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CAPITOLO IV. Altri Minerali. SOMMARIO: Cinabro e solfuri vari ‑ Materiali da costruzione: trachite, tufo, gesso, alabastro, marmi e pietra calcarea per cemento. Parlando dei minerali di ferro dicemmo come in relazione a questi ultimi,
siano stati rinvenuti importanti giacimenti di solfuri metallici vari: cinabro, galena, blenda, stibina, ecc. ed anzi tale relazione, come
abbiamo visto, costituisce elemento probatorio per confermare l'importanza dei giacimenti ferriferi. Gran parte di tali solfuri, hanno oggi un'importanza scientifica, più che
industriale, però, in progresso di tempo, non si può escludere che essi, acquistino un valore inestimabile, anche industrialmente. Prova ne sia il cinabro che fino a qualche anno fa costituì per questa regione una curiosità mineralogica, ed ora è oggetto delle migliori speranze. 1 Il Prof. Ponzi (1) fu il primo, nel 1860, a scoprire la presenza del cinabro nativo presso i Monti della Tolfa e per molto tempo, cioè fino, a quest'ultimi anni, nessuno avrebbe pensato che esso potesse presentare possibilità di sfruttamento industriale come fanno prevedere le promettenti e soddisfacentissime ricerche che sta facendo la Compagnia generale dell'allume romano. L'Ingegnere Capo del R. Corpo delle Miniere, C. De Castro, fin dal 1918, così scriveva riguardo all'esistenza del cinabro presso i Monti della Tolfa : « E' stato trovato il mercurio allo stato di cinabro nel cantiere « Rotella » della miniera di allumite situata a circa km. 4 ad « ovest, nord-ovest dell'abitato di Tolfa. Nel prolungare verso sud-est « la galleria di « Carreggio Rotella I » a metri 300 dall'imbocco si attraversò un materiale tufaceo grigio rossastro a contatto col peperino. « Tanto il materiale tufaceo, probabilmente peperino, sabbioso, caolinizzato, disfatto, quanto il peperino compatto, presentano macchie di cinabro di qualche importanza. Altre belle macchie di cinabro si sono « trovate nell'allumite e nella silice bianca, incluse nei peperini. Pare « che anche nei dintorni di Allumiere e Tolfa siano state trovate tracce di cinabro all'esterno ». In un colloquio avuto con l'illustre geologo succitato, mi fu detto che l'avvenire economico della regione può essere fondato in gran parte su questo minerale, trovando egli molta analogia fra le miniere di Monte Amiata, e le impregnazioni cinabrifere del Tolfetano. Si noti che le ricerche attive, per questo minerale. incominciarono in quest'ultimi anni e per i risultati più che soddisfacenti ottenuti la Compagnia Generale dell'Allume Romano, già permissionaria, ne domandava la dichiarazione di scoperta, ed ora credo che abbia ottenuta la concessione di sfruttamento. Nella zona che corrisponde all'estremo del filone alluminifero denominato « Rotella » si è accertata una massa cinabrifera di m. 140 di lunghezza. metri 0.70 di altezza e m. 40 di spessore: ma da risultati positivi di altri lavori, si sarebbe indotti a ritenere che la mineralizzazione continui oltre i 140 m. suddetti e si prolunghi invece per circa m. 375. (1) Opera citata. Le ricerche si estesero anche nella zona della galleria già fatta per l'allumite,
confermando pienamente le speranze sulla estensione delle impregnazioni di cinabro, è dando una resa di 1800 tonn. di sabbie cinabrifere. Non si sanno i risultati precisi di questi ultimi anni; è certo però che le ricerche continuano attive e diligenti dirette dall'Ing. Denti; speriamo che, tali ricerche, preparino l'avvento di un avvenire prospero anche per quest'industria mineraria che potrebbe fruttare immense ricchezze per la regione e per la Nazione. E' superfluo dire l'utilità che potrebbe arrecare la ferrovia Civitavecchia Manziana, progettata in modo che attraversi in senso latitudinale tutto il bacino minerario, e