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A mio marito e mio figlio
che hanno dovuto supportarmi
nel ruolo di “studentessa”.
Rosella

LUMSA
Facoltà di Scienza della Formazione
Corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria


L’UNIVERSITA’ AGRARIA DI TOLFA
dalla nascita ai giorni d’oggi

Relatore
Prof. G. Tognon
Laureanda
Rosa Corini
matricola 10317/100 Anno Accademico 2006/2007

INTRODUZIONE

Il lavoro che ho svolto intende ripercorrere le tappe della storia dell’Università Agraria di Tolfa partendo dalla nascita, prendendo in considerazione in particolar modo il momento nel quale divenne il fulcro della vita agricola del paese per arrivare alla “decadenza” (che si verificò intorno agli anni Sessanta del XX secolo) ed infine ai giorni nostri con un’intervista al Presidente dell’Ente agrario.
Per quel che riguarda il termine Università così come noi oggi lo intendiamo, sembra appaia la prima volta nel 1105 quando due città si contendono l’utilizzo nella coltivazione di alcune terre di proprietà di un medesimo signore e feudatario. Nel feudo infatti, accanto al demanium feudum, poteva esistere anche un demanio regio ossia dei tenimenta nei quali il Re si riservava alcuni diritti come quello del pascolo, della semina, di estrarre minerali e del legnatico. Alle popolazioni del feudo invece, rimaneva soltanto il diritto di usufruire in parte di quelle terre, diritto fondato sulla longa consuetudo che il feudatario era costretto a rispettare. Ma sempre le popolazioni cercarono di modificare questo stato di cose a loro favore dissodando terreni incolti.
Dipendente dal Re era il baiulo che vegliava sulla difesa delle terre private ma anche sulle terre concesse in uso ai cittadini (usi civici). Con il trascorrere del tempo queste terre di dominio collettivo ossia degli universi cives, ovvero le terre dell’universitas, iniziarono a passare nei demani cittadini. Su di esse si esercitarono gli usi civici che l’Università non poteva (almeno in teoria) alienare fino a quando la legge sull’amministrazione civile di Ferdinando I del 12 Dicembre 1816 confermò il dogma dell’inalienabilità e della imprescrittibilità dei demani. 1 REGIONE LAZIO, Terre collettive e usi civici tra Stato e Regione, Atti del Convegno di Fiuggi del 1985, pp. 57 – 58.
La storia dell’Università Agraria quindi ha il suo fondamento sulla gestione di tutte quelle terre sulle quali i cittadini potevano esercitare l’uso civico quindi la semina, il taglio dei boschi, il pascolo... A Tolfa, dagli inizi del Seicento, si erano andate creando delle associazioni di cittadini ossia una sorta di corporazioni di mestieri che, prima di ogni altro, ebbero la possibilità di usufruire degli usi civici di queste terre. L’Università dei boattieri ed agricoltori prima e quella dei moscettieri dopo cominciarono infatti ad ottenere delle concessioni dallo Stato Pontificio che, dopo la scoperta dell’allume, 2 L’allume allora era una risorsa molto importante poiché serviva a tingere i tessuti, era utile nella concia delle pelli ed evitava che marcissero ed era un ottimo emostatico. Essendone l’Occidente sprovvisto era costretto a farselo arrivare dai paesi orientali ma, quando Costantinopoli cadde in mano turca, procacciarsi quel prezioso minerale era divenuto quasi impossibile. Cfr. J. DELUMEAU, L’allume di Roma dal XV al XIX secolo, Roma 1990, pp. 18 – 21.
3 Lo Stato Pontificio iniziò a fare concessioni di terre solo nel momento nel quale l’industria alluminifera aveva subito un grosso declino. Fino ad allora infatti soprattutto i boschi erano fondamentali per rifornire di legna utilizzata per la costruzione di case, per le fornaci, per il riscaldamentoaveva comprato queste terre dai fratelli Frangipani riservandosi inizialmente la gestione diretta.
Nel primo capitolo, dopo una breve descrizione di Tolfa e del suo territorio, ho analizzato la legislazione sugli usi civici per capire quali risvolti avessero avuto queste leggi sulla vita dell’ente tolfetano.
Per quel che riguarda invece il secondo ed il terzo capitolo, la documentazione alla quale ho fatto riferimento è quasi interamente frutto di una ricerca svolta nell’Archivio Storico dell’Università Agraria di Tolfa (ASUAT) nel quale ho preso in esame i verbali dei Consigli di Amministrazione dall’anno 1878 al 1961. Dalle ricerche effettuate ho potuto constatare che questi Consigli si suddividono in due tipologie: quelli ai quali partecipavano solo il Presidente ed i consiglieri (Consiglio di Amministrazione) e quelli invece convocati per gli utenti. Le riunioni sono numerose tanto che in un mese si arriva anche a convocarne anche tre che andavano avanti per più giorni e che avevano anche 130 oggetti da trattare all’ordine del giorno a significare come la vita economica e gli interessi dei cittadini ruotassero attorno alla vita dell’Ente.
Il numero degli intervenuti aumentava chiaramente rispetto all’argomento trattato. Agli inizi del Novecento ad esempio quasi tutti gli utenti intervennero quando si iniziò a parlare della richiesta dei braccianti che chiedevano di divenire utenti dell’Ente. Allora infatti il diritto di utenza ed più in particolare la possibilità di usufruire dei terreni, era riservata alla sola classe dei boattieri (che possedevano i buoi aratori, fonte di ricchezza in una società contadina), agli agricoltori ed ai moscettieri (gli allevatori). La questione si era fatta insostenibile e, dopo quasi 15 anni di contese, l’Ente, soprattutto tenendo conto del profondo cambiamento della vita politica che si attuava in quegli anni con la grande rilevanza che stavano ottenendo i sindacati dei lavoratori, per il bene del Paese, decideva di allargare anche ai braccianti il diritto di utenza.
Gli anni che vanno dalla prima alla seconda guerra mondiale sono anni molto favorevoli all’Ente che, grazie a molti investimenti ( aveva comprato la tenuta di S. Anzino ed affittato quella di Rota e S. Severa) ed a numerosi introiti, è ben lontano dall’occuparsi solo ed esclusivamente di agricoltura ed allevamento.
La sua è invece una partecipazione attiva alla vita di Tolfa legata alle tradizioni, alla religiosità dei suoi abitanti ed alle feste popolari ed all’istruzione.
Per quel che riguarda in particolar modo l’istruzione, bisogna evidenziare come in questo periodo fosse particolarmente diffuso l’analfabetismo e come a molti non interessasse sedersi sui banchi di scuola per imparare qualcosa che, in questo tipo di società agricola, non avrebbe potuto essere spendibile. Fin da giovani infatti si andava sui campi a coltivare ciò che serviva per tirare avanti le famiglie anche perché ci si sposava molto presto. Tuttavia nel 1911, su iniziativa di Don Silvio Pierantozzi sacerdote, fu aperto a Tolfa un Istituto Giovanile il cui scopo era principalmente quello di combattere l’ineducazione e l’analfabetismo della popolazione tolfetana. L’Università Agraria, convinta dell’ottima iniziativa e disponendo di ampie risorse economiche, non rifiutò di concedere i fondi necessari anche pensando al fatto che la scuola avrebbe potuto accogliere molti figli di utenti.
L’Istituto fu aperto nel Marzo del 1911 e, anche se nei verbali non trovo quanti furono gli iscritti, molti anni dopo leggo che in questa scuola si erano formate personalità quali Ottorino Morra storico insigne di questi monti ed Ortensio Pierantozzi che aveva promosso la nascita dello scoutismo.
Nel 1921 l’Ente è ancora interessato all’istruzione dei figli degli utenti nonché futuri agricoltori e quando viene invitato a far partecipare un ragazzo per un posto di studio alla R. Scuola pratica di Agricoltura di Roma, subito pubblica un bando dove sprona gli utenti a mandare i loro figli con la promessa di pagare le spese per l’iscrizione. In realtà però l’iniziativa non fu molto apprezzata poiché le richieste furono soltanto due. D’altra parte è da rilevare che probabilmente il titolo di accesso fosse troppo alto visto che si richiedeva la licenza elementare ed il diploma di maturità e a Tolfa in quel periodo pochissimi potevano permettersi di andare a scuola.
Negli anni successivi, quelli nei quali dominò incontrastato il Regime fascista, numerose iniziative vennero sollecitate anche dallo stesso partito così, quando la Sezione fascista richiese fondi per fondare una scuola dei Giovani Balilla che rendesse i ragazzi più attivi e più pronti al proprio dovere di agricoltori oltre che di cittadini e militi della Patria, sempre l’Ente fu ben disposto.
Rilevanti sono inoltre le grandi innovazioni promosse dall’Ente con particolare riferimento al campo sperimentale che auspicava un miglioramento delle tecniche agricole ritenute ormai vetuste. I contadini del tempo infatti, legati alle vecchie pratiche agricole e in gran parte analfabeti, potevano imparare soltanto vedendo sul campo quello che si proponeva.
Il campo sperimentale ebbe proprio questo scopo poiché, affittate alcune terre, il Maestro di Agricoltura iniziò a tenere delle lezioni ed a fornire risultati tangibili sull’utilizzo ad esempio dei concimi chimici.
Grande disponibilità fu poi rivolta nei confronti di ogni cittadino ed ogni associazione che richiedeva aiuti economici. Non importava essere utenti poiché in più di una circostanza l’Ente dimostrò che suo primo obiettivo era il bene dei cittadini e la calma in paese non sganciato tuttavia dagli interessi politici del partito fascista che pure proponeva numerose iniziative (con i fondi dell’Ente).
Dall’analisi degli ultimi consigli (1960 - 61) si rileva invece un profondo cambiamento poiché, le mutate situazioni economiche dell’Università unite ad una profonda crisi agraria che aveva investito tutta l’Italia, avevano costretto la
popolazione di Tolfa all’abbandono delle terre e alla ricerca di occupazioni più sicure e redditizie.
Sul finire di questi anni un’altra importante iniziativa è rivolta nuovamente ai più giovani con il finanziamento di una gita di istruzione per la scuola media di Tolfa nelle terre gestite dall’Ente: forse l’ultimo tentativo per rilanciare le campagne. Ma lo spopolamento delle terre agricole fu inevitabile e la natura iniziò a prendere il sopravvento.
Ad oggi bisogna sottolineare che, grazie alle legislazioni sugli usi civici, il territorio gestito dall’Università Agraria non ha subito manomissioni o alterazioni come invece si rileva nei comuni limitrofi ma, pur avendo le leggi garantito la salvaguardia, tuttavia ad oggi non si è riusciti a trarre profitti dalle enormi potenzialità che il territorio offre e questo è sicuramente un peccato…

CAPITOLO I

Le Università Agrarie e gli usi civici 1 Il territorio tolfetano tra storia e tradizioni I Monti della Tolfa, situati a soli 60 km da Roma nel Lazio nord occidentale, sono un’ampia zona vulcanica coperta da estesi boschi e da verdi prati.
Il territorio si estende per circa 77.000 ettari tra il basso viterbese, l’area dei Monti Cimini ed il tratto di costa che comprende Civitavecchia, S. Severa, S. Marinella e Ladispoli delimitato a nord dal corso del fiume Mignone.
In questo paesaggio uomo ed ambiente appaiono particolarmente e reciprocamente incidenti. Il percorso storico ci conduce infatti alla creazione di un modello culturale significativo dove i butteri, le tradizioni, il lavoro nei campi, i pascoli e le miniere si intersecano a formare la speciale realtà antropica del territorio tolfetano.
Una delle ricchezze di questo luogo è offerta dai boschi, principalmente di quercia, di leccio, di castagno ma l’ambiente forse più caratteristico dei Monti della Tolfa è il “pascolo cespugliato” modellato dai bovini allevati allo stato brado con ampi spazi disseminati di alberi isolati, cespugli spinosi e rocce. I bovini di razza maremmana nati su questi terreni impervi e che ancora oggi vivono numerosi sul territorio, devono la loro forza e resistenza al lungo processo di adattamento e alle dure condizioni di questo ambiente.
Allo stato brado vivono anche i cavalli la cui tradizione dell’allevamento risale a tempi remoti, forse già all’epoca degli etruschi.
Solo agli inizi del Novecento è stata riconosciuta la distinzione della razza tolfetana da quella maremmana Il fatto che il paese sia sempre vissuto dei doni della terra è testimoniato dalle numerose vestigia archeologiche che documentano come gli antichi nuclei abitativi composti da villaggi e capanne avessero un’economia basata sull’agricoltura, l’allevamento e la caccia.
Grande importanza ha assunto inoltre lo sfruttamento di risorse minerarie nascoste e custodite tra i boschi e le macchie, come ferro, piombo, caolino, oro, gesso, ocre e cinabro. L’estrazione dei minerali è documentata soprattutto in epoca etrusca quando ai lati dei Monti della Tolfa sorsero Cere e Tarquinia che ne monopolizzarono il traffico commerciale. 4 G. COLA, Lo sfruttamento delle risorse minerarie in una sintesi storica dei Monti della Tolfa, in La Goccia, n° 10 (1998), p. 34.
I Romani, una volta sconfitta Tarquinia, pare abbiano anch’essi sfruttato i giacimenti ferriferi di Tolfa: l’insediamento romano della Fontanaccia infatti sembra il simbolo emblematico posto come è a controllo del bacino minerario circostante. 5 A. BERARDOZZI – G. COLA – M. GALIMBERTI, Lo sfruttamento degli altri minerali e metalli, Tolfa 1998, p. 54.
Le prime notizie certe relative al nucleo abitativo risalgono all’anno Mille quando fu edificata la Rocca, luogo privilegiato per la difesa del territorio.
I signori Frangipani, ricchi abitanti della Tolfa, avevano immensi possedimenti e feudi ed erano riusciti a far eleggere un pontefice nella loro famiglia con il nome di Innocenzo II . Una nuova epoca si apre per questi monti nel 1460 (circa) quando Giovanni da Castro, vissuto per lungo tempo a Costantinopoli dove si faceva arrivare stoffe che poi tingeva in loco, scopre nel territorio della Tolfa una cava di allume di rocca.
L’allume di rocca era infatti indispensabile per molte produzioni industriali come la tintura dei tessuti, la fabbricazione della carta, la concia delle pelli ma, essendone l’Occidente sprovvisto, doveva farlo arrivare dai paesi orientali. Quando poi Costantinopoli cadde in mano turca (1453) procacciarsi l’allume divenne sempre più difficile.
Il ritrovamento fu subito annunciato al Papa che, attribuendo il merito della scoperta alla Divina Provvidenza, destinò i proventi dell’estrazione dell’allume alla crociata contro i Turchi pagando inoltre agli antichi signori Frangipani la somma di 17.300 scudi d’oro per acquistare gli ampi territori del feudo di Tolfa Vecchia. 6 G. ZIPPEL, L’allume di Tolfa e il suo commercio, in Archivio della Società romana di Storia patria,
30 (1907), p. 17, nota 1.
I Frangipani così cedevano i loro possedimenti con la soddisfazione di aver riscosso un congruo quantitativo di ducati.
Da allora iniziò a delinearsi per Tolfa un periodo completamente nuovo poiché lo Stato Pontificio diveniva oltre che proprietario delle miniere anche proprietario di tutta quella terra che fino ad allora i tolfetani avevano potuto sfruttare senza particolari limitazioni.
I Papi subito si resero conto di quale grande affare avessero fatto rilevando questo territorio poiché, dai primi introiti, era chiaro che l’industria alluminifera avrebbe avuto un grande futuro. Nel tempo importanti personaggi vennero a gestire l’estrazione dell’allume e tra questi Agostino Chigi (1500), unico ad aver lasciato sul posto testimonianze tangibili del suo operato occupandosi per di più, come un moderno imprenditore, molto da vicino dei suoi operai.
L’impresa dell’allume però non riuscì mai a coinvolgere i tolfetani che non accettarono di lavorare nelle cave preferendo piuttosto la coltivazione della terra e l’allevamento degli animali. Per questo motivo Agostino Chigi fu costretto a cercare altrove decidendo infine di reclutare coloro che, avendo pendenze giudiziarie potevano ottenere con questo lavoro una sorta di purificazione dei peccati guadagnando per di più uno stipendio.
Questa iniziale spaccatura tra i tolfetani dediti alla terra e i nuovi arrivati impegnati nel lavoro delle miniere, originerà con il tempo un nuovo paese: Allumiere (1826). 7 R. RINALDI, Le Lumiere, storia di Allumiere dalle origini al 1826, vol. II, II edizione, Roma 1995, p. 29.
Tolfa invece iniziò la sua espansione quando dalla Rocca, antica residenza difensiva, l’abitato si spostò verso le pendici e poi ancora oltre. L’estrazione dell’allume in breve tempo acquistò proporzioni sempre più vaste e Tolfa divenne ben presto il fulcro della vita economica dello Stato Pontificio oltre che un luogo di confluenza di appaltatori, di funzionari e di operai. La popolazione allora si divedeva essenzialmente in due parti: da una parte c'era la classe dei benestanti, formata da ricchi proprietari di bestiame, da chi possedeva appezzamenti di terra e dagli imprenditori nelle varie attività economiche; dall'altra c'erano i braccianti, coloro che, non avendo possedimenti, lavoravano la terra con la zappa mettendo le loro braccia a disposizione di chi aveva bisogno per motivi diversi di manodopera.
Questi ricchi proprietari di terre e possessori di buoi aratori avevano deciso nel 1620 di riunirsi in una associazione che si chiamò Università degli Agricoltori e Boattieri. Nel 1710 anche i moscettieri si erano uniti ed avevano dato vita
all’Università di Mosceria. Queste due associazioni si erano date degli strumenti giuridici con l’intento di salvaguardare l’agricoltura e l’allevamento, risorse primarie della vita dei tolfetani. Gli stessi Statuti cittadini avevano come scopo quello di regolare la vita della Comunità, ma anche quello di salvaguardarne l’identità e le tradizioni agricole locali.
Nel 1530 si era riunito un consiglio generale presso la Chiesa di S. Egidio dal quale si evince quale fosse la realtà del paese. Nel primo capitolo dello Statuto si discuteva su come si dovesse eleggere il Consiglio segreto, il Camerlengo, gli Officiali e in quale modo si potessero spendere i denari del Comune. Il secondo riguardava i vari procedimenti da adottare nelle cause civili mentre nel terzo si affrontava su come poter rispondere ad eventuali malefici commessi in detta terra.
Il quarto libro è quello dove più balza agli occhi la vita prettamente agricola della comunità tolfetana con le sue vigne piene di uva, con i suoi alberi da frutto, con le bestie da controllare affinché non vadano negli orti rinchiusi…nelli quali fossero agli, cipolle, cavoli, lattuche, fave..
Nel quinto libro è invece l’intento di proteggere la Comunità da qualsiasi influenza esterna.. Il grano ad esempio doveva essere macinato con la mola della Camera, nessun “forestiero” poteva portare vino da fuori né poteva pascolare i suoi animali in queste terre senza licenza degli Officiali del tempo.
I forestieri che volevano vendere merci a Tolfa dovevano pagare una sorta di tassa; allo stesso modo chi, pur non essendo del posto, aveva in affitto una casa, doveva partecipare alle spese del Palio dei cavalli che si correva per la festa di S. Egidio patrono del paese. 8 www. la Tolfa.it, Statuto cittadino del 1530. Inizia quindi da subito ad apparire quali fossero le priorità per la popolazione tolfetana chiusa nel suo mondo e legata alle sue tradizioni.
Nel 1553 risulta che Tolfa contasse circa 264 fuochi, ovvero famiglie, corrispondenti ad un numero complessivo di 1570 persone divisi in 1320 residenti e possidenti terrieri o di bestiame e circa 250 forestieri. In questo periodo la Comunità aveva a disposizione 110 rubbie di vigneti, 600 capi di bestiame vaccino, 913 capre, 100 cavalli, 1900 capi di bestiame suino, un centinaio di pecore, 34 aratri… 9 F. BIANCHI, Storia dei Tolfetani dalle origini alla fine dello Stato Pontificio, Civitavecchia 1984, p 35. F. Tron afferma che nello stesso anno Tolfa contasse 234 fuochi, 30 forestieri ed altre persone che non rientravano nella tassazione. In un secondo computo del 1656 si contavano 2881 persone. Cfr F. TRON, I Monti della Tolfa nel Medioevo, Roma 1982, p. 78. Nel 1630, come si apprende dalla documentazione dell’Archivio della Parrocchia, la popolazione era in sensibile aumento e la chiesa parrocchiale di S. Egidio era stata accresciuta per bisogno del popolo perché la terra è assai popolata, arrivando i fuochi, secondo la lista dei curati, al numero di seicento e le anime a 2400 in circa senza computarne quei lavoratori che nelle festività vengono dalle Lumiere. 10 Ibidem, p. 254.
Importante in questo periodo è il ruolo della Chiesa poiché, essendo Tolfa proprietà dello Stato Pontificio, non se ne può ricostruire la storia, capirne i costumi e la mentalità, prescindendo dal fattore religioso.
Il Governo ecclesiastico si rendeva conto che la scoperta e la lavorazione dell’allume aveva certamente messo in crisi le attività agricole e per questo, iniziò a fare delle piccole cessioni di terre per fare in modo che i tolfetani potessero continuare le loro coltivazioni.
La Chiesa aveva poi da sempre consentito le associazioni spontanee tra famiglie e gruppi laici aventi come scopo il culto e la beneficenza poiché queste Confraternite avevano anche il compito di organizzare cerimonie, di assistere i
lavoratori delle miniere e di fornire beni di prima necessità a vedove e malati. A Tolfa la maggior parte di questi sodalizi erano sorti in epoca post-tridentina e, operando nel sociale, avevano nella maggior parte dei casi uno statuto approvato dalle autorità ecclesiastiche: la Confraternita del SS. Nome di Dio si dedicava ad esempio alla cura degli infermi presso l’ospedale di S. Giovanni nelle adiacenze della Chiesa omonima; la Confraternita di S. Maria del Suffragio, della Morte e dell’Orazione si occupava di far celebrare le messe in suffragio; l’Università dei Calzolai era ospitata presso il Santuario della Madonna della Rocca; la Confraternita di S. Antonio da Padova aveva il compito di fare la questua per i poveri; la Confraternita del SS. Rosario venerava la Madonna ed assisteva gli infermi, i poveri ed accompagnava i defunti alla sepoltura; nella Chiesa della Sughera operavano la Confraternita dei Cavallari delle Allumiere e i seguaci di S. Agostino e S. Monica. 11 Tesi di laurea di G. ESPOSITO, La Confraternita del SS. Salvatore degli Agricoltori di Tolfa.
Tutti questi sodalizi erano parte integrante della vita del paese poiché da una parte salvavano le anime, dall’altra possedevano numerosi beni immobili fatti di lasciti ed eredità.
La connessione tra l’elemento economico e religioso è riscontrabile nelle visite dei Pontefici a queste terre legate soprattutto ai momenti di maggior splendore dell’industria alluminifera.
Quando nel XVIII secolo iniziò la crisi dell’attività di estrazione dell’allume, sia in seguito alla scoperta dell’allume artificiale, sia per l’apertura di giacimenti in altri paesi, Tolfa venne pian piano perdendo il primato di fulcro degli affari della Camera Apostolica e i Pontefici si limitarono ad inviare i loro rappresentanti.
Cessata l’attività alluminifera Tolfa si dedicò a quella che da sempre era stata la sua predisposizione: l’amore per la vita agreste. Collegato al lavoro della terra era l’allevamento delle capre, delle pecore, dei maiali e soprattutto la cura delle vacche e dei cavalli.
Durante il Settecento si costituirono numerose associazioni di allevatori per la tutela di una realtà economica e naturalistica così specifica e poi nel 1870 l’Università dei Boattieri e quella degli Agricoltori confluirono nell’Università Agraria di Tolfa che partecipò attivamente alla vita del paese divenendo ben presto un Ente ricco e fecondo.
Oggi l’economia agricola e contadina non ha più la stessa valenza di un tempo; la rivoluzione agricola con l’utilizzo di nuovi macchinari e tecnologie che ha interessato (dagli anni sessanta) tutto il territorio nazionale, ha inciso anche sull’ambiente tolfetano dove l’attività agricola, un tempo necessaria alla sopravvivenza, è oggi esercitata part time da soggetti che hanno un altro lavoro o da pensionati.
La storia del “vecchio” mondo contadino però ha lasciato numerose tracce nel paesaggio: con la presenza di animali “simbolo”, con le tradizioni legate alla terra, con i costumi locali, le processioni, le superstizioni popolari, il dialetto, i piatti tipici…
Quel rapporto con l’ambiente naturale, un tempo unica fonte di vita, si è dunque andato gradualmente modificando e il tolfetano, che un tempo cercava lavoro nei luoghi dove era nato, oggi abbandona la sua terra e si rivolge ad altre
occupazioni. Esiste ancora l’artigiano del cuoio ma, mentre un tempo forgiava vestiario utile a chi lavorava nel mondo agricolo, oggi ricopre un ruolo completamente diverso con una produzione costituita in larga parte da borse, scarpe ed oggettistica destinata al settore della moda. Reminescenza dei tempi passati sono invece le finiture per il mondo dell’allevamento con selle realizzate per mezzo di tecniche che si sono tramandate di padre in figlio.
Le tradizioni legate al pascolo non hanno più la stessa incisività di un tempo: il buttero 12 I butteri tolfetani un tempo si chiamavano pastori. che si alzava prima del sorgere del sole, si recava alla fontana per lavarsi e trascorreva tutta la sua giornata con il bestiame ha perso quel tipo di connotazione per assumerne una più confacente ai tempi.
Il Torneo dei butteri, giostra di cavalli che si svolge nei mesi estivi con giochi di abilità, attira oggi gran parte delle popolazioni dei paesi vicini ma il tradizionale abbigliamento assume per lo più un significato rituale e non certo essenziale come era un tempo: i partecipanti alle gare sono per lo più semplici appassionati di cavalli.
Il torneo è preceduto da un corteo in costume dove i rioni, sfilando per il paese, rievocano con costumi ed attrezzi gli antichi mestieri e le attività tipiche della Tolfa agricola e pastorale.
Altra festività legata alle tradizioni è quella di S. Antonio nella quale ogni animale viene portato a benedire: così un tempo si faceva con i cavalli utilizzati per lavoro che ricevevano la benedizione in chiesa.
Attività legata all’allevamento ed ancora oggi praticata è quella del pastore esercitata ormai con macchine e trattori soprattutto da allevatori sardi che si Il termine “buttero” nasce in epoca moderna quando si afferma la tradizione delle feste e del torneo stabilirono su questi territori intorno agli anni sessanta di questo secolo attirati dalla numerosa disponibilità di terreni incolti.
Oggi il territorio tolfetano si conserva ancora integro poiché mai è stato sfruttato fino in fondo grazie soprattutto al profondo rispetto e al desiderio di protezione da parte della popolazione che ne ha usufruito e delle autorità che lo hanno gestito.

