CAPITOLO IV. Altri Minerali. SOMMARIO: Cinabro e solfuri vari ‑ Materiali da costruzione: trachite, tufo, gesso, alabastro, marmi e pietra calcarea per cemento. Parlando dei minerali di ferro dicemmo come in relazione a questi ultimi, siano stati rinvenuti importanti giacimenti di solfuri metallici vari: cinabro, galena, blenda, stibina, ecc. ed anzi tale relazione, come abbiamo visto, costituisce elemento probatorio per confermare l'importanza dei giacimenti ferriferi. Gran parte di tali solfuri, hanno oggi un'importanza scientifica, più che industriale, però, in progresso di tempo, non si può escludere che essi, acquistino un valore inestimabile, anche industrialmente. Prova ne sia il cinabro che fino a qualche anno fa costituì per questa regione una curiosità mineralogica, ed ora è oggetto delle migliori speranze. 1 Il Prof. Ponzi (1) fu il primo, nel 1860, a scoprire la presenza del cinabro nativo presso i Monti della Tolfa e per molto tempo, cioè fino, a quest'ultimi anni, nessuno avrebbe pensato che esso potesse presentare possibilità di sfruttamento industriale come fanno prevedere le promettenti e soddisfacentissime ricerche che sta facendo la Compagnia generale dell'allume romano. L'Ingegnere Capo del R. Corpo delle Miniere, C. De Castro, fin dal 1918, così scriveva riguardo all'esistenza del cinabro presso i Monti della Tolfa : « E' stato trovato il mercurio allo stato di cinabro nel cantiere « Rotella » della miniera di allumite situata a circa km. 4 ad « ovest, nord-ovest dell'abitato di Tolfa. Nel prolungare verso sud-est « la galleria di « Carreggio Rotella I » a metri 300 dall'imbocco si attraversò un materiale tufaceo grigio rossastro a contatto col peperino. « Tanto il materiale tufaceo, probabilmente peperino, sabbioso, caolinizzato, disfatto, quanto il peperino compatto, presentano macchie di cinabro di qualche importanza. Altre belle macchie di cinabro si sono « trovate nell'allumite e nella silice bianca, incluse nei peperini. Pare « che anche nei dintorni di Allumiere e Tolfa siano state trovate tracce di cinabro all'esterno ». In un colloquio avuto con l'illustre geologo succitato, mi fu detto che l'avvenire economico della regione può essere fondato in gran parte su questo minerale, trovando egli molta analogia fra le miniere di Monte Amiata, e le impregnazioni cinabrifere del Tolfetano. Si noti che le ricerche attive, per questo minerale. incominciarono in quest'ultimi anni e per i risultati più che soddisfacenti ottenuti la Compagnia Generale dell'Allume Romano, già permissionaria, ne domandava la dichiarazione di scoperta, ed ora credo che abbia ottenuta la concessione di sfruttamento. Nella zona che corrisponde all'estremo del filone alluminifero denominato « Rotella » si è accertata una massa cinabrifera di m. 140 di lunghezza. metri 0.70 di altezza e m. 40 di spessore: ma da risultati positivi di altri lavori, si sarebbe indotti a ritenere che la mineralizzazione continui oltre i 140 m. suddetti e si prolunghi invece per circa m. 375. Dai lavori di ricerca fatti nelle diverse località, e tutti con esito favorevole, è stato accennato che la mineralizzazione cinabrifera si estenda per vasta superficie. (1) Opera citata. Le ricerche si estesero anche nella zona della galleria già fatta per l'allumite, confermando pienamente le speranze sulla estensione delle impregnazioni di cinabro, è dando una resa di 1800 tonn. di sabbie cinabrifere. Non si sanno i risultati precisi di questi ultimi anni; è certo però che le ricerche continuano attive e diligenti dirette dall'Ing. Denti; speriamo che, tali ricerche, preparino l'avvento di un avvenire prospero anche per quest'industria mineraria che potrebbe fruttare immense ricchezze per la regione e per la Nazione. E' superfluo dire l'utilità che potrebbe arrecare la ferrovia Civitavecchia Manziana, progettata in modo che attraversi in senso latitudinale tutto il bacino minerario, e quindi tocchi possibilmente le varie miniere, essendo, tale industria, ostacolata profondamente dalla mancanza di mezzi di trasporto. Certo che la Società concessionaria oltreché affrontare l'alea per le spese delle ricerche, non sempre redditizie, deve seriamente pensare al problema dei trasporti, che conosce perfettamente, ed allora è necessario, per incoraggiare questi lodevoli propositi, che anche il Governo si interessi di una tale questione, che oltre ad avere ripercussioni nella economia locale, può assurgere ad importanza nazionale. Se preme veramente al Governo di conoscere e sfruttare largamente le nostre ricchezze del sottosuolo, è doveroso che esso guardi più da vicino questa zona dimenticata, e veda se fosse conveniente, farvi prosperare l'industria mineraria, per la quale così tanti elementi propizi di sviluppo essa ci presenta. Ebbene, si risponderà che non deve certamente lo Stato farsi imprenditore di tali industrie: nessuno pretende codesto errore economico - politico, ma il Governo e gli Enti pubblici locali presentemente debbono incoraggiare e stimolare l'iniziativa privata, ed in questa circostanza risolvere il problema della viabilità, per vedere allora come tale iniziativa sarebbe spronata ed invogliata maggiormente ad impiegare i suoi capitali nello sfruttamento delle ricchezze del sottosuolo. Per ciò che concerne gli altri solfuri metallici vari galena, blenda, stibina, ecc. ecc. già ho detto quale sia presentemente la loro importanza; rispetto ai mezzi di trasporto valgono le considerazioni fatte qui sopra. Abbondano poi nella zona in questione, materiali da costruzione, come: gesso, trachite, travertino, tartaro, ecc. nonché in quantità inesauribile calcare per cemento. Ammassi di gesso trovansi alla base dei monti trachitici, così entro il bacino Tolfetano, alle Spinare, Pian de' Santi, Aravecchia, in prossimità delle trachiti di Monterano e Montevirginio. La trachite trovasi molto diffusa presso i Monti della Tolfa, è molto variabile per colore e per contenuto. Essa può utilizzarsi, per decorazioni di edifici e per la pavimentazione stradale. Presso Civifavecchia, abbondano travertini a tinte varie che vengono impiegati come marmi decorativi, col nome di alabastri; nel bacino di Tolfa un'altra. specie di questi viene adoperata e conosciuta col nome di alabastro del Bagnarello. Tutti questi materiali hanno oggi un uso molto limitato, cioè essi si adoperano per i bisogni dei paesi vicini, ma dopo la costruzione della linea ferroviaria si potrebbero impiegare largamente nella Capitale e nei paesi limitrofi. Il calcare per il cemento, viene già impiegato in grande quantità per alimentare la fabbrica di cemento di Civitavecchia, che è unita alle cave da una teleferica. Presso le cave attuali se ne trova in quantità inesauribile e perciò capace di dare vasto incremento allo Stabilimento del cemento artificiale. Presso le cave attuali se ne trova in quantità inesauribile e perciò capace, di dare vasto incremento allo Stabilimento del cemento artificiale. CAPITOLO V Acque MineraliGli avanzi di antiche terme, che restano in molti luoghi di questa zona, stanno a testimoniare il gran conto in cui tennero gli antichi le tante acque termo - minerali che vi si trovano, così diverse nelle loro composizioni, da rendersi preziose per gli usi terapeutici ai quali venivano destinate. Mi limiterò a citare le principali, dando per ciascuna di esse delle notizie sommarie, per non allontanarmi troppo dallo scopo del presente lavoro, rimandando il lettore per ampie delucidazioni, ad alcune indicazioni bibliografiche. AI BAGNI DI STIGLIANO, sul margine della Lenta, sono le acque Stigianae o le Apollinares degli antichi, rappresentate da un gruppo di sorgenti diverse: acidule, termali, ferruginose e solforose, destinati ad usi terapeutici e così accreditate da richiamarvi un gran numero di bagnanti, nonostante la inaccessibilità dei luoghi e la nessuna comodità del soggiorno. I caratteri fisico - chimici sono i seguenti 1) Acqua « Bagno Grande » solforosa iodica (temp. 35,4); 2) Acqua dell'Inferno o « Bagnarello » (temp. 35,4); 3) Acqua potabile solforosa; 4) Acqua potabile ferruginosa; 5) Acqua bianca magnesiaca. I bagni convengono in modo unico: a) nell'artritismo; b) nelle malattie delle donne, metriti, amnesiti; c) nel reumatismo articolare cronico; d) negli esiti di fratture; e) nella scrofolosi.i sono poi fanghi per le cure ad essi riservate, le « Grotte sudorifere naturali » alimentate dalle acque caldissime del Bagnarello, rassomigliano alle famose grotte di Monsummano, alle stufe di Ischia, Vaidieri e Vinadio.Presso queste acque sorge uno Stabilimento che ha la capacità di ospitare un numero limitato di bagnanti, perciò, dato l'afflusso notevole di quelli che hanno provate le loro virtù curative, è necessaria la prenotazione da un anno all'altro. D'altronde anche il proprietario dello Stabilimento, la Società “ Acque e Terme” non può farne un ricercato luogo di soggiorno, costruendovi dei magnifici appartamenti e dotandolo di tutti quei conforti moderni annessi presso tutte le rinomate fonti di acque termali nell'assenza di una via ferroviaria di accesso, che permetta un numeroso concorso di bagnanti. E problematico dunque, investire cospicui capitali per gli scopi suddetti, quando queste acque, nonostante i loro caratteristici pregi terapeutici, si trovano in mezzo ad una campagna, prive di vie di comunicazione che le colleghino con centri abitati e con le linee ferroviarie Roma Viterbo e Roma Pisa. Nel bacino della Tolfa v'è poi un'altra fonte termale detta del « Bagnarello » raggiunge i 46 centigradi e serve ad un piccolo stabilimento, ove affluiscono solamente i bisognosi di cura de paese vicino. Ma anche questa, nonostante i suoi pregi accertati da Specialisti, non può avere l'applicazione che merita per il luogo in cui è situata; poco utilizzata anche dagli abitanti di Tolfa, date le tristi condizioni della viabilità. Ad ovest di Tolfa, entro una angusta valle, scaturisce l'acqua acidulaferruginosa, detta. del Campaccio, rinomata per le sue virtù deostruenti e corroboranti. La scoperta si deve al Prof. Carpi (1) che, nel 1828, ne fece una analisi accurata, specificando le varie applicazioni che essa può avere in medicina, e cioè: in tutte le ostruzioni dei visceri, come del fegato, della milza, ed in tutti gli ingorgamenti linfatici, particolarmente del mesenterio: come corroborante, in tutte le malattie di languore, quindi nella clorosi, nei fiori bianchi, ecc.Non appena terminata la discesa dei Monti, alla distanza di circa 4 Km. da Civitavecchia, s'incontrano i ruderi delle sontuose Terme Taurine, erette da Traiano, a causa delle vaste scaturigini d'acque termominerali che qui vi sono (2). Non molto lontano da questi ruderi, si manifesta l'acqua termale della « Ficoncella » che ha molta analogia con quelle Taurine. Voler parlare delle virtù salutari di quest'ultime, riportando giudizi di eminenti dottori che le studiarono, sarebbe troppo lungo; per noi basta solamente rilevare che tutti gli specialisti che studiarono le nostre acque termo minerali, riconobbero in esse eminenti e svariate virtù terapeutiche. Dopo ciò si presenta una domanda facile e semplice: perché i nostri bagni non sono frequentati che da pochi individui e sono quelli appunto che sperimentarono l'efficacia delle nostre acque per la cura di determinate malattie ? (1) Lettera al prof. Domenico Morechini (Giornale Arcadico di scienze, lettere ed arti 1828). La risposta è ovvia, quando si pensi, che, essendo la zona descritta priva di ogni via di comunicazione, logico che anche queste varie località in cui si trovano le acque termo minerali, non abbiamo nemmeno un facile accesso per vie rotabili. Dotiamole di vie di comunicazione economiche e celeri e vedremo allora la speculazione privata affrettarsi a costruire dei comodi e moderni stabilimenti che potrebbero rivaleggiare con le tanto decantate fonti di acque minerali che abbiamo in Italia. Si dirà, che le diverse fonti di acque termo minerali, dovendo divenire non solamente dei luoghi di cura, ma anche di gradevole soggiorno e di villeggiatura, è necessario porle in rapporto con le condizioni climatologiche delle località ove scaturiscono ed anche con le condizioni geologiche naturali dei luoghi stessi. Ebbene, il clima dolce e temperato di questa amena regione, la naturale bellezza dei luoghi, la sua costituzione geologica tutto fa prevedere che ad essa nulla manca, se non comode vie di comunicazione e stabilimenti adatti, per attrarre un gran numero di bagnanti che potrebbero costituire un ingente traffico per la ferrovia ed una risorsa per questi paesi. Nei luoghi, ove è maggiore l'afflusso dei desiderosi di cura idroterapica, non esistono delle acque che hanno proprietà superiori alle nostre; é la speculazione che ha dato ad esse questa superiorità, costruendo sontuosi edifizi, muniti di ogni conforto moderno, solleticando così la mollezza del vivere odierno che è penetrata dovunque, a preparare conforti a chi dalla voluttà del soggiorno e dalle impressioni esteriori intende ritrarre altrettanto vantaggio, quanto dalla salutare influenza medicatrice delle acque. I nostri luoghi potrebbero competere, quando s'intende fossero eliminate le cause sfavorevoli succitate, con quelli delle altre contrade d'Italia ed estere, per la privilegiata e grandiosa bellezza della loro posizione, per la purezza e freschezza dell'aria, e per l'importanza e salubrità delle loro acque. In questa contrada, ad ogni pie' sospinto, c'imbattiamo in rovine di monumenti balneari che ci parlano dei grandi romani; ora vediamo così vergognosamente abbandonate e misconosciute quelle acque che furono per essi oggetto di culto. Questo non è addirittura degno dei figli di Roma poiché, data la importanza delle nostre acque, la ricchezza e bellezza delle nostre terre, la magnificenza e varietà infinita dei nostri colli e delle nostre valli, donde queste sgorgano, la salutare dolcezza dei nostro clima, grave danno sarebbe se tardassero ancora a prendere il posto che loro spetta nella idroterapia medica e, ritornare ad essere, come ai tempo dei Cesari, i naturali e preferiti luoghi di cura e di soggiorno per l'Urbe. PARTE SECONDA RICCHEZZE AGRARIE CAPITOLO I SOMMARIO: Condizioni attuali dell'agricoltura nella zona Allevamento del bestiame Selvicoltura Produzioni, - Commercio. Attualmente l'industria agricola può dirsi la sola, sulla quale poggia la vita economica della regione, cosicché, tali paesi possono dirsi eminentemente agricoli; per la sua importanza e per il progresso di cui è suscettibile fa d'uopo trattarla con qualche ampiezza, al fine di conoscerla profondamente nello stato presente, per meglio intuirne i suoi probabili ulteriori sviluppi. Il 95 per cento della superficie territoriale, già riportata nell'introduzione, costituisce la superficie agraria e forestale della zona in esame, che è di ettari 57.000. Sarebbe non conforme alla esposizione, sia pure sommaria, delle condizioni attuali dell'agricoltura, se preliminarmente non ponessi in evidenza la suddivisione della suddetta superficie fra le varie colture, pascoli permanenti o a lunga vicenda, riposi con pascolo, e boschi. Da tali cifre potremo desumere facilmente i sistemi di coltura e di allevamento del bestiame; oltreché lo stato di conservazione dei boschi, quando potremo esaminare le produzioni di quest'ultimi. La superficie in rotazione, e cioè: per coltura cereali, piante da foraggio, altre colture e riposi con pascolo è di Ettari 26904 (il 47,2 per cento della superficie agraria e forestale); i pascoli permanenti o a lunga vicenda hanno un'estensione di Ettari 14763; i boschi, compresi i castagneti occupano un'area di Ettari 15333. Un'ulteriore analisi della superficie in rotazione complessiva, ci rivelerà le caratteristiche dell'economia agraria della zona. Infatti di Ettari 26904, costituenti la superficie in