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Dott. INNOCENZO MORETTI

L' avvenire economico dei sub­appennino Tolfetano e la ferrovia Civitavecchia Tolfa Manziana

 ROMA

STABILIMENTO TIPOGRAFICO ROMANO

Via Torre Argentina, 40

 1925

Lettera inviataci da S. E. Senatore Tommaso Tittoni in merito alla pubblicazione dell'autore.

SENATO DEL REGNO

Il Presidente                                                                       Roma, 12 Ottobre 1925

 Egregio Signore,

 

ho letto con molto interesse la pubblicazione nella quale Ella enumera e descrive le ricchezze agricole e minerarie del territorio che dovrebbe essere attraversato dalla Tramvia Civitavecchia Tolfa- Manziana e mi compiaccio con lei dell'efficace contributo arrecato ad una iniziativa la cui attuazione sarebbe utilissima per quella regione. 

Con distinta considerazione

                                                                                                         Tom. Tittoni

 INDICE

Lettera inviataci da S. E. il Sen. Tommaso Tittoni                       Pag. 3
Introduzione Delimitazione deIla zona, il cui traffico affluirebbe alla

        ferrovia Civitavecchia-Manziana. . . . . .                             Pag. 6

PARTE PRIMA
RICCHEZZE MINERARIE

CAPITOLO I. Ferro 6
Cenni storici sui giacimenti dei minerali di ferro, sull'escavazioni fatte e sui risultati ottenuti Giudizi di valenti geologi, sulla reale consistenza del minerale e sulla eventuale utilizzazione industriale, allorchè un mezzo di trasporto economico ne faciliti lo sfruttamento.
CAPITOLO  II. Allumite . .                                                         16
Cenni storici Produzione Commercio dell'allumite e dell'allume Breve disamina sullo stato presente di tale industria mineraria così fiorente e lucrosa in passato Ricerca delle cause per cui oggi langue in uno stato deplorevole Rimozione degli ostacoli che si oppongono alla sua rinascita.
CAPITOLO III. Caolino . . . . »                                                   31
Sua importanza e sue proprietà eccellenti .Produzione Commercio Cause del suo limitato sfruttamento e mezzi per eliminarle.
CAPITOLO IV. Minerali vari . . . . . . . »                                      35
Cinabro e solfuri vari Materiale da costruzione tufo, gesso, alabastro, marmi, ecc. Pietra calcarea per cemento.
CAPITOLO  . - Acque minerali .Torna su                             38

PARTE SECONDA
RICCHEZZE AGRARIE

CAPITOLO I.                                                                         41
Condizioni attuali dell'agricoltura della zona - Allevamento del bestiame Selvicoltura Produzioni  - Commercio.
CAPITOLO II.                                                                        47
Le Università Agrarie Loro natura giuridica Loro importanza rispetto all'agricoltura locale Trasformazione di esse in senso, tecnico-agrario ed economico in Enti demaniali agrari, regolatori dell'economia rurale.

PARTE   TERZA

C0NCLUSI0NI                                                                       57

INTRODUZIONE

SOMMARIO: Delimitazione della zona il cui traffico affluirebbe alla ferrovia Civitavecchia   Manziana. La zona subappenninica, che nell'Italia Centrale intercorre fra il Lago di Bracciano ed il Litorale Tirreno, limitata ad ovest e nord-ovest dal fiumicello Mignone, a sud-est dall'Agro Romano, forma l'obiettivo del presente lavoro. Tale zona comprende in gran parte quella che il Ponzi (1) chiamò « Tuscia Romana » nome che prese nel Medioevo per essere stata una volta sede della dominazione etrusca e poi conquistata per essere assorbita nell'Impero Romano. Passata a far parte delle Provincie del Patrimonio di S. Pietro, restò governata dai Pontefici, fino a che venne riunita al Regno d'Italia. A noi non conviene serbare quel nome che è molto più comprensivo, perché esso abbraccia una zona molto più vasta; è necessario quindi, avuto riguardo al fine cui ci proponiamo di raggiungere, comprendere solamente quel territorio il cui traffico, per ragioni economiche e per posizione geografica, affluirebbe al tronco ferroviario Civitavecchia-Manziana. La superficie della regione considerata, desunta dalle singole superfici. territoriali dei Comuni ivi compresi (Civitavecchia, Allumiere, Tolfa, Canale Monterano, Manziana) è di kmq. 600 circa e la sua popolazione, secondo l'ultimo censimento del 1921, è di 35.705 ab. con una densità relativa di ab. 59 per kmq.

(1)     «La Tuscia Romana e la Tolfa» (Atti della R. Accademia dei Lincei 1887)

In tutta questa zona havvi solo una strada provinciale che da Civitavecchia conduce a  Bracciano (l'antica via Claudia) scavalcando, nella parte più rilevata, tutte quelle piccole alture. La costruenda ferrovia Civitavecchia Orte non apporterà nessuna variazione. alle condizioni di viabilità presenti della zona suddetta, poiché tale ferrovia attraversa il versante occidentale di nordovest, alle pendici del subappennino; così pure la Roma Viterbo lascia completamente isolata questa vasta zona che, a guisa di trapezio, resta compresa fra le due linee suddette e perciò affatto priva di una linea di comunicazione che l'attraversi nell'interno. Per meglio comprendere la posizione geografica e la configurazione verticale, sarebbe bene che il lettore avesse sott'occhio la carta, la quale dimostra all'evidenza la nessuna influenza delle linee ferroviarie suddette, che trovansi alla periferia della zona, sullo sviluppo dell'industria mineraria, agricola, ecc. e quindi la necessità di una ferrovia che attraversi il bacino metallifero della Tolfa e le vaste zone agrarie della regione, per  rimuovere la stasi profonda di ogni attività economica che regna in quelle desolate contrade. La ferrovia in parola, che dovrebbe attraversare il bacino minerario, importanti sorgenti di acque termo-minerali, nonché vaste zone agrarie, renderebbe possibile lo sfruttamento dei ricchi giacimenti minerari, procurerebbe facili sbocchi ai prodotti agrari, faciliterebbe il traffico dei viaggiatori, sia individui ivi residenti oppure quelli, e sarebbero i più, che nei mesi estivi visiterebbero a scopo di villeggiatura la saluberrima regione e gli stabilimenti balneari per cure terapeutiche. Dopo ciò è opportuno fare un'elementare rassegna delle ricchezze agricolo minerarie della zona in esame, incominciando da quest'ultime, per dimostrare che tali ricchezze resteranno ancora allo stato latente per un bel pezzo, oppure parzialmente utilizzate, finché un mezzo di trasporto non le faccia apprezzare e ne renda conveniente economicamente lo sfruttamento. Torna su