2 Gli enti gestori del territorio a Tolfa

Diversi sono gli enti che nel territorio tolfetano gestiscono le terre godute dagli abitanti del luogo. La mia ricerca verterà soprattutto sulla gestione dei terreni appartenenti all’Università Agraria di Tolfa, tuttavia bisogna sottolineare che anche il Comune possiede un patrimonio fondiario che ha la medesima origine di quello dell’Università Agraria. 13 Il bosco degli Sbroccati ad esempio era terra di uso civico divisa tra Comune ed Università Agraria. In passato su tutto il Lazio si estendevano terre private sulle quali le popolazioni rivendicavano l’esercizio degli usi civici di pascolo, di semina, di legnatico e di pesca, attività che servivano principalmente al sostentamento della famiglia.
Il panorama di oggi è completamente diverso poiché, accanto al patrimonio terriero privato, sia esso di grandi proprietari o di coltivatori diretti che lo possiedono in proprietà o a titoli diversi, esistono anche cospicue entità di beni collettivi.
Su un territorio che si estende per 17.000 ettari, l’Ente agrario ne gestisce circa 6.800 di cui 550 sono amministrati direttamente da un’azienda ad indirizzo zootecnico e cerealicolo. Ulteriori 1200 ettari sono dati in concessione esclusiva a singoli utenti; la parte rimanente è invece utilizzata in maniera collettiva. 14 Intervista del 20-03-07 ad Andrea Bargiacchi, Presidente Università Agraria di Tolfa. Il Comune gestisce invece territori che hanno varia provenienza. Alcuni di questi infatti pervennero al Comune nel 1978 dall’ex Pio Istituto S. Spirito 15 Il Pio Istituto S. Spirito era un ente che gestiva le terre degli Ospedali Riuniti di Roma e che, tra gli altri possedimenti gestiva la tenuta di S. Severa. e sono gestiti da un’Azienda Speciale.
Queste terre però avevano un vincolo di destinazione poiché il loro ricavato avrebbe dovuto necessariamente entrare nelle casse dello Stato. La concessione al Comune fu fatta perché le allora U.s.l (Unità Sanitarie Locali) non godendo di personalità giuridica, non avrebbero potuto gestire beni immobili.
Quando nel 1992 si realizzò la riforma sanitaria, si crearono le A.s.l (Aziende Sanitarie Locali) che tornarono a gestire i loro patrimoni e questi terreni. 16 Intervista del 19-03-07 a Franco Morra impiegato Azienda Speciale del Comune di Tolfa: “..In questo modo anche i beni dell’ex Pio Istituto S. Spirito passarono a questi Enti. La G.E.P.R.A Lazio è la società che si occupa di venderli ridistribuendo il ricavato ai Comuni in realtà però il ricavato sarà ridistribuito in base al numero degli abitanti. Il Comune di Tolfa così, pur avendo messo a disposizione molti ettari di terra, nel caso in cui i terreni fossero venduti, ne ricaverebbe solo il 6%.”
Altre proprietà del Comune di Tolfa provengono invece dall’E.c.a un ente che nei tempi passati aveva il compito di assistere le famiglie più povere; ancora altri terreni appartenenti al Comune sono invece gestiti dall’Università Agraria.
Un ruolo fondamentale su questo territorio è svolto dalla Comunità Montana dei Monti della Tolfa la quale, pur non avendo la diretta gestione delle terre, ha il compito di promuovere un territorio dove evidenti sono le bellezze paesaggistiche, l’ottimo grado di conservazione del verde, le enormi estensioni boschive, il ricco patrimonio archeologico, faunistico e minerario.
Sulla base di queste premesse già dal 3 Aprile 1966 a Monte Urbano (Allumiere) si svolse una riunione tra le molte persone che condividevano l’iniziativa di costituire un Parco Nazionale. Si formò in questa occasione un Comitato con il compito di esaminare meglio le prospettive dell’iniziativa. 17 GRUPPO ARCHEOLOGICO ROMANO, Relazione sul costituendo Parco Nazionale dei Monti di Tolfa e Allumiere, Roma 1967, p. 3.
Nel 1978 la Comunità Montana partendo dall’analisi della critica situazione economica del territorio, stilò un Piano quinquennale di sviluppo socio – economico con l’intento di elaborare uno strumento operativo di base che, facendo affidamento sulle risorse di queste terre, intendeva invertire una tendenza che per troppi anni aveva visto le nostre campagne vittime di un desolante abbandono e di un isolamento economico sociale e civile.
Si proponeva inoltre l’istituzione di un Parco naturale gestito direttamente dalla Comunità Montana e comprendente i territori di Tolfa ed Allumiere.
Diversi dibattiti si sono svolti negli anni passati su questo argomento ma di fatto il Parco non è mai stato realizzato soprattutto per la diffidenza e l’ostilità della popolazione timorosa dei vincoli ai quali questa istituzione la avrebbe obbligata.

3 Il territorio tolfetano: dallo Stato pontificio all’enfiteusi perpetua

Per capire quale è la storia del territorio tolfetano, quali siano gli enti che lo gestiscono e a quale titolo, bisogna partire da circa metà del XV secolo. Come ho già detto queste terre infatti, proprietà dei vecchi signori Frangipani furono cedute allo Stato Pontificio dopo la scoperta dell’allume divenendo ben presto il fulcro di una fitta rete di affari.
La proprietà delle terre da parte della Camera apostolica aveva però messo in difficoltà i tolfetani che, per lo più dediti all’agricoltura avevano lottato per ottenere terreni da coltivare.
Finalmente nel 1510 il Pontefice Giulio II, accogliendo benignamente la domanda degli allora poveri agricoltori di Tolfa, concedeva terre da semina nelle tenute fertili di Bandita Grande, Casale e Vallecardosa. 18 Z. VIGNATI, L’Università Agraria di Tolfa, Arezzo 1930, p. 8.
Nel 1525 la Reverenda Camera Apostolica concedeva agli abitanti le terre suddette come colonia perpetua. 19 Ibidem.
Nel documento dal titolo Convenzioni fatte tra i Doganieri del Patrimonio e la Comunità della Tolfa sopra le terre da seminarsi annualmente dagli Uomini di detto luogo, ed ordini fatti dal Cardinal Camerlengo sopra la distribuzione di dette terre, 20 Il documento in latino è riportato dal Bianchi in Storia dei tolfetani, op. cit. pp. 276-277.
si stabiliva inoltre la concessione di alcune terre per il pascolo e per la semina.
Questo privilegio aveva in realtà delle limitazioni :..et homines non posse retinere in dicto loco (Bandita Grande), nec eis assegnare aliqua animalia indomita, sed solum equum pro quibuslibet duodecim bobus pro uno aratro sub poena perdictionis quorum animalium…21 “E (si ordina) che nel detto luogo gli uomini non possano tenere né a quello assegnare alcun altro animale indomito, ma solo un cavallo ogni dodici buoi ed ogni aratro pena la perdita di quegli
animali”.
ed ancora ..Terra seminabunt frumentum, quod in eis colligent, ad eorum Domos, seu alia loca deferii non possint nisi prius significaverint Ministro seu Factori Ipsorum Dohaneriorum, qui accedere debeant ad accipientum patres ( probabilmente “accipiendum partes”) frumenti eisdem Dohaneriis tangentem sub poena perditionis totius frumenti per eos recolletti..22 Le terre saranno seminate a frumento come in quelle si vorrà per le loro case (per il sostentamento dei contadini), ma non si potranno occupare altri luoghi se prima non si daranno delle spiegazioni al
Ministro o al Fattore degli stessi Doganieri i quali potranno accedere per prendere le parti di frumento che dovranno ottenere in cambio pena la perdita di tutto il frumento raccolto in quelle (terre).

