3.
FLORA E VEGETAZIONE
CARATTERI GENERALI
Negli ultimi decenni
numerosi botanici si sono interessati a questo territorio, non tanto
per i suoi elementi floristici, quanto per le fitocenosi estremamente
variabili. Queste peculiari caratteristiche unitamente alla presenza
di ancora estesi lembi di superfici boscate, ne hanno fatto un terreno
adatto allo studio delle problematiche inerenti alla vegetazione appenninica.
Il territorio
tolfetano è stato soggetto per molti secoli ad una costante ma
moderata pressione antropica (sfruttamento agricolo, forestale, minerario),
cui è seguito un ritorno ad una attività produttiva più
primitiva, la silvo-pastorizia, permettendo cosi la sopravvivenza di
lembi di vegetazione primitiva all'interno di una vegetazione singolarmente
modificata dall'uomo (è il caso ad esempio delle cenosi ripariali).
La presenza di fasce microclimatiche conferisce a questo territorio
una notevole variabilità ambientale: la conformazione ad acrocoro
del complesso tolfetano e l'andamento parallelo alla costa, riscontrabile
in alcuni contrafforti, insieme alle discrete altezze raggiunte già
a breve distanza dal mare, permettono una seriazione altitudinale quasi
completa delle foreste appenniniche, dalla vegetazione mediterranea
sclerofilla del piano basale, alle faggete del piano montano.
Si verificano inoltre tipiche inversioni del clima, ovvero condizioni
più fredde e/o più umide in valloni a basse altitudini,
dovute alla complessa orografia ed alla tormentata morfologia di alcuni
settori, e viceversa condizioni di clima più caldo e secco sulle
cime, con l'instaurarsi cosi di faggete ripariali lungo i corsi d'acqua
di fondovalle e di vegetazione sclerofilla nelle zone più alte.
Assieme alla presenza di specie rare o poco frequenti allo stato spontaneo
nel resto della Penisola, come le cerrete a farnetto, la vegetazione
ripariale a Osmunda regalis, ecc., si hanno qui anche stazioni con caratteristiche
di rifugio per alcuna specie o per forme di vegetazione termofila: fenomeno
dovuto all'aspra morfologia e ai sistemi di rupi su cui si è
rifugiata appunto una flora caratteristica di epoche più calde
e/o più caldo-aride dell'attuale. Prevalgono in generale specie
a carattere Centro-Sudeuropeo: da una parte il contingente orientale
che predomina fra le entità submediterranee, dall'altra quello
occidentale subatlantico fra le specie del settore mediterraneo.
Come afferma Spada (1977), qui “sono rimasti impigliati i frammenti
delle varie cenosi e fascie di vegetazione nelle loro incessanti trasgressioni
e regressioni nel corso delle ultime vicende storico-climatiche.”
Continua Spada: “Il principale motivo di interesse va a mio avviso
ricercato non tanto nella sua componente floristica, invariata rispetto
a quella riscontrabile in tante altre regioni dell’Italia mediterranea,
quanto nell’esistenza di un più che mai accentuato smistamento,
nell’ambito di questa vegetazione, delle singole specie costitutive”.
L’area della ZPS è fondamentalmente compresa nella fascia
bioclimatica più mediterranea. In questa individuiamo un settore
di vegetazione mediterranea vera e propria, la foresta a Quercus cerris
e i prato-pascoli cespugliati. All’interno di queste formazioni,
la vegetazione ripariale.
3.1 LA VEGETAZIONE
MEDITERRANEA
Le cenosi mediterranee
caratterizzano gran parte dei rilievi paralleli al litorale, potendosi
distinguere due principali settori in cui esse assumono diverse modalità
di distribuzione.
Il primo, più esterno, in cui esse dominano il paesaggio vegetale,
si estende praticamente ininterrotto dai confini NW (Maremma) a quelli
SE (Ceriti) del comprensorio, includendendvi dunque gran parte della
ZPS, nella sua fascia più adiacente alla costa.
Nel secondo settore, parallelo al primo e disposto più internamente,
la vegetazione sempreverde è ridotta in estensione ed isolata
all'interno della foresta decidua.
Nella vegetazione
litoranea predomina un consorzio vegetale con fisionomia di "macchia"
(dovuta a turni di ceduazione ravvicinati e al pascolo, anche all'interno
della compagine vegertale), con Phyllirea latifolia, Pistacia lentiscus,
Myrtus communis (in alcuni casi presente in forma di boschetti nani)
e, in minor quantità, Quercus ilex, Arbutus unedo e Erica arborea,
consorzi fitosociologicamente attribuibili al Quercion ilicis Br.-Bl.
1931. Abbastanza spesso però, laddove i turni di ceduazione sono
stati effettuati in tempi meno ravvicinati, si ritrova una formazione
con aspetto di piccola foresta di fillirea (ad esempio nell’area
del Monte Fagiolano). D’altra parte, in zone maggiormente esposte,
si presenta una fascia più termofila, forse relitto di un orizzonte
differenziato nell’ambito del Quercion ilicis. Si tratta di associazioni
in cui predominano il mirto e il lentisco accompagnati da Olea, Calycotome
spinosa, Daphne gnidium. Spada (1977) avanza un’ipotesi verosimile
sulla presenza di Olea, qui in condizioni di autoctonia. Popolazioni
su cui le pratiche colturali hanno operato verso una trasformazione
in oliveto domestico (Poggio Uliveto, Poggio Finocchiaro, Monte Chiavaccio,
ad esempio).
Procedendo
verso l’interno, la vegetazione mediterranea mostra una complessità
crescente: la foresta a Quercus ilex si evidenzia più chairamente
ed in modo esteso, mentre nelle zone più esposte si riscontrano
cenosi a Quercus suber (più abbondante nella parte centrale del
territorio, al di fuori della ZPS, proprio alle falde dell’abitato
di Tolfa, in esposizione meridionale, adiacente alla faggeta appenninica
di Allumiere ed ai castagneti), di nuovo Arbutus unedo ed Erica arborea,
nonché Cistus salvifolius, C. monspeliensis. Spesso si ritrovano
boscaglie a fillirea anche in assenza di leccio: quest’ultimo
sembrerebbe essere qui una sorta di pioniere nei confronti di una vegetazione
originaria a fillirea dominante, che ancora riesce a mantenere, o a
ricostituire in alcune aree, una configurazione originaria, o per degradazione
della lecceta, oppure costituendo il sottobosco in altre cenosi, diffondendosi
nel territorio indipendentemente dalla specie arborea dominante in un
dato luogo.
La documentazione del fatto che le varie fascie di vegetazione mediterranea
abbiano valore di cenosi a sé stanti, e non siano il prodotto
di ripetute ed intense manomissioni antropiche, è evidenziata
dall’assetto della vegetazione sempreverde nelle aree più
interne, in cui queste fascie si ripropongono in una miriade di stazioni
isolate. Fillirea ed alaterno, assieme talvolta al leccio, ad esempio,
assumono comportamento ripariale nell’ambito di foreste decidue,
in piccole valli più fresche (Fosso del Lascone). Sembrerebbe
che la boscaglia sempreverde del settore più esterno sia un prodotto
della confluenza di differenti cenosi sotto la spinta del fattore termico
preponderante sufgli altri fattori ecologici.
3.2 LA FORESTA A QUERCUS CERRIS
Alla macchia foresta sempreverde si contrappone in modo massiccio la
foresta decidua che qui è per la massima parte rappresentata
dalla cerreta. Questa è presente come formazione continua su
vaste aree, includendo ancora boschi di interesse paesaggistico e scientifico,
nonostante l'intenso uso cui è soggetta.
Anch'essa è presente in due facies climatiche, di tipo mesofilo
e termofilo. Quest'ultima è la più diffusa, soprattutto
nell’ambito della ZPS in questione, e presenta un particolare
interesse nella valle del Rio Fiume dove, accanto a Quercus cerris,
troviamo Acer monspessulanum, Cercis siliquastrum, Fraxinus ornus ed
anche Quercus ilex. Questa fitocenosi rientrerebbe nell'ordine delle
Orno-Cotinetalia Jakucs 1961.
Le facies più mesofile invece sono riscontrabili nei fondo-valle
più umidi: assieme a Q. cerris sono qui presenti Carpinus orientalis
e, nei fondovalle, Carpinus betulus e Ostrya carpinifolia che, dal punto
di vista fitosociologico, rientrano nell'ordine delle Carpinetalia.
Si evidenzia così in queste due facies, come peraltro in tutta
la vegetazione del più ampio territorio tolfetano, il fenomeno
dell' "orientalità": specie come il Cercis siliquastrum
e le due del gen. Carpinus conferiscono a questa zona il significato
fitogeografico di vera e propria "isola balcanica" (Montelucci,
1980). A proposito dell’orientalità della vegetazione tolfetana,
Spada (1977) sottolinea come la zona più interessante dal punto
di vista fitogeografico – anche in senso assoluto – è
il settore compreso fra Monte Chiavaccio, Monteianni e Monte Grande,
nell’ambito della valle del Rio Fiume. Qui si sviluppa una cenosi
(considerata stabile) in relazione a stadi di ricostituzione della cerreta
in ambiente sottoposto a forte diffusione di elementi mediterranei:
questa cenosi comprende, nello strato arboreo, un’elevata presenza
di Cercis, Acer monspessulanum, più raramente Quercus pubescens,
e molti esemplari maturi di Paliurus spina-christi nelle zone aperte:
questa cenosi è diffusa sui due versanti della valle del Rio
Fiume e, in particolare, sulle pendici nordoccidentali di Monte Grande
e su quelle meridionali del Monte Acqua Tosta. Questa zona corrisponde
tra l’altro all’area di distribuzione più massiccia
di Cercis.
In questo ristretto territorio, tutto compreso nella ZPS, si osserva
dunque una cosiddetta “serie orientale” completa, da cenosi
termofile fino a cenosi chiaramente mesofile.
D'altra parte il Quercus pubescens, non è molto diffuso nel comprensorio,
venendo più che altro a caratterizzare le cerre¬te sui versanti
meridionali dei rilievi od occupando le stazioni più esposte.
Localmente la roverella, in modo frammentario, costituisce una fascia
interposta fra la cerreta e la lecceta: Per lo più si tratta
di individui o gruppi di individui isolati posti fra la foresta decidua
e quella sempreverde: probabilmente essi rappresentano un tipo di cenosi
forestale secondaria costituitasi in seguito alla degradazione della
lecceta. Si osservano spesso individui colossali di roverella, isolati
ai margini della foresta. Da citare la presenza, sporadica, di Viscum
album e di Loranthus europaeus (raro nella Penisola) su randi individui
isolati di roverella e di cerro (Valle del Fosso Chiavaccio).
3.3 LA
VEGETAZIONE RIPARIALE
Il reticolo idrografico
nell’area in esame è piuttosto complesso ed ospita comunità
ripariali interessanti, anche se impoverite dal punto di vista floristico,
che comprendono anche relitti di cenosi nel passato più ampiamente
diffuse.
Ancora Spada (1977) riconosce i resti di due forme di questo tipo di
vegetazione. Uno più termofilo caratterizzato da Fraxinus oxycarpa,
Vitis vinifera e soprattutto Tamarix africana, è distribuito
in modo frammentario lungo il corso del Rio Fiume e del Fosso del Marangone,
dove si connette con le formazioni a Cercis e Acer monspessulanum.
Più diffuso, ma più impoverito del primo tipo, è
la cenosi a Salix spp., Alnus glutinosa, Populus spp. e Ulmus, più
mesofila della precedente. Tipica dei corsi d’acqua all’interno
della distribuzione della foresta decidua, si è impoverita in
seguito all’antropizzazione, perdendo soprattutto le costituenti
più tipiche (Alnus, Salix, Populus) e riducendosi talvolta a
popolamenti monospecifici di Ulmus campestris. Questa cenosi, all’interno
dell’area in esame, mantiene la sua originale complessità
solo lungo il Rio Fiume in località “I Cioccati”
(corso medio); ma si ritrova anche nel corso del Fosso di Freddara.
L’olmo non solo ha conquistato buona parte della foresta di fondovalle,
ma anche molte radure e pascoli sfruttati dal bestiame, fino al margine
del querceto deciduo (La Tolfaccia).
Negli alvei più ristretti ed infossati (Fosso del Lascone, ad
esempio) è diffusa la presenza di Laurus nobilis. In questi ambiti
si creano condizioni microclimatiche con scarsissime escursioni termiche
e di umidità, sia nel suolo sia nell’atmosfera, che permettono
a questa specie di perdurare. Laurus si ritrova però anche, assieme
a Ostrya carpinifolia e Carpinus betulus, sulle pendici settentrionali
di Monte Grande; oppure accompagnato ai resti di una vegetazione sempreverde
all’interno del querceto deciduo (Fosso del Vallone, Monte S.Ansino
versante nord).
3.4 I PRATO-PASCOLI
CESPUGLIATI
L’utilizzazione
a pascolo di vasti territori ha indotto lo sviluppo di stadi giovanili
della successione, con varie forme di vegetazione di sostituzione, in
cui dominano le legumino¬se erbacee e numerose composite. Spesso
poi l'abbandono dei pascoli (fattore storico-economico che ha caratterizzato
gli ultimi decenni nell’area tolfetana) ha portato dapprima ad
una sostituzione della foresta con il prato arborato e poi ad una evoluzione
di questa vegetazione verso cenosi sempre più vicine alla foresta.
Si ritrovano popolamenti discontinui a Spartium junceum, boscaglie molto
rade a Pyrus pyraster, cespuglieti a Paliurus spina-christi (tra cui
il denso popolamento in località I Cioccati, sulla sinistra idrografica
del Rio Fiume, in una zona a pronunciata orientalità, caratterizzata
da una particolare densità di Cercis). I popolamenti a Pyrus
e a Spartium colonizzano sia i pascoli ottenuti dalla distruzione della
foresta mediterranea, sia alcune aspetti marginali della foresta decidua
submediterranea. I popolamenti a Pyrus vengono talvolta convertiti dagli
agricoltori in frutteti, avvalorando in questo modo le considerazioni
precedentemente fatte a proposito di Olea.
Si ritrovano inoltre cespuglieti mediter¬ranei costituiti da Cistus
monspeliensis legato a Pistacia lentiscus alle falde del Monte Fagiolano;
o ancora forme di degradazione di cerrete, con Rubus sp., Prunus spinosa,
Crataegus spp. e Pyrus pyraster. Dal punto di vista fitosociologico
i pascoli rientrano nei Thero-Brachipodetalia o, nel caso di situazioni
xeriche, ai Brometalia (brometi e xerobrometi). Caratteristici i popolamenti
a Cynara ed altri cardi su suoli ad elevato tenore di azoto, da sovrapascolamento:
essi creano alternanza con le specie pascolabili, data la loro spinosità
che induce un allentamento della pressione di pascolo per determinati
periodi. Questi popolamenti si ritrovano su tutta la superficie a pascolo
fra Civitavecchia e Cerveteri (particolarmente nell’area di Prato
Cipolloso e della valle del Marangone).
Sui prati meno pascolati e nelle radure fra i boschi e i cespuglieti
si osservano molto spesso ampie fioriture di orchidacee. In particolare
di Orchis morio, Orchis papilionacea, Orchis laxiflora (prati umidi),
Orchis provincialis, Orchis purpurea, Dactylorrhiza romana, Ophrys sphegodes;
tutte specie non comuni, ma comunque sempre assai localizzate e spesso
minacciate.
Le conclusioni
cui perviene Spada (1977) possono essere riassunte come segue:
• L’esistenza
di testimonianze di una seriazione o della presenza di più fitocenosi
nell’ambito della vegetazione mediterranea.
• La vegetazione fornisce spesso più risposte alla stessa
condizione ambientale.
• L’esistenza di una vegetazione submediterranea a carattere
decisamente orientale, accanto ad una di impronta occidentale.
3.5 ELENCO PRELIMINARE
DELLE ASSOCIAZIONI VEGETALI PRESENTI NELLA “ZPS COMPRENSORIOMERIDIONALE
MONTI DELLA TOLFA”, ELABORATO DALLA SOCIETÀ BOTANICA ITALIANA
Asplenio-Quercetum
ilicis (Br.-BI. 1936) Riv. Mart. 1975
Carici remotae-Fraxinetum
oxycarpae Pedrotti 1970 corr. Pedrotti1992
Cercidi-Aceretum
monspessulani Lucchese e Pignatti 1998
Circaeo lutetianae-Alnetum
glutinosae Blasi e Frondoni 1998
Cynaro-Cichorietum
pumili Lucchese e Pignatti 1990
Cytiso-Quercetum
suberis Testi, Lucattini e Pignatti 1994
Dorycnio hirsuti-Brachypodietum
phoenicoidis Ferro e Lucchese 1995
Erico arboreae-Arbutetum
unedonis Allier et Lacoste 1980
.
Erico-Lavanduletum stoechidis Pignatti E. e Pignatti S. 1968
Erico-Quercetum
cerridis Arrigoni et al. 1990
Festuco-Brometalia*
Ilici-Quercetum
petraeae Brullo 1983
Lauro-Carpinetum
betuli Lucchese e Pignatti 1991
Lonicero etruscae-Rosetum
sempervirentis Cutini et al. 1996
Myrto-Lentiscetum
(Bolòs 1962) Riv. Mart. 1975
Orno-Quercetum iiicis
Horvatic (1956) 1958
Roso sempervirentis-Rubetum
ulmifolii Blasi, Di Pietro e Fortini 2000
Rubio-Quercetum
cerridis (Pignatti E. e S. 1998) Bas Pedroliefa/. 1988
Trìfolio
scabri-Hypochoeridetum achyrophori Lapraz ex Biondi et al. 1997
Viburno-Quercetum
ilicis (Br.-BI. 1936) Rivas-Martinez 1975
Vulpio ligusticae-Dasypyretum
villosi Fanelli 1998
4.
POPOLAMENTO ANIMALE
Seppure la ZPS
in questione sia solo una parte (circa un settimo) della superficie
totale del comprensorio tolfetano-cerite in senso lato, si tratta pur
sempre di un territorio molto vasto ed articolato, in cui lo studio
del popolamento animale non è dunque di semplice attuazione.
Il quaderno dell’Accademia dei Lincei pubblicato nel 1983 colmò
solo in parte quella lacuna, così evidente nel precedente studio
del 1977, riguardante l’entomofauna e la fauna di invertebrati
in generale. Dalla bibliografia si evince come siano i vertebrati, con
alcune eccezioni, il gruppo meglio indagato, ed in particolare gli uccelli,
tra i quali d’altronde vi sono diverse specie ritenute di importanza
comunitaria. Contoli, Lombardi e Spada (1980) tracciarono anche una
linea guida per un approccio di tipo ecologico alla conoscenza della
fauna del comprensorio, tenendo conto di “paesaggi faunistici”,
come li definiscono gli Autori, e zoocenosi. Interessante metodo che
può aiutare a stabilire delle priorità nella gestione
di un tale complesso territorio.
In questa
sede tratteremo dei gruppi meglio studiati, con particolare riferimento
all’area oggetto della ZPS che, come detto, ha un carattere più
spiccatamente mediterraneo. La bibliografia utilizzata è in gran
parte quella ormai “classica”, con l’aggiunta di alcune
nuove indagine, non pubblicate, su gruppi finora meno indagati - almeno
nell’area del sito – (coleotteri carabidi, ittiofauna) e
con aggiornamenti su altri gruppi ai quali è stato rivolto particolare
interesse negli ultimi anni (avifauna, mammiferi).
4.1 ITTIOFAUNA
4.1.1 INTRODUZIONE
Le informazioni
disponibili sull’ittiofauna provengono dall’analisi della
bibliografia sulla presenza e distribuzione delle specie ittiche all’interno
della ZPS “Comprensorio meridionale Monti della Tolfa”,
lungo i suoi principali corsi d’acqua. Questo ha permesso di costruire
un primo quadro di riferimento conoscitivo su questo gruppo faunistico
che purtroppo in precedenza era alquanto insufficiente.
Infatti nell’area in oggetto non sono stati svolti studi recenti
su questo taxon ad eccezione di quello effettuato dal Centro di Documentazione
Regionale (Regione Lazio) negli anni 1999–2000. L’obiettivo
del presente studio è stato quindi quello di definire una prima
analisi dello stato attuale della fauna ittica del Comprensorio meridionale
Monti della Tolfa rimandando a successive indagini di settore le ulteriori
e necessarie raccolte di informazioni.
Nello specifico si è tentato di raggiungere i seguenti risultati:
• compilare una prima check list aggiornata delle specie presenti;
• definire la distribuzione delle diverse specie all’interno
dei corsi d’acqua;
• evidenziare la presenza di eventuali specie di interesse zoologico;
• individuare i fattori di minaccia e le misure necessarie alla
conservazione di questo gruppo animale.
4.1.2
AREA DI STUDIO
L’area di
studio comprende il bacino idrografico del Rio Fiume con i suoi principali
affluenti: Fosso del Chiavaccio, Fosso di Monte Ianni, Fosso del Vallone
e Fosso del Lascone. Inoltre, il Fosso Marangone ed il Fosso Freddara,
che rientrano nell’area di studio ma hanno due bacini idrografici
distinti da quello del Rio Fiume.
Tutti i corsi d’acqua presi in esame presentano un regime idrologico
a carattere torrentizio, con dei periodi di magra estiva anche molto
pronunciati che quasi regolarmente provocano in questa stagione la discontinuità
nello scorrimento idrico superficiale.
I campionamenti ittici sono stati effettuati previa autorizzazione da
parte delle competenti autorità della Regione Lazio, mediante
l’uso di retini a differente maglia.
Nel paragrafo successivo vengono descritte le specie rilevate. Per ognuna
è stata preparata una scheda biologico-conoscitiva, in cui viene
descritta la situazione attuale della specie, esaminata in termini di
corologia e di conservazione. Per quanto riguarda l’areale italiano
viene riportato quello riportato da Tortonese (1970,1975) e da Gandolfi
et al.(1991) mentre per quello regionale si è fatto riferimento
a Bianco (1989).
4.1.3 DISTRIBUZIONE
E STATUS DELLE SPECIE
Nel territorio della
ZPS sono state rilevate 4 specie ittiche, da considerare autoctone:
Nome
della specie |
Corso
d’acqua |
Anguilla Anguilla
Anguilla Linnaeus, 1758 |
Rio Fiume,
Fosso Marangone, Fosso del Chiavaccