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La Chiesa della Sughera

Università degli Studi della Tuscia

Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali

La Chiesa della Sughera
tra vita economica e vita religiosa sui Monti della Tolfa dal XVI al XIX secolo


Laureanda:                                                  Relatore:
Rosa Corini matricola n° 2074                             Prof. Luciano Osbat


Viterbo
Anno Accademico 1997 -1998.

ABBREVIAZIONI
ADS                          Archivio Diocesano di Sutri
AGA                          Archivio Generale degli Agostiniani di Roma
ASCSE                      Archivio Storico della Chiesa di S. Egidio
ASCT                        Archivio Storico del Comune di Tolfa
ASS                          Archivio di Stato di Siena

INTRODUZIONE

Sebbene non siano state sufficientemente studiate e valorizzate, le risorse minerarie dei Monti della Tolfa, nascoste e custodite tra i boschi e le macchie, sono state sfruttate da sempre costituendo il perno su cui hanno ruotato interessi economici e politici. Come è noto l'importanza storica di questo territorio è dovuta allo sfruttamento industriale dell'allume che ha permesso l'avviamento di un'attività estrattiva a livello europeo. Foto
Quel che però bisogna sottolineare è che, parimenti allo sfruttamento di questo prezioso minerale, molti altri ne sono stati sfruttati: ferro, piombo, rame, argento, caolino, oro, gesso, ocre e cinabro. Purtroppo le ricerche in questo settore risultano però ancora carenti. E' archeologicamente documentato che lo sfruttamento è avvenuto quantomeno dalla Protostoria, soprattutto per i minerali metalliferi e ha avuto il suo massimo splendore in epoca etrusca. 1 G. COLA, Lo sfruttamento delle risorse minerarie in una sintesi storica dei Monti della Tolfa, in "La goccia", 10 (1998), p. 34.
Non casualmente ai lati dei Monti della Tolfa sorsero le due metropoli etrusche più importanti di Cere e Tarquinia che monopolizzarono il traffico commerciale e le risorse minerarie 2. Ibidem, p. 32.
Il litorale marino è cosparso di porti che si affacciano come finestre sul mare verso l'oriente: Alsium, Pyrgi, Centumcellae e Gravisca oltre a numerosi attracchi non del tutto identificati. I romani, una volta sconfitta Tarquinia, pare abbiano anch'essi sfruttato i giacimenti ferriferi di Tolfa. L'insediamento romano della"Fontanaccia" infatti, sembra il simbolo emblematico posto com'è a controllo del bacino minerario circostante 3. A. BERARDOZZI- G. COLA- M. GALIMBERTI, Lo sfruttamento degli altri minerali e metalli, Tolfa 1998, p. 54.
Nel Medioevo è documentato l'avvenuto sfruttamento dei minerali e la rocca di Ferraria 4 La documentazione scritta riguardo a questo "castrum" risale al XIII secolo e si riferisce al testamento del cardinale Giacomo Savelli, futuro pontefice Onorio IV che, tra i vari possedimenti della Chiesa inserisce appunto Ferraria. Cfr., E. BRUNORI, Ferraria, un antico borgo minerario e la sua chiesa, Allumiere 1994, p. 8.
sta a testimoniare il primo centro di sfruttamento industriale del ferro che passerà poi sotto la giurisdizione. della più importante rocca di Tolfa Nuova. Ma è nel Rinascimento che i Monti della Tolfa balzano agli onori della cronaca europea con l'industria del minerale di allume. La data della scoperta (o meglio riscoperta a livello industriale) 5 Lo sfruttamento dell'allume in epoche precedenti è un argomento controverso e dibattuto, tuttavia la straordinaria presenza dell'aluminite (da alumen: che risplende), fa ritenere che l'uomo preistorico la conoscesse sia perché vistosamente attratto e sia per l'utilità di questo minerale nella concia delle pelli. Anche gli etruschi probabilmente conoscevano l'allume. Gli stessi proprietari di Tolfa Vecchia Ludovico e Pietro Tingenduce probabilmente commerciavano in allume già prima della scoperta ufficiale. Cfr., A. BERARDOZZI- G. COLA- M. GALIMBERTI, Lo sfruttamento cit., p. 54.
dell'allume è quella del 1460 e segna l'inizio di uno sfruttamento operante per diversi secoli. L'industria alluminifera fu inaugurata durante il pontificato di Pio II ma fu il suo successore Paolo II che, volendo monopolizzare tutto il traffico commerciale dell'allume tolse la proprietà di Tolfa Vecchia con le annesse miniere ai fratelli Ludovico e Pietro Tingenduce ritenuti comunemente appartenenti alla famiglia Frangipani. 6 "Ludovicus et Petrus de Tulfaveteris" erano dell'antica famiglia dei Frangipani, ritornata in Italia dall'Albania, dove era emigrata. Cfr. G. SILVESTRELLI, Città, castelli e terre della regione romana, vol. II, Roma 1993, p. 596. Già nel 1984, G. COLA, I Monti della Tolfa nella storia: La Tolfaccia e Forum Clodii, vol. I, Tolfa 1984, p. 23, sosteneva che i Frangipani della Tolfa non avessero niente a che vedere con i Frangipani di Roma del medioevo. Nella più recente pubblicazione del 1998 G. COLA- A. BERARDOZZI- M. GALIMBERTI, Lo sfruttamento cit., p.131, egli riconferma quanto asserito dimostrando che i fratelli Ludovico e Pietro assumeranno il titolo nobiliare solo più tardi. Essi infatti, una volta venduto nel 1469 il feudo di Tolfa Vecchia e trasferitisi nel Regno di Napoli, saranno menzionati come appartenenti alla famiglia Frangipani della Tolfa.
I fratelli subirono l'assedio da parte delle milizie papali poi, nel 1469, si accordarono vendendo il feudo di Tolfa Vecchia alla Camera Apostolica ed uscendo definitivamente dalla scena politica dei Monti della Tolfa.
L'industria alluminifera veniva appaltata dai papi agli imprenditori più prestigiosi dell'epoca con il solo intento di arricchire le casse pontificie mentre spettava alla capacità tecnica e commerciale della società appaltatrice il maggiore o minore guadagno.
Va registrato che di questa industria ha lasciato come unica testimonianza sul territorio soltanto gli scarti di lavorazione non essendosi gli appaltatori curati d'altro che di rimpinguare le loro tasche. L'unico appaltatore che abbia lasciato sul posto una testimonianza artistica del suo operato, è stato il "magnifico" Agostino Chigi che, dopo il ritrovamento "miracoloso" di un dipinto raffigurante una Madonna, ha ideato la costruzione di una cappella che può essere a buon titolo denominata "cappella Chigi" e che rappresenta il nucleo primitivo del complesso religioso della chiesa della Sughera.
Una particolare menzione merita la scultura a "candelabre" e“grottesche" del tempietto che sorge al centro del cappellone e che custodisce, nel vano posteriore, alcuni rami della sughera del ritrovamento. Il tabernacolo, costruito in trachite, fu esaltato già da Fabio Chigi, maggior biografo e nipote di Agostino che così si espresse: "Tertium sacellum, prope aluminis officinas Tulfae a diva Maria de Subere nuncupatum,egregie pictum sculptumque".
7 F. M. MIGNANTI, Santuari della regione di Tolfa, Roma 1936, ristampa anastatica Civitavecchia 1989, p. 60.
Ai piedi del tabernacolo campeggiano due stemmi: quello di Agostino Chigi costituito da sei monti sovrastati da una stella dorata; quello dei Della Rovere e precisamente di Giulio II che autorizzò lo stesso Chigi a fregiarsi del suo stemma e del suo nome.Foto
Al momento della compilazione di questa tesi i lavori di restauro previsti nel progetto per la ristrutturazione dei monumenti civili e religiosi in occasione dell'anno del giubileo stanno procedendo nell'intento di restituire al monumento il suo aspetto originale. Durante tali lavori è venuta alla luce nella nicchia che custodiva il quadro, seppure non l'originale della Madonna, la raffigurazione di un'altra Madonna "stilizzata" databile probabilmente ai primi decenni del nostro secolo.
Il complesso religioso, modificato nel corso dei secoli, è oggi così costituito: la prima cappella a sinistra per chi entra è dedicata a S. Anna; la seconda a S. Agostino e S. Monica; la terza a S. Giobbe. A destra la prima è dedicata a S. Tommaso da Villanova; la seconda a S. Rita da Cascia; la terza a S. Antonio Abate. La chiesa ha copertura a volta con dipinta un'assunzione di Maria. Queste sei cappelle sono di impianto quadrilatero eccetto quella ottagona di S. Nicola da Tolentino e comunicano tra loro attraverso passaggi ricavati nei muri divisori.
Scopo di questo mio lavoro è quello di tentare di ricostruire le principali vicende storiche che hanno portato all'edificazione di questa chiesa analizzando documenti editi ed inediti con uno sguardo alla tradizione, ma soprattutto con una valutazione critica che possa far risaltare la chiesa nell'importanza che assunse per la vita religiosa di Tolfa.
Indubbiamente questo gioiello artistico ed architettonico si innesta adeguatamente nel periodo più favorevole del Rinascimento del quale l'economia prodotta dall'allume tolfetano è stata il supporto più importante.
Da notare come la nascita di questo luogo di culto sia connessa alle vicende degli Agostiniani che non solo hanno custodito la chiesa della Sughera ed il suo convento, ma che hanno preso parte attiva alle sue vicende storiche e religiose.
Devo premettere che la difficoltà di questo mio lavoro è stata quella di reperire fonti archivistiche poiché della chiesa, a tuttora, esistono soltanto poche e frammentarie notizie. Con notevoli difficoltà allora, tenendo conto di questi limiti oggettivi, ho cercato di ricostruire la storia del Santuario dalle origini (1504 circa) fino ai giorni nostri, proponendo documenti e notizie edite e inedite. La base di partenza è stato lo studio di Filippo Maria Mignanti 8, MIGNANTI, Santuari cit.
storico della Tolfa e dei suoi santuari il quale, pur fornendo molti elementi e spunti sulla chiesa della Sughera, spesso però risulta meno generoso nel fornire richiami bibliografici. A volte ad esempio nelle citazioni dice: "vedi Archivio Comunale di Tolfa” 9 Ibidem, p. 66, nota 1 senza fornire riferimenti precisi e rendendo difficile il reperimento della notizia o del documento citato. Lo stesso avviene quando indica che la fonte è stata attinta dall'Archivio del Convento della Sughera. 10 Ibidem, p. 73, nota 1
Oggi di questo archivio, per quante ricerche io abbia svolto, non esiste più traccia. L'archivio generalizio dei PP. Agostiniani, che lasciarono la chiesa dopo la chiusura del convento agli inizi del nostro secolo, non fornisce da parte sua che scarne notizie. Torna su
Ho cercato, ma senza successo, di reperire il Libro del Priore della Sughera poiché sicuramente, essendo stati i PP. Agostiniani presenti nella chiesa dal momento dell'edificazione, avrebbe potuto fornirci una valida documentazione.
Ho inoltre consultato molti documenti inediti nell'Archivio comunale (di Tolfa) "Consigli e proventi", nell'Archivio storico della chiesa di S. Egidio 11 (Archivio parrocchiale di Tolfa); E' tuttavia erroneo parlare di Archivio storico della chiesa di S. Egidio, che è la chiesa parrocchiale; in realtà i documenti reperiti si trovano. nei sotterranei di questa chiesa e, quando saranno ordinati archivisticamente, faranno parte dell'archivio parrocchiale della chiesa. Si tratta per lo più di cause civili e religiose riguardanti la storia della nostra chiesa e delle nostre confraternite cui non saprei dare una precisa collocazione cronologica. I documenti sono impolverati e spesso illeggibili a causa dello stato di totale abbandono in cui versano. ho inoltre svolto altre ricerche nell'Archivio diocesano di Sutri "fondo Vescovi", nell'Archivio Generale degli Agostiniani di Roma ed all'Archivio di Stato di Siena.

CAPITOLO I
a) La scoperta dell'allume: la sua storia.


Prima della scoperta dell'allume 1 L'allume è un solfato doppio di alluminio e potassio, quello prodotto sui Monti della Tolfa è incolore chiamato "allume di rocca". La materia prima che fornisce allume è chiamata in vari modi: alluminite, alunite, allumite, allunite...Cfr., G. COLA- A. BERARDOZZI, M. GALIMBERTI, Lo sfruttamento cit., p. 15. sintetico, avvenuta a cavallo tra il '700 e 1'800, l'allume era una bene primario di consumo molto ricercato soprattutto nel medioevo per l'uso generale che se ne faceva ma specialmente per il fissaggio dei colori sui tessuti.
Altre utilizzazioni erano già note ai Greci e ai Romani che se ne servivano per impregnare le macchine da guerra per difendersi così dal fuoco nemico. Prezioso per la concia delle pelli costituiva il mezzo più efficace per evitare che esse marcissero dopo essere state raschiate; emostatico, rimarginava miracolosamente le ferite.
Prima della "scoperta" sui Monti della Tolfa, questo minerale arrivava in Occidente dai paesi orientali, soprattutto dai porti della Siria e dell'Egitto e più tardi dalle coste dell'Anatolia. Quando però Costantinopoli cadde in mano turca (1453), passando le miniere della Focea presso Smirne sotto il controllo dei turchi ottomani, i mercanti italiani furono scacciati dall'Oriente e dai traffici del Mar Nero.
Procacciarsi l'allume divenne sempre più difficile ed i prezzi pretesi dal Sultano insostenibili. 2 Il Sultano nel 1453 pretese dalla maona (associazione di mercanti genovesi che si occupavano del commercio dell'allume) un contributo di 6.000 ducati, nel 1456 di 10.000 ed ancora, nel 1457 di 30.000. Cfr. J. DELUMEAU, L'allume di Roma dal XV- XIX secolo, Roma 1990, pp. 18-21. Dopo questo avvenimento ovunque in occidente si era cercato il prezioso minerale e cave si erano avviate a Pozzuoli, ad Ischia e nel Veneto; tuttavia questi giacimenti, in realtà molto poveri, non riuscivano a coprire con la loro produzione le richieste sempre più urgenti dell'industria tessile.
Una nuova epoca però si aprì per l'Occidente quando nel 1460 (circa) Giovanni da Castro, figlio del giureconsulto Paolo e di Piera Cerrini da Corneto, vissuto per lungo tempo a Costantinopoli dove si faceva arrivare stoffe che poi tingeva "in loco", scopre nel territorio della Tolfa una cava di allume di rocca.
Il ritrovamento fu subito annunciato al papa che, inizialmente scettico, fece fare poi delle prove attribuendo in seguito tale scoperta alla Provvidenza Divina e destinando i proventi al finanziamento della grande Crociata contro i Turchi.
Dopo la scoperta prende avvio la fase industriale dello sfruttamento dell'allume: l'estrazione, la confezione ed il suo trasporto in tutta Europa.
Il primo documento relativo all'estrazione del minerale risale al 23 agosto 1461 e stabilisce le normative di un contratto stipulato precedentemente I contraenti erano la Camera Apostolica, il comune di Corneto e Giovanni da Castro e riguardava non solo l'estrazione dell'allume, ma anche l'insieme degli altri "mineriis et metallis...sculptis et non sculptis" e nel territorio cornetano (oggi Tarquinia) e negli altri territori soggetti alla Chiesa. 3 G. ZIPPEL, L'allume di Tolfa e il suo commercio, in " Archivio della R. Società romana di Storia Patria", 30 (1907), p. 17, nota 1.
E' certo che gran parte del territorio situato sulla sinistra della valle del Mignone apparteneva e appartiene tuttora al comune di Tarquinia. In base a questo forse si potrebbe affermare che le prime escavazioni del minerale probabilmente furono avviate intorno all'eremo della Trinità di Allumiere.
La prima "societas aluminum" fu composta dallo stesso Giovanni da Castro (al quale era stata concessa la terza parte degli utili sull'allume per la durata di venticinque anni), dal genovese Bartolomeo Framura e dal pisano Carlo Gaetani. Il contratto fu stipulato il 22 Giugno 1462 ed andò in vigore dal 1° novembre dello stesso anno per la
durata di tre anni. 4 Non si conoscono le norme che regolavano il contratto, tuttavia si può risalire al suo contenuto da quello successivo del 1465. Cfr. ZIPPEL, L'allume di Tolfa cit., p. 438.
La società ebbe in concessione le miniere con un utile di 3/4 di ducato per ogni cantaro di allume prodotto e cinque balocchi per il trasporto dalla fabbrica al porto di Civitavecchia dove il minerale era custodito in magazzini affittati per conto della Camera Apostolica. 5 Ibidem, p. 438.
La Camera doveva inoltre sostenere i soci in tutto ciò che potesse contribuire alla conservazione delle cave e al progredire della fabbricazione dell'allume assumendo il compito della vendita del minerale da cui sperava di ricavare ingenti somme per la Cassa della Crociata. Altro grande vantaggio dell'allume papale fu quello di non essere sottoposto al pagamento di alcun pedaggio poiché viaggiava in nome della Santa Crociata.
Pio II non visse tanto a lungo da vedere del tutto sviluppata la grande impresa ideologica né, come aveva sperato, riuscì a portare a compimento la spedizione contro l'Oriente mussulmano; il pontefice infatti morì il 13 agosto 1464 ad Ancona dove aspettava gli aiuti economici necessari per la crociata e, come un novello Goffredo di Buglione, intendeva partecipare direttamente all'impresa.
Gli utili dell'industria facevano gola a tutti gli uomini di quel tempo e tra loro anche agli Anguillara che fortificarono Tolfa Nuova (attuale Tolfaccia) con l'intento di ostacolare l'azione papale. Ma nel 1465 Paolo II prima li scomunicò e poi fece distruggere l'intera famiglia imponendo a Tolfa Nuova il primo castellano pontificio. 6 ZIPPEL, L'allume di Tolfa cit., p. 28.
Paolo II volle ripetere la stessa azione con Tolfa Vecchia, ma questa volta non ebbe il successo sperato perché in aiuto di Ludovico e Pietro di Tolfa Vecchia giunsero i parenti Orsini.
Dopo la guerra del 1468, nel 1469 si venne ad un accordo mediante il quale lo Stato pontificio acquistò il feudo di Tolfa Vecchia pagando la somma di 17.300 scudi d'oro, somma anticipata dal banco mediceo. 7Ibidem, p. 29.
Probabilmente l'inizio dei lavori dell'industria avvenne vicino la Farnesiana nei pressi dell'odierna Allumiere dove l'allume era confezionato e trasportato prima al porto di Corneto e successivamente a quello di Civitavecchia che col tempo divenne il primo porto per il traffico commerciale del minerale. La lavorazione dell'allume si spostò in varie zone dei Monti della Tolfa fino al momento in cui Agostino Chigi iniziò lo sfruttamento di una cava nei pressi de La Bianca.
Sin dall'inizio furono aperte quattro cave e tutti i proventi dell'allume davano un utile di circa 80.000 ducati annui. 8 COLA, Lo sfruttamento delle risorse cit., p. 34.
Alla scadenza del contratto con Giovanni da Castro e soci, Paolo II lo confermò alla stessa società ma, nel 1466, a Bartolomeo da Framura si sostituirono i Medici che monopolizzarono l'estrazione e la vendita dell'allume 9 DELUMEAU, L'allume cit., p. 82. gestendo inoltre la depositeria delle Crociate e della Camera apostolica.
E' con i Medici e cioè con Lorenzo (il magnifico) e Giovanni Tornabuoni che l'impresa inizia ad affermarsi come la più grande industria estrattiva del XV secolo.
Gli appaltatori si impegnavano a fabbricare l'allume necessario e a trasportarlo a loro spese a Civitavecchia. L'impresa si sviluppò soprattutto per il fatto che ai Medici fu concessa totale facoltà di disporre dell'allume fabbricato durante la loro gestione, di smerciarlo, di esportarlo e venderlo previo consenso della Camera apostolica.
La concessione fu probabilmente ottenuta perché, negli anni precedenti ai Medici, per la Santa Sede, che non disponeva di mercati commerciali non era stato facile trovare degli acquirenti e l'allume si era andato accumulando nei depositi pontifici.
Nel 1471 a Paolo II successe Francesco della Rovere che prese il nome di Sisto IV.
Nel giugno 1476, i Pazzi subentrarono ai Medici nella società appaltatrice divenendo a loro volta depositari della Cassa della Crociata. Il contratto che doveva durare dieci anni, non ne durò nemmeno due. I Pazzi infatti causarono l'attentato contro i Medici nel quale Lorenzo il Magnifico riuscì a salvarsi e suo fratello Giuliano rimase ucciso. 10 DELUMEAU, L'allume cit., p. 89.
Il Papa allora (per salvare la faccia) ruppe l'accordo concluso con Guglielmo e Giovanni de' Pazzi a sottolineare il suo disappunto.
Nel 1478 Visconte Cigala e Domenico Centurione, mercanti genovesi, presero il posto dei Pazzi. Nel 1485 furono nuovamente i Medici ad appaltare la cave. 11 Ibidem, p. 90. Il Rinaldi invece sposta più avanti questa data (1488). Cfr. R. RINALDI, Le Lumiere, storia di Allumiere dalle origini al 1826, vol. I, II edizione, Roma 1995, p. 29. I Gentili ebbero lo sfruttamento delle miniere nel 1489, mentre nel 1492 troviamo come appaltatori i Centurioni. 12 RINALDI, Le Lumiere cit., p. 29.
Gli eredi del Da Castro ebbero la loro parte negli appalti fino al 1478 mentre la Camera concesse loro vari diritti e utili nella produzione dell'allume fino al 1606. 13 Ibidem, p. 30.
A partire dal 1500, data del contratto concluso tra la Camera Apostolica ed Agostino Chigi che in tale circostanza accettava di prestare 20.000 ducati ad Alessandro VI, la storia dell'impresa di Tolfa si fa per noi molto più chiara e semplice. D'ora in avanti gli appaltatori pagano un canone d'affitto annuo fisso alla Camera Apostolica e sono liberi di smerciare a loro discrezione l'allume da essi fabbricato. 14 DELUMEAU, L'allume cit., p. 97.
E' anche doveroso sottolineare che i complessi procedimenti per la lavorazione dell'allume fecero sì che da subito si rendesse necessaria molto manodopera. Essendo i vicini tolfetani inizialmente non interessati al lavoro delle cave, i pontefici ritennero allora opportuno reclutarla tra coloro che, avendo pendenze giudiziarie potevano ottenere con questo lavoro una sorta purificazione dei peccati e guadagnare uno stipendio. Gli operai andavano sempre più aumentando ed in un conto del 1557 risulta che, in un periodo di normale attività delle cave, fu pagato il salario a 711 operai. 15 Ibidem, p. 76.
Il territorio di Tolfa allora iniziò a popolarsi di gente nuova, uomini in cerca di fortuna che, per la loro differente cultura, entrarono subito in contrasto con gli abitanti del luogo. Nonostante questo, il paese ricevette molti benefici dall'industria alluminifera poiché la Camera Apostolica, nel portare il paese sotto le sue dirette dipendenze, fece in cambio concessioni. Torna su
Di fronte alle case di quella che era stata la Tolfa Vecchia, il nuovo abitato cambiò il suo carattere sociale ed urbanistico. Il centro del paese si spostò dalla "Rocca" sino ai piedi del monte ed oltre. Tra le varie opere si possono annoverare: la costruzione della chiesa della Sughera e quella de La Bianca, l'ampliamento della chiesa di S. Egidio, l'edificazione del palazzo camerale di Allumiere, di fontane e di nuove abitazioni. Foto