Da questo documento si evince quale fosse l’importanza di possedere buoi aratori soprattutto in un regime agrario dove la semina ed il pascolo si alternavano e ruotavano. Questo stato di cose iniziò ad evidenziare una profonda divisione nella popolazione tra quelli che possedevano i buoi aratori e chi invece lavorava ad opra ossia zappando, mietendo e trebbiando.
In un altro documento del 1696 23 COMUNE DI TOLFA, Relazione Tecnica del Dott. Ing. Sergio Paribelli, Tolfa 2000, p. 4. si dice di un terreno di Tolfa chiamato Sbroccati: …sopra questa tenuta la comunità di Tolfa aveva lo ius pascendi della ghianda per animali porcini. Gli altri diritti del legnatico e del pascolo spettavano invece in via esclusiva alla Camera Apostolica.
In questo periodo, quando ancora era in auge lo sfruttamento dell’allume, la comunità di Tolfa aveva quindi, se si escludono le terre concesse in enfiteusi, pochi diritti sui terreni di proprietà del papato, eccetto quello di poter raccogliere ghiande per i maiali o la legna secca.
Avveniva allora molto spesso che le popolazioni di Tolfa e di Allumiere facessero pascolare abusivamente nei boschi capre ed altri animali tagliando inoltre legna per riscaldarsi e per cucinare.
Ma la Camera Apostolica, che aveva estrema necessità di legna per l’industria alluminifera, 24 Il legname aveva molti utilizzi; serviva nel procedimento dell’allume per far bruciare le fornaci, era indispensabile per la costruzione dei cassoni per il trasporto oltre che per edificare le case dei minatori. si trovò costretta a vigilare maggiormente sui boschi: regolamentò il taglio e punì chi danneggiava le macchie della Tolfa.
Nel 1620 era intanto nata un’associazione di contadini l’Università degli Agricoltori o Boattieri costituita dai lavoratori delle terre e dai possidenti dei buoi aratori i quali probabilmente si erano resi conto della loro importanza all’interno di
questa società; del 1710 invece su proposta del Consiglio del popolo di Tolfa nasce un’associazione di allevatori: l’Università di Mosceria.
Queste due Università 25 Il termine Universitas compare per la prima volta nel 1105 per due terre di Grumo e Bitetto terre feudali sotto il medesimo signore che si contendevano l’uso per alcuni appezzamenti di terreni. Nella causa le due Università sono rappresentate da un sindicus. Un altro nesso va poi messo in evidenza: nella vita cittadina grande importanza aveva il Baiulo che, essendo un ufficiale regio aveva il compito si vegliare sulla difesa delle terre private e sugli usi civici. Questo aveva inoltre il controllo del mercato, dei pesi e delle misure, doveva controllare i prezzi dovendone fare ogni mese una relazione scritta. Altro compito di questi bauli era anche quello di concedere e di alienare le terre demaniali e feudali soprattutto quelle incolte paludes et nemorosa loca. Per questa via o spesso anche per concessione regia queste terre passarono nelle mani delle città. Si andò in questo modo formando un demanio cittadino che si chiamò “demanio universale” poiché queste terre erano di dominio collettivo, degli universi cives ovvero terre dell’Universitas. REGIONE LAZIO, Terre collettive e usi civici tra stato e regione, Atti del convegno di Fiuggi, ottobre, 1985, pp. 57- 58. erano libere associazioni o meglio una sorta di corporazioni di mestiere e, nate con lo scopo di difendere gli interessi dei soci, stabilirono l’uso e la ripartizione dei terreni; stipularono accordi e contratti per la fienagione, per il pascolo e per la semina occupandosi anche di risolvere liti e controversie.
Gli iscritti erano in realtà le stesse persone che facevano parte della confraternita religiosa del SS. Salvatore dediti al culto di S. Antonio Abate protettore degli animali che avevano la loro cappella nella chiesa di S. Egidio. La stessa Confraternita aveva creato nel 1628 il Monte Frumentario o Monte dei poveri istituzione che, nata sotto Papa Pio V si occupava di gestire le elemosine spontanee in grano e in denaro per poi concederle in prestito alla gente che ne aveva bisogno e che prometteva di riconsegnarlo pagando un certo interesse. 26 Tesi di laurea di G. Esposito, cit
Questo evidenzia ancor di più come fosse difficile la vita per i tolfetani in questo periodo e quanto fosse reale il desiderio di possedere la terra, unica risorsa di sussistenza per le famiglie di allora.
E’ utile sottolineare che fino a questo momento i terreni oggetto di sfruttamento da parte della Comunità appartenevano alla Camera Apostolica che li gestiva attraverso i suoi Ministri.
Nel 1778 però qualcosa iniziò a cambiare quando, sotto il pontificato di Pio VI le associazioni dei Boattieri e dei Moscettieri ottennero alcuni nuovi terreni ad enfiteusi perpetua e a tutto frutto. Si trattava di alcune tenute camerali denominate: Pantanelle, Monti di S. Caterina, Monti Aquatosta, Valle Ascetta, Maniconi d’Ascetta, Monte Palarese, Capannone, Sconfitta, Carbonare, Valgioncosa, Montecastagno che già erano state concesse in affitto alla Comunità ed all’Università dei Moscettieri.27 Z. VIGNATI, op. cit. p. 8
L’enfiteusi in realtà era una vantaggiosa forma di contratto che, obbligando certamente il detentore a mettere a coltura il fondo, prevedeva la concessione perpetua di un appezzamento di terra attraverso il pagamento di un affitto annuo oppure una parte del ricavato.
Tale passaggio assume un valore fondamentale nella storia della Comunità di Tolfa in quanto da una situazione di possesso precario legato alla “benevolenza” della Camera Apostolica si passa ad una “proprietà” reale gestita in totale autonomia. 28 Intervista ad Andrea Bargiacchi,Presidente Università Agraria di Tolfa.
Su questi stessi terreni, nel corso dei secoli vennero riconosciuti alla popolazione diritti a vario titolo fino ad arrivare all’attuale diritto di proprietà.
Le due Università degli Agricoltori e dei Boattieri sempre in contrasto, si erano dati dei regolamenti che però spesso non erano seguiti; avevano inoltre accumulato moltissimi debiti tanto che Papa Pio VII nel 1820 dovette intervenire inviando un suo delegato che controllasse ed eventualmente modificasse i due regolamenti. Vennero così redatte delle “regole” da osservarsi nelle due Università di Mosceria e degli Agricoltori della Tolfa”. Tale atto disciplinava in 104 articoli l’organigramma e le procedure amministrative con l’intento di organizzare il funzionamento garantendo gli equilibri contabili. 29 www.universitàagraria.it
Il 14 giugno 1826 la vicina frazione di Allumiere veniva eretta a Comune e, come dote di territorio venivano concesse tre tenute: Casale, Valle Cardosa e Bandita Grande. 30 Ibidem.
Nel 1868 quando si costituì l’Università Agraria di Allumiere, certo renderla completamente indipendente da quella di Tolfa non fu un compito facile tanti erano gli impegni comuni. Nel 1870 si unirono anche le due Università di Tolfa in un unico soggetto denominato “Università degli Agricoltori e dei Possidenti di bestiame” ed il nuovo Papa Pio IX sanzionò il nuovo statuto dell’associazione. 31 Z. VIGNATI, op. cit. p. 9.
L’Università così formatasi iniziò a fare nuovi acquisti fra cui quello dei boschi il cui taglio era un tempo riservato alla Camera Apostolica che, come ho detto utilizzava la legna per le cave di allume.
Quando poi nel 1870 lo Stato Pontificio entrò a far parte dell’Italia ormai unita, il fenomeno dell’appropriazione delle terre comuni da parte di gruppi chiusi e della successiva divisione ed assegnazione in proprietà individuali a favore dei membri dell’associazione, portò il legislatore ad emanare, con la legge 397 del 1898, l’Ordinamento dei domini collettivi nelle ex province dell’ex Stato Pontificio.
Il regolamento di questa legge fu deliberato dall’Assemblea della Università Agraria di Tolfa nel novembre del 1896: l’utenza dei terreni non era per tutti i cittadini ma riservata esclusivamente ai boattieri agricoltori ed ai moscettieri. 32 Sito Università Agraria di Tolfa cit.
Questo certamente causò nel paese dure controversie che si risolveranno solo quando anche i braccianti verranno ammessi a pieno titolo a far parte dell’Ente agrario.