PARTE PRIMA

RICCHEZZE MINERARIE

 CAPITOLO I.

 Ferro.

SOMMARIO: Cenni storici sui giacimenti dei minerali di ferro, sulle escavazioni fatte e sui risultati ottenuti Giudizi di valenti geologi sulla reale consistenza del minerale, sulla eventuale utilizzazione industriale, allorché un  mezzo di trasporto economico ne faciliti lo sfruttamento. Le miniere di ferro della Tolfa furono certamente conosciute dagli antichi Romani e perfino dagli Etruschi; vi furono lavorazioni anche nel Medio Evo; poiché la scoperta di tali minerali, come risulta dai documenti storici, rimonta al XV secolo. Difatti il Governo Pontificio, nel 1497, cedette alla famiglia di Giovanni de Castro la licenza di edificare un forno nelle rovine di Centocelle per fondervi minerale. Nel 1565 il minerale della Tolfa si portava a fondere a Monterano nella contrada detta « Le Perazzete »; nel 1650 un tal Francesco Boschi erigeva una piccola ferriera al Fosso del Caldano presso « Bagnarello ». Dopo di questi, altri non si occuparono del minerale di ferro, e non se ne parlò più fino al 1739: epoca in cui fu concessa ad Alessio Mattioli di Camerino la privativa di fabbricare ogni sorta di acciai e cavare metalli, mediante un Chirografo del Papa Clemente XII.La concessione era per 60 anni con l'obbligo di dare alla Camera Apostolica il 4 % di lucro. Il Mattioli non si occupò di questa concessione, ma si volse all'estrazione del piombo; in seguito, per  discordie sorte fra lui e gli altri soci e per la poca fiducia che gli dimostrava il Governo, dovette ritirarsi. Si noti che il Mattioli constatò che in molti punti esisteva, in abbondanza, del minerale di ferro; il Pontefice se ne interessò direttamente e fatti alcuni saggi nel forno di Conca, presso Nettuno, ottenne dei buoni risultati, tanto che si decise a ripetere la prova nel forno di Bracciano al quale furono mandate 60 mila libbre romane di minerale (circa 20 tonn.). Questa prova non corrispose all'aspettativa nel rendimento del minerale e tali risultati furono attribuiti giustamente all'imperizia dei saggiatori.  Si chiamarono. specialisti dalla Sassonia nel 1748, ma dopo poco tempo furono congedati, perché loro non si ritrasse, alcun giovamento. Le miniere di ferro della Tolfa restarono neglette e dimenticate fino al 1840, anno in cui il Papa Gregorio XVI diede la concessione a Clemente Loatti, il quale le cedette alla Società Romana delle Miniere di Ferro, onde scavare il minerale della Tolfa e degli altri punti dello Stato Pontificio. Che cosa possiamo desumere da questa, prima fase storica di tali miniere ? Rispetto alla estensione e potenzialità dei giacimenti ferriferi, nulla possiamo ritrarre dai piccoli sondaggi che furono fatti sempre superficialmente; riguardo poi al rendimento del minerale i risultati così diversi ottenuti da una stessa qualità e quantità di minerale c'inducono ad affermare che, all'imperizia dei saggiatori, non si univa, come altra causa sfavorevole, l'ausilio della chimica industriale, in quei tempi ancora in fasce. Esaminiamo ora la seconda parte del periodo storico di tali miniere ed in questa troveremo una promettente rinascita nel loro sviluppo, per vederle ricadere nuovamente nell'oblio, ma per cause ben diverse da quelle già esaminate nel periodo anteriore.  Le miniere nel 1846 divennero proprietà  della Società Romana per  le Miniere di Ferro, la quale, da quell'epoca in poi, vi lavorò facendo eri­gere gli edifici che tuttora si vedono, cioè un alto forno, una fonderia, una fornace per mattoni refrattari. Tale Società trattò il minerale di ferro sul posto con carbone vegetale, tratto dai boschi limitrofi producendo annualmente circa 1300 tonn. di ghisa fino al 1875; in questo anno la Società diede l'appalto alla ditta Trentin & C. la quale si proponeva di esportare una parte dei minerale ricavato, di costruire una ferrovia da Civitavecchia alla Tolfa, e fondere una quantità di minerale assai superiore alla precedente, erigendo almeno tre alti forni. Col ribasso del prezzo del ferro nel 1875, dopo aver subito negli anni precedenti un rialzo notevole, ne seguì una lite fra i contraenti che terminò con la rescissione del contratto. Le miniere restarono inattive fino al 1919, quando la  Società « Ilva » iniziò i lavori di esplorazione ottenendo ottimi risultati, ma sia per la crisi cui detta Società traversò in questi ultimi anni, e, quel che più conta, per il permanere delle cause sfavorevoli allo sfruttamento di tali miniere dovette desistere dall'impresa e sospendere i lavori, restando in attesa dì un avvenire più propizio per riprenderli. Questa la storia antica e recente dei giacimenti metalliferi a riguardo ai quali noi ci proponiamo di riportare giudizi di valenti geologi che li  studiarono, per dimostrare la loro importanza economico industriale, dopo di che analizzeremo le cause d'inferiorità, rispetto alle altre, poiché spesso le vere cause furono ricercate altrove ed è perciò che tali erronee ricerche, contribuirono a gettare un'ombra dì pessimismo sulle miniere di Tolfa ed impedirono che venissero prese nella dovuta considerazione. Dei giacimenti metalliferi della Tolfa si occuparono successivamente i seguenti illustri geologi: Andrea Cisalpino d'Arezzo (1),  Scipione Breislak (2), il prof. Mantovani (3), l'ing. Vescovali, il prof. Ponzi (4), il Demarchi (5) ed il Giordano .(6); più particolarmente e, più  recentemente fecero studi, sulle miniere di ferro l'ing. Klitche de la Grange (7), il prof. Augusto Stella (8), l'ing. Lotti già direttore del R. Ufficio Geologico (9), il prof. Millosevich (10), l'ing. Edoardo Monaco (11) ed altri ancora. Tutti furono, concordi ed unanimi nel riconoscere la ricchezza e l'abbondanza del minerale ivi esistente e gran  parte di essi formulano l'augurio, che tali miniere prendano un giorno il posto che meri­tano nell'industria mineraria.Secondo il Ponzi i minerali di ferro si presentano sotto varie forme: limonite, magnetite ed anche olegisto. Il ferro limonitico e il sesquiossido di ferro idrato è il più diffuso nei monti della Tolfa e difatti i principali giacimenti si trovano:

1) Alla Roccaccia nell'alto della Valle del Marangone.

Questi giacimenti sono sparsi sopra una superficie di 25 o 30 ettari circa, secondo i calcoli dell'ing. Lotti, con dieci affioramenti principali; sulla sinistra del Fosso Marangone le masse limonitiche presentano maggiori dimensioni, come ad esempio quella dell'affioramento di Tre Gradini.

2) Alla cava del ferro di Pianceraso.

Qui il materiale limonite e raramente ematite vi si trova in masse di modeste dimensioni; coi lavori. eseguiti nel tempo, sono state individuate tre o quattro masse o concentramenti di discreto minerale; di più trovasi sparso un po' dappertutto in forma di cristallini di pirite nei calcari, ed in forma ai ossido nella massa schistosa con l'effetto d'impartire a questa, una colorazione prevalentemente ocracea.

3) All'edificio del Ferro nel Fosso di S. Lucia, trovasi del minerale, che a giudicare dagli scarichi dei lavori fatti, dovrebbe essere alquanto fosforoso; altri affioramenti di minore importanza si osservano alla Cava del Piombo, fra il calcare e gli schisti, in intimo legame con un giacimento di solfuri metallici. Torna su

(1) «De metallicis, Libri Tres» Roma, 1596.

(2) «Saggio di osservazioni mineralogiche sulla Tolfa, Oriolo Romano e Latera» Roma, 1786.

(3) Descrizione geologica della campagna romana» Roma 1875.

(4) Opera citata a pagina 3.

(5) «I prodotti minerali della provincia romana» Roma, 1882.

(6) «Condizioni topografiche e fisiche di Roma e campagna romana» Roma, 1878.

(7) Memorie sulle miniere di ferro della Tolfa» Roma, 1882.

(8) «Le miniere di ferro dell'Italia» Roma, 1920.

(9) «Giacimenti metalliferi della Tolfa» (Rassegna Mineraria, 1900, volume XIII n. 7).

10) «Rocce propilitiche dei dintorni di Tolfa» (Biblioteca Soc. Geologica Ital.. Vol. XXIV, 1905).

«Osservazioni mineralogiche sulle metamorfiche dei dintorni di Tolfa » (Id. id. volume XXIII).

(11) «Studio sulle miniere di ferro della Tolfa» Roma, 1917.

Stando a quanto l'ing. Lotti ci riferisce nei suoi studi compiuti sui giacimenti metalliferi della Tolfa, l'età geologica di quest'ultimi è quella stessa dei giacimenti ferriferi e metalliferi dell'Isola d'Elba, di Campiglia e Massa Marittima in Toscana, così pure la giacitura, di essi è analoga a quella delle citate località toscane, oltreché verificasi la stessa analogia per il modo d'alterazione delle rocce ed uno stesso legame in ambedue i giacimenti tra i solfuri metallici e i depositi ferriferi. Il prof. Millosevich, dopo aver dimostrato i caratteri petrografici delle rocce dei dintorni di Tolfa, la classifica al gruppo delle propeliti e più specialmente alla famiglia delle propiliti augitiche. Dimostrata la presenza di tali specie di rocce, egli dice che la questione delle origini dei giacimenti metalliferi di Tolfa, si avvia verso una soluzione, essendo noto che le propiliti sono in relazione con importanti giacimenti metalliferi. La magnetite, in minor quantità, trovasi sempre associata alla limonite. E' parimenti amorfa e dotata più o meno di forza magnetica, fino a rendersi polare. E' dubbio che trovasi anche del minerale olegisto perché quel poco che fu rinvenuto alla superficie, credesi che sia stato sperduto nel trasporto dei minerali Elbani; oppure sia avanzo di depositi di tale minerale. L'ing. Felice Giordano (1) ci riferisce che la ghisa ottenuta col minerale della Tolfa, nel periodo in cui s'esercitò presso le miniere l'industria metallurgica, era di ottima qualità e si spediva a raffinare insieme alle Toscane ed Inglesi nelle ferriere che la Società per le Miniere di Ferro possedeva a Terni ed a Tivoli. E' opportuno riportare qui un'analisi del minerale suddetto eseguita su tre differenti campioni, forniti dalla. Società Romana nel Laboratorio del Museo Industriale di Torino. Torna su

Componenti

Minerale
di Pian Ceraso

Minerale
della Roccaccia

Minerale
delle Sbroccate

Acqua

15,09

13,655

14,42

Sesquiossido di ferro

81,45

72,920

80,86

Parte insolubile nell'acqua regia

2,56

13,920

2,40

Totale

99, 10

99.895

97,68

Zolfo

Tracce

Tracce

Tracce

Arsenico

id.

id.

id.