b) I Chigi e l'allume.

Affermatasi e consolidatasi in oltre mezzo secolo di attività imprenditoriale e mercantile, la famiglia Chigi, le cui fortune erano iniziate con Agostino seriore, continuate dal figlio Mariano ed enormemente potenziate dal nipote Agostino, raggiunse un grande potere economico reso più solido mano a mano che i rapporti con la corte pontificia e soprattutto con i pontefici, divenivano più stretti e personali.
Una notizia che si ritiene molto interessante riportata dal Cugnoni 1 Il Cugnoni ha trascritto i Chigiae Familiae Commentai* riprendendoli dalla Biblioteca Apostolica Vaticana (Mss Chigi a I, 1). Nel pubblicare il capitolo dei Commentarii relativo ad Agostino Chigi, si è avvalso di documenti originali e di altre notizie riguardanti le vicende della famiglia. Il complesso scritto dal Cugnoni si svolge in varie parti nell'Archivio della Società Romana di Storia Patria". Del 1878 (pp. 3-83; 209-226; 475-490), del 1879 (pp. 213-232; 291-305), del 1880 (pp. 442-448), del 1881 (pp. 56-75; 195-216) e del 1883 (pp. 139-172; 497-539). I rimandi al Cugnoni saranno effettuati nel seguente modo: CUGNONI, anno e pagina.riguarda proprio il capostipite della famiglia Chigi,
quell'Agostino seniore che già dal 1464 era venuto sui Monti della Tolfa per iniziare l'escavazione del minerale: "Ricordo... l'anno 1464, Misere Agostino Chisci da Siena... deliberò accrescere il Negozio delle Allumiere...". 2 CUGNONI, 1878, p. 154.

b) I Chigi e l'allume.