quindi tocchi possibilmente le varie miniere, essendo, tale industria, ostacolata profondamente dalla mancanza di mezzi di trasporto. Certo che la Società concessionaria oltreché affrontare l'alea per le spese delle ricerche, non sempre redditizie, deve seriamente pensare al problema dei trasporti, che conosce perfettamente, ed allora è necessario, per incoraggiare questi lodevoli propositi, che anche il Governo si interessi di una tale questione, che oltre ad avere ripercussioni nella economia locale, può assurgere ad importanza nazionale. Se preme veramente al Governo di conoscere e sfruttare largamente le nostre ricchezze del sottosuolo, è doveroso che esso guardi più da vicino questa zona dimenticata, e veda se fosse conveniente, farvi prosperare l'industria mineraria, per la quale così tanti elementi propizi di sviluppo essa ci presenta. Ebbene, si risponderà che non deve certamente lo Stato farsi imprenditore di tali industrie: nessuno pretende codesto errore economico - politico, ma il Governo e gli Enti pubblici locali presentemente debbono incoraggiare e stimolare l'iniziativa privata, ed in questa circostanza risolvere il problema della viabilità, per vedere allora come tale iniziativa sarebbe spronata ed invogliata maggiormente ad impiegare i suoi capitali nello sfruttamento delle ricchezze del sottosuolo. Per ciò che concerne gli altri solfuri metallici vari galena, blenda, stibina, ecc. ecc. già ho detto quale sia presentemente la loro importanza; rispetto ai mezzi di trasporto valgono le considerazioni fatte qui sopra. Abbondano poi nella zona in questione, materiali da costruzione, come: gesso, trachite, travertino, tartaro, ecc. nonché in quantità inesauribile calcare per cemento. Ammassi di gesso trovansi alla base dei monti trachitici, così entro il bacino Tolfetano, alle Spinare, Pian de' Santi, Aravecchia, in prossimità delle trachiti di Monterano e Montevirginio. La trachite trovasi molto diffusa presso i Monti della Tolfa, è molto variabile per colore e per contenuto. Essa può utilizzarsi, per decorazioni di edifici e per la pavimentazione stradale. Presso Civifavecchia, abbondano travertini a tinte varie che vengono impiegati come marmi decorativi, col nome di alabastri; nel bacino di Tolfa un'altra. specie di questi viene adoperata e conosciuta col nome di alabastro del Bagnarello. Tutti questi materiali hanno oggi un uso molto limitato, cioè essi si adoperano per i bisogni dei paesi vicini, ma dopo la costruzione della linea ferroviaria si potrebbero impiegare largamente nella Capitale e nei paesi limitrofi. Il calcare per il cemento, viene già impiegato in grande quantità per alimentare la fabbrica di cemento di Civitavecchia, che è unita alle cave da una teleferica. Presso le cave attuali se ne trova in quantità inesauribile e perciò capace di dare vasto incremento allo Stabilimento del cemento artificiale. CAPITOLO V Acque MineraliGli avanzi di antiche terme, che restano in molti luoghi di questa zona,
stanno a testimoniare il gran conto in cui tennero gli antichi le tante acque
termo - minerali che vi si trovano, così diverse nelle loro composizioni, da
rendersi preziose per gli usi terapeutici ai quali venivano destinate.
Mi limiterò a citare le principali, dando per ciascuna di esse delle notizie
sommarie, per non allontanarmi troppo dallo scopo del presente lavoro,
rimandando il lettore per ampie delucidazioni, ad alcune indicazioni
bibliografiche.
AI BAGNI DI STIGLIANO, sul margine della Lenta, sono le acque Stigianae o le
Apollinares degli antichi, rappresentate da un gruppo di sorgenti diverse:
acidule, termali, ferruginose e solforose, destinati ad usi terapeutici e così
accreditate da richiamarvi un gran numero di bagnanti, nonostante la
inaccessibilità dei luoghi e la nessuna comodità del soggiorno.