Manganese

id.

-

Perdite

0,90

0, 105

2, 32

l00,-

   100,000

      100, -

(1)     Opera citata.

Già nel secolo scorso l'ing. Angelo Vescovalli di Roma, in un rapporto alla Società delle Miniere, combatteva la prevenzione esistente contro tali miniere per la parziale presenza di fosforo e zolfo, dimostrano come la tecnica fosse già sufficiente, in quel tempo, per eliminarli completamente; tanto meno dobbiamo preoccuparci ora, che la scienza ha fatto da questo lato passi notevoli. L'ing. Monaco, sostenendo la tesi del Lotti, circa l'analogia dei giacimenti metalliferi Tolfetani con quelli Elbani, per le ragioni suesposte, che lui ribadisce ampiamente, fa il ragguaglio tra le riserve originarie dell'Elba e quelle della Tolfa, ammettendo tale ragguaglio come ipotesi perfettamente ammissibile.Parlando delle  Miniere dell'Elba, per compiere tale paragone, ci riferisce: « La superficie occupata dalle quattro principali miniere dell'Elba, secondo l'ing. Mellini, è di kmq. 2. Nel 1904 lo stock ancora rimanente all'isola d'Elba; veniva calcolato in 8 milioni Tonn. di minerale  si sa che le miniere dell'isola sono state sfruttate fin dall'epoca Romana ed hanno fornito per quasi venti secoli quasi tutto il ferro consumato nella nostra Penisola. » Calcola quindi in un modo molto approssimativo, lo stock originario dell'Elba a venti milioni di tonnellate di minerale. Il bacino metallifero della Tolfa, secondo il Lotti, abbraccia una area di 5 kmq. che è doppia di quello dell'Elba, e pur ammettendo che metà dell'area sia occupata da solfuri di altra specie, il Monaco crede di non fare un'ipotesi arrischiata, calcolando lo stock della Tolfa in venti milioni di tonnellate. L'analogia dell'Elba con la Tolfa, è ammessa da gran parte degli autori succitati; gli affioramenti ferriferi del bacino Tolfetano sono notevoli per estensione e per spessore di filoni; l'allineamento degli affioramenti permette con tutta sicurezza di stabilire una relazione di continuità fra di loro.Il Monaco nel suo  studio particolare così conclude: Tutto giustifica dunque che un'immensa riserva di ferro giaccia sotto i monti  della Tolfa; una serie di sondaggi che mettesse in luce i tesori sotterranei di questo bacino, ha tutte le probabilità di un enorme successo ».Ma sono stati fatti veramente dei saggi seri e profondi che abbiano potuto assicurare la reale consistenza del minerale? Le miniere in parola sono state molto bene descritte da geologi, come ci dimostra l'ampia bibliografia già citata, ma manca un calcolo sulla loro potenzialità, poiché la storia di essi ci dice che i saggi antichi e recenti furono condotti troppo superficialmente,  quindi sarebbe falso dire quale sia il sottosuolo a una certa profondità di quel bacino metallifero. I due pozzi profondi scavati, uno presso la stazione ferroviaria di Civitavecchia per ricerca d'acqua, l'altro nella valle del Mignone, per sondaggi di lignite, erano a troppa distanza dal centro minerario. Da questo lato l'iniziativa privata non può far sperare eccessivamente, perché queste ricerche sono costose e qualche volta infruttuose: è lo Stato che deve farsi più coraggioso esploratore del nostro ricco sottosuolo, mentre ha sempre sfuggito il compito che gli spettava. Quando.si pensa che nel solo bacino del Rodano in un ventennio si sono fatti più di duecento assaggi con profondità complessiva di 6000 metri, per rintracciare ferro e carbone, nell'altipiano di Briey si va a ricercare il ferro, quantunque fosforoso, a 400 m. di profondità, e che da noi mancano sondaggi anche a poche decine di metri, si deve confessare che noi ignoriamo l'importanza di tali ricerche. Il problema del ferro sorse da noi con gli albori dei Risorgimento, e non fummo capaci di risolverlo per ben tre quarti di secolo; la guerra ci trovò impreparati allorché per molto tempo ci eravamo approvvigionati sui mercati esteri per far fronte ai nostri  più urgenti bisogni. Poco furono ascoltati gli ammonimenti di illustri tecnici, come il Giordano, l'Orlando, il Novi, ecc. sulla necessità di dare più ampio sviluppo alle nostre miniere, ricercarne con febbrile attività delle altre, proteggendole nello stesso tempo, contro la concorrenza estera. Passiamo ora ad esaminare quali furono le  vere cause che fecero desistere la Società Romana prima, e la Ditta Trentin & C. poi, dall'impresa di sfruttare le miniere di Tolfa.Già accennai che dette miniere e l'alto forno ad esse annesso costruite dalla Società Romana, restarono in attività di esercizio nel periodo 1860-76.Anzitutto questi piccoli centri metallurgici intanto potevano coesistere alla grande industria, in quanto nello Stato Pontificio erano favoriti i prodotti dalle elevate barriere doganali e quindi sottratti alla concorrenza delle altre province italiane e di quella estera; di più il forno di Tolfa fu alimentato con carbone vegetale tratto dai boschi circostanti, coi quale si eliminavano le difficoltà di approvvigionamento per l'acquisto ed il trasporto del combustibile. Tali condizioni e coefficienti favorevoli vennero a mancare dopo l'unificazione politica dell'Italia, e quando si parlò, come si proponeva la Ditta Trentin & C. di. allargare le basi dell'industria metallurgica incipiente. Difatti, le difficoltà in cui si venne a trovare quella Ditta quando si accinse a realizzare i suoi buoni propositi, furono enormi, date le condizioni della località rispetto alla forte concorrenza delle Miniere Elbane, per le ormai abolite barriere doganali interne, e per il conseguente ribasso nel prezzo del ferro lavorato, oltreché per le difficoltà di acquisto del carbon fossile e per la nessuna speranza che ormai restava sul carbone vegetale esaurito. Il De Tournon (1), il cui nome è noto nella storia economica di Roma, già all'inizio del secolo scorso in forza e per causa del blocco continentale, aveva in animo di sfruttare largamente le miniere di Tolfa, ma dovette poi scartarle, perché già in quel tempo i boschi limitrofi non potevano, garantire il combustibile necessario. Torna su