Affermatasi e consolidatasi in oltre mezzo secolo di attività imprenditoriale e mercantile, la famiglia Chigi, le cui fortune erano iniziate con Agostino seriore, continuate dal figlio Mariano ed enormemente potenziate dal nipote Agostino, raggiunse un grande potere economico reso più solido mano a mano che i rapporti con la corte pontificia e soprattutto con i pontefici, divenivano più stretti e personali.
Una notizia che si ritiene molto interessante riportata dal Cugnoni 1 Nel pubblicare il capitolo dei Commentarii relativo ad Agostino Chigi, si è avvalso di documenti originali e di altre notizie riguardanti le vicende della famiglia. Il complesso scritto dal Cugnoni si svolge in varie parti nell'Archivio della Società Romana di Storia Patria". Del 1878 (pp. 3-83; 209-226; 475-490), del 1879 (pp. 213-232; 291-305), del 1880 (pp. 442-448), del 1881 (pp. 56-75; 195-216) e del 1883 (pp. 139-172; 497-539). I rimandi al Cugnoni saranno effettuati nel seguente modo: CUGNONI, anno e pagina. riguarda proprio il capostipite della famiglia Chigi,
quell'Agostino seniore che già dal 1464 era venuto sui Monti della Tolfa per iniziare l'escavazione del minerale: "Ricordo... l'anno 1464, Misere Agostino Chisci da Siena... deliberò accrescere il Negozio delle Allumiere...". 2 CUGNONI, 1878, p. 154.
Il Cugnoni ha trascritto i Chigiae Familiae Commentai* riprendendoli dalla Biblioteca Apostolica Vaticana (Mss Chigi a I,.Agostino seniore allora, secondo quanto riportato da questo documento, sembra dedicarsi al commercio ed allo sfruttamento dell'allume di Tolfa durante il pontificato di Pio II suo conterraneo, prima che il nipote Agostino ne prendesse l'appalto. Tutto questo (se la memoria di Alessandro VII, autore dei Commentari dal 1618 al 1630, parente e biografo della sua Casa, può essere considerata veritiera) dimostra come i Chigi fossero presenti in maniera subitanea ovunque ci fosse da trarre profitti, ed a Tolfa, in quegli anni, si potevano fare vantaggiosi affari.
Successivamente la famiglia venne a Roma sotto Sisto IV con Mariano che si era arricchito facendo il banchiere.
Agostino trascorse la fanciullezza a Viterbo, ma ben presto dovette dare prova delle sue capacità se intorno al 1485, il padre lo mandò a Roma per completare l'apprendistato presso il banco di Ambrogio Spannocchi. Qui si venne a trovare sotto la guida e nell'ambiente dei più alti finanzieri della città insieme con l'amico Stefano Ghinuccio con il quale costituì, nel 1487, una società di banco. 3 "Anno 1487 etc, Societas inter Augustinum Chisium et Stefanum Galgani Ghinucci...". Cfr. CUGNONI, 1878, p. 209.
Il momento in cui il Chigi si trasferì a Roma fu particolarmente felice perché fu in quegli anni che Alessandro VI preferì i senesi ai Medici nell'affidamento di importanti incarichi. All'inizio del suo pontificato infatti il Borgia sostituì gli Spannocchi ai fiorentini nell'ufficio di cassieri della Camera apostolica. 4 F. DANTE, Agostino Chigi in Dizionario Biografico degli Italiani, 24 (1980), p. 735.
I rapporti di Agostino con i Borgia si fecero ancor più stretti quando il Chigi, nel 1499, raggiunse a Bologna e poi a Modena il Valentino (Cesare Borgia figlio del papa) che gli aveva chiesto un prestito di tremila ducati. Tra il 1501 ed il 1502 concesse altri due prestiti direttamente ad Alessandro VI.
All'inizio Agostino Chigi dunque era semplicemente uno tra i tanti "mercatores" della Curia romana, ma un'accorta politica finanziaria condotta nei confronti di Alessandro VI, cui fornì il grano in un momento di grave crisi per Roma, gli permise di accattivarsi le simpatie del Borgia; 5 CUGNONI, 1878, p. 211. da questo momento i suoi capitali iniziarono a crescere.
Nel 1492 ottenne dal Papa la direzione di tutte le saline dello Stato Pontificio e quella della dogana e delle imposte della Curia.
Questi incarichi costituirono un elemento importante nell'attività del giovane finanziere poiché da una parte lo legarono al papa,dall'altra gli permisero, con gli immediati profitti personali, di formarsi mercati ed interessi più vasti.
Dal 1494 al 1497 ebbe in concessione sempre dalla Camera apostolica l'appalto della dogana dei pascoli del Patrimonio di S. Pietro attraverso il quale esercitava il controllo su tutto il movimento delle mandrie e delle greggi. 6 Ibidem, p. 217.
Il Chigi sfruttò intelligentemente la grande disponibilità di denaro liquido che gli proveniva dalle sue attività comprendendo che se anche i prestiti potevano essere un rischio, dall'altra erano alla base dei suoi affari 7 Nel 1496 prestò 4000 ducati a Piero de Medici che aveva bisogno di denaro per riprendere il controllo di Firenze, ricevendo in cambio arazzi, stoffe e pietre preziose. L'anno successivo prestò 111.173 ducati a Guidobaldo da Montefeltro ricevendo in pegno 547.512 libbre d'argento. Cfr. DANTE, Dizionario cit., p. V. Avendo Agostino assolti egregiamente gli incarichi affidategli, il 24 dicembre 1500, Alessandro VI gli concesse "appaltum aluminum Sanctae Cruciatae et Camerae Apostolicae". In realtà però l'appalto non venne concesso al solo Chigi: della Società erano infatti partecipi
Francesco Tommasi, socio principale, Ambrogio di Antonio Spannocchi 8 RINALDI, Le Lumiere cit., p. 33 e Mariano Chigi. Dopo sei mesi aggiunse a questo appalto l'altro della miniera di Agnano presso Napoli.
Nel 1502 si costituì definitivamente il Banco dei Chigi che ebbe sede principale a Viterbo con la compartecipazione di Francesco Tommasi, di Mariano e Agostino. 9 O. MONTENOVESI, Agostino Chigi banchiere e appaltatore dell'allume di Tolfa, in "Archivio della R. Deputazione romana di Storia Patria", 60 (1938), p. 108. Il Chigi da subito assunse una posizione preminente relegando gli altri due soci, che risiedevano a Roma, ad un ruolo subordinato rendendoli inoltre responsabili delle operazioni in perdita.
La sede del banco si trovava a Roma presso quella piazza che per lungo tempo fu chiamata "cortile Chigi" e che in seguito prese nome di"arco di Banchi" ed era costituita da cinque botteghe e da una abitazione dove il Chigi abitò stabilmente essendo la Farnesina principalmente luogo d'incontro per le famose feste della Roma cinquecentesca. 10 Il banco aveva inoltre un cifrario segreto a due stemmi: uno proprio in cui ogni lettera corrispondeva ad un determinato numero, ed uno improprio in cui ad una parola ne corrispondeva un'altra convenzionale. Cfr. D. GNOLI, Il banco di Agostino Chigi, in "Archivio storico dell'arte", 1 (1888), pp. 172-173.
Nel 1503, durante il periodo in cui Agostino ebbe l'appalto dell'allume, Mariano Chigi costituì una società per esportare il minerale in Fiandra ed altrove 11 MONTENOVESI, Agostino Chigi cit., p. 112.ampliando ancora di più i traffici commerciali dell'allume e procurando alla propria famiglia maggiori possibilità di introiti finanziari.