I caratteri fisico - chimici sono i seguenti 1) Acqua « Bagno Grande »
solforosa iodica (temp. 35,4);
2) Acqua dell'Inferno o « Bagnarello » (temp. 35,4); 3) Acqua potabile
solforosa; 4) Acqua potabile ferruginosa; 5) Acqua bianca magnesiaca. I bagni convengono in modo unico: a) nell'artritismo; b) nelle malattie delle
donne, metriti, amnesiti; c) nel reumatismo articolare cronico; d) negli esiti
di fratture; e) nella scrofolosi.i sono poi fanghi per le cure ad essi riservate, le « Grotte sudorifere
naturali » alimentate dalle acque caldissime del Bagnarello, rassomigliano
alle famose grotte di Monsummano, alle stufe di Ischia, Vaidieri e Vinadio.Presso queste acque sorge uno Stabilimento che ha la capacità di ospitare un
numero limitato di bagnanti, perciò, dato l'afflusso notevole di quelli che
hanno provate le loro virtù curative, è necessaria la prenotazione da un anno
all'altro. D'altronde anche il proprietario dello Stabilimento, la Società
“ Acque e Terme” non può farne un ricercato luogo di soggiorno, costruendovi
dei magnifici appartamenti e dotandolo di tutti quei conforti moderni annessi
presso tutte le rinomate fonti di acque termali nell'assenza di una via ferroviaria di accesso, che permetta un numeroso concorso di bagnanti. E problematico dunque, investire cospicui capitali per gli scopi suddetti, quando queste acque, nonostante i loro caratteristici pregi terapeutici, si trovano in mezzo ad una campagna, prive di vie di comunicazione che le colleghino con centri abitati e con le linee ferroviarie Roma Viterbo e Roma Pisa. Nel bacino della Tolfa v'è
poi un'altra fonte termale detta del « Bagnarello » raggiunge i 46 centigradi
e serve ad un piccolo stabilimento, ove affluiscono solamente i bisognosi di
cura de paese vicino. Ma anche questa, nonostante i suoi pregi accertati da Specialisti, non può
avere l'applicazione che merita per il luogo in cui è situata; poco utilizzata
anche dagli abitanti di Tolfa, date le tristi condizioni della viabilità. Ad ovest di Tolfa, entro una angusta valle, scaturisce l'acqua
acidulaferruginosa, detta. del Campaccio, rinomata per le sue virtù
deostruenti e corroboranti. La scoperta si deve al
Prof. Carpi (1) che, nel 1828, ne fece una analisi accurata, specificando le
varie applicazioni che essa può avere in medicina, e cioè: in tutte le
ostruzioni dei visceri, come del fegato, della milza, ed in tutti gli
ingorgamenti linfatici, particolarmente del mesenterio: come corroborante, in
tutte le malattie di languore, quindi nella clorosi, nei fiori bianchi, ecc.Non appena terminata la discesa dei Monti, alla distanza di circa 4 Km. da Civitavecchia, s'incontrano i ruderi delle sontuose Terme Taurine, erette da
Traiano, a causa delle vaste scaturigini d'acque termominerali che qui vi sono
(2). Non molto lontano da questi ruderi, si manifesta l'acqua termale della «
Ficoncella » che ha molta analogia con quelle Taurine. Voler parlare delle virtù salutari di quest'ultime, riportando giudizi di eminenti dottori che le studiarono, sarebbe troppo lungo; per noi basta solamente rilevare che tutti gli specialisti che studiarono le nostre acque termo minerali, riconobbero in esse eminenti e svariate virtù terapeutiche. Dopo ciò si presenta una domanda facile e semplice: perché i nostri bagni non sono frequentati che da pochi individui e sono quelli appunto che sperimentarono l'efficacia delle nostre acque per la cura di determinate malattie ? (1) Lettera al prof. Domenico Morechini (Giornale Arcadico di scienze, lettere ed arti 1828). La risposta è ovvia, quando si pensi, che, essendo la zona