rotazione, il 35,3 per cento viene coltivato a cereali; il 0,2 per cento per piante da foraggio, il 0,5 per cento per le altre colture ed il 64 per cento a riposi con pascolo o senza. Evidentemente da tali coefficienti possiamo affermare che la coltura dei cereali e l'allevamento del bestiame, formano i nerbi dell'economia agraria della regione; di più a grandi linee si prospettano i caratteri peculiari dell'industria cerealicola e di quella del bestiame. L'assenza o quasi di ogni altra coltura sulle superfici avvicendate, il tenue coefficiente riguardante la superficie per piante da foraggio lelevata percentuale del 64 per cento che rappresenta i riposi in rotazione, confermano pienamente l'importanza delle due industrie predette. Incominciamo ora, a parlare del sistema di coltura che si adotta per i cereali, il più diffuso dei quali è il frumento che occupa il 27,9 per cento della superficie in rotazione e cioè Ettari 7506,21 (il 12,9 per cento della superficie agraria e forestale); avena ed orzo occupano il 5,4 per cento della superficie in rotazione; trascurabili sono gli altri. E' indispensabile premettere che gran parte dei terreni appartengono alle Università Agrarie, le quali procedono tutti gli anni alla ripartizione di alcuni appezzamenti, per concedere le singole parti agli utenti, che le coltivano per due anni consecutivi. Ne consegue che, il sistema di coltura, è ancora quanto mai primitivo ed esso risponde al turno di quarteria, maggese, colte e riposo; incipiente coltura estensiva per l'assenza completa di ogni applicazione di capitale alla terra. Data la natura delle campagne, spesso scomode e sassose e la loro altimetria, si adotta ancora l'aratro di Trittolemo (o aratro chiodo) oppure dei picconi per il maggese; tutti gli altri lavori si compiono ancora in modo rudimentale, senza neppure pensare ad introdurre nuovi mezzi meccanici, anche colà dove potrebbero trovare facile applicazione. Le strade rurali sono in pessime condizioni e tutte impraticabili per i veicoli, spesso anche alle bestie da soma, perciò non potranno mai facilitare il trasporto delle sementi e dei prodotti del suolo. A queste cause sfavorevoli di carattere naturale, si aggiunga che, le popolazioni non hanno nessuna incipiente coltura agraria, di conseguenza è la tradizione e l'empirismo che vigono sovrani; i contadini per la loro speciale psicologia sono restii ad ogni innovazione, benché minima, nessuna adozione di concimi chimici ed insufficienti quelli animali, inattività completa delle Università Agrarie rispetto al progresso tecnico agricolo della zona. Come è facile dedurre da quanto ho premesso, il contadino, ricevuta la sua quota per un periodo di due anni e solamente per la semina, cerca di prendere dalla terra quanto più può toglierle, senza prestarle alcuna cura, tranne che quei lavori, indispensabili per il raccolto immediato; dunque vera e propria coltura rapinatrice. Ricevuta in assegnazione la sua quota, spesso in luoghi diversi e quindi di poca entità, il coltivatore non ha convenienza costruire sul luogo un piccolo ricovero, e perciò è costretto a recarsi al paese dopo il lavoro, che dista di 7 od 8 km. in media, con sciupio di energie e di tempo, a scapita del rendimento del lavoro. Quando la quota da coltivare, trovasi ad una distanza maggiore, i singoli quotisti sono costretti a costruire delle capanne di ramaglia, per le quali impiegano parecchie giornate di lavoro, il di cui importo viene ammortizzato coi due raccolti che si potranno ottenere dalle quote coltivate. Dopo la semina, tali capanne vengono, in parte bruciate o distrutte dal bestiame cosicché quando si ritorna a seminare è necessario ricostruirle per formarsi un qualsiasi riparo dalle intemperie. Il trasporto delle sementi dai paesi alle campagne, e viceversa per i prodotti, aggrava enormemente il costo di produzione, perché esso si effettua sempre a dorso di quadrupedi.. Qualunque iniziativa singola o collettiva, per ciò che concerne il credito agrario, l'adozione di concimi chimici, la spietratura e bonifica dei terreni, l'introduzione di altri mezzi richiesti dall'agricoltura moderna, s'intende ove fosse possibile, non può realizzarsi per lo speciale ordinamento giuridico economico di tale zona agraria, che le Università Agrarie le hanno, impresso da secoli. Una parte dei terreni della zona, è costituita dai latifondi in proprietà dei privati i quali li affittano ai mercanti di campagna, che a loro volta spesso li subaffittano, ottenendo gli uni e gli altri dei lauti fitti sufficienti per fare i grassi borghesi nelle città. La forma di utilizzazione normale di tali latifondi è quella del pascolo per il bestiame ovino ed eccezionalmente vengono concessi ai contadini per la semina, con le norme riportate qui sopra per i terreni in proprietà delle Università Agrarie, a differenza che tali affittuari richiedono corrisposte altissime. La ragione è ovvia e di un'ampia applicazione; un'unità di terreno adibita a pascolo può rendere, per esempio, cento; concessa per la semina ai contadini può dare a quelli un pari rendimento, solamente gravando questi ultimi eccessivamente. E' dunque l'interesse economico che trovasi in contrasto con quello sociale, quando la legge non intervenga a contemperarli, dando la prevalenza a quest'ultimo. Tutte le prediche degli studiosi del nostro problema frumentario, resteranno lettera morta fin quando per aumentare la produzione, la legge non interverrà a diminuire gli appetiti disordinati di cotesti « Gabellotti » i quali ligi ai principi di economia classica, postergano ogni altra questione di interesse generale, per far prevalere in ogni caso quello particolare. L'importanza della questione e dei suoi tanti riflessi economico-sociali, consiglierebbe di trattarla particolarmente per dimostrare in qual conto dovremmo tenere il fattore demografico, anche nel tracciare le direttive della nostra politica economica; inoltre la guerra recente insegni quale importanza politico-militare può avere per noi il problema di approvvigionamento granario. Una causa principale che osta in questa regione l'aumento della produzione granaria, devesi ricercare nel fatto che i contadini non possono esplicare la loro forza di lavoro al di fuori dei terreni delle Università Agrarie per non vedersi colpiti da pretese eccessive degli affittuari suddetti, spesso inaccettabili. Queste, a larghi tratti, le condizioni attuali, della agricoltura rispetto alla coltura dei cereali; per quanto riguarda l'allevamento del bestiame, le percentuali già esaminate dei pascoli permanenti e dei riposi con pascolo, rispetto alla superficie in rotazione, ci pongono all'evidenza, che gran parte dei terreni viene riservata al pascolo che si estende sopra una superficie di ettari 31981; cifra, abbastanza elevata per dedurre subito che l'industria zootecnica deve essere fiorente. Esistendo il pascolo collettivo è naturale che si abbia l'allevamento del bestiame a brado, senza possibilità, finché tutto rimarrà immutato, di costituire dei prati, artificiali, di procedere gradatamente alla stabulatura del bestiame ed anche evitare, con una più rigorosa disciplina, i danni nei boschi che vengono rovinati in mille modi, per l'acquiescenza dei guardiani, e per l'inveterato concetto che gli utenti, specialmente quelli possessori di molto bestiame, e perciò più influenti, di tutto possano, liberamente disporre. Sopra una si vasta estensione riservata al pascolo, non si alimentano più di 12.000 capi di bestiame equino e vaccino, oltre che 72.000 capi di ovini, i quali però durante i mesi estivi emigrano nelle montagne degli Abruzzi, dell'Umbria e delle Marche. E' evidente che, aggiunti ai terreni pascolivi quelli boschivi, l'area silvo pastorale ammonta ad ettari 47261 sufficiente ad alimentare una quantità di bestiame molto superiore a quella espressa dalle cifre suesposte. Dopo ciò, diamo uno sguardo alla selvicoltura della zona, e