4 La legislazione sulle Università Agrarie e domini collettivi

“Usi civici” è oggi un’espressione riferita ad una complessa realtà giuridica, economica, sociale e politica ed implica l’esigenza concreta della salvaguardia, della corretta gestione e proficua utilizzazione, nell’interesse generale, di estesi beni pubblici. 33 REGIONE LAZIO, op. cit., p. 35
Questi beni, che le popolazioni hanno sempre considerato come propri, hanno avuto nei tempi passati la specifica funzione di essere destinati a soddisfare i bisogni elementari di vita delle popolazioni. Ora che il loro valore si è enormemente accresciuto, mentre si evidenzia maggiormente la loro importanza ai fini delle diverse utilità a vantaggio delle popolazioni, il problema è quello di garantirne la conservazione adattandoli alla realtà economica di oggi nella quale le nuove generazioni non hanno più il bisogno di far pascolare i loro animali né di procurarsi legnatico.
Dal punto di vista giuridico gli “usi civici” sono stati definiti diritti reali di godimento che tutti gli abitanti esercitavano ma, dal punto di vista pratico erano un modo di godimento fondiario importante all’interno di una semplice economia
agricola di sussistenza.
Questo tipo di economia si rinviene quando la base della società è costituita prevalentemente da contadini; ed è quanto accadeva nella povertà dell’ex Stato Pontificio e nei primi tempi dopo l’unità d’Italia.
In questo contesto gli usi comuni della terra erano divenuti l’unico strumento per garantire il diritto alla vita delle popolazioni rurali.
A Tolfa con le Università dei Boattieri e degli Agricoltori i “contadini” 34 In realtà contadino è un termine troppo esteso per indicare i pochi che, possidenti di bestiame, erano realmente rappresentati. Trovo infatti nell’archivio dell’ente continue tensioni tra chi era boattiere e quindi utente e chi invece non aveva che le braccia per lavorare. erano riusciti ad essere rappresentati sotto il profilo economico ma non avevano ancora rappresentanza giuridica.
Tutti i cittadini aventi una attività professionale connessa alla terra facevano parte di queste associazioni anche se, non mancheranno cavillosi pretesti e dure lotte tra settori diversi della medesima classe sociale per contendersi il diritto di potervi entrare a titolo esclusivo. 35 ISTITUTO RICERCHE ECONOMICO SOCIALI “Placido Martini”, Le Università Agrarie, Roma 1976, p. 18
Grave era infatti la frattura tra allevatori ossia i boattieri ed i braccianti che pure facevano parte della stessa classe contadina. I buoi da lavoro posseduti dai boattieri erano da sempre simbolo di una posizione economica e sociale di maggior prestigio anche perché la forza dell’uomo non avrebbe potuto lavorare tanta terra.
Da una relazione tecnica del Comune di Tolfa dal titolo Terreni di proprietà comunale gravati da uso civico, 36 COMUNE DI TOLFA, Relazione Tecnica, redatta dal Dott. Ing. Sergio Paribelli, Tolfa 9 giugno 1999, approvata con delibera n. 96 del 11 febbraio 2000. si evince quali siano nel 1871, le servitù di pascolo esistenti nel territorio di Tolfa.
Le Università degli Agricoltori e della Mosceria e i proprietari dei buoi addetti alla lavorazione dell’allume avevano varie tipologie di servitù.
- Lettera A pascolo invernile dal 29 settembre all’8 maggio su 2.120 ettari circa.
- Lettera B pascolo annuale dal 9 maggio al 28 settembre su una superficie di 3.734 ettari circa.
- Lettera C pascolo annuale dal 26 dicembre al 28 settembre su una superficie di 183 ettari circa.
- Lettera D pascolo invernile dal 29 settembre all’8 maggio su 349 ettari circa.
I proprietari dei buoi aratori avevano inoltre una servitù di pascolo su altri terreni. Emerge che il totale delle servitù asservite al pascolo a favore della Università degli Agricoltori del Comune di Tolfa e della popolazione avesse una superficie che corrispondeva agli odierni ettari: 8.679, are: 08, centiare: 90. Esisteva servitù di pascolo in zone quali: Campo di S. Lucia, Casale, Cavavecchia, Chiaruccia, Marano, Pantanelle, Piancisterna, Pian de’ Santi, Poggio della Stella, Prato Cipolloso, Prato Rotatore, Tolfa, Valle Ascetta, Val Cardosa.
Nella stessa relazione si cita poi la suddivisione delle coltivazioni soggette a servitù di pascolo raggruppati secondo le coltivazioni dominanti: prati da commercio, pascoli semplici, pascoli seminativi, boschi cedui a legna, boschi cedui a fascine, boschi cedui a carbone.
Dalle somme del compilatore si arriva a definire l’estensione totale dei terreni di Tolfa nella misura complessiva di 15.492 ettari, 09 are e 70 centiare (totale territorio) di cui 8.679 circa adibiti a servitù di pascolo ed i restanti come appezzamenti liberi. 37 Ibidem.
Nel 1894 38 GAZZETTA UFFICIALE del 5 settembre 1894, n. 209. Legge del 4 agosto 1894, n.397. si sentì la necessità di regolare con una legge la gestione e l’utilizzo di questi territori. In questa legge, dove principalmente si riconoscono le Università Agrarie come soggetti giuridici, all’articolo 1 si dice: Nelle province degli ex Stati pontifici e
dell’Emilia, le Università agrarie, comunanze, partecipanze e le associazioni istituite a profitto della generalità degli abitanti di un Comune, o di una frazione di un Comune, o di una determinata classe di cittadini per la coltivazione o il godimento collettivo dei fondi, o l’amministrazione sociale di mandrie di bestiame, sono considerate persone giuridiche.
All’articolo 2 si stabilisce invece che le dette associazioni dovessero riunirsi entro un anno per redigere la lista degli attuali utenti e per deliberare a maggioranza assoluta di voti un regolamento da pubblicarsi nelle forme e nei termini
stabiliti dall’art. 113 della legge comunale e provinciale; all’articolo 3 si decreta che, ove le associazioni non avessero una rappresentanza, spettasse al Sindaco del Comune riunire gli utenti o provvedere alla convocazione delle associazioni che non avessero approvato il regolamento nei termini.
Questi brevi richiami consentono di scorgere in questa legge un duplice intento: da una parte di ridurre ad un comune paradigma forme di appartenenza o di godimento collettivo diverse come ad esempio le università agrarie, le partecipanze e le associazioni varie di cittadini.
Dall’altra si cerca di evitare che le associazioni, costituite spesso da gruppi chiusi di famiglie, potessero ambire a divenire proprietari delle terre collettive.
La costituzione della persona giuridica infatti sostituiva, ad una pluralità di diritti individuali un unico diritto di proprietà ponendo così un freno verso il dirompere di fattori egoistici di disgregazione. 39 REGIONE LAZIO, Ruolo e funzioni delle Università Agrarie alle soglie del 2000, Atti del convegno di studio del 1987.
Altro aspetto importante è che si doveva gestire la terra comune secondo criteri imprenditoriali e programmi formulati ed approvati dall’assemblea degli utenti.
La legge limitava inoltre la partecipazione degli aventi diritto secondo criteri di professionalità sottoponendo l’amministrazione dei beni ad un controllo pubblico analogo a quello degli enti locali.
In realtà però questa normativa ebbe una vita assai breve poiché il regolamento ed il funzionamento delle associazione agrarie di cui alla legge 397 del 1894, approvato solo nel 1922 con il Rd del 29 ottobre 1922 n. 1472; ebbe efficacia brevissima perché venne abrogato con la successiva legge del 1927 40 M. A. LORIZIO, Università Agrarie: un istituto da rimeditare, fogli sparsi da Archivio personale Prof. Tito Marazzi,(16 giugno 1927 n. 1766) nella quale le preesistenti associazioni agrarie vengono giudicate sotto una diversa luce.
La legge si proponeva inoltre di fare chiarezza sulla regolamentazione dei terreni pubblici dove la popolazione era direttamente proprietaria ed i terreni privati nei quali insistevano proprietà collettive.
Era infatti molto difficile valutare, dopo la privatizzazione di molti terreni, quali fossero le parti strappate a quelli che erano gli “usi collettivi”.
Innanzi tutto bisogna tener presente che la materia degli usi civici ha per oggetto terre collettive ma di vario tipo: dalle proprietà delle Università Agrarie a terre dove “uso civico” significa solo un diverso modo di possedere ossia proprietà diretta per finalità collettive.
Diversa cosa sono invece gli usi civici su terre private (come può essere ad esempio l’utilizzo comune di una sorgente di acqua su un terreno) ereditati dalla storia e molto difficili da valutare. 41 Intervista Andrea Bargiacchi, Presidente Università Agraria di Tolfa.
La legge del 1927 in realtà ha introdotto principi opposti a quelli della legge del 1894. Per quanto attiene la gestione delle terre produttive ha infatti aperto i beni agli usi di tutti i cives, ha sostituito alla forma di gestione collettiva la ripartizione delle terre in quote e l’assegnazione delle quote in concessione enfiteutica agli utenti.
L’assegnazione fu fatta per sorteggio fra le famiglie di coltivatori diretti, le concessioni con esecuzione di migliorie erano suscettibili di affrancazione. 42 Relazione Cervati sugli Usi Civici, op. cit.
In questo modo le terre date in concessione e migliorate potevano essere trasformate in enfiteusi perpetue: è la privatizzazione delle terre collettive.
Questo tipo di apertura ha però ostacolato e reso impossibile qualsiasi programma di gestione produttiva, ha abolito la professionalità degli utenti sostituendovi la generalità dei residenti anagrafici, ha vietato la vendita di frutti ed il riparto tra gli utenti. Ha vietato inoltre la creazione di nuove associazioni, ha trasformato le Università Agrarie da enti imprenditoriali a gestione associata in enti pubblici soggetti agli stessi controlli e forme di gestione degli enti locali. 43 Ibidem, p. 7
Mai invece ebbe attuazione la parte migliore di questa legge che prevedeva, prima delle quotizzazioni ed in funzione di esse, gestioni ad opera di Delegati Tecnici per l’esecuzione di opere di sistemazione e, dopo l’assegnazione delle quote, forme di consorzio obbligatorie o facoltative tra gli utenti per l’esecuzione di opere e servizi di interesse comune. 44 Ibidem, p. 8 Molte terre invece vennero assegnate senza obbligo di migliorarle.
Scrisse un insigne civilista nel 1887: il possesso di un pezzo di terra, spesso insufficiente per la sussistenza di una famiglia, inutilizzato per la mancanza di capitali con cui coltivarlo è, o diventa, appena la scarsa rendita diminuisce, un onere per il contadino, che deve trarne di che pagar il canone al Comune, l’imposta allo Stato, quasi sempre l’usura allo strozzino. E corre a disfarsene, per un tozzo di pane, e la terra si accumula nelle mani degli speculatori ed egli torna più povero e derelitto di prima. E’ sempre, è vero, membro del Comune, ma la proprietà del Comune, di cui era partecipe, è spenta prima della sua, o convertita in opere di utile pubblico, e la qualità comunista non gli conferisce più altro diritto che quello di passeggiare per la strada che il Comune ha costruita. 45 G.VENEZIAN, Opere giuridiche, vol. II, Studi sui diritti reali, p. 18.
Questa legge dunque era finalizzata alla liquidazione delle proprietà collettive ed alla ripartizione dei beni tra gli utenti con la “quotizzazione” e quindi con la privatizzazione delle terre civiche; all’articolo 26 si legge: I terreni di uso civico dei Comuni e delle frazioni e quelli delle associazioni, sia che passino ai Comuni od alle frazioni, sia che restino alle associazioni stesse, debbono essere aperti agli usi di tutti i cittadini del Comune o della frazione.
Inoltre il divieto di costituire nuove Università Agrarie poneva un grosso vincolo privando i contadini dello strumento fondamentale di aggregazione ed autogoverno.
La legge fu quindi applicata badando molto più agli interessi dei proprietari terrieri piuttosto che a quelli della popolazione. In questo modo le associazioni, le università agrarie e gli altri enti gestori della terra iniziarono in molti luoghi a scomparire essendo per lo più inglobati nel Comune. La legge del 1927 inoltre fissava, all’articolo 11, uno schema di classificazione di terre di proprietà collettiva che le rendeva utilizzabili anche in funzione diversa da quella ricevuta.
L’articolo nominato recita: I terreni assegnati ai Comuni o alle Frazioni in esecuzione di leggi precedenti relativi alla liquidazione dei diritti di cui all’art, 1, e quelli che perverranno ad essi in applicazione della recente legge, nonché gli altri posseduti dai Comuni o Frazioni di Comuni, Università ed altre Associazioni Agrarie comunque denominate, sui quali si esercitano gli usi civici, saranno distinti in due categorie:
A) terreni convenientemente utilizzati come bosco o come pascolo permanente;
B) terreni convenientemente utilizzati per la coltura agraria.
Questa distinzione servì al legislatore per individuare tra le terre delle università agrarie, quelle che possono essere ripartite in quote e distribuite tra le famiglie dei coltivatori diretti del Comune. 46 ISTITUTO RICERCHE ECONOMICO SOCIALI, op. cit. p. 33.
I terreni della categoria A infatti non avrebbero potuto mutare destinazione d’uso né essere alienati senza l’autorizzazione del Ministro dell’Agricoltura; per i terreni di categoria B invece la legge prevedeva 47 Articolo n. 3 legge del 16 giugno 1927 n. 1766. una ripartizione secondo un piano tecnico di sistemazione fondiaria e di avviamento colturale fra le famiglie dei coltivatori diretti del Comune o della Frazione, con preferenza per quelli meno
abbienti, purché diano affidamento di trarne maggiore utilità.
La vita degli enti agrari continua con difficoltà sempre crescenti anche se, da una ricerca effettuata nel 1938 a cura dell’Ispettorato Agrario sulle proprietà collettive e usi civici nella provincia di Roma, risulta che le allora 34 Università
Agrarie, gestivano da sole il 40% della superficie totale della proprietà collettiva accertata, a fronte del 60% gestito dai 109 Comuni della Provincia. 48 PROVINCIA DI ROMA, Le Università Agrarie della Provincia di Roma, La Linea editrice, p. 81.
In questi anni però molti terreni sono stati quotizzati con il conseguente depauperamento della proprietà collettiva senza che agli utenti ne siano derivati reali benefici. Questi provvedimenti, legati ai terreni di categoria B, hanno portato alla privatizzazione delle terre collettive più redditizie facendo precipitare i bilanci delle università agrarie gravate ulteriormente dalla mancanza di professionalità degli amministratori e dalle ostilità dei Comuni.
La relazione dell’Ente, seppur volta alla liquidazione degli usi civici e alla privatizzazione delle terre collettive, finisce per affermare: sarebbe grave errore voler trasferire la gestione della proprietà collettiva alle amministrazioni comunali
prima di procedere alla ripartizione dei terreni, oppure subito dopo che sia stata effettuata la ripartizione in parola. Riteniamo invece sia necessario organizzare su nuove basi le vecchie Università esistenti e creare nuovi organismi nei Comuni ove il patrimonio collettivo da sistemare sia di notevole importanza. 49 Ibidem, p. 82
Dopo la caduta del regime fascista e l’avvento della Repubblica, tutte le Università Agrarie provvidero a modificare i loro statuti per ripristinare le norme elettorali e ricostituire, su basi elettive, i propri organi amministrativi.
Il nuovo statuto dell’Università Agraria di Tolfa risale 1961; in quella sede, attenendosi all’articolo 26 della legge del 1927, all’articolo 6 si promulga: Sono utenti tutti i cittadini compresi nei registri della popolazione del Comune di Tolfa che risiedono stabilmente nello stesso Comune. 50 Ibidem, p. 88