(1)   « Etudés statistiques sur Rome et la partie occidentale des états Romains Paris, 1855

L'errore grave fu dunque quello di avere unite l'industria estrattiva e la metallurgica allorché mancavano gli elementi essenziali di sviluppo per quest'ultima.Infatti, poste le cause sfavorevoli esistenti per trattare il minerale sul posto, bisognava rifornirsi di carbon fossile a Civitavecchia; si pensi che il trasporto sarebbe stato costosissimo per le condizioni di viabilità della zona in esame, altrettanto dicasi per il trasporto della ghisa.Queste difficoltà si presentavano invincibili, mentre altre miniere si trovavano in condizioni ben diverse per l'estrazione del minerale, approvvigionamento del combustibile ed esportazione del prodotto finito.Ma se cause sfavorevoli di altra natura permanevano a danno dell'industria metallurgica, quella della viabilità, restava pur sempre ad ostacolare il progresso di quella estrattiva.Lo sfruttamento delle miniere è subordinato alle condizioni di viabilità dei territorio e questa è la sola, ma grande difficoltà che arresta e paralizza ogni iniziativa privata.Sulla quantità del materiale non v'è dubbio, che, anche prendendo il cubaggio di quello che è già stato riconosciuto coi lavori d'esplorazione eseguiti, la convenienza industriale di sfruttamento non può mancare.In merito a ciò Klitche de La Grange così si esprime: « Dal lato industriale la convenienza di escavazione di questi giacimenti, rimarrà sempre subordinata alle future condizioni di viabilità del territorio. Fu appunto dinanzi alla insormontabile difficoltà del tonnellaggio, che l'industria mineraria della Tolfa rimase fino ad ora paralizzata nel proprio sviluppo ».Altri autori già citati, arrivano alle stesse conclusioni dopo aver dimostrata ampiamente l'importanza economico industriale di tali miniere: è ovvio dunque affermare che la linea ferroviaria Civitavecchia Manziana, progettata in modo che attraversi il bacino metallifero, realizzerebbe i piani di utilizzazione delle miniere, restati sempre allo stato di semplici conati. Il minerale escavato potrebbe lavorarsi a Civitavecchia, ove l'industria siderurgica più facilmente troverebbe elementi favorevoli di sviluppo, oppure procurargli un facile sbocco esportandolo all'estero. S'intende che questa seconda. via da seguirsi dovrebbe porsi in relazione ai bisogni dei mercato indigeno ed alle condizioni politico militari in cui potremmo eventualmente trovarci.Il porto di Civitavecchia è abbastanza attivo per il i commercio del carbon fossile che importa dall'estero, di conseguenza potrebbe essere conveniente esportare il minerale di ferro come controcarico di tale commercio.Indubbiamente il porto suddetto è uno di quei tanti porti italiani che gl'inglesi chiamano «delinquenti » per significare che, i vapori mercantili che vi giungono carichi debbono ritornare scarichi: si esaminino a questo proposito gli imbarchi di merce per l'estero nel Bollettino della sua Camera di Commercio, e troveremo che essi sono addirittura trascurabili.Tale stato di cose contribuisce evidentemente, ad innalzare i noli che dovranno compensare anche le spese del viaggio di ritorno, aggravando così i prezzi ed i costi di produzione all'interno.La ragione per cui il porto di Civitavecchia non può avere un rilevante commercio di esportazione all'estero è nella povertà presente del suo retroterra il quale non è abbastanza conosciuto ed apprezzato perché si possa ritrarre da esso incommensurabili vantaggi, anche in relazione al commercio di esportazione internazionale. Torna su