descritta priva di ogni via di comunicazione, logico che anche queste varie località in cui si trovano le acque termo minerali, non abbiamo nemmeno un facile accesso per vie rotabili. Dotiamole di vie di comunicazione economiche e celeri e vedremo allora la speculazione privata affrettarsi a costruire dei comodi e moderni stabilimenti che potrebbero rivaleggiare con le tanto decantate fonti di acque minerali che abbiamo in Italia. Si dirà, che le diverse fonti di acque termo minerali, dovendo divenire non solamente dei luoghi di cura, ma anche di gradevole soggiorno e di villeggiatura, è necessario porle in rapporto con le condizioni climatologiche delle località ove scaturiscono ed anche con le condizioni geologiche naturali dei luoghi stessi. Ebbene, il clima dolce e temperato di questa amena regione, la naturale bellezza dei luoghi, la sua costituzione geologica tutto fa prevedere che ad essa nulla manca, se non comode vie di comunicazione e stabilimenti adatti, per attrarre un gran numero di bagnanti che potrebbero costituire un ingente traffico per la ferrovia ed una risorsa per questi paesi. Nei luoghi, ove è maggiore l'afflusso dei desiderosi di cura idroterapica, non esistono delle acque che hanno proprietà superiori alle nostre; é la speculazione che ha dato ad esse questa superiorità, costruendo sontuosi edifizi, muniti di ogni conforto moderno, solleticando così la mollezza del vivere odierno che è penetrata dovunque, a preparare conforti a chi dalla voluttà del soggiorno e dalle impressioni esteriori intende ritrarre altrettanto vantaggio, quanto dalla salutare influenza medicatrice delle acque. I nostri luoghi potrebbero competere, quando s'intende fossero eliminate le cause sfavorevoli succitate, con quelli delle altre contrade d'Italia ed estere, per la privilegiata e grandiosa bellezza della loro posizione, per la purezza e freschezza dell'aria, e per l'importanza e salubrità delle loro acque. In questa contrada, ad ogni pie' sospinto, c'imbattiamo in rovine di monumenti balneari che ci parlano dei grandi romani; ora vediamo così vergognosamente abbandonate e misconosciute quelle acque che furono per essi oggetto di culto. Questo non è addirittura degno dei figli di Roma poiché, data la importanza delle nostre acque, la ricchezza e bellezza delle nostre terre, la magnificenza e varietà infinita dei nostri colli e delle nostre valli, donde queste sgorgano, la salutare dolcezza dei nostro clima, grave danno sarebbe se tardassero ancora a prendere il posto che loro spetta nella idroterapia medica e, ritornare ad essere, come ai tempo dei Cesari, i naturali e preferiti luoghi di cura e di soggiorno per l'Urbe. PARTE SECONDA RICCHEZZE AGRARIE CAPITOLO I SOMMARIO: Condizioni attuali dell'agricoltura nella zona Allevamento del bestiame Selvicoltura Produzioni, - Commercio. Attualmente l'industria agricola può dirsi la sola, sulla quale poggia la vita economica della regione, cosicché, tali paesi possono dirsi eminentemente agricoli; per la sua importanza e per il progresso di cui è suscettibile fa d'uopo trattarla con qualche ampiezza, al fine di conoscerla profondamente nello stato presente, per meglio intuirne i suoi probabili ulteriori sviluppi. Il 95 per cento della superficie territoriale, già riportata nell'introduzione, costituisce la superficie agraria e forestale della zona in esame, che è di ettari 57.000. Sarebbe non conforme alla esposizione, sia pure sommaria, delle condizioni attuali dell'agricoltura, se preliminarmente non ponessi in evidenza la suddivisione della suddetta superficie fra le varie colture, pascoli permanenti o a lunga vicenda, riposi con pascolo, e boschi. Da tali cifre potremo desumere facilmente i sistemi di coltura e di allevamento del bestiame; oltreché lo stato di conservazione dei boschi, quando potremo esaminare le produzioni di quest'ultimi. La superficie in rotazione, e cioè: per coltura cereali, piante da foraggio, altre colture e riposi con pascolo è di Ettari 26904 (il 47,2 per cento della superficie agraria e forestale); i pascoli permanenti o a lunga vicenda hanno un'estensione di Ettari 14763; i boschi, compresi i castagneti occupano un'area di Ettari 15333. Un'ulteriore analisi della superficie in rotazione complessiva, ci rivelerà le caratteristiche dell'economia agraria della zona. Infatti di Ettari 26904, costituenti la superficie in rotazione, il 35,3 per cento viene coltivato a cereali; il 0,2 per cento per piante da foraggio, il 0,5 per cento per le altre colture ed il 64 per cento a riposi