CAPITOLO II

L’Università Agraria di Tolfa dalla nascita alla decadenza.
1 La nascita dell’Università Agraria di Tolfa

Le strade di Tolfa e di Allumiere si erano già separate quando nel 1826 Allumiere aveva creato il proprio Comune. Le due Università Agrarie invece continuarono ad essere unite fino al 1868 quando dapprima divisero i loro terreni e poi le loro amministrazioni.
La divisione in realtà comportò rivendicazioni soprattutto da parte di Allumiere che avrebbe desiderato ottenere maggiori benefici. Nel verbale delle deliberazioni dell’Assemblea degli utenti del 5 gennaio 1908 il primo oggetto all’ordine del giorno riguarda la transazione della vertenza fra le due Università di Tolfa e di Allumiere in merito ai conteggi dopo la divisione territoriale avvenuta nell’anno 1868. 51 ASUAT, seduta del 5 gennaio 1908.
L’Università di Allumiere si impegnava a pagare a quella di Tolfa la somma di lire ventiduemila per il passato fino ad oggi iniziando dall’anno 1909 con una somma di lire duemila annue, la stessa inoltre avrebbe dovuto continuare ad elargire un contributo per l’Ospedale ed Opera Pia Buttaoni di Tolfa rappresentanti il terzo dei suddetti fruttati dovuti per detti cespi, nonché altri soldi per la ripartizione dei canoni. 52 Il predetto Ente si obbliga pure direttamente a rimborsare a Tolfa annualmente la somma di scudi romani 24.48 pari a lire 131.58 canone già dovuto al Convento di S. Salvatore di Spoleto e S. Francesca Romana di Lucca ora dovuto agli eredi di Bonizi Achille. La Università di Allumiere suddetta si obbliga pure a pagare direttamente ed annualmente a quella di Tolfa la somma di lire 1451 rappresentante due terzi del canone gravante la Bandita dei Buoi.
In realtà quello che era facile sulla carta non fu altrettanto facile per la vita delle popolazioni dei due paesi. Gli impegni assunti infatti da parte degli Enti erano fortemente contrastati dagli agricoltori e dagli allevatori tolfetani che, attraverso i secoli avevano consolidato sulle tenute da annettersi ad Allumiere le loro attività di allevamento e di coltura delle terre.
Chi vive nella nostra realtà conosce molto bene come sia estremamente difficile, se non impossibile, trasferire in modo stabile un animale abituato allo stato brado da una parte all’altra del territorio. Allo stesso modo c’era una forte opposizione da parte di quegli agricoltori che, avendo iniziato colture di oliveti, vigneti ecc, dovevano trasferire ex novo i loro interessi da un’altra parte.
Si iniziò così un lungo contenzioso ed in data 20 marzo 1915 fu indetta un’assemblea alla quale intervenne il Commissario Prefettizio dell’Università Agraria di Allumiere per discutere sui terreni di Poggio della Stella. Il problema
verteva sul fatto di delimitarne il confine; si decise di individuarlo: a partire dal cancello delle Palare lungo il fosso fino al fosso delle Cacafoglie e proseguendo lungo il fosso fino alla Spiagge. Per quel che invece riguardava il pascolo si deliberò per un utilizzo promiscuo dal 8 maggio al 30 settembre. 53 ASUAT, seduta del 28 maggio 1915.
Nel febbraio del 1923 si era arrivati ad un compromesso con l’Università di Allumiere anche per qualche riguardava i Comunali: l’Università Agraria di Tolfa si obbliga a cedere all’Università Agraria di Allumiere una parte dei Comunali Macchiosi a partire dal principio del fosso di confine fino alla mazzagna sopra la vigna di Cosciò e da qui possibilmente in linea retta fino al cancello del termine. In questo modo il popolo di Tolfa rinunciava agli usi civici su circa 100 rubbi di terra. 54 ASUAT, seduta del 25 marzo 1923.

