilei intenzioni; onde in mezzo a quei teneri lamenti si udì più di uno, che disse, Andiamo un poco di nuovo alla Selva, a riveder nel Sughero la prima Dilei residenza: chi sà fosse mai colassù tornata Maria, perché ivi più le piacesse restare. In fatti portativisi prestamente alcuni, trovarono (bel prodigio!) che si era il Quadro miracolosamente nel primiero luogo ristituito. Allora si accertò ognuno, fosse piacer di Maria, che la sua Immagine non altrove venisse adorata, che in quella Selva, sopra quel Sughero ben fortunato ».
II
LA CHIESA
ERA allora affittuario delle vicine miniere di allume Agostino Chigi, il « gran mercante cristiano ». Con generoso ed illuminato mecenatismo egli si assunse il compito di edificare sul luogo del sughero un santuario.
« Consapevole di tutti i narrati avvenimenti — così il nostro Ragguaglio — spedì ordini a suoi Operarj, che in quel mentre senza muover punto l'Immagine dal proprio sito, se le facesse da intorno con tavole una Cappella apposticcio, per cui ottenn'Egli subito la concessione per poter celebrarvi la Santa Messa, facendo intanto preparar li materiali necessarj per la fabbrica della Chiesa.
« Indi a temp'opportuno, col disegno, e coll'assistenza di buoni architetti si diè mano al lavoro, e fù a spese di quel magnanimo Benefattore alzato una Tribuna di giro; palmi trecento trè, vagamente ripartita in angoli, distinti al di dentro con pilastri e cornicione di pietra lavorata, che van poi a finir in una ben intesa Cupola, da cui prende garbo, e Maestà l'Edificio. Nel prospetto di questo fù drizzato similmente di pietre l'Altare, abbellito con intagli, e figurine di basso rilievo della maniera di que' tempi: e venne finalmente iv'entro rinchiusa la pianta del Sughero con sopra quella prodigiosa Effigie di Maria, e suo Santissimo Figliuolo. Montò la spesa fino a cinquemila trecentotredici scudi. Ma quasi non bastando alla generosità di quel grand'animo, volle Agostino si ricuoprisse di lastra di piombo la Cupola, che lavorato in Tivoli ascese col trasporto alla somma di altri dumilaottocenquattordici scudi; restando in tal forma perfezzionato il lavoro di detta Tribuna, la qual compariva una Chiesa quasi rotonda ; e le fu dato il titolo di Madonna della Sughera, c'hà poi ritenuto per sempre ».
Agostino Chigi
(Da G.Gugnoni " Agostino Chigi il Magnifico" Roma 1878)
I lavori della costruzione della chiesa, cui si volle fosse annesso un convento, si protrassero per vari anni; quando, l'11 aprile 1520, il Chigi morì, l'opera non era ancora compiuta, tanto che nel suo testamento v'è la disposizione ch'essa fosse ultimata. Due lapidi latine, del 1523, ricordano il Chigi e la sua opera. La macchina d'altare, egregiamente scolpita a « grottesche », e nella quale è incorporato l'albero su cui la sacra tavola era stata rinvenuta, reca la data del 1524.
Già fin dal 1506, peraltro, aveva preso stanza presso la devota immagine un religioso dell'ordine eremitano di Sant'Agostino, chiamato dal non lontano Eremo della Trinità. E quando il convento fu in grado di accogliere una comunità, altri confratelli si aggiunsero. Nell'aprile del 1522 il convento annoverava, come risulta da un documento coevo, cinque o sei religiosi sacerdoti.
* * *
La chiesa costruita secondo il primitivo progetto — « la qual compariva una chiesa quasi rotonda » — consisteva in quello che è ora chiamato comunemente il « cappellone »; ben presto però essa si rivelò insufficiente ai bisogni del culto. La fama della Madonna della Sughera si era grandemente estesa; il santuario è, in un vecchio scritto, dichiarato celeberrimo: Beatae Virginis templum quod de Subere dicitur, summa non solum finitimorum, sed exterorum religione miraculorumque fama celeberrimum (3). Bibl. Vatic., Cod. Urb., n. 813, p. 486.