con pascolo o senza. Evidentemente da tali coefficienti possiamo affermare che la coltura dei cereali e l'allevamento del bestiame, formano i nerbi dell'economia agraria della regione; di più a grandi linee si prospettano i caratteri peculiari dell'industria cerealicola e di quella del bestiame. L'assenza o quasi di ogni altra coltura sulle superfici avvicendate, il tenue coefficiente riguardante la superficie per piante da foraggio lelevata percentuale del 64 per cento che rappresenta i riposi in rotazione, confermano pienamente l'importanza delle due industrie predette. Incominciamo ora, a parlare del sistema di coltura che si adotta per i cereali, il più diffuso dei quali è il frumento che occupa il 27,9 per cento della superficie in rotazione e cioè Ettari 7506,21 (il 12,9 per cento della superficie agraria e forestale); avena ed orzo occupano il 5,4 per cento della superficie in rotazione; trascurabili sono gli altri. E' indispensabile premettere che gran parte dei terreni appartengono alle Università Agrarie, le quali procedono tutti gli anni alla ripartizione di alcuni appezzamenti, per concedere le singole parti agli utenti, che le coltivano per due anni consecutivi. Ne consegue che, il sistema di coltura, è ancora quanto mai primitivo ed esso risponde al turno di quarteria, maggese, colte e riposo; incipiente coltura estensiva per l'assenza completa di ogni applicazione di capitale alla terra. Data la natura delle campagne, spesso scomode e sassose e la loro altimetria, si adotta ancora l'aratro di Trittolemo (o aratro chiodo) oppure dei picconi per il maggese; tutti gli altri lavori si compiono ancora in modo rudimentale, senza neppure pensare ad introdurre nuovi mezzi meccanici, anche colà dove potrebbero trovare facile applicazione. Le strade rurali sono in pessime condizioni e tutte impraticabili per i veicoli, spesso anche alle bestie da soma, perciò non potranno mai facilitare il trasporto delle sementi e dei prodotti del suolo. A queste cause sfavorevoli di carattere naturale, si aggiunga che, le popolazioni non hanno nessuna incipiente coltura agraria, di conseguenza è la tradizione e l'empirismo che vigono sovrani; i contadini per la loro speciale psicologia sono restii ad ogni innovazione, benché minima, nessuna adozione di concimi chimici ed insufficienti quelli animali, inattività completa delle Università Agrarie rispetto al progresso tecnico agricolo della zona. Come è facile dedurre da quanto ho premesso, il contadino, ricevuta la sua quota per un periodo di due anni e solamente per la semina, cerca di prendere dalla terra quanto più può toglierle, senza prestarle alcuna cura, tranne che quei lavori, indispensabili per il raccolto immediato; dunque vera e propria coltura rapinatrice. Ricevuta in assegnazione la sua quota, spesso in luoghi diversi e quindi di poca entità, il coltivatore non ha convenienza costruire sul luogo un piccolo ricovero, e perciò è costretto a recarsi al paese dopo il lavoro, che dista di 7 od 8 km. in media, con sciupio di energie e di tempo, a scapita del rendimento del lavoro. Quando la quota da coltivare, trovasi ad una distanza maggiore, i singoli quotisti sono costretti a costruire delle capanne di ramaglia, per le quali impiegano parecchie giornate di lavoro, il di cui importo viene ammortizzato coi due raccolti che si potranno ottenere dalle quote coltivate. Dopo la semina, tali capanne vengono, in parte bruciate o distrutte
dal bestiame cosicché quando si ritorna a seminare è necessario
ricostruirle per formarsi un qualsiasi riparo dalle intemperie. Il trasporto delle sementi
dai paesi alle campagne, e viceversa per i prodotti, aggrava enormemente il