troveremo che esso trovasi in uno stato di decadenza. Abbiamo già visto che i boschi, compresi i castagneti, occupano il 26,9 per cento della superficie agraria e forestale, cioè essi hanno una estensione di ettari 15333 considerandovi compresi tutti quei terreni, i quali danno normalmente un prodotto in legna da opera, in legna combustibile, fascine e carbone. Notisi che parte di tali boschi costituisce il demanio dei singoli Comuni, l'altra parte appartiene alle Università Agrarie. Generalmente il diritto di legnatico delle popolazioni, nei boschi demaniali del Comune e in quelli delle Università Agrarie per gli utenti, si è convertito spesso in una vera devastazione, molte usurpazioni di terreni disboscati furono legalizzate, danni infiniti ed impuniti si arrecano con il taglio e col pascolo del bestiame nei boschi cedui; è per questo complesso di cause per cui il caos e l'anarchia regnano sovrani, con grave danno dello sviluppo della selvicoltura della zona. Per comodità di esposizione citerò in appresso le cifre riguardanti il rendimento dei boschi dalle quali meglio potremo arguire quale sia l'efficienza del patrimonio forestale della regione. La produzione media del frumento per ettaro è di quintali 14 cosicché sopra una superficie media annuale coltivata a frumento di 7508 ettari si ha una produzione media normale di quintali 105.112. Ritenuto che il consumo sia di quintali 50.000 escludendo il mercato di consumo di Civitavecchia, ne consegue che si esportano circa quintali 55.112 s'intende grosso modo: dati che possiamo ritenere molto attendibili, in quanto sono desunti dal Catasto agrario del Ministero della Economia Nazionale ed opportunamente elaborati, attraverso un processo di comparazione, con quelli raccolti direttamente dai singoli Enti locali. Quanto all'avena ed all'orzo, coltivati sopra una superficie di ettari 1200 danno un prodotto medio normale annuale di quintali 19.000 che si consuma tutto per i bisogni locali dato il numero rilevante delle bestie da sella e da soma, che, come abbiamo visto, sono gli unici mezzi di trasporto di cui dispongono questi agricoltori. L'industria vinicola non ha nessuna importanza in riferimento alla esportazione, annualmente si producono ettolitri 20.000 di vino che deve consumarsi nei paesi di produzione. E' facile supporre con quale frequenza delle crisi di sovraproduzione colpiscano terribilmente tale industria, poiché data la potenzialità alcoolica dei nostri vini che non superano i 7 od 8 gradi, essi non sono atti all'esportazione; e poi già altri vini molto migliori incontrano difficoltà enormi per conquistare i mercati di consumo interni ed esteri. Si richiede dunque che i nostri contadini conoscano una buona volta, quale sia la situazione generale di questo prodotto e adeguino la produzione al consumo locale, cercando di migliorare la qualità con innesti di nuove viti, il cui prodotto maturi più presto, come pure seguire i dettami rigorosi dell'arte enologica per ottenere un prodotto tipo che forse potrebbe esportarsi nei paesi vicini. Non è più tempo di continuare a piantare la vigna come ai tempi di Noè, senza vedere se fosse più redditizio volgersi verso altre colture: problema questo che dovrebbe seriamente preoccupare, quando si pensi che i vigneti sono in continuo aumento : nel 1910 11 si calcolavano coltivati a vigneto ettari 850 circa, nel 1923 si prevede che sorpassino il migliaio. Gli ortaggi danno un reddito di L. 3600 per ettaro e L. 597.600 come reddito medio normale complessivo. (1) Notisi che gran parte degli ortaggi vengono esportati a Civitavecchia dal paese di Tolfa che ne produce in maggior quantità degli altri; forma di coltura questa degli ortaggi che si dovrebbe aumentare e far progredire avendo dinanzi a se elementi di sicuro sviluppo. I castagneti, si estendono sopra un'area di ettari 70 ed hanno una produzione normale per ettaro di quintali 14,8 e complessivamente di quintali 1030. Anche per questo prodotto i paesi, dell'interno della zona, Allumiere e Tolfa, non ne fanno un grande consumo, cosicché se ne esportano una notevole quantità a Civitavecchia, con i mezzi di trasporto di cui parlerò in appresso. Molta frutta si esporta pure a Civitavecchia e tale esportazione, potrebbe aumentarsi considerevolmente quando vi fossero facilitazioni di trasporto, allorché i paesi produttori ne fanno un consumo smodato e disordinato, nell'impossibilità di condurla sul mercato di Civitavecchia senza poterla sottrarre ad un prezzo di trasporto che raddoppia il costo di essa: lasciando così poco margine nel prezzo di vendita per compensare tale costo. Riguardo ai prodotti della selvicoltura il bosco ceduo rappresenta il 24,6 per cento della superficie agraria e forestale, cioè ettari 14022 e da una produzione normale di quintali 15 di legna da ardere per ettaro, complessivamente quintali 221330 oltreché quintali 2,9 per ettaro e cioè quintali 27689 complessivi: di più si ritraggono annualmente quintali 2600 di legname da lavoro dai boschi da frutto e da taglio; sia il legname da lavoro, carbone a parte della legna da ardere vengono esportati. (1) Tali cifre sono state ricavate moltiplicando quelle dell'anteguerra per un coefficiente di svalutazione della moneta. L'industria zootecnica. come abbiamo già visto, quantunque sia suscettibile di progressi notevoli, è tuttora abbastanza fiorente e costituisce per la regione l'unica industria dalla quale trae presentemente, gran parte della sua ricchezza. Il bestiame viene allevato esclusivamente per essere venduto alle fiere di Bracciano, Tarquinia e Viterbo, ma specialmente in quest'ultima che si effettua nei mesi di maggio e settembre. Quanto ai prodotti agricoli secondari, il più delle volte, vengono distrutti per la difficoltà dei trasporti ad esempio la paglia che raramente si utilizza, poiché il costo del trasporto verrebbe a triplicare il suo valore originario. Se esistesse un mezzo di trasporto economico, non è da escludersi che si potrebbe contare su di un'esportazione di quintali 100.000 di paglia. Dopo questa rapida rassegna delle produzioni agrarie, è d'uopo fermarci un poco ad esaminare i mezzi di trasporto ed i relativi costi che gravano i prodotti succitati, ricordando che gran parte di essi si esportano a Civitavecchia ed a Manziana, dopo aver appunto detratto il quantitativo pel consumo locale. Date le condizioni della viabilità ed anche le rilevanti pendenze della sola strada carrozzabile, i trasporti dei prodotti agrari, si effettuano in gran parte a dorso di quadrupedi, cavalli, asini, muli ed anche con carri. L'inconveniente più grave, che viene maggiormente a gravare il prezzo di vendita dei prodotti resi ai centri di sbocco, è il trasporto di essi ai centri abitati, sempre abbastanza elevato, al quale si aggiunge il costo del trasporto dal centro abitato, a Civitavecchia od a Manziana. E' un dispendio di energia e di tempo che solo potrebbe eliminarsi costruendo una ferrovia che attraversi gran parte delle campagne, affinché possano formarsi con essa dei centri di raccolta dei prodotti diretti all'esportazione, eliminando così le spese per condurli nei paesi ove solamente debbono sostare. Così ad esempio un quintale di grano, condotto dai luoghi dì produzione a Tolfa, costa in media L. 8, e da Tolfa a Civitavecchia altre L. 7, vedasi ora quale importanza abbia il costo del trasporto sul prezzo del grano a Civitavecchia. A base di dati statistici si potrebbe dimostrare che il trasporto del grano transoceanico a Civitavecchia, costi assai meno di quello che produce il suo retroterra alla distanza di pochi chilometri. Così dicasi per gli altri prodotti e specialmente per quelli che hanno un valore minimo sul luogo di produzione, per i quali. il trasporto viene a raddoppiare o triplicare il loro prezzo, resi fob. ai Centri di sbocco. E' dunque, incontrovertibile che l'assenza di un mezzo di trasporto economico, danneggia enormemente lo stato