CAPITOLO II

Allumite

SOMMARIO: Cenni storici Produzione Commercio dell'allumite e del­ l'allume Breve disamina sullo stato presente di tale industria mine raria, così fiorente e lucrosa in passato Ricerca delle cause per cui oggi langue in uno stato deplorevole. Rimozione degli ostacoli che si oppongono alla sua rinascita.
Nel 1462, per opera di Giovanni de Castro, si scoprirono, sotto il Pontificato di Pio II le miniere di allumite, presso la Tolfa, racchiudenti un minerale eccellente, superiore a quello delle miniere Asiatiche.Per far comprendere la grande importanza economica, oltre che politica, di tale scoperta, daremo alcuni cenni sommari sul commercio di tale prodotto fino ai tempi nostri, ma specialmente sul cadere del Medio Evo e nei primi secoli di quello Moderno.E' noto come dalle allumiti, mediante un processo industriale di fabbricazione, si prepara l'allume cubico o romano. Questo prodotto fu tra quelli più ricercati nel commercio Medioevale a cagione degli usi svariati a cui serviva, specialmente nella fissazione dei colori ai tessuti, i Romani ed i Greci se ne servivano per impregnare le macchine guerresche e difenderle dal fuoco nemico.Prima che si scoprissero le allumiti di Tolfa, l'allume veniva specialmente dai porti orientali di Siria e d'Egitto; fin dai tempi più remoti furono le repubbliche marinare Italiane che, per rendersi indipendenti verso l'Oriente per questo prodotto, iniziarono ricerche attive in Italia.Gli utili che lo Stato Pontificio ritrasse dall'industria dell'allume furono ingenti, utili rappresentati dai canoni gravanti sui concessionari, perché il sistema di sfruttamento di tali miniere, fin dall'inizio della lavorazione, fu quello dell'appalto.Già nei primi anni si calcola che il reddito netto fosse all'incirca di 100 mila ducati e siccome si calcolava che il Tesoro Pontificio avesse due ducati di reddito per ogni cantaro, la produzione annuale si aggirava intorno alle 50 mila cantare di allume (1). Il successore di Pio II che fu Paolo II (il veneziano Pietro Barbo che in gioventù aveva partecipato alla possente vita commerciale della sua Patria) dette nuovo impulso, ordinamento più perfetto e più vasto incremento, all'impresa industriale e mercantile. Così, come il suo predecessore, stabilì che tutti i proventi dell'allumiere, fossero devoluti interamente alla  causa  della  lotta  contro  i  nemici  della  cristianità,  intendendo,  di  continuare  la  difesa  del  Mondo Cattolico finanziando i principi ed i Stati combattenti contro i Turchi, nonché contro gli Ussiti di Boemia; d'altra parte sovvenire le vittime della barbarie ottomana che cercavano rifugio in Roma, all'ombra della protezione papale.

(1)     Parità di un ducato = 13 franchi; cantaro = libbre – Peso  kg. 47.

I Papi per molto tempo, monopolizzarono il commercio dell'allume, escogitando ogni mezzo per mantenere tale monopolio e soffocando l'attività industriale e commerciale di altri paesi, nello stesso genere di produzione.Certo le spese per far ciò furono enormi, perché gli usufruttuari delle miniere di Montiori in Toscana e nel Reame di Napoli, non si acquetarono con le scomuniche, ma chiesero  delle ricompense adeguate per rinunciare ai redditi che avrebbero potuto ritrarre dalle loro miniere.Così per mantenere i monopoli di questo prodotto, nelle Fiandre, in Francia e nell'Inghilterra, i Papi dovettero patteggiare non poco con i regnanti di quei paesi, che mal sopportavano l'imposizione di un tale esoso monopolio, e, quando lo tolleravano, furono tacitati con lauti compensi. Come ho già accennato l'allume romano ebbe un mercato molto ampio; oltre che in Italia esso fu diffuso per tutti i paesi occidentali di Europa. Si pensi quindi, dopo aver sostenuto tante spese, per sorreggere quel monopolio artificiale, quali dovevano essere i proventi ricavati per trovare, ciò non di meno, un largo margine di profitto.La Santa Sede fin da principio, per necessità finanziaria e per opportunità di ordine tecnico, applicò il sistema dell'appalto, come già si è detto, non solamente per l'esercizio delle miniere, ma anche per il traffico dell'Allume.Difatti l'appalto dell'industria mercantile fu tenuto lungo tempo dalla potente Compagnia Commerciale Medicea, che con la sua vasta organizzazione contribuì ad estendere le branche di questo commercio, con Filiali in tutti i paesi (Inghilterra, Bruges, Venezia, Francia, ecc.).Secondo i dati esposti dall'Ing. Demarchi. (1) nel periodo 1462-1578, l'Erario Pontificio ebbe un provento, complessivo rappresentato da Lire 18.239.144 e nel periodo 1578-798, cioè  durante 220 anni, si ebbe un reddito netto complessivo di L. 34.591.526, cosicché dalle prime lavorazioni del De Castro al 1798 si calcola il reddito totale per lo Stato Pontificio approssimativamente in 53 milioni.Per effetto di tale movimento commerciale di questo prodotto il Porto di Civitavecchia, crebbe a nuova vita e andò prosperando, mentre fino a quel tempo aveva avuto ben poca importanza, nel movimento commerciale sulle coste della Provincia del Patrimonio di S. Pietro, dove il Porto di Ostia serviva agli scambi con Roma, quello di Corneto al traffico attivissimo del sale e del grano.Civitavecchia raggiungeva in breve tempo il primato sui porti succitati, appunto in forza della funzione di centro unico della nuova impresa commerciale che veniva ad esercitare. Torna su