costo di produzione, perché esso si effettua sempre a dorso di quadrupedi.. Qualunque iniziativa singola o collettiva, per ciò che concerne il credito agrario, l'adozione di concimi chimici, la spietratura e bonifica dei terreni, l'introduzione di altri mezzi richiesti dall'agricoltura moderna, s'intende ove fosse possibile, non può realizzarsi per lo speciale ordinamento giuridico economico di tale zona agraria, che le Università Agrarie le hanno, impresso da secoli. Una parte dei terreni della zona, è costituita dai latifondi in proprietà dei privati i quali li affittano ai mercanti di campagna, che a loro volta spesso li subaffittano, ottenendo gli uni e gli altri dei lauti fitti sufficienti per fare i grassi borghesi nelle città. La forma di utilizzazione normale di tali latifondi è quella del pascolo per il bestiame ovino ed eccezionalmente vengono concessi ai contadini per la semina, con le norme riportate qui sopra per i terreni in proprietà delle Università Agrarie, a differenza che tali affittuari richiedono corrisposte altissime. La ragione è ovvia e di un'ampia applicazione; un'unità di terreno adibita a pascolo può rendere, per esempio, cento; concessa per la semina ai contadini può dare a quelli un pari rendimento, solamente gravando questi ultimi eccessivamente. E' dunque l'interesse economico che trovasi in contrasto con quello sociale, quando la legge non intervenga a contemperarli, dando la prevalenza a quest'ultimo. Tutte le prediche degli studiosi del nostro problema frumentario, resteranno lettera morta fin quando per aumentare la produzione, la legge non interverrà a diminuire (1) Tali cifre sono state ricavate moltiplicando quelle dell'anteguerra per un coefficiente di svalutazione della moneta. L'industria zootecnica. come abbiamo già visto, quantunque sia suscettibile di progressi notevoli, è tuttora abbastanza fiorente e costituisce per la regione l'unica industria dalla quale trae presentemente, gran parte della sua ricchezza. Il bestiame viene allevato esclusivamente per essere venduto alle fiere di Bracciano, Tarquinia e Viterbo, ma specialmente in quest'ultima che si effettua nei mesi di maggio e settembre. Quanto ai prodotti agricoli secondari, il più delle volte, vengono distrutti per la difficoltà dei trasporti ad esempio la paglia che raramente si utilizza, poiché il costo del trasporto verrebbe a triplicare il suo valore originario. Se esistesse un mezzo di trasporto economico, non è da escludersi che si potrebbe contare su di un'esportazione di quintali 100.000 di paglia. Dopo questa rapida rassegna delle produzioni agrarie, è d'uopo fermarci un poco ad esaminare i mezzi di trasporto ed i relativi costi che gravano i prodotti succitati, ricordando che gran parte di essi si esportano a Civitavecchia ed a Manziana, dopo aver appunto detratto il quantitativo pel consumo locale. Date le condizioni della viabilità ed anche le rilevanti pendenze della sola strada carrozzabile, i trasporti dei prodotti agrari, si effettuano in gran parte a dorso di quadrupedi, cavalli, asini, muli ed anche con carri. L'inconveniente più grave, che viene maggiormente a gravare il prezzo di vendita dei prodotti resi ai centri di sbocco, è CAPITOLO II. SOMMARIO Le Università Agrarie - Loro natura giuridica - Loro importanza rispetto all'agricoltura locale Trasformazione di esse in senso tecnico agrario ed economico in Enti demaniali agrari, regolatori dell'economia rurale. L'economia agraria della regione è in gran parte subordinata alle Università Agrarie, allorché circa metà dei terreni sono proprietà di questi Enti, altri ne hanno in affitto, dipendendo così l'utilizzazione di tali patrimoni, dalla regolamentazione fatta dagli Enti stessi, che cercheremo di analizzare in seguito. Per dimostrare ampiamente il mio assunto, la trattazione di cotesti Enti, circa la natura di essi e l'eventuale loro trasformazione in rapporto ad un nuovo periodo storico della nostra economia agraria, è ragione precipua per trattare alcuni problemi, nella risoluzione dei quali, tanta parte dovrebbero avere questi Enti agrari. 1) salvaguardare rigorosamente tali patrimoni e, possibilmente, ove sono
insufficienti, accrescerli commisurandoli ai bisogni delle popolazioni; In base a questi criteri direttivi, sbarazziamo anzitutto il terreno di tutte
le varie proposte incomplete ed inorganiche, che sono state suggerite, e che
hanno appunto preparato l'avvento del Decreto dello scorso maggio.