Si pensò pertanto di dare ad esso più vaste proporzioni costruendo un'aula che continuasse il cappellone; alla spesa necessaria si sopperì, in parte, col denaro ricavato dalla vendita del piombo che era stato posto, come s'è visto, a copertura della cupola, e che si era poi dovuto togliere perché il soverchio peso comprometteva la stabilità della fabbrica.
Ne risultò una chiesa nella quale, oltre all'altare principale, se ne avevano altri dieci: quattro alla parete di destra e quattro in quella di sinistra, oltre a due di fronte all'ingresso, prossimi all'apertura che metteva in comunicazione il nuovo edificio con quello costruito in precedenza. La navata non aveva soffitto o vòlta : era a tetto.
Una particolarità che va ricordata è che il tabernacolo con l'altar maggiore non era isolato come appare ora: era invece unito alle pareti di destra e di sinistra da due ali di muro, nelle quali si aprivano due porte che immettevano la prima al coro e alla sagrestia, la seconda all'organo. Su queste ali di muro si ammiravano otto affreschi, in altrettanti riquadri, nei quali erano riprodotte varie scene del rinvenimento dell'Immagine e delle sue successive straordinarie vicende, e due miracoli di cui la pietà popolare andava riconoscente alla Madonna della Sughera. Tali pitture dovevano essere non prive di pregio se Fabio Chigi — il futuro papa Alessandro VII — raccogliendo le memorie della sua famiglia, nel parlare della chiesa della Sughera, la diceva (alludendo anche al tabernacolo scolpito): « sacellum... egregie pictum sculptumque » (4). Cfr. MIGNANTI. cit.
Presso la chiesa si formò canonicamente una confraternita, col titolo della Beatissima Vergine, S. Agostino e S. Monica (successivamente incorporata nell'altra detta dell'Umiltà e Misericordia, tuttora esistente), la quale aveva un proprio oratorio attiguo alla chiesa verso mezzogiorno, ov'è oggi il cimitero.
Una cappella, dedicata a S. Giobbe, era di patronato del Comune di Tolfa, ed era decorata di affreschi; pure decorata di buone pitture era quella dedicata a S. Antonio Abate (la terza a destra della chiesa attuale, dedicata a S. Nicolò da Tolentino). Quest'ultima è degna di speciale menzione per essere stata costruita a cura dei « cavaroli » d'allume ed essere stata per essi eretta in parrocchia nel 1574 (restando però sempre il loro fonte battesimale nella parrocchia madre di S. Egidio in Tolfa); e tale rimase fino a quando nel 1752 papa Benedetto XIV non ebbe elevato al grado di parrocchia la chiesa di Maria Assunta in Allumiere, che era stata edificata circa un secolo e mezzo prima.
Centro vivo di fede, la chiesa fu visitata da Sommi Pontefici e da persone insigni per santità o per grado. La comunità religiosa vi si dovè mantenere cospicua di numero; da una specie di censimento dei conventi agostiniani eseguito nell'anno 1650 si ricava che componevano quell'anno la famiglia religiosa di stanza alla Sughera sette sacerdoti, un chierico diacono, tre laici professi.
* * *
Sulla fine del '700 si abbattè sulla chiesa un colpo di bufera.
Nel 1798 le milizie francesi occupavano gli Stati Pontifici; la dominazione straniera veniva mascherata con la fondazione della Repubblica Romana. Sul finire di quell'anno, in seguito all'invasione napoletana, molti luoghi dello Stato scossero il giogo, ma fu illusione di breve durata, ben presto avendo i francesi riaffermato il loro dominio. Persisté per qualche mese nella ribellione il paese di Tolfa, e il comando francese dispose una spedizione militare al fine di riassoggettarlo. La lotta fu accanita e sanguinosa; il paese venne incendiato e saccheggiato (14 marzo 1799). Fu nel convento della Sughera che il generale comandante le truppe francesi pose il proprio quartiere; e fu la chiesa a ricevere come prigionieri gli insorti che erano stati catturati e coloro che, creduli ad un ingannevole bando del vincitore, si recavano al quartiere a deporre le armi di cui erano in possesso. Il giorno successivo alla battaglia tutti questi prigionieri furono fucilati nelle adiacenze della chiesa (5). Per maggiori particolari v.: O MORRA, L'insorgenza antifrancese di Tolfa durante la Repubblica Romana del 1798-1799, Roma, 1942.