(1)   Opera citata pagina 8

Sisto IV si occupò particolarmente dei suoi dintorni per proteggere il commercio dell'allume, dotandola anche di un buon porto militare altri papi s'interessarono di munire di fortificazioni il Porto ed i punti strategici circostanti alle miniere, allo scopo di tutelare il tranquillo funzionamento di un traffico, da cui dipendevano ingenti interessi dell'erario  Pontificio (1).Nelle vicende politiche del 1798 il Governo della Repubblica Romana, cedette le miniere alla Repubblica Francese, gli agenti della quale le alienarono per scudi 600 mila (lire 3.225.000) ad una Società composta di romani e francesi.Col ritorno del Governo pontificio, la vendita fu rescissa perché di­chiarata nulla e ne seguì un contratto fra tale Società e lo Stato Pontificio, mediante il quale la suddetta Società nel 1801 prese in affitto le allumiere e gli annessi latifondi, per 36 anni con il canone annuo  di scudi 36 mila (lire 133.500) più 400 rubbia di grano.Nel 1824 il contratto fu rescisso ed allora il Papa Leone XII ordinò che non si facessero altri affitti, ed affidò l'amministrazione d'Allumiere al marchese Calabrini.Come è noto, nel periodo che decorre da quest' ultima data al 1870, le miniere furono passive per il Governo Pontificio e le cause sono svariate e di varia importanza avuto riguardo ai loro effetti nel disavanzo che recarono alla gestione minerario industriale delle Allumiere.L'introduzione d'altri agenti chimici,  specialmente di solfato di zinco e d'allumina, come mordenti per fissare i tessuti, l'impiego crescente degli allumi artificiali, non sarebbero stati sufficienti per produrre tale disavanzo, quando i gestori dell'allumiere avessero compreso in tempo che l'arte mineraria andava progredendo, i trasporti diventavano sempre più facili, come pure la preparazione industriale dell'allume non poteva continuarsi con quei sistemi antiquati. Dunque in questo periodo, come or ora dimostreremo, l'industria dovette languire in uno stato deplorevole: 1) per la poca intelligenza nella direzione dei lavori; 2) per difficoltà di trasporto dell'allume a Civitavecchia, effettuato sempre con i soliti mezzi; 3) per il mancato progresso nei metodi d'escavazione del minerale, che continuava a farsi con le mine, a cave aperte; 4) per la prepotenza del lavoranti, che tenacemente si opponevano ad ogni innovazione, per timore di vedere diminuita la mano d'opera locale, 5) per l'introduzione di abusi e condiscendenze che tolsero all'Allumiere ogni carattere d'impresa industriale, trasformandola in un'Istituzione di beneficenza.Quelle prime cause già citate non produssero l'effetto di creare quei forti disavanzi, che si ebbero in realtà, ma solo avrebbero potuto diminuire l'importanza delle miniere e non ridurla del tutto.Difatti, affidata la direzione delle cave ai lavoranti, questi le sfruttarono rendendole impraticabili per ingombro di macerie, cercarono di aprirne delle nuove e poi ritornarono alle vecchie facendo ingenti spese affatto inutili, rendendo così l'impresa remissiva. 

(1)  ZIPPEL G. "L'allume di Tolfa e il suo commercio".

Il Governo Pontificio ricorse a mezzi inadeguati ed inefficaci per eliminare il male causato da quegli elementi suesposti, ma non vi riuscì perché si richiedeva ormai una radicale trasformazione nei metodi di escavazione, nei processi di preparazione dell'allume, nei trasporti e se vogliamo tutto l'ordinamento tecnico commerciale amministrativo aziendale, andava organizzato su nuove basi appunto per le mutate condizioni in cui il prodotto veniva a trovarsi in commercio. Arrivati a quest'epoca l'industria doveva già sostenere una concorrenza di un prodotto similare a costo più basso certamente, perché i vecchi sistemi più non potevano coesistere alla tecnologia industriale. Esaminiamo in cifre quali erano gli elementi che maggiormente influivano sul disavanzo, desumendoli dalle spese di produzione di uno degli ultimi esercizi, anteriore al 1870 (1):

Denominazione delle diverse spese

Ammontare in Lire it.

1) Direzione e vendita (9 persone)

7975,-

2) Mano d'opera (140 persone)

55410,-

3) Polvere per mine (Kg. 2500 a L. 2.10)

5250,-

4) Taglio e trasporto della legna dai boschi camerali fino allo stabilimento (Tonn. 1170 a L. 7.70 per tonnellata)

 

9009,-

5) Trasporti diversi a cottimo

15217,-

6) Trasporto dell'allume a Civitavecchia

2805,-

7) Acquisto di attrezzi e stigli

6235,-

8) Manutenzioni

4000,-

9) Riparazioni a fabbricati

2500,-

10) Viaggi e spese impreviste

1182,-

11) Spese d'ufficio

300,-

12) Pensioni alle vedove, elemosine e doti

1782,-

Totale

111665,-

Vediamo le spese per la mano d'opera che ammontano nel prospetto precedente a L. 55410, -; cifra evidentemente rilevante quando si pensi che gli operai venivano pagati a mesata, mentre lavoravano solamente a mezze giornate, compreso il tempo per andare dalle loro case alle miniere e viceversa, senza obbligo di recarsi sul lavoro se il tempo era cattivo, e ciò appunto per il metodo di escavazione a cielo aperto, ancora praticato. Una spesa che potevasi facilmente eliminare era quella, della polvere, quando s'intende, il minerale si fosse scavato per gallerie e non a cave aperte. Torna su

(1)   DE MARCHI - Opera citata.