Vari scrittori propongono di concedere in definitiva proprietà i terreni
suddivisi tra gli utenti ed il Governo in parte ha accolte le loro proposte,
quando parla nel Decreto suddetto, di concedere le quote in enfiteusi
affrancabile ai singoli utenti, dimenticando che per questa via si giunge, più
o meno tardi, alla dissoluzione dei patrimoni collettivi ed alla
ricostituzione del latifondo.
Dunque, niente concessione in definitiva proprietà, errore che la storia già ha condannato più volte; concedere solo il godimento della terra, per
un periodo di tempo che bene concordi colle esigenze di varia natura,
cui la terra è oggi chiamata a soddisfare. Applicazione rigorosa anche da parte degli Enti proprietari, del principio d'inalienabilità, al quale potrebbe derogarsi solo per casi eccezionalissimi. Ove i patrimoni collettivi sono insufficienti, si chiamino a farne parte i beni degli Enti morali, del Comune, solo per quei terreni coltivabili e suscettibili di essere trasformati a coltura intensiva, i beni patrimoniali dello Stato, i latifondi del privati non migliorati, ecc. Inoltre è necessario, che il Governo tuteli gli interessi delle popolazioni sui beni gravati di uso civico, non con disposizioni affrettate, come quelle contenute nel Decreto succitato, ma con savie leggi che non sacrifichino i diritti delle popolazioni, come fecero le leggi precedenti, le quali portarono il disordine nelle nostre campagne. Vedasi in proposito la Legge del 1888, per l'abolizione delle servitù di pascolo, di seminare, di legnatico, di vendere erbe, di fidare e imporre tassa a titolo di pascolo nelle provincie ex pontificie e dell'Emilia; la Legge dei 1894 sui dominii collettivi e la legge dell'8 marzo 1908 pei provvedimenti sull'affrancazione e sull'esercizio degli usi civici. Dopo quanto è stato detto qui sopra, è ovvio che occorre creare l'Ente
proprietario dei patrimoni collettivi, o trasformare rispetto ai loro ordinamenti ed alle loro funzioni, quelli che già vi sono; non pochi hanno consigliato di passare al Comune, Ente autarchico territoriale, le funzioni di regolatore di tali patrimoni, per ragioni non completamente rigettabili a priori. Infatti, le rendite dei patrimoni collettivi servirebbero al Comune per provvedere ai molteplici bisogni pubblici, senza aggravare i contri buenti di infiniti balzelli; le sue funzioni sarebbero limitate alla semplice amministrazione di tali patrimoni, senza punto curare l'agricoltura anche perché i vari proventi verrebbero distolti da altri impieghi. Invero, pur consapevoli del danno che si perpetuerebbe per la nostra agricoltura, affidando i patrimoni collettivi ai Comuni, dovremmo aderire a questa tesi sol quando le Università Agrarie, od altre simili istituzioni, continuino per il futuro ad avere funzioni passive rispetto al progresso agrario e costituire come per il passato una duplicazione di Enti, spesso in contesa fra loro, senza alcun vantaggio, ma con sciupio di energie e di forze. Si consideri d'altra parte, che cosa potrebbe fare il Comune riguardo al miglioramento dei patrimoni collettivi, per trarre da essi un maggior rendimento, quando è per la sua stessa natura inetto ad esercitare funzioni economico commerciali che si vorrebbero attribuire ad Enti quali li concepisce lo scrivente. Un Ufficio Agrario annesso al Comune, che gestisse separata mente questi patrimoni, non risponderebbe allo scopo perché facendo parte di un Ente pubblico dovrebbe sempre sottostare a quell'ordinamento giuridico amministrativo intralciante ogni operosità fattiva. Evidentemente occorre un Ente distinto da quello del Comune appunto per le diverse finalità cui si propone, per i mezzi diversi che adotta, così per la sua diversa estrinseca attività esso deve avere un ordinamento giuridico tecnico-amministrativo diverso da quello del Comune. La Legge Comunale