L'appalto per l'allume fu rinnovato più volte, confermato da Giulio II ai primi del 1504, rinnovato nel luglio 1513 a favore di Andrea Bellanti e soci uno dei quali era Agostino 12 il Bellanti ed il Chigi ottennero la riconferma dell'appalto solo a condizione di prestare a Leone X 75.000 ducati di carlini; un prestito cui ben presto ne fece seguito un altro di 12.000 ducati. Cfr. MONTENOVESI, Agostino Chigi cit., pp. 128-130. e nuovamente nel 1520 a favore di Agostino e soci tra i quali gli Spannocchi.
I rapporti con il nuovo papa Della Rovere si possono definire addirittura familiari poiché i Chigi cedettero alla Repubblica di Siena che voleva farne dono al papa la tenuta della "Suvera". Giulio II allora, in segno di gratitudine, concesse ad Agostino il privilegio di unire allo stemma della sua casata anche quello dei Della Rovere.
Il Chigi sembra aver avuto una concezione "paternalistica" dell'impresa in anticipo rispetto alla mentalità del suo tempo; si preoccupò infatti dei suoi operai e fece in modo che fossero alloggiati in condizioni decenti. 13 G. BARBIERI, Industria e politica mineraria nello Stato Pontificio dal '400 al '600, Roma 1940, pp. 108-109 e p. 113. Decise inoltre di migliorare il prodotto diminuendo la spesa ed aumentando il rendimento. Chiamò esperti turchi che richiedevano un salario minore e nello stesso tempo istruivano le nuove maestranze. Fece fare sondaggi alla ricerca di vene più ricche di allume. Torna su Foto
L'insediamento di Monte Roncone (l'odierno Monte delle Grazie), diede origine ad un centro abitato: Allumiere. 14 RINALDI, Le Lumiere cit., p. 36. Il Rinaldi situa la nascita di Allumiere durante il periodo dell'appalto di Agostino Chigi aggiungendo una serie di altre notizie riguardanti la vita del nascente paese. Quel che è certo è che sin dall'inizio gli operai ricevettero la "grascia", una sorta di pacco viveri al posto della retribuzione in danaro e questo per evitare a molti di spendere il guadagno al gioco o in altri vizi. 15 Ibidem, p. 37.
Oltre a procurare generi alimentari come pane, olio, formaggio, pesce affumicato ed altro, il Chigi fece inoltre costruire una teleria dove si tessevano lenzuola, coperte e biancheria che veniva distribuita ai dipendenti.16 Ibidem, p. 36.
Tornando però all'allume, bisogna rilevare come sempre Agostino ebbe al suo fianco Francesco Tommasi come socio. Questi era infatti persona abile ed esperta tanto che riuscì a formarsi un notevole patrimonio e tanto da meritare nel 1508 di essere nominato da parte dei conservatori della Camera di Roma cittadino romano. 17 MONTENOVESI, Agostino Chigi cit., p. 116.
Il Chigi lo ebbe come socio ma anche come amico accordandogli ampia fiducia. Francesco Tommasi fu coordinatore del lavoro dell'impresa, si occupò di questioni amministrative e finanziare e di rappresentare l'azienda fuori dell'Italia come quando si recò in Inghilterra dove, a motivo della rivalità che suscitava il commercio dell'allume e del divieto opposto dalla Curia Romana al traffico di quello proveniente dalla Turchia, fu arrestato ed imprigionato.
Dopo la morte di Agostino però i rapporti degli eredi con il Tommasi subirono una grave crisi tanto che Andrea Bellanti, reclamando da quello la somma di seicento ducati d'oro, ne chiese persino l'arresto.
Ad Agostino, per le sue ricchezze ed il suo mecenatismo, fu dato l'epiteto di "Magnifico" e persino l'infedele sultano turco Bajazet ebbe a chiamarlo "il gran mercante cristiano". 18 RINALDI, Le Lumiere cit., p. 44.
Per sviluppare al massimo il commercio dell'allume, aprì numerosi punti di smercio del minerale non solo in Italia ma anche a Lione, a Londra, in Egitto ed a Costantinopoli.
In Fiandra tra il novembre del 1503 e la fine del 1506, spedì 46.317 cantari (2.136 tonnellate circa) di allume. 19 V. FRANCHINI, Note sull'attività finanziaria di Agostino Chigi nel Cinquecento, in Studi in onore di Gino Luzzati, Milano 1950, p. 163. Spesso però i negoziati con questa terra furono molto tesi per il fatto che Agostino, per far alzare il più possibile il prezzo dell'allume, ne spediva un quantitativo inferiore a quello richiesto facendolo pagare quattro o cinque volte di più. Era chiaro come la penuria di allume fosse del tutto intenzionale e che il Chigi la faceva perdurare per vendere il prodotto ad un prezzo maggiore. Per questa ragione le terre che si approvvigionavano di allume spesso facevano ricorso all'allume turco, ma il Magnifico, avendo il Pontefice dalla sua parte, lo esortava ad emanare bolle che ristabilissero il divieto di importare allume dai paesi infedeli.
Altro importante cliente del Chigi fu l'Inghilterra. L'agenzia mercantile di Londra, diretta da Antonio di Jacopo, senese, veniva chiamata lo "scalo d'Inghilterra". Qui le trattative venivano curate da Giovanni Paolo Gigli e, nel momento in cui anche questa nazione preferì importare allume turco per il suo prezzo minore, il Chigi fece intervenire il papa che, inviando a Londra il nunzio apostolico Pietro Grifo, convinse il re a bloccare le vendite di allume turco per cinque anni. 20 DANTE, Dizionario cit., p. 737.
Verso la metà del XVI secolo, compare sul mercato l'allume di Castiglia, il rivale più temibile di quello romano e i papi cercarono in tutti i modi di stroncarne la concorrenza.
Agostino Chigi mostrò nuovamente le sue capacità quando fu al soglio pontificio il nuovo papa Giulio II, acerrimo nemico di Alessandro VI Dopo un congruo prestito che permise al nuovo pontefice di risanare le finanze per far fronte allo stato di abbandono in cui Roma era stata lasciata da Alessandro VI, il papa lo nominò notaro pontificio e gli concesse il tesorierato della chiesa cui aggiunse anche il controllo della zecca pontificia. 21 Ibidem, p. 37.
Nel 1513 il Chigi finanziò in buona parte le spese per l'elezione Di Leone X ricevendo in cambio nuovi e redditizi favori.
Il 20 marzo 1520 partecipò inoltre al primo tentativo di prestito pubblico in Roma con la creazione di una società detta dei "Cavalieri di Pietro" per risanare le finanze pontificie. 22 Ibidem, p. 739. La stessa società fu chiamata ad intensificare il lavoro nelle miniere di Tolfa dopo che la morte del Chigi aveva provocato un profonda crisi negli affari.
Ad ogni modo quel che è certo è che le ricchezze di Agostino Chigi in questo periodo provennero essenzialmente dall'allume, ma nessuno fu mai in grado di dire quanti effettivamente fossero i suoi introiti. Vi è addirittura chi afferma che i suoi beni arrivassero a superare quelli di tutta la nobiltà romana messa insieme. 23 G. MARCHETTI- G. FERRANTE, Agostino Chigi il Magnifico, in Rievocazione del Rinascimento, Bari 1924, pp. 188, 190.
Oltre ai capolavori d'arte ornò la sua casa con sale di lusso; i letti erano intarsiati di ebano, oro e pietre preziose, il vasellame d'argento, persino le selle dei suoi cavalli e le ruote delle sue carrozze erano decorate con pietre preziose. La sua ricchezza doveva certo essere immensa se, dopo ogni pranzo con commensali di tutto riguardo, ordinava agli sguatteri di casa di gettare nel Tevere le stoviglie d'argento 24.
Agostino Chigi morì a Roma il 10 aprile 1520, i suoi funerali furono celebrati in S. Maria del Popolo alla presenza di più di cinquemila persone. Venne sepolto nella cappella che si era fatta costruire nella chiesa.