Quel giorno segnò per la chiesa della Sughera la sventura somma, perché, oltre ai molti danni subìti, essa fu depredata della sacra Immagine che ne costituiva il pregio maggiore. Quali fossero poi le condizioni nelle quali si ridusse in quella circostanza la chiesa, si intravvede da un esposto che, un anno dopo, gli Agostiniani tornati al convento indirizzavano al Vicario Generale del loro Ordine e nel quale facevano presente come fossero rimasti « quasi ignudi e privi di ogni sussidio », e come la sacrestia fosse « affatto priva di suppellettili » e « la Chiesa distrutta, a riserva del solo Altare Maggiore, malacconcio con stracci presi ad imprestito per poter celebrare» (6). Ibid., pp. 110-111.
In seguito, tornati più normali tempi, l'Ordine agostiniano decise un radicale rifacimento della chiesa, che, salvo il cappellone, fu rinnovata dalle fondamenta. Da una lapide che si vede nel pavimento appare che i lavori erano ancora in corso nel 1817. Ne derivò l'aspetto che l'edificio ha presentemente: una navata unica con tre cappelle a destra e tre a sinistra, comunicanti. Purtroppo si distrussero, durante tal rinnovamento, gli affreschi sia del cappellone, sia delle due cappelle di S. Giobbe e di S. Antonio Abate.
La chiesa si presenta armonica di linee e di struttura ; ha due pregevoli tele di Pietro Gagliardi (La Vergine con S. Agostino e S. Monica e S. Tommaso da Villanova) e una Santa Rita di Alessandro Capalti.
Dei tempi più a noi vicini è da rammentare la scomparsa dall'edificio conventuale della comunità religiosa a seguito delle leggi soppressive seguite al 1870; l'ultimo sacerdote agostiniano lasciò la Sughera nel 1921. Anche successivamente, peraltro, la chiesa è stata ed è regolarmente officiata. Il Comune di Tolfa ha provveduto più volte ad effettuare i lavori resisi necessari per le ingiurie del tempo; opere di più radicale restauro, soprattutto nella facciata, furono eseguite nel 1942 mercé un contributo governativo.
III
L'EFFIGIE
DELLA MADONNA DELLA SUGHERA
NELLA chiesa della Sughera, tre immagini hanno ricordato fino ad ora ai fedeli la preziosa tavola della Madonna che nel saccheggio del 1799 fu brutalmente asportata.
La prima consiste in una incisione acquarellata, collocata presso l'ingresso a destra di chi entra. Purtroppo non è completa, perché volendosi esporla utilizzando una vecchia cornice di dimensioni diverse, fu rifilata in alto e in basso e forse anche lateralmente. La riproduzione del quadro reca superiormente questa dicitura:
L' immagine Miracolosa della Madonna Santissima della Sughera nella macchia della Tolfa Rettratta dal suo proprio naturale. suministrata dalli Reuerendi Padri Eremitani del Ordine di Santo Agostino - Romae Superior. licentia.
Sotto si vede lo stemma del cardinale Giovanni Battista Pallotta con la seguente dedica :
All'Em.mo et R.mo Sig.re et P.rone Coll.mo il Sig.r Cardinal Pallotta.
Quando V. Eminenza uenne à mettere la prima pietra nella Chiesa da fabricarsi in honore della S.ma Vergine alli P.P. Eremiti de Serui nel monte Urbano, fù dal medesimo zelo inuitata à uenerare la S.ma Imagine di Maria sempre Vergine, detta della Sughera, posta nella Chiesa de P. P. Agustiniani nella Terra della Tolfa, et hauendo uerso di quella mostrato pio, et deuoto affetto, determinai cò questi R.R. P.P. fargli la in picciol rittratto cortese offerta. Riceua il dono gràde in se stesso accòpagnato dall'humiltà de donatori, quali del còtinouo la Supplicano p. ogni suo desiderato bene. dal Conuento di S.a Maria della Sughera de P.P. Agostiniani q.o dì 25 Giug.o 1637; di V.S. Emma Humiliss. et deuotiss. Serui.
La sacra tavola era allora al suo luogo; l'artista la ritrasse, com'è scritto, « dal suo proprio naturale ».