Queste spese precedenti non costituiscono da sole il deficit dell'impresa; ve ne erano delle altre ancora più ingenti, che il Governo Pontificio  non seppe in nessun modo  eliminare o ridurre. Parlai già della deficienza o, meglio del continuo decrescere della legna ritratta dai boschi. circostanti, perché se ne faceva un grande consumo, e le spese del trasporto dal bosco alle miniere dimostrano che doveva provvedersi a qualche distanza dalle miniere per la crescente rarefazione di essa. Quel che più importa analizzare sono le spese di trasporto a cottimo e quelle dell'allume a Civitavecchia, che ascendono a L. 18.022 sopra una media di tonnellate 2500 di minerale escavato e tonn. 575 di allume prodotto. Saranno quest'ultime le cause d'inferiorità che renderanno le miniere impotenti di sostenere la concorrenza degli allumi sintetici; e vedremo esaminando ancora le vicende storiche dal 1870 fino a questi ultimi anni, come proprietari di esse,pur avendo eliminate gran parte di quelle cause già citate, resterà loro  da risolvere ancora il problema     dei trasporti che, come nel Medio Evo, ancora si effettuano con carri tirati da buoi. Nel 1870, coll'annessione della Provincia di Roma al Regno d'Italia, lo Stato Italiano, in seguito ad esperimento d'asta, cedeva le cave di allumite ad una Società Francese, « La Financière » di Parigi,  per la somma di L. 360.647,71 insieme a 2340 Ha. di terreno gravate in parte di usi civici. Questa Società, conscia della impossibilità di continuare a gestire le miniere come per il passato, trasportò subito la fabbricazione dell'allume a Civitavecchia, facendovi un impianto che costò circa 2 milioni, migliorò e dette incremento ai lavori di escavazione, dotando le miniere di appositi apparecchi per la essiccazione e polverizzazione del minerale, di più studiò come effettuare la disadratazione di esso, allo scopo di ottenere notevoli riduzioni nelle spese di trasporto.Nel suo progetto organico di trasformazione dell'impresa, la « Financière », non trascurò l'organizzazione commerciale dell'allume, per assicurare un ampio e sicuro mercato alle future produzioni, che prevedeva poter aumentare. Dal lato tecnico, mediante l'introduzione e perfezionamento di nuovi metodi, per l'escavazione dell'allumite e preparazione dell'allume, si ottennero ben presto i risultati previsti nella diminuzione del costo di produzione; altrettanto non dicasi per il commercio, data la quantità notevole di allume preparato all'estero (colla bauxite, leucite,  ecc) l'allume romano incontrò serie difficoltà per penetrare nei mercati esteri. Elevate barriere doganali gli furono innalzate ovunque, fornendo la prova palmare che furono gli allumi sintetici che dovettero proteggersi per difendersi da quello romano; e non viceversa. Da ciò consegue che, la nuova Società, mediante la riorganizzazione della impresa poteva produrre ad un costo inferiore di quello estero; di più nonostante gli sforzi notevoli fatti dalla « Financière » per ridurre il costo del trasporto dei minerale a Civitavecchia, con la polverizzazione e l'essiccazione di esso presso le miniere, il coefficiente di riduzione fu minimo e tale da avere, lievissima influenza sul costo produzione dell'allume e sul prezzo dell'allumite esportata; ciò appunto, per la mancanza di una linea ferroviaria che, congiungesse le miniere con lo Stabilimento. Dunque le provvide iniziative della Società francese, ci forniscono l'esperimento più eloquente che, eliminate tutte quelle cause sfavorevoli già esistenti in periodi anteriori, il nostro prodotto poteva far concorrenza a quello estero, pur prescindendo dalle ingenti spese di trasporto che gravavano ancora la materia prima: suscettibili però di essere notevolmente ridotte con la risoluzione del problema della viabilità. Alcuni dati statistici ufficiali ci faranno meglio comprendere lo sviluppo delle miniere, nonché le variazioni della produzione dei prodotti chimici; dello Stabilimento, nel p  eriodo in cui l'impresa fu gestita dalla Financière »

Produzione dell'Allumite e dell'Allume nel periodo 1874-1884  (1)

ANNO
Produzione
delle miniere
Prodotti dello Stabilimento
Valori unitari dei prodotti
dello Stabilimento
N* operai impiegati

 

 

 

1874

1875

1876

1877

1878

1879

1880

1881

1882

1883

1884

Allumite
Tonnellate

3378

3966

5340

4132

2335

3864

4936

8068

10840

8530

1650

 

Allume
Tonnellate

 

}

—}(1)

  129

2050

2930

2100

2985

3279

2715

1975

1690

Solfato
di Alluminia

Ton.

58

286

440

280

780

 

Allume
p. Ton.

 

400

250

200

180

170

160

150

140

140

 

Solfato di
 Alluminia

p. Tonnellata

 

140

140

140

  90

  80

 

nelle
Miniere

 

 

90

116

162

194

100

110

168

168

152

130

  93

 

Nella
Officina

 

125

126

70

70

61

43

68

Totale

 

 90

116

162

194

225

236

238

238

213

173

161

Osservazioni

 



(i) Nei primi due anni la Società non produsse allume.

(1) Rivista del servizio minerario Torna su

Come vedesi, la produzione del minerale e dei prodotti chimici aumenta con ritmo crescente fino al 1882, ma in seguito, per cause estrinseche, non riguardanti il costo di produzione, la concorrenza tedesca si fece sentire maggiormente, anche per la ragione che gli altri Stati, compresa la Germania, cercarono di proteggere i loro prodotti sintetici.La Società dovette poi volgersi alla produzione, del solfato d'allumina, preferibile all'allume nelle applicazioni industriali perché contiene, quale elemento utile, maggior quantità di allumina che il solfato doppio.  Da principio « La Financière » potette conquistare i mercati dell'alta Italia, ma poi, per l'apertura del Gottardo, la lotta divenne impossibile, perché i tedeschi fornirono l'industria settentrionale sostenendo lievi spese di trasporto; ciò nonostante la produzione del solfato di allumina fu aumentata perché a noi restarono sempre le cartiere dell'Italia Meridionale. Dunque la Germania, per questo prodotto, non si trovava in condizioni migliori rispetto alla fabbricazione, ma indubbiamente la superiorità l'acquistava nella vendita di esso; per facilitazione di trasporto e per effetto dei dazi protettori, essa consolidava sempre più la sua industria chimica. Noi, oltreché avere ancora largo margine nella riduzione del costo di produzione, potevamo pure fare qualche cosa per facilitare la conquista almeno del mercato interno, ma su quest'argomento mi riservo di ritornarci in appresso, quando parlerò dell'ultime vicende della produzione e commercio di tali prodotti. « La Financière » cedette l'esercizio dell'industria nel 1885 ad una nuova Società costituitasi e denominata « Compagnia Generale dell'Allume Romano », la quale, edotta dei risultati ottenuti dalla Società uscente, non ritenne conveniente seguire l'indirizzo dato da essa alla produzione dei prodotti chimici, cosicché restrinse in sostanza la fabbricazione di quest'ultimi, al solo quantitativo che riteneva sicuro esitare e mantenne la produzione mineraria allo stesso livello, proponendosi però esportarne gran parte in Francia, presso una sua fabbrica per l'allume potassico a Lescur le Rouen sulle rive della Senna.

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