rudimentale della agricoltura della zona, oltreché arresta lo sviluppo di ogni progresso agrario, subordinato anche questo principalmente al problema della viabilità. CAPITOLO II. SOMMARIO Le Università Agrarie - Loro natura giuridica - Loro importanza rispetto all'agricoltura locale Trasformazione di esse in senso tecnico agrario ed economico in Enti demaniali agrari, regolatori dell'economia rurale. L'economia agraria della regione è in gran parte subordinata alle Università Agrarie, allorché circa metà dei terreni sono proprietà di questi Enti, altri ne hanno in affitto, dipendendo così l'utilizzazione di tali patrimoni, dalla regolamentazione fatta dagli Enti stessi, che cercheremo di analizzare in seguito. Per dimostrare ampiamente il mio assunto, la trattazione di cotesti Enti, circa la natura di essi e l'eventuale loro trasformazione in rapporto ad un nuovo periodo storico della nostra economia agraria, è ragione precipua per trattare alcuni problemi, nella risoluzione dei quali, tanta parte dovrebbero avere questi Enti agrari. Avuto riguardo allo svolgimento storico ed alla loro natura giuridica, alcune di esse si costituirono fin dal principio dell'Evo Moderno, come « Universitas facti », altre sorsero assegnatarie dei beni gravati di usi civici, provenienti dalle affrancazioni fatte in virtù della legge 1888, la quale mirava a risolvere la secolare questione degli usi civici; tutte ebbero un riconoscimento giuridico con la legge del 1894. Le prime restarono sempre Università di classe, nonostante le contestazioni. continue dei loro diritti esclusivi, da parte delle popolazioni, che sboccarono in una serie di litigi e servirono a tenere agitate per lungo tempo le masse dei contadini, suscitando il socialismo rivoluzionario in queste campagne. Nelle seconde invece entrarono a farne parte, con uguali diritti, tutti i cittadini aventi diritti d'incolato. Quale sia stata l'utilizzazione dei patrimoni terrieri, appartenenti a cotesti Enti è a tutti noto; lo stato ancora primitivo e caotico della nostra agricoltura si deve in gran parte alla mancata regolamentazione, diretta ad utilizzare più razionevolmente e più equamente, questi patrimoni collettivi che, lesi, dapprima. nella, loro consistenza, da quella pessima legge già ricordata del 1888, e abbandonati nelle mani dei più lestofanti e dei più scaltri, essi sono stati menomati, venendo così a distrarre l'oggetto che tanto contributo avrebbe potuto arrecare per la risoluzione della questione sociale in questi paesi. Quegli Enti, che ho chiamati per la loro diversa natura giuridica, Università di classe, per tutelare inflessibilmente i loro interessi esclusivi, cercarono di allontanare ogni categoria di cittadini dall'esercizio degli usi civici, con una serie di cavillosità e argomentazioni giuridiche, protetti da quella legge dei 1888, che con disposizioni ambigue, mal proteggeva i diritti delle popolazioni, senza accorgersi punto che le mutate condizioni sociali avrebbero costretto il legislatore a contemperare quelle sottigliezze giuridiche, con l'equità richiesta calle popolazioni tumultuanti. Anche per le seconde, data la loro origine, era naturale che anch'esse si dimostrassero incapaci a promuovere ogni progresso agricolo, per i diversi interessi contrastanti. che in esse si trasferirono, apportate dalle varie classi di utenti, esponenti dei principali usi dei pascolo, della semina e del legnatico. Per addivenire ad una conciliazione si è dovuto continuare nel sistema di coltura a turno di quarteria, che concilia il diritto del bovattiere, con quello de bracciante, ma a totale detrimento delle terre e della intensificazione delle colture. Questo stato dì cose non può durare più a lungo perché già da qualche tempo, per l'aumento di queste popolazioni sane e laboriose, non ancora corrotte nei costumi e nelle loro feconde prolificazioni, va notandosi il contrasto tra l'elemento sociale e l'ambiente economico, sul quale necessita reagire per assicurare ad esse il diritto alla vita, oppure evitare che emigrino, quando estensioni immense di terreni, anche mediocremente fertili, le circondano. Mentre ci giungono d'altrove esempi ed incitamenti di progressi agricoli meravigliosi, noi non possiamo fossilizzarci nella pratica degli antichi sistemi di coltura, se non vogliamo rendere ancora più stridente il contrasto tra l'elemento demografico che cresce a dismisura, e la nostra economia agraria che resta in una stazionarietà perpetua. L'incapacità di promuovere, benché il minimo progresso agricolo, quando non l'hanno ostacolato, l'ignoranza e l'egoismo degli amministratori, l'irrazionale ed iniquo diritto di semina esercitato fino a pochi anni fa in ragione dei bestiame posseduto dagli utenti, i quali spesso speculavano su tale diritto, il caos eretto a sistema per l'esercizio del diritto di pascolo e di legnatico, provato in modo inconfutabile dallo stato dei boschi e dai danneggiamenti rilevanti che spesso si ripetono nei seminati; tutto ha contribuito a creare uno stato d'animo ostile nelle popolazioni, ormai sfiduciate e stanche del funzionamento di cotesti Enti. Si aggiunga che, in questi ultimi anni, le aspre lotte politiche ingaggiate al di fuori, si sono trasferite in seno alle Università Agrarie e quivi si combatterono lotte asprissime, perché la classe che già aveva dominato indisturbata per vari secoli, mal tollerava l'ingerenza della rappresentanza di un'altra classe; esponente di interessi spesso assai divergenti, e priva anche lei di elementi con competenza tecnica sufficiente ed imbevuti spesso di teorie rivoluzionarie, per imprimere un nuovo indirizzo a questi organismi agrari. Da quanto sopra ne consegue logicamente che il funzionamento dei consigli elettivi, amministrativi era divenuto impossibile; si ebbero così ben presto in quasi tutte le Università Agrarie i Commissari Prefettizi, rimedio peggiore del male, perché cotesti funzionari sono già lodevoli quando si limitino a compiere gli atti di ordinaria amministrazione, senza punto curarsi d'innovazioni agrarie. Fatta la diagnosi del male che affligge la vita delle Università Agrarie, si spiega come molti studiosi e uomini che vivono in mezzo ad esse, abbiano fatto voti che il legislatore, desse loro un assetto definitivo con disposizioni organiche, più rispondenti al progresso agricolo, ai mutati bisogni sociali, ed alla pacificazione di queste laboriose popolazioni. Dunque una radicale riforma di questi Enti, in relazione s'intende con la risoluzione dell'annoso problema degli usi civici, s'imponeva e, due principali correnti dell'opinione pubblica, l'una per la soppressione dell'Università Agrarie, mediante il passaggio dei patrimoni ai Comuni, l'altra per la conservazione di esse opportunamente trasformate, determinarono il Governo a seguire una via di mezzo. Difatti il Decreto 22 maggio 1924 sull'ordinamento degli usi civici del Regno, mentre non parla affatto di soppressione immediata e diretta di questi Enti, per vie indirette cerca di minarne le basi e lasciare a discrezione degli utenti la loro vita futura, dettando disposizioni sullo assetto dei patrimoni in caso che si verifichino determinate condizioni da esso contemplate. Il Decreto succitato, nonostante che contenga alcune buone disposizioni, risolve solo parzialmente la questione dei dominii collettivi, e contiene molte imperfezioni e lacune; è doveroso quindi esprimere un modestissimo giudizio, sull'eventuale utilizzazione di tali patrimoni, per renderli più proficui e contemporaneamente farne istrumento efficace di riforma sociale. I criteri informatori di una completa riforma dei patrimoni collettivi, dovrebbero essere i seguenti: 1) salvaguardare rigorosamente tali patrimoni e, possibilmente, ove sono