e Provinciale non può essere dunque adatta a regolare questi organismi; ogni ingerenza che essa ammette degli organi politici, governativi locali, non può che danneggiare ed intralciare la vita e lo sviluppo di questi Enti, essenzialmente agrari, e quindi, vere aziende economico industriali. Trasformatisi dunque cotesti Enti rispetto al loro ordinamento ed alla loro funzionalità, creati « ex novo » ove non esistono, e passate ad essi le proprietà collettive, ogni diritto di uso civico sparisce; tutti i cittadini divengono eguali e nessuno ha la facoltà di ritenersi privilegiato, per forza di numero, di tradizioni o di abusi e concessioni ormai sorpassate. Il problema della rappresentanza delle Associazioni Agrarie, come pure la scelta. degli organi di vigilanza e tutela, deve risolversi con l'esclusione assoluta di ogni ingerenza politica e di organi politici da cotesti Enti, che debbono essere considerati essenzialmente tecnico economici. Si legga perciò il progetto Mortara sui domini collettivi e si vedrà come quel giurista insigne, sia riuscito benissimo a risolvere il problema istituzionale di tali Enti. Assemblea degli Utenti, Consiglio d'amministrazione con Presidente, per il regolare andamento dell'amministrazione sociale, Ispettorato delle terre pubbliche, presso il Ministero dell'Economia Nazionale, con Ispettori Regionali per la vigilanza e tutela. Notisi che parecchi a torto hanno una grande sfiducia circa il funzionamento dei Consigli elettivi, desumendo tali giudizi dalla cattiva prova che essi fecero in questo periodo convulso postbellico, dimenticando che i rappresentanti dell'Assemblea degli Utenti, sono i veri e naturali amministratori, PARTE TERZA CONCLUSIONI Nelle parti che precedono sembrami di aver dimostrato ampiamente che la vita futura dell'industria mineraria, balneare, agricola e commerciale della regione è intimamente connessa col problema della viabilità; questo deve costituire nel presente ed in futuro l'unica mèta verso la quale deve tendere con tenacia inflessibile chiunque desidera il bene di questa regione. Dopo aver enumerati gli immensi benefici che la ferrovia Civitavecchia Manziana può apportare, è ovvio affermare, che essa avrebbe un carattere eminentemente economico, poiché, come dimostrano alcune sommarie previsioni già fatte dall'Ing. Lucchini, Direttore della « Società Ferrovie Complementari d'Italia », essa potrebbe avere un traffico crescente con reddito rilevante. Alcuni hanno manifestato un certo pessimismo circa l'eventuale traffico della ferrovia in parola, pessimismo forse giustificato dai loro interessi particolari più o meno reconditi, ma destinato a scomparire di fronte alla realtà. Anzitutto premettiamo che la lunghezza della linea, sempre secondo il progetto Lucchini, dovrebbe essere di 48 km e servire direttamente o indirettamente, ad una popolazione di 60.000 abitanti. Ammettendo le seguenti percorrenze medie: viaggiatori km. 30, merci km. 40, e che il numero dei viaggiatori sia pressoché uguale a quello delle tonnellate di merci, si può presumere, un movimento giornaliero di viaggiatori 329, merci tonnellate 246. Il prodotto del traffico, in base ad. una tariffa media di L. 0,20 può valutarsi quindi in L. 1.440.000 al quale aggiungendo il 10 per cento per gli introiti fuori traffico, si ha un totale di L 1.584.000, pari a L. 24 750 per km. Tali cifre appariranno subito inferiori alla realtà ove si consideri che nel nostro calcolo ci siamo attenuti ai dati desunti dalle statistiche del traffico in zone comuni, senza aggiungervi il coefficiente di maggior traffico che a tale linea deve derivare, non solo per le favorevoli condizioni climatiche, agricole e forestali, ma specialmente per le numerose cave e miniere. Le spese di esercizio ammonterebbero invece a L. 21.373,80 per km. e complessivamente a L. 1.025.942,40. |