Altra immagine è quella che sta al posto dell'originale perduto, sull'altar maggiore. Qui non si può parlare di copia, tanto è diverso l'atteggiamento delle due figure, particolarmente quello della Vergine; anche il fondo non è a ramaglia d'albero, ma a colore unito. L'autore non ebbe sott'occhio la stampa di cui s'è detto sopra, oppure fu autorizzato a trattar con ampia libertà il soggetto commessogli.
V'è infine una tela che è conservata nel vano del tabernacolo a cui si accede da una porticina posteriore, e nel quale si vede ancora il tronco dell'albero di sughero che fu in esso incorporato. In questa rappresentazione della Madonna titolare della chiesa le figure sono meno lontane dall'originale quale ci appare dall'incisione del 1637, mentre varia l'abito della Vergine. Manca anche qui il fondo a rami e foglie d'albero.
Si conosce un'altra semplice incisione in rame, priva di data (riprodotta nel presente opuscolo sulla pagina di frontespizio), ma è una semplice immagine devozionale, tratta quasi certamente da quella del 1637, e che non aggiunge elementi nuovi alla conoscenza del quadro perduto.
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Esisteva, però, un'altra copia : un quadro su tela, nel quale fu riconosciuto un giorno il volto della Vergine della Sughera e che fu esposto alla pubblica venerazione; e che poi per singolare destino fu, quale copia di tale immagine, dimenticato.
Vari anni or sono chi scrive queste note, nell'esaminare le carte ove il compianto e benemerito Alessandro Bartoli, studioso delle patrie memorie, aveva raccolto un cospicuo complesso di materiale storico su Tolfa, rinveniva una notizia relativa a questo quadro, e precisamente il sunto d'una relazione che al Bartoli era stata fornita forse dai Padri Domenicani officianti la chiesa di Santa Maria in Civitavecchia. Diceva tale relazione che un giorno del 1852 quel parroco « ebbe l'ispirazione di osservare quel quadro che ricoperto da tendina stava nel coretto annesso alla chiesa stessa. Vi andò e staccatolo da muro e nettatolo dalla polvere apparve la effigie della Madonna SS.a della Sughera ». Il quadro era malconcio e strappato. Rimesso al suo posto, ne fu tratto qualche mese dopo. quando, in occasione della festa di S. Domenico le autorità convenute in Santa Maria espressero il desiderio di vederlo, avendone udito parlare. Vi si rilevarono alcune iscrizioni.
La prima era la seguente (scritta a forma di epigrafe):
JOANES / FERRERIUS / FECIT FIER / I / DORNOVA / 550
La dicitura originaria ha forse subito qualche alterazione od obliterazione; l'enigmatica penultima riga non celerà un renovavit o qualcosa di simile?
La seconda è riprodotta, nel manoscritto, così:
A di 15 Agosto 1603 Ad.um Rev.um Patrem Fratrem Benedictum de Gajeta Civitate veteri Ordinis Predicatorum et Priorem Conventus huius obtenta et in hac Ecclesia in majori Altari posita est anno 1603 ut supra.
La trascrizione evidentemente è da ritenersi non precisa o incompleta.
Una terza iscrizione appariva sopra la precedente, ma era « per la cancellazione delle lettere non legibile ».
Ma la breve interessante relazione tace di un particolare importante: nell'angolo inferiore destro vedesi, ritratto di profilo, un uomo in atteggiamento di preghiera, con il rosario intrecciato nelle mani; non v'è dubbio che trattisi del committente, di colui che, mosso da particolare devozione, fece eseguire la copia volendovi associata l'effigie propria; e la prima delle tre iscrizioni ( dovendosi certamente alla terza riga leggersi fecit fieri) ce ne dà il nome: Giovanni Ferreri. Se, com'è da credere, l'ultima riga di essa indica la data di esecuzione, il quadro rimonterebbe esattamente a mezzo il Cinquecento; il costume del personaggio, del resto, sembra darcene conferma.
La relazione contenuta nelle carte Bartoli aggiunge che « fu consegnata l'Immagine al celebre pittore Cav. Carta per restaurarla, ciò che assai bene venne eseguito in Roma ». indi fu esposta sull'altare maggiore con solenne funzione, donde fu poi rimossa e collocata « accosto al pulpito in cornu Evangelii dell'altare di S. Caterina ».