insufficienti, accrescerli commisurandoli ai bisogni delle popolazioni; In base a questi criteri direttivi, sbarazziamo anzitutto il terreno di tutte le varie proposte incomplete ed inorganiche, che sono state suggerite, e che hanno appunto preparato l'avvento del Decreto dello scorso maggio. Vari scrittori propongono di concedere in definitiva proprietà i terreni suddivisi tra gli utenti ed il Governo in parte ha accolte le loro proposte, quando parla nel Decreto suddetto, di concedere le quote in enfiteusi affrancabile ai singoli utenti, dimenticando che per questa via si giunge, più o meno tardi, alla dissoluzione dei patrimoni collettivi ed alla ricostituzione del latifondo. Dunque, niente concessione in definitiva proprietà, errore che la storia già ha condannato più volte; concedere solo il godimento della terra, per un periodo di tempo che bene concordi colle esigenze di varia natura, cui la terra è oggi chiamata a soddisfare. Applicazione rigorosa anche da parte degli Enti proprietari, del principio d'inalienabilità, al quale potrebbe derogarsi solo per casi eccezionalissimi. Ove i patrimoni collettivi sono insufficienti, si chiamino a farne parte i beni degli Enti morali, del Comune, solo per quei terreni coltivabili e suscettibili di essere trasformati a coltura intensiva, i beni patrimoniali dello Stato, i latifondi del privati non migliorati, ecc. Inoltre è necessario, che il Governo tuteli gli interessi delle popolazioni sui beni gravati di uso civico, non con disposizioni affrettate, come quelle contenute nel Decreto succitato, ma con savie leggi che non sacrifichino i diritti delle popolazioni, come fecero le leggi precedenti, le quali portarono il disordine nelle nostre campagne. Vedasi in proposito la Legge del 1888, per l'abolizione delle servitù di pascolo, di seminare, di legnatico, di vendere erbe, di fidare e imporre tassa a titolo di pascolo nelle provincie ex pontificie e dell'Emilia; la Legge dei 1894 sui dominii collettivi e la legge dell'8 marzo 1908 pei provvedimenti sull'affrancazione e sull'esercizio degli usi civici. Dopo quanto è stato detto qui sopra, è ovvio che occorre creare l'Ente proprietario dei patrimoni collettivi, o trasformare rispetto ai loro ordinamenti ed alle loro funzioni, quelli che già vi sono; non pochi hanno consigliato di passare al Comune, Ente autarchico territoriale, le funzioni di regolatore di tali patrimoni, per ragioni non completamente rigettabili a priori. Infatti, le rendite dei patrimoni collettivi servirebbero al Comune per provvedere ai molteplici bisogni pubblici, senza aggravare i contri buenti di infiniti balzelli; le sue funzioni sarebbero limitate alla semplice amministrazione di tali patrimoni, senza punto curare l'agricoltura anche perché i vari proventi verrebbero distolti da altri impieghi. Invero, pur consapevoli del danno che si perpetuerebbe per la nostra agricoltura, affidando i patrimoni collettivi ai Comuni, dovremmo aderire a questa tesi sol quando le Università Agrarie, od altre simili istituzioni, continuino per il futuro ad avere funzioni passive rispetto al progresso agrario e costituire come per il passato una duplicazione di Enti, spesso in contesa fra loro, senza alcun vantaggio, ma con sciupio di energie e di forze. Si consideri d'altra parte, che cosa potrebbe fare il Comune riguardo al miglioramento dei patrimoni collettivi, per trarre da essi un maggior rendimento, quando è per la sua stessa natura inetto ad esercitare funzioni economico commerciali che si vorrebbero attribuire ad Enti quali li concepisce lo scrivente. Un Ufficio Agrario annesso al Comune, che gestisse separata mente questi patrimoni, non risponderebbe allo scopo perché facendo parte di un Ente pubblico dovrebbe sempre sottostare a quell'ordinamento giuridico amministrativo intralciante ogni operosità fattiva. Evidentemente occorre un Ente distinto da quello del Comune appunto per le diverse finalità cui si propone, per i mezzi diversi che adotta, così per la sua diversa estrinseca attività esso deve avere un ordinamento giuridico tecnico-amministrativo diverso da quello del Comune. La Legge Comunale e Provinciale non può essere dunque adatta a regolare questi organismi; ogni ingerenza che essa ammette degli organi politici, governativi locali, non può che danneggiare ed intralciare la vita e lo sviluppo di questi Enti, essenzialmente agrari, e quindi, vere aziende economico industriali. Trasformatisi dunque cotesti Enti rispetto al loro ordinamento ed alla loro funzionalità, creati « ex novo » ove non esistono, e passate ad essi le proprietà collettive, ogni diritto di uso civico sparisce; tutti i cittadini divengono eguali e nessuno ha la facoltà di ritenersi privilegiato, per forza di numero, di tradizioni o di abusi e concessioni ormai sorpassate. Il problema della rappresentanza delle Associazioni Agrarie, come pure la scelta. degli organi di vigilanza e tutela, deve risolversi con l'esclusione assoluta di ogni ingerenza politica e di organi politici da cotesti Enti, che debbono essere considerati essenzialmente tecnico economici. Si legga perciò il progetto Mortara sui domini collettivi e si vedrà come quel giurista insigne, sia riuscito benissimo a risolvere il problema istituzionale di tali Enti. Assemblea degli Utenti, Consiglio d'amministrazione con Presidente, per il regolare andamento dell'amministrazione sociale, Ispettorato delle terre pubbliche, presso il Ministero dell'Economia Nazionale, con Ispettori Regionali per la vigilanza e tutela. Notisi che parecchi a torto hanno una grande sfiducia circa il funzionamento dei Consigli elettivi, desumendo tali giudizi dalla cattiva prova che essi fecero in questo periodo convulso postbellico, dimenticando che i rappresentanti dell'Assemblea degli Utenti, sono i veri e naturali amministratori, oltreché gli interessati diretti al buon andamento dell'azienda sociale. Tali Enti potranno poi, per meglio raggiungere il loro fine, rispetto alle operazioni commerciali finanziarie, riunirsi in Consorzi o Federazioni. L'Ispettore Regionale del Ministero, di concerto col Direttore Tecnico, che tutti gli Enti agrari di qualche entità dovrebbero avere, redigeranno insieme a delle Commissioni speciali di Utenti, di ogni singolo Ente, il regolamento di utilizzazione del patrimonio collettivo, per determinare la parte di esso destinata a coltura e quella riservata a pascolo permanente, che insieme ai boschi, dovrebbe costituire il pascolo collettivo; altrettanto dicasi per le successive variazioni. Fatta dunque la ripartizione dei patrimoni collettivi in terreni destinati a coltura intensiva ed in quelli per il pascolo collettivo, l'Ente agrario dovrebbe regolarne l'utilizzazione, in modo da promuovere con ogni mezzo lo sviluppo delle colture agrarie e la conservazione del patrimonio silvo pastorale, per ottenere il massimo rendimento col minimo dispendio di forze. Per la prima categoria di terreni si procederà ad una ripartizione fra gli utenti, in quote di estensione tali che siano sufficienti per il sostentamento di una famiglia di composizione media, dando la preferenza nelle assegnazioni, a quelle famiglie più povere e di e combattenti. Per evitare parzialità nell'assegnazione delle quote, destinate a coltura intensiva, si accolga il principio che il diritto è esclusivo a coloro i quali, per l'esercizio continuativo dell'arte agricola, quale unica risorsa per la loro attività ed esistenza, possano accudire alla coltivazione diretta dei terreni di dominio collettivo. L'Ente ritorna in possesso delle quote di coloro che abbandonano l'esercizio dell'agricoltura per volgersi ad altri mestieri, così di quelle quote i cui assegnatari non eseguiscono i miglioramenti prescritti, ecc; per assegnarle ad utenti che eventualmente ne siano restati privi, o che abbiano più tardi acquistato il diritto, e così via. Si stabilisca come principio inviolabile che nessuno possa avere il possesso di più di una quota. S'intende che la concessione in godimento deve essere fatta per un periodo abbastanza lungo ma ben limitato per non distruggere per altra via quello