c) Gli altri appaltatori dell'allume e la fabbricazione dell'allume artificiale

Dopo la morte del Chigi, una nuova società costituita tra i figli Alessandro e Lorenzo, il fratello Sigismondo e Andrea Bellanti, cercò di proseguire l'opera dello scomparso, ma falli in breve tempo. Lorenzo, il primogenito, morì nel 1573 e nel 1580 la villa tanto cara ad Agostino fu venduta per pagare i debiti insoluti. Acquistata dai Farnese, prese il nome di Farnesina come attualmente viene chiamata. Cfr. RINALDI, Le Lumiere cit., p. 51.
Da precisare che con la morte di Agostino Chigi l'industria alluminifera venne a trovarsi in uno stato di completo abbandono soprattutto per la mancanza di controllo. E' infatti documentato che qualsiasi persona poteva venire sui Monti della Tolfa ed estrarre e vendere l'allume per proprio conto senza pagare il dovuto corrispettivo. 2 G. COLA, La Bianca, un territorio da rivalutare, Tolfa 1995,p.12.
Per far fronte a questa situazione il Papa Leone X, nominò quattrocento cavalieri di S. Pietro a controllo dell'impresa. I Cavalieri erano riconoscibili da una spada e da un collare d'argento, venivano sovvenzionati dagli appaltatori ed erano addetti all'applicazione delle norme stabilite.
Evidentemente la situazione che si era creata era più grave del passato, così lo Stato Pontificio decise allora di controllare sul posto tutta l'industria alluminifera facendo costruire ad Allumiere quel palazzo magnifico quanto austero, il palazzo camerale, dove risiedevano i dirigenti dell'industria e dove poteva alloggiare il papa durante le sue visite alle miniere. Il palazzo camerale fu terminato nel 1580 e costruito per volontà di Gregorio XIII. 3 RINALDI, Le Lumiere cit., p. 61 Torna su
L'allume e la sua lavorazione, che aveva dato tanta ricchezza allo Stato Pontificio ed ai suoi appaltatori, già dopo il 1650 e soprattutto nel XVIII secolo, iniziava a dare segni di crisi a causa dell'esaurimento dei filoni alluminiferi. Gli impianti erano ormai vetusti e nell'esercizio 1650-1659 le spese di riparazione superarono per la prima volta la somma di manutenzione concessa agli appaltatori dalla Camera Apostolica. 4 DELUMEAU, L'allume cit., p. 136.
Durante l'appalto seguente, assegnato ai fiorentini Nicolò Martelli e Filippo Ubertini, la produzione ebbe una lieve flessione, perdita che si fece ancor più consistente durante la gestione dei genovesi Giovanni e Paolo Torre dal 1677 al 1695. 5 RINALDI, Le Lumiere cit., p. 127.
Le cause sono da attribuirsi soprattutto alla scoperta di altre miniere in Inghilterra ed in Spagna oltre che all'esaurirsi dei filoni alluminiferi e alla penuria di legname che portò all'esaurimento dei boschi di Allumiere.
Ai primi del settecento la gestione Torre fu sostituita da quella dei romani Francesco e Giovanni De Carolis che terminarono il contratto il 31 luglio 1719. 6 Ibidem, p. 140. In questo periodo la produzione dell'allume risulta ridotta poiché erano aumentate le giacenze di allume invenduto; per gli anni restanti del XVIII secolo, l'allume prodotto non risalì mai al di sopra dei 15.000 cantari (circa 750 tonnellate) annui. 7 DELUMEAU, L'allume cit., p. 136.
Nel 1719 divenne appaltatore Fortunato Gangalandi che, dopo 12 anni di contratto rinnovò la concessione fino al 1743. 8 RINALDI, Le Lumiere cit., pp. 142-145. Questo nuovo imprenditore ebbe la fortuna di scoprire un nuovo giacimento che porta ancora il suo nome "Cava Gangalandi".
Nel 1743 entrarono a gestire le cave i soci Giuseppe e Francesco Macinori che cercarono di adottare nuove tecniche estrattive.
Nel 1751 nuovi gestori furono Carlo, Ambrogio e Giuseppe Lepri con una produzione dimezzata rispetto agli appaltatori precedenti.
Nel 1787 fu la volta di Carlo Giorgi fino a che i francesi nel 1798, comandati dal generale Berthier, occuparono lo Stato Pontificio e, creando la Repubblica Romana, estromisero il Giorgi. 9 Ibidem, pp. 146-148.
In questi ultimi decenni del secolo la scoperta dell'allume artificiale provocò una grossa crisi all'industria dell'allume di rocca. Le cave furono in parte abbandonate e gli operai dovettero spostarsi dalla zona in cerca di altra occupazione.
Nella vicina Tolfa agli inizi del Settecento le cose non erano cambiate, la popolazione si dedicava all'agricoltura ed aveva istituito due Università che regolavano, con precise norme, le attività della terra e del bestiame. L'una, quella della "Mosceria", comprendeva coloro che praticavano l'allevamento del bestiame vaccino e cavallino, l'altra, denominata "Università degli Agricoltori o Boattieri", raggruppava coloro che impiegavano buoi aratori per la coltura dei cereali.10 F. BIANCHI, Storia dei Tolfetani (dalle origini alla fine dello Stato Pontificio), Civitavecchia 1984,. p. 110.
La situazione dell'industria alluminifera precipitò ulteriormente tanto che nel 1877 il Ponzi, ricordando la storia dell'azienda che andava volgendo al termine scriveva: "Col tempo le cose non potevano più continuare come in passato. La mediocre intelligenza che presiedeva alla direzione lavori, la scoperta di allumi stranieri, i progressi dell'arte mineraria, i trasporti più facili fecero declinare l'industria di Tolfa rendendola sempre meno redditizia ed essendo ormai la cura e la gestione abbandonata nelle mani di quelli che vi lavoravano; questi, unicamente desiderosi di guadagno, introdussero l'abuso cui seguì la corruzione. Le cave furono esaurite; furono rese impraticabili ingombrandole di detriti; ne vennero per breve tempo aperte delle nuove per poi tornare alle vecchie". 11 Cfr. DELUMEAU, L'allume cit., pp. 142-143.
In questo periodo l'allume artificiale, commercializzato, si vendeva a prezzi molto più bassi rispetto a quello di Tolfa. Alla fine il Demanio statale, con aggiudicazione del 22 settembre 1873, cedette le cave alla Societé financière de Paris che tuttavia non fu in grado di risanare la situazione se non momentaneamente. Al giorno d'oggi lo sfruttamento dell'allume nella regione di Tolfa è definitivamente abbandonato in quanto non competitivo con quello sintetico e l'ultima società ad aver svolto nella zona un'attività mineraria, è stata la Montecatini con l'estrazione del caolino. 12 Ibidem, p. 143.

CAPITOLO II
LA CHIESA DELLA SUGHERA
a) Il culto mariano sui Monti della Tolfa.

Dopo aver trattato la personalità di Agostino Chigi e l'importanza economica che ebbe per lui l'appalto dell'allume, è necessario fare una breve premessa su come il culto mariano da sempre abbia avuto una significativa presenza sui Monti della Tolfa.
Se infatti con il ritrovamento dell'immagine di Maria su di una sughera nasce l'idea da parte di Agostino Chigi di edificare un santuario in onore di lei, questa chiesa si andò ad aggiungere a molti altri "santuari" dedicati alla Vergine.
Il culto di Maria fu riconosciuto ufficialmente da Sisto III (432‑440), il quale, una volta riedificata la basilica liberiana, la dedicò a S. Maria Maggiore. 1 A. BERARDOZZI- G. COLA, S. Maria sul Mignone, da insediamento monastico a tenuta agricola, in "La goccia", 24 (1993), pp. 25-32.
Il primo esempio di culto mariano nel nostro territorio risale invece al D( secolo con l'abbazia di S. Maria sul Mignone. Al di là delle incertezze che suscitano certi documenti i quali a volte sembrerebbero non autentici, si è sostenuto che l'abbazia apparteneva alla giurisdizione di Farfa in Sabina e che andava ad abbracciare un vasto territorio che si estendeva dal fiume Mignone all'odierna S. Severa. 2 Ibidem, p. 26.
L'antico insediamento monastico è oggi localizzabile in quello che viene chiamato Casale di S. Maria già considerato distrutto nel XIII secolo e che si trova sulla riva destra del fiume Mignone.
Contemporaneamente alla suddetta abbazia va ricordato anche l'eremo della Trinità (menzionato dall'827) dove erano due chiese consacrate alla Vergine: la Madonna della Grazia e la Vergine del Soccorso. 3 A. BALDINI, Nel nome di Maria, Allumiere 1996, p. 7.
A Tolfa nel 1223 esisteva anche una chiesa dedicata a S. Maria Nuova. 4 BIANCHI, Storia dei Tolfetani cit., p. 122.
In questo periodo scoppiavano aspri contrasti tra papa Onorio III e Federico II che si accingeva a laicizzare le provincie del pontefice. Il papa allora, preoccupato per le sue terre, fece concessione di queste a conti e baroni con il compito di difenderle.
Le terre sulle quali questi feudatari esercitavano il loro dominio erano borghi sprovvisti di mura ma forniti di una rocca o di un fortilizio, costruiti quando la minaccia dei Mori costrinse gli abitanti del Lazio a fuggire dalle coste. 5 Ibidem, pp. 122-123. Queste fortificazioni in cui non manca una chiesa dedicata a Maria, divengono simbolo di potere civile e religioso.
S. Maria si trova documentata presso Tolfa Vecchia e Tolfa Nuova, a Montecocozzone e a Monte Monastero.
Con l'avviamento della produzione industriale dell'allume prosegue la dedizione mariana registrata nel medioevo. Nasce il borgo minerario de La Bianca con annessa una "cappella grande" dedicata alla Madonna, 6 BALDINI, Nel nome di Maria cit., p. 7. viene eretta la chiesa di S. Maria della Sughera e la cappella di Cibona. Questi luoghi di culto voluti da Agostino Chigi, furono edificati presso i luoghi di estrazione dell'allume per favorire la celebrazione quotidiana della messa per gli operai e per i ministri.
Nei primi anni del XVII secolo fu dedicato alla Madonna il santuario di Cibona 7 Nel 1992 la parrocchia di Allumiere ha provveduto al restauro della Madonna di Cibona. Sotto quello che è stato classificato come un affresco del periodo chigiano, sono state trovati frammenti di un altro affresco. Gli esperti lo fanno risalire al Trecento o certamente ad un periodo anteriore a quello chigiano. Questo significa che Agostino Chigi probabilmente riutilizzò per il culto mariano una cappella già esistente. Cfr. BALDINI, Nel nome di Maria cit., p. 8., a Maria Assunta in Cielo fu dedicata la chiesa di Allumiere, alla Vergine del Rosario l'altare del Palazzo Camerale, infine, sempre ad Allumiere, nella seconda metà del XVII secolo, fu edificato l'eremo consacrato alla Madonna delle Grazie. Torna su