* * *
Il quadro esisteva tuttora nella chiesa di S. Maria, come fu facile verificare, incassato entro nicchia quadrangolare in uno dei muri laterali d'una cappella di sinistra. Però s'era perduto il ricordo che si trattasse di copia della Madonna già venerata nella campestre chiesa tolfetana; ai fedeli era nota come la Madonna della Quercia, e come tale era anche indicata dallo scritto che nella monografia Civitavecchia —pubblicata a cura della « Latina Gens » nel 1932 —illustrava la chiesa madre civitavecchiese. Ma nessun dubbio poteva sussistere; nell'aureola dorata circondante il capo di Maria si leggevano distintamente le parole: La Madonna della Sughera effigie vera, come pure vi si vedevano le altre iscrizioni riprodotte nella surriferita notizia del Bartoli.
L'espressione « effigie vera » fa pensare che la dicitura dell'aureola sia stata apposta in epoca successiva al 1799, perché fosse più chiaro il pregio della tela ora che più non esisteva l'originale; probabilmente lo fu in occasione del restauro apportatovi dai Domenicani di Santa Maria nel 1852.
Una constatazione che balzava all'occhio era poi che questa copia era incompleta nella parte bassa; l'incisione del 1637 e le altre immagini mostrano infatti che nell'antica tavola il Bambino era a figura intera, poggiante i piedi su un piano orizzontale; la figura è qui invece troncata alle ginocchia. Fu volontà del commitente limitare in tal modo la riproduzione? Oppure successivamente il quadro fu tagliato per essere adattato ad un telaio o ad una nicchia preesistente? Quest'ultima ipotesi ci sembra la più probabile.
Una fotografia ne fu dallo scrivente pubblicata sul quotidiano della Città del Vaticano a corredo di un articolo rievocativo della storia della chiesa (7); VIATOR, Santuari della Tuscia. La cinquecentesca chiesa della Madonna della Sughera. L'Osservatore romano », 16 novembre 1939.
l'articolo così si conchiudeva Data l'eccellente fattura della copia, possiamo ora dire di conoscere qual'era l'originale, la tavola scomparsa nel 1799 dopo essere stata per tre secoli sull'altare della sua chiesa. E se la tavola originale non varcò i confini, e si conserva in qualche raccolta pubblica o privata, chi sa che la riproduzione che qui ora se ne fa non conduca a rintracciarne notizia, a far conoscere dove ora si trova... ». Ma la speranza espressa in queste parole non fu appagata, e sull'ubicazione attuale del quadro antico permane tuttora il mistero.
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Sopravvenne la tremenda recente guerra, della quale visibili sono ancora in Civitavecchia per tanta parte le ferite. Allorché l'offesa nemica cominciò ad avvicinarsi, il quadro del quale parliamo non fu compreso fra le opere che si ritenne opportuno togliere dalla chiesa di Santa Maria, per trasferirle a più sicura sede; così che quando i bombardamenti aerei colpirono il sacro edificio distruggendolo, esso subì la sorte di tutto ciò ch'era rimasto nella chiesa.
Ritornate a mano a mano, sulla via della faticosa ricostruzione, più normali condizioni di vita, nacque in chi scrive l'idea di rintracciare il quadro, che avrebbe potuto essere destinato — ora che la chiea di Santa Maria più non esisteva — alla pubblica venerazione nella chiesa della Sughera in Tolfa, come sua naturale sede.
E il quadro fu ritrovato, con altro materiale di recupero, nel convento dei Cappuccini. Era in uno stato miserando: una tela arrotolata e dai margini sfrangiati che, svolta, mostrava un dipinto così rovinato che sarebbe stato forse rifiutato da un rigattiere.
Ma per la cittadinanza di Tolfa esso aveva un valore particolare; la fotografia fattane a suo tempo avrebbe potuto consentire una, sia pur lenta e lunga, opera di ripristino, e la Madonna della Sughera sarebbe potuta tornare a sorridere ai fedeli in preghiera nel e stesse sembianze della sacra tavola rinvenuta nel 1501. Tutto ciò fu fatto presente alle autorità ecclesiastiche competenti; il Circolo di Cultura di Tolfa dichiarò di assumersi la cura e le spese inerenti al restauro; e venne così formalmente definito l'accordo, in base al quale la tela veniva consegnata al detto Circolo, che l'avrebbe fatta convenientemente restaurare per poi rimetterla all'autorità ecclesiastica di Tolfa, nell'intesa che sarebbe stata collocata nella chiesa della Sughera per ivi definitivamente rimanere.