che deve rimanere oggetto di garanzia del proletariato agricolo di cui parlerò in appresso. Indubbiamente, la maggioranza dei quotisti, se abbandonati a loro stessi, presto o tardi, trovandosi alle prese con la miseria lasceranno la loro quota oppure non faranno in essa miglioramento veruno; bisogna dunque aiutarli, spronarli, consigliarli questo il compito supremo delle Università Agrarie di domani, se esse vorranno ancora vivere e prosperare. Quando si voglia passare, s'intende gradualmente, dalla coltura estensiva e disordinata, ad una coltura intensiva e più razionale, è naturale che sia indispensabile un Ente che regoli il Credito agrario, la somministrazione di beni, l'istruzione agraria ecc. ed è proprio in questo secondo momento in cui si riscontra la grande utilità economica e sociale e che tale, Ente potrebbe arrecare. Non è certo cosa facile, attraversare il passaggio da un sistema di coltura che richiede solamente il lavoro ad un altro bisognoso di capitali e di tanti mezzi richiesti dall'agricoltura moderna. Il problema del credito dovrebbe arrestare i progetti di tanti faciloni, inclini a far scomparire le Università Agrarie e sostituirle, dopo aver passati i patrimoni ai Comuni, con Consorsi dei quotisti organismi anemici fin dalla loro costituzione e non ispiranti nessuna fiducia, per ottenere credito a buone condizioni e a lunga scadenza: caratteristiche queste ultime del credito agrario. Questo, come linfa vitale che parte dagli organi distributori e torna ad essi dopo aver vivificata la vita economico agraria, non si potrà mai ottenere, se non con solide garanzie che solamente le Università Agrarie, non vincolate altrove, potrebbero offrire, quantunque i loro patrimoni siano inalienabili, date le vistose rendite che ritraggono dai canoni dei quotisti, ed in modo speciale dai loro ancora estesi patrimoni silvo - pastorali. Il Governo, d’altra parte, potrebbe concorrere a facilitare il cre dito di tali Enti coi provvedimenti che credesse più opportuni. Le Università Agrarie potrebb ero fornire il capitale circolante ai singoli quotisti a condizioni vantaggiose, facilitando l'ammortamento dei loro debiti, e da altra parte, garantendosi, da ogni rischio di insolvenza. Altrettanto dicasi per somministrazione eventuale di attrezzi concimi chimici, bestiame, semi, ecc. che gli Enti agrari potrebbero acquistare a buon mercato per il tramite delle loro Federazioni. Rispettò all'istruzione agraria, provvide iniziative potrebbero arrecare infiniti benefici. Si domandi anzitutto, d'introdurre nel corso popolare elementare 5.a e 6.a classe, o l'insegnamento dell'agraria, posto che quest'industria ha tanta importanza per la vita economica di questi paesi; s'istituiscano dei corsi serali per gli adulti e per ottenere la frequenza si usino tutti quei mezzi che valgano ad attirare i giovani ed a farli gareggiare fra loro. Per ciò che concerne il Direttore tecnico, voluto dalla Legge e da molti consigliato, esso può essere veramente il dirigente della nostra agricoltura, dal punto di vista tecnico agrario. I nostri contadini, non per far loro torto perché non è colpa loro,sono in generale restii ad ogni innovazione e si ostinano ancora nella pratica di vecchi sistemi di colture, coi soliti mezzi, senza pensare che, quando fossero guidati, essi. potrebbero ottenere un maggior prodotto con minore spesa. Non si dica dunque come alcune che chiamarono il direttore tecnico, un bianco in mezzo ad un popolo di negri; può essere veramente così quando l'elemento dirigente, al quale spetta il compito di educare le masse, e soprattutto ispirarle fiducia, resta inerte di fronte a tale compito immane e attribuisca poi la colpa di ogni insuccesso ad ignoranza, alla caparbietà e all'indolenza della massa. Inoltre, altre importanti attribuzioni potrebbero avere cotesti Enti riguardo alle trasformazioni fondiarie. Risolto il problema della viabilità, credo che non sia difficile far sorgere nelle nostre campagne delle case coloniche, data l'abbondanza dei materiali da costruzione, sparsi per tutto il territorio della regione. Dunque la difficoltà maggiore s'incontra anche qui nella viabilità, perché, come ho già ripetuto altre volte, le nostre campagne, o meglio la regione da me descritta, è addirittura priva di vie di comunicazione. La ferrovia Manziana Civitavecchia attraverserebbe le campagne della zona in senso latitudinale e perciò, la costruzione di strade rotabili, potrebbe farsi senza punto curare i centri abitati, che risiedono ad un'altezza notevole, ma facendole confluire longitudinalmente al tronco ferroviario. Certo, per concepire questo sistema stradale, bisogna ammettere come ipotesi che esista l'arteria, nella quale immettano tutte le altre vene del sistema, affinché i prodotti di esportazione, trovino la loro sosta naturale presso gli scali ferroviari e non, nei centri abitati, Traspare da quanto sopra, che le Università Agrarie, opportunamente trasformate, avranno in se una forza propulsiva non trascurabile, anche in riferimento alla risoluzione del problema della viabilità, perciò si giustifica pienamente, la trattazione di esse in questo scritto che in un primo momento, avuto riguardo argomento base della tesi, sembrerebbe troppo incidentale. Per le altre opere di trasformazione fondiaria, meglio che gli Enti o gli Istituti designati nel decreto precitato, potrebbero, eseguirle le Università Agrarie, organismi già potenti economicamente, ed ispiranti fiducia sempre maggiore, quando con opportune disposizioni legislative, essi si avviino a divenire delle colossali aziende agrarie, regolatrici dell'economia rurale. Dunque cotesti Enti, debitamente trasformati, rispetto al loro ordinamento e funzionalità, hanno ancora ragione di esistere dovendo altrimenti sostituire ad essi altri simili con nome diverso, ma con gli stessi fini, senza poter evitare i danni infiniti che deriverebbero se l'Ente proprietario dei domini collettivi fosse il Comune, e d'altra parte, senza poter garantire la vita dei Consorzi dei quotisti, già sorti affetti di malattia per mancanza di mezzi. I benefici immensi che può arrecare un Ente agrario, quale noi abbiamo tratteggiato a grandi linee, si rilevano ampiamente in un discorso sui dominii collettivi, pronunciato alla Camera dal Presidente del Consiglio on. Orlando, nella seduta del 27 novembre 1919, nel quale fra l'altro diceva: Io penso che coi mezzi che lo sviluppo della coscienza ha già creati, si possa ricostituire un demanio collettivo, con una differenza « però ben profonda del vecchio demanio feudale, in cui la scarsità della « popolazione poteva consentire che vasti latifondi fossero riservati alle « forme più umili e meno intense della coltura mentre ora il demanio, attraverso alla collettività, nella quale scorgo la vera forza della nuova Società, può mediante acquisti collettivi e mediante un esercizio individuale, congiungere i benefici della grande proprietà, con quelli della piccola. « Un nuovo demanio collettivo, infatti, può della piccola proprietà avere la forma intensiva, specializzata, localizzata del lavoro, e può, « mediante la riunione di queste forze, avere tutto ciò di cui la grande agricoltura dispone, i grandi magazzini, i grandi mezzi di coltura, la « possibilità dei grandi acquisti e delle grandi rendite. « E la terra, questa dolce, generosa e feconda terra d'Italia, paga per tutti, ne ha per tutti, non c'è bisogno di toglier nulla a nessuno, basta chiederle di più e di più essa vi darà ». L'on. Orlando dice dunque che i benefici della grande proprietà con quelli della piccola, si possono congiungere solamente quando ad un esercizio individuale, corrispondano acquisti collettivi cosicché, mediante la riunione delle forze individuali la piccola, proprietà può disporre di tutti quei mezzi di cui gode la grande; i grandi magazzini, i grandi mezzi di coltura, la possibilità dei grandi acquisti e delle grandi rendite. Qui si delineano, le funzioni degli Enti agrari, rispetto al progresso dell'agricoltura: aiutare, stimolare, coordinare, proteggere gli sforzi singoli, per giungere gradatamente ad una forma di coltura più redditizia e più razionale, che ben collimi con le mutate condizioni sociali. Vari sono oggi gli scrittori che consigliano sotto varie forme di dare al collettivismo rurale i caratteri e le garanzie, della feconda cooperazione moderna, propugnando la trasformazione delle comunanze agricole in grandi aziende cooperative, innestando - così il Sen. Fittoni - il principio moderno della cooperazione sul tronco annoso delle comunanze germogliate nel Medio Evo ». Indubbiamente le forze di espansione economica futura, sono riposte nella collettività, ma, per ora sarebbe assai, prematuro l'esperimento del cooperativismo nella produzione presso le Università Agrarie, e ciò per ragioni molteplici. Un regime economico così evoluto qual'è quello cooperativo non può realizzarsi d'un tratto; è necessario un periodo intermedio di preparazione e di educazione delle masse, affinché queste imparino a conoscere e persuadersi che insieme al benessere comune coesiste quello individuale, che l'utilità immensa derivante dagli acquisti e vendite collettive, dall'esercizio del credito, ecc., deve trovarsi indubbiamente anche nella produzione comune. Lasciamo dunque agli Enti agrari la materia prima della futura azienda cooperativa, e riserviamo ad essi quest'opera di preparazione e di avviamento delle masse dei contadini, verso la grande cooperazione moderna. Questo sarà un altro grande vantaggio incommensurabile che le Università Agrarie, potranno arrecare alla nostra agricoltura, quando si intende, esse si convincano una buona volta che sarebbe ormai antieconomico ed antisociale, ostinarsi nella pratica dei vecchi sistemi di colture e restare sempre inerti di fronte ai compiti immani cui debbono assolvere, per livellarsi col progresso tecnico-agricolo odierno ed evitare di passare fra i ferri vecchi. Come già dicemmo, il nuovo ordinamento tecnico economico amministrativo delle Università Agrarie, dovrà essere diretto a risolvere la questione sociale in questi paesi, cioè attuare un piano organico di regolamentazione dei domini collettivi, tendente ad assicurare la via non solamente alla generazione presente, ma anche a quelle future. Osservammo che queste popolazioni si trovano in continuo aumento, anche per i costumi sani e morali di prolificazione che vi persistono; alcune cifre che esporrò qui in seguito ci forniranno la prova che urge provvedere in tempo alle generazioni che sopraggiungeranno in maggior numero ed. evitare che esse si trovino diseredate della fortuna. La popolazione della regione nel 1901 era di 25.785 abitanti e nel decennio successivo raggiunse i 30.230 abitanti con aumento assoluto di 4.445, relativo al 164 per cento; nel censimento del 1921 si ebbe un aumento di 5475 corrispondente ad un coefficiente di aumento del 185 per cento. Come vedesi dalle cifre, suesposte, la popolazione cresce sempre con ritmo più accentuato, quantunque nel decennio 1911-1921 cause generali a tutti note (guerra, malattie infettive) abbiano influito sul coefficiente di aumento, attenuandolo. La media del coefficienti di aumento che è del 172 per mille sta a dimostrare che la popolazione può raddoppiarsi in un sessantennio circa. Fin d'ora può dirsi, che non esista in questi paesi una classe permanente di salariati, ma essa non. tarderà. a sorgere e ad ingrossarsi se non si provvede in tempo ad applicare per ogni unità di terra una maggiore quantità del fattore lavoro. Ciò sembrerebbe paradossale se si dimenticasse lo speciale ordinamento della nostra proprietà terriera, che permette à tutti i contadini di godere, con le condizioni che ho già precedentemente esposte, di un pezzo di terreno. E' necessario dunque che il coltivatore trovi nella quota assegnatagli un lavoro continuo e redditizio e per far ciò, bisogna adottare quelle forme di coltura che danno il massimo rendimento, s'intende con l'ausilio di tutti quei mezzi che il povero quotista non può procurarsi immediatamente, se non con l'aiuto e la protezione, di un Ente quale noi lo abbiamo descritto. D'altra parte, come possa eliminarsi il proletariato industriale è tale problema che ha torturato le menti dei più insigni statisti, allorché esso, insieme a quello agricolo che va sorgendo, esposti come sono alle alterne vicende dei salari e dei prezzi, costituiscono un grande pericolo, per la stabilità degli ordinamenti politico-sociali della Nazione. Inoltre il poco attaccamento dei contadini alla terra, e specialmente s'intende del bracciantato terriero, per ragioni ovvie, con il conseguente fenomeno dell'urbanesimo, sono dei problemi sociali che devono preoccupare seriamente. Tali fenomeni hanno un aspetto generale, ma essi possono essere localizzati, per trovarne gli elementi costitutivi anche in una piccola regione, come quella da me esaminata. Pertanto, occorre costituire od accrescere, ove non è sufficiente, in ogni comune un demanio collettivo, che sia garanzia del proletariato agricolo; e ciò non solamente per ragioni economiche, come ampiamente abbiamo dimostrato, ma anche per ragioni politiche e sociali. Assegniamo al contadino proletario, una quota di terreno in godimento, con determinate condizioni, assicurandolo che a lui gli succederà nel godimento un altro che trovasi nel suo stesso misero stato e vedremo quale conservatorismo prevarrà in esso e quanto più si sentirà attratto dal suo campicello. Chi ha il dovere di provvedere pensi dunque che tale questione dei domini collettivi non ha solamente una importanza locale, ma essa può avere infinite ripercussioni nel campo economico, politico e sociale della Nazione. PARTE TERZA CONCLUSIONI Nelle parti che precedono sembrami di aver dimostrato ampiamente che la vita futura dell'industria mineraria, balneare, agricola e commerciale della regione è intimamente connessa col problema della viabilità; questo deve costituire nel presente ed in futuro l'unica mèta verso la quale deve tendere con tenacia inflessibile chiunque desidera il bene di questa regione. Dopo aver enumerati gli immensi benefici che la ferrovia Civitavecchia Manziana può apportare, è ovvio affermare, che essa avrebbe un carattere eminentemente economico, poiché, come dimostrano alcune sommarie previsioni già fatte dall'Ing. Lucchini, Direttore della « Società Ferrovie Complementari d'Italia », essa potrebbe avere un traffico crescente con reddito rilevante. Alcuni hanno manifestato un certo pessimismo circa l'eventuale traffico della ferrovia in parola, pessimismo forse giustificato dai loro interessi particolari più o meno reconditi, ma destinato a scomparire di fronte alla realtà. Anzitutto premettiamo che la lunghezza della linea, sempre secondo il progetto Lucchini, dovrebbe essere di 48 km e servire direttamente o indirettamente, ad una popolazione di 60.000 abitanti. Ammettendo le seguenti percorrenze medie: viaggiatori km. 30, merci km. 40, e che il numero dei viaggiatori sia pressoché uguale a quello delle tonnellate di merci, si può presumere, un movimento giornaliero di viaggiatori 329, merci tonnellate 246. Il prodotto del traffico, in base ad. una tariffa media di L. 0,20 può valutarsi quindi in L. 1.440.000 al quale aggiungendo il 10 per cento per gli introiti fuori traffico, si ha un totale di L 1.584.000, pari a L. 24 750 per km. Tali cifre appariranno subito inferiori alla realtà ove si consideri che nel nostro calcolo ci siamo attenuti ai dati desunti dalle statistiche del traffico in zone comuni, senza aggiungervi il coefficiente di maggior traffico che a tale linea deve derivare, non solo per le favorevoli condizioni climatiche, agricole e forestali, ma specialmente per le numerose cave e miniere. Le spese di esercizio ammonterebbero invece a L. 21.373,80 per km. e complessivamente a L. 1.025.942,40. |