b) Il ritrovamento miracoloso e le prime documentazioni

Con l'avviamento dell'industria alluminifera vengono eretti diversi luoghi di culto connessi all'estrazione del minerale. Tra essi viene edificato quello della Sughera costruito per ospitare il quadro di una Madonna trovato appeso ad una pianta di sughera.
Quel che bisogna sottolineare è che le circostanze che hanno determinato l'edificazione della chiesa della Sughera rispettano dinamiche usuali nel Rinascimento. Spesso infatti, in base a ritrovamenti soprannaturali, venivano innalzati templi dedicati a Maria come ad esempio nel caso del santuario della Quercia del quale parlerò più dettagliatamente.
" Cavalcammo sempre per monti grandi e boschi foltissimi nel nostro andar ogni giorno a caccia di porci e cervi". E' con queste parole che nel 1511 il giovane marchese Federico Gonzaga narrava al padre una giornata di caccia nella campagna di Tolfa trascorsa in compagnia del cardinale Petrucci. 1 PROSPERO MORRA, 480 anni fa, 1 novembre 1501: la scoperta della Madonna della Sughera a Tolfa, Tolfa 1981. p. 1. L'opuscolo inedito consta di tre pagine dattiloscritte ed è conservato in una collezione privata. Vedi qui appendice I.
Dieci anni prima, il 1° Novembre 1501, giorno di Ognissanti, anche due signori di Tolfa avevano voluto dedicare la giornata festiva alla caccia. I loro nomi erano Costantino Celli e Bernardino Roso, cittadini notabili del paese. 2 Il Morra ci informa che i Celi, imparentati con i Frangipane, erano da tempo ai vertici dell'aristocrazia locale. Nel 1468 era stato proprio un Celli a sventare i piani di Paolo II, deciso ad impadronirsi di Tolfa con l'aiuto di gente prezzolata. Per quanto riguarda l'altro compagno di caccia, probabilmente il nome è stato tramandato in modo inesatto. Nella Tolfa degli inizi del 1500, non c'era alcun Roso; c'erano invece i Del Rosso. Un Filippo del Rosso figura insieme ad un Paolo Celi tra gli uomini che nel 1530 elaborarono lo statuto delle libertà comunali. Qualche anno più tardi, un altro Del Rosso insieme ad un altro Celi, sarebbe stato l'autore della divisione delle terre da semina tra tutti i tolfetani sulla base di una formula singolare che privilegiava con assegnazioni estese le famiglie di antico ceppo locale rispetto a quelle giunte a Tolfa dopo la scoperta dell'allume. Cfr. P. MORRA, 480 anni fa cit., p. 1.
La tradizione popolare vuole che il Celi ed il Roso, "usciti di buon'ora dal paese con al seguito i fedeli cani e con a tracolla le armi, si fossero inoltrati nei folti boschi che circondavano e quasi aggredivano l'abitato che allora cominciava ad estendersi oltre le mura castellane. Per loro quel giorno non ci sarebbero stati né cinghiali né cervi: sembrava che la vita animale fosse misteriosamente scomparsa da quella zona, vi era solo una distesa infinita di piante di sughero ed un intrico di rovi ad intralciare la ricerca dei cacciatori.
All'improvviso un insistente latrato di cani richiamò i due che subito accorsero sul posto credendo di aver trovato finalmente una preda. Giunti però ai piedi di un grande sughero e alzati gli occhi al cielo, videro tra i rami dell'albero un meraviglioso dipinto raffigurante la Madonna col Bambino con folti rami che facevano da sfondo alle due figure.
Stupore, ammirazione, commozione e gioia s'impadronirono dell'animo dei due che, abbandonata la caccia, tornarono al paese a dare notizia della grande scoperta e di li a poco tornarono con al seguito tutta la popolazione desiderosa di vedere e pregare. La decisione di custodire il quadro e la traslazione dall'albero fu effettuata con solenne processione che giunse alla Chiesa della Misericordia 3 La chiesa della Misericordia è una della più antiche di Tolfa. Oggi ne rimane un edificio semplice nella struttura e di carattere assolutamente comune a destra dell'entrata del pubblico giardino. Eppure questo edificio è ricco di storia: sul finire del '500 i Domenicani di Civitavecchia chiesero di potervi costruire un piccolo convento ma il progetto non fu attuato. Nel 1600 vi si stabilirono invece i Fratelli della Misericordia che avevano l'ufficio di tenere scuole. In seguito presero ad adunarvisi dei laici e ne nacque la Confraternita del Suffragio trasferitasi poi nella chiesa di S. Antonio. Dopo metà dell'800 la chiesa fu ridotta a forno delle truppe francesi; successivamente fu teatro ed infine divenne sede della locale Unione Sportiva. Cfr. MORRA, Tolfa cit., pp. 195-196. dove il dipinto fu posto alla solenne devozione dei fedeli. Così passò il giorno e i fedeli a malincuore abbandonarono la chiesa per ritirarsi alle loro case. La mattina seguente, con grande delusione da parte dei devoti, l'immagine tanto venerata non era più al suo posto.
La triste notizia si diffuse in un baleno tra la popolazione; si pensava che la repentina scomparsa potesse preannunciare cattivi auspici per il popolo
di Tolfa". 4 La "leggenda " del ritrovamento della sacra immagine su un sughero, è tramandata da molte fonti bibliografiche: cfr. MIGNANTI, Santuari cit., pp. 41-42. MORRA, Tolfa cit., p. 234. P. MORRA, 480 anni fa cit., pp. 1-3.
Si pensò che l'immagine potesse trovarsi là dove era stata vista la prima volta. La gioia subito pervase gli animi degli abitanti del paese quando si apprese che il dipinto era veramente là dove era stato trovatodue giorni prima. Tutti pensarono ad un segno premonitore poiché forse la Madonna voleva essere venerata sull'albero del ritrovamento.
Era inutile chiedersi come il dipinto fosse finito su quell'albero, perché nessuno avrebbe potuto dare una risposta. Seguirono poi numerosi prodigi che la memoria popolare ha trasmesso fino a noi e dei quali, in parte, parlerò più avanti.
Il Magnifico Agostino Chigi, allora appaltatore delle miniere di allume, propose la costruzione di un degno santuario.
Un'osservazione che mi sembra degna di nota è che il 1501 è l'anno del rinvenimento ma è anche l'anno corrispondente all'inizio dei lavori nelle miniere da parte del Chigi. Infatti il contratto dei lavori era stato stipulato nel 1500, ma con la precisazione che i lavori dovessero iniziare l'anno successivo. Questo mostra da subito la personalità del mecenate interessato certo ai profitti delle miniere ma anche partecipe ai sentimenti religiosi popolari.

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