Il ripristino è stato compiuto; l'immagine della Madre Celeste viene portata alla chiesa che fu eretta in suo onore dalla pietà dei nostri antenati (8). E' doveroso ricordare qui con viva gratitudine il P. Filippo Caterini, Vicario Provinciale dell'Ordine Domenicano, con il P. Bernardo M. De Alexandris, Priore del Convento di Civitavecchia, che hanno aderito alla preghiera di cessione della tela, e il rag. Fernando Cordelli che in più modi si è adoperato affinché l'iniziativa fosse realizzata.
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Un cenno, infine, sull'opera di restauro.
Essa è stata compiuta presso il Gabinetto di restauro della Soprintendenza alle Gallerie di Roma. Una prima fase del lavoro fu quella della ricomposizione e del riassetto materiale, per riportare la tela ad una superficie piana e continua. Al compimento di questa prima fase il quadro si presentava come appare dalla prima delle due fotografie che diamo qui di seguito (notare in alto e altrove dei « recuperi » eseguiti con tela, per rimediare alle deficienze più gravi). L'altra fotografia mostra il quadro qual'è oggi a restauro ultimato.
Chi confrontasse il quadro con la riproduzione pubblicatane sul giornale sopra citato nel 1939 noterebbe come qui il campo pittorico sia lievemente più ristretto; ciò è dovuto al fatto che il restauratore si è trovato, in ciascuno dei margini, di fronte ad ampliamenti che apparivano di data posteriore; la tela cioè era stata spiegata e il disegno del fogliame proseguito. Per i lati di destra e di sinistra ciò è confermato dal confronto con l'incisione del 1637 dove effettivamente il margine del quadro tocca a sinistra quasi il braccio del Bambino e a destra il gomito della Vergine; in alto invece c'è sopra il nimbo di Maria uno spazio che nella copia manca. Della riduzione nella parte bassa si è detto.
Il quadro, durante il restauro, ha mostrato di aver subìto in passato dei ritocchi (dal Carta? o anche da altre mani?). Una stella sul manto di Maria era un'aggiunta posteriore (infatti nell'incisione secentesca non appare); pure aggiunto posteriormente è, secondo il restauratore, il ramoscello che copre parzialmente il Bambino e che nel restauro si è ritenuto di far rimanere (a questo proposito si noterà che nell'incisione del 1637 analogo scopo è invece raggiunto con un pannolino che scende dal fianco), mentre la stella è stata fatta scomparire, così come non si è creduto di ripristinare la dicitura nell'aureola della Vergiine solo lasciando la debole traccia rimastavi. Delle scritte, non resta che qualche segno.
Aveva nuociuto alla tela probabilmente anche il fumo delle candele degli altari; liberata dalle ombre sovrappostesi, essa mostra ora una vivezza di colore che non appariva nel quadro quando era esposto nella chiesa di Civitavecchia. Così pure l'opera del restauratore sembra aver riportato nei volti di Maria e di Gesù, ma specialmente nel primo, una maggior chiarezza e dolcezza di espressione (9). Un caldo ringraziamento va rivolto al Soprintendente prof. Emilio Lavagnino, nonchè al prof. Rocco Ventura che ha egregiamente condotto il non facile lavoro di ripristino, con la cooperazione del sig. Decio Podio.
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Su questa dolce espressione, maternamente amorosa, dell'immagine sacra che torna ora alla sua chiesa, ci è caro, al termine di queste note, fermare l'occhio e la speranza. Affiora alla mente la lode, che è preghiera, del poeta sommo:
In te misericordia, in te pietate,
In te magnificenza, in te s'aduna
Quantunque in creatura è di bontate.
In Maria — l'eletta, la piena di grazia — la coscienza cristiana vede con l'Alighieri la sintesi delle virtù e la pietà materna sublimata alle altezze più eccelse. In un'epoca di rivolgimenti violenti e di contrasti aspri e crudeli sale a lei spontanea la preghiera: ed è invocazione di pace, è domanda di figli alla madre. Il richiamo della maternità è tale da vincere i cuori più induriti; attraverso la comune universale maternità di Maria possano gli uomini ricordarsi del legame originario che tutti li rende fratelli. |