2 “La terra è vita”: dissidi tra boattieri e braccianti

Nella seduta del 1 marzo 1908 55 ASUAT, seduta 5 gennaio 1908. si apportano alcune modifiche al regolamento ma si conferma l’utenza alle vecchie classi di boattieri e agricoltori moscettieri. In questo modo rimanevano esclusi quelli che lavoravano la terra con “le braccia”.
Si apre così un duro periodo che contrappone questi utenti alle classi più povere della popolazione che lottavano per ottenere l’utenza ed la conseguente possibilità di sfruttare le terre.
I braccianti avevano infatti costituito una Lega di resistenza con intendimento di rivendicare il loro preteso diritto al godimento dei beni dell’Università Agraria. 56 ASUAT, seduta del 10 maggio 1908.
Questi infatti non solo non potevano far parte dell’Ente, ma non avevano neanche il diritto di seminarne le terre.
Ma la necessità di vivere aveva talmente esacerbato gli animi che si decise per l’occupazione. Nei Consigli di questo periodo il Presidente e l’Amministrazione vissero nella continua preoccupazione che la situazione potesse precipitare e le guardie campestri con il compito di controllare i territori giravano addirittura con la scorta.
Non bisogna inoltre dimenticare che in questo periodo tanto critico per l’Italia si erano fatti strada gli ideali socialisti ed erano iniziate a sorgere le prime organizzazioni sindacali che rivendicavano i diritti di ogni lavoratore.
La rivendicazione non desiderava ottenere l’espropriazione delle terre quanto piuttosto la sola possibilità di essere partecipi dell’amministrazione dell’Ente agrario e quindi entrare a pieno diritto tra coloro (boattieri agricoltori e moschetti) che potevano usufruire delle terre dell’Ente. 57 A Tolfa in effetti, al contrario di quanto accaduto nelle battaglie in varie parti d’Italia, in particolar modo al sud, i braccianti non chiedono la divisione e la proprietà delle terre, ma solo di far parte di coloro che possono usufruirne.
Ma la causa dei braccianti per ottenere le terre fu lunga e dolorosa tanto che il 10 luglio 1908 l’Università Agraria decide di eleggere una rappresentanza amministrativa che avrebbe partecipato alla causa aperta contro i braccianti presso la Giunta d’Arbitri di Civitavecchia. 58 ASUAT, seduta del 10 luglio 1908.
Un anno dopo l’equilibrio tra le varie classi del paese era compromesso ed il Presidente Alessandro Bonizi spronava il Consiglio ad accettare qualche piccolo sacrificio per far cosa utile all’intera popolazione e togliere il malumore esistente tra le varie classi. 59 ASUAT, seduta del 25 aprile, 1908.
Il 3 aprile si decideva per una tregua con la concessione di alcune terre ai braccianti 60 ASUAT, seduta del 3 aprile 1908 I terreni erano: Fossocupo, Prati dei Campi, una porzione di Graziola, Monteventoso ed un appezzamento della Cava dell’Orso. ma non senza condizioni: che i braccianti soddisfino in solidum il corrispettivo della concessione in parola di stari 18 al rubbio di terreno; che la
coltivazione nei suddetti appezzamenti dovrà effettuarsi senza scarti. I braccianti dovranno concimare a proprie spese 61 I terreni invece che erano dati in gestione agli utenti venivano concimati a spese dell’Università Agraria.i terreni che per la loro sterilità richiedevano tale concimazione. L’Università dal suo canto si obbliga a fornire ai braccianti quella quantità di concime che sarà all’uopo necessaria il cui prezzo dovrà essere soddisfatto dai braccianti in due rate uguali nei due raccolti. 62 ASUAT, seduta del 3 aprile 1910.
L’Università Agraria in realtà aveva concesso terreni piuttosto lontani dal centro abitato e non troppo fertili. Si rendeva però conto che dopo il lavoro dei braccianti quegli stessi terreni avrebbero acquistato un maggior valore: stabiliva allora un compenso per quei lavoratori, compenso che avrebbe dovuto essere definito dal Direttore della Cattedra Ambulante 63 La Cattedra Ambulante era presieduta da un perito Agrario e si occupava delle colture dei terreni. di Agricoltura di Corneto in Tarquinia. 64 Ibidem.
Questa concessione tuttavia non fu sufficiente poiché 120 leghisti che rimasero senza porzioni, il 1 maggio 1910, senza attendere qualsiasi provvedimento da parte dell’Università, invasero abusivamente i terreni Nocchia, Spinare e Piano del Bagno. 65 ASUAT, seduta del 28 agosto 1910.
I braccianti tornarono alla calma e abbandonarono le terre grazie alla mediazione dell’avvocato dell’Università Agraria Rosaspina e l’Ente decise allora di sospendere il giudizio penale nei loro confronti. Nel 1914 ai braccianti vengono concessi altri terreni, 66 ASUAT, seduta 5 aprile 1914 I terreni concessi erano costituiti da rubbia 60 delle Pantanelle di sopra, rubbia 10 dello Spargeto, rubbia 23 della Galeraccia, rubbia 15 del Ginestreto dei Campi.gli attriti si placarono e poi si riaccesero quando l’11 aprile 1915 67 ASUAT, seduta del 11 aprile 1915. 491 braccianti si presentarono al Consiglio per chiedere terre. Da rilevare come questa richiesta fosse proposta da un così alto numero di cittadini (491) rispetto al numero degli utenti dell’Ente (che in quell’anno era di circa duecento) poiché era confermata da necessità reali di una gran parte della popolazione che di fatto era estromessa dall’uso del territorio.
La situazione del paese era piuttosto precaria dal punto di vista dell’occupazione tanto che nel Consiglio del 14 gennaio 1914 il Presidente propone di iniziare a coltivare l’olivo poiché il paese oltre al vantaggio immediato di aver risoluto almeno in parte il problema della disoccupazione, sentirà con il tempo quello molto maggiore di trasformarsi da importatore ad esportatore di olio. A tale scopo senza ledere l’industria agricola né armentizia si può concedere circa 200 rubbia di terreno dove potranno prosperare circa 40.000 piante di olivo che al prodotto medio di due litri a pianta verranno a dare una quantità di olio di gran lunga superiore al consumo locale.
L’Ente quindi si sarebbe fatto carico, come è evidente dalla deliberazione di realizzare un oliveto comunitario presso il quale una parte dei braccianti avrebbe potuto, nell’arco dell’anno, svolgere attività lavorative (potatura, raccolta delle olive, sistemazione del terreno). Da questo tipo di intervento si evince che, già nei primi anni del secolo scorso, per far fronte alle difficoltà occupazionali di parte della popolazione, si utilizzasse quello che oggi viene chiamato comunemente “lavoro socialmente utile”.
Il 19 maggio 1915 i braccianti chiedevano la modifica del Regolamento dell’Università Agraria; 68 ASUAT, seduta del19 maggio 1915. gli utenti infatti avevano molti vantaggi poiché potevano usufruire dei terreni e soprattutto dell’assistenza dell’Ente in numerose circostanze avendo inoltre capacità decisionale con i loro rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione.
Nel 1915 l’Italia entrava in guerra e la situazione si complicava ancora di più: alcuni cittadini hanno iniziato la maggese in terreni non assegnati per la semina…servendosene a loro comodo. 69 ASUAT, seduta del 27 luglio 1916.
E’ evidente che il perdurare della guerra, che si era creduto potesse durare un tempo estremamente breve, che aveva chiamato alle armi tutti gli uomini tra i 18 e i 40 anni, aveva messo in crisi la normale gestione del territorio creando delle carenze e delle disfunzioni sul risultato finale delle attività agricole con una evidente diminuzione della produzione di cereali e di carne. Tutto ciò porterà l’Amministrazione a riconsiderare quel rapporto con i braccianti che fino ad allora era stato conflittuale.
Finalmente nel Consiglio del 5 novembre 1916 70 ASUAT, seduta del 5 novembre 1916. Gli utenti nell’annata 1916 - 17 erano 202.le cose iniziarono a cambiare poiché molti consiglieri avevano asserito che il regolamento fosse ormai troppo vecchio e certo non rispondeva più alle esigenze della popolazione. Era inoltre importante che, nel momento in cui vittoriosi i nostri fratelli che stanno ora combattendo valorosamente e gloriosamente per la grandezza e la prosperità della Patria fossero tornati, avrebbero ritrovato la pace e la tranquillità 71 ASUAT, seduta del 5 novembre 1916. e soprattutto la possibilità di poter finalmente lavorare quelle terre per tanto tempo agognate.
Questo fatto è di notevole rilievo poiché mostra come l’Università Agraria in realtà fosse saldamente legata alle esigenze del Paese ed alla sua tranquillità: si elimini questo attrito che da sempre si manifesta tra i coltivatori della terra con le braccia da una parte, ed i coltivatori del bestiame vaccino e cavallino dall’altra.
Si propone quindi che all’articolo 1 del nuovo regolamento si dica: potranno appartenere all’Università Agraria tutte le persone maggiori di età, di ambo i sessi, nati e domiciliati a Tolfa da oltre un quinquennio e con dimora fissa nel Comune…che esercitano la industria agraria.
Siamo ad un passaggio epocale dopo quasi tre secoli dalla nascita dell’ente le classi di utenti divennero tre: Agricoltori Braccianti, Agricoltori Boattieri e Allevatori di bestiame. Altre norme regolavano le votazioni, le elezioni del
Presidente. 72 Il numero dei braccianti era di gran lunga superiore a quello delle altre classi per cui si stabilì che in
ogni categoria venisse scelto un deputato. I deputati rappresentanti erano tre e costituivano una deputazione che prendeva parte esecutiva alle deliberazioni del Consiglio. Inizialmente solo il rappresentante degli Agricoltori e Boattieri poteva avere la carica di Presidente avendo questi fondato l’Ente. Nel verbale, per sottolineare questo, fu infatti aggiunto: Che l’Università Agraria di Tolfa, nel passato chiamata Università degli Agricoltori Boattieri e possidenti di bestiame Moschetti, ebbe origine fin da tempo antichissimo con queste due classi di cittadini e non fu creata, come tante altre Università Agrarie, in seguito alla legge sui domini collettivi del 4 Agosto 1894. ASUAT, seduta del 27 ottobre 1918.

Così in un periodo di guerra, Tolfa ritrovò la pace. Da questo momento in poi si fa sempre più importante quello spirito di collaborazione che fin qui aveva comunque caratterizzato la storia dell’Ente.
Finalmente con il Consiglio del 27 ottobre 1918 si risolse l’annosa questione con i braccianti: il Ministero dell’Agricoltura aveva infatti approvato le modifiche del Regolamento.
Più volte in questa seduta si tiene a sottolineare come questa concessione in realtà non era stata fatta per le numerose rivolte dei braccianti, quanto invece per un fatto molto più “moderno”: a tutti si deve assicurare il diritto al lavoro. Il Regolamento finalmente era stato approvato e i braccianti entravano a pieno titolo come utenti nell’Università Agraria. Nel 1920 ci fu la modifica del Regolamento e due anni dopo si scriveva: L’Ente agrario di Tolfa istituito sui primi del 1600 dagli agricoltori boattieri, e verso la metà del 1700 anche dagli allevatori di bestiame vaccino e cavallino, con Regolamento stato modificato in base alla legge sui domini collettivi 4 Agosto 1894
n. 397, fu esteso però al solo godimento dei suoi beni, a profitto anche degli agricoltori braccianti, e nel 1920, con la nuova modifica del Regolamento, per bonaria concessione dei primi ed a chiusura delle tumultuose agitazioni invasioni di terre e controversie giudiziali, ammise gli stessi agricoltori braccianti a partecipare alla sua Amministrazione trasformandosi così, più che per disposizioni di legge, per concessione degli stessi utenti fondatori, in Ente Agrario a profitto della generalità degli abitanti del Comune, mentre in origine e per vari secoli, era stato solo a profitto della classe dei possidenti di bestiame bovino e cavallino. 73 ASUAT, seduta 29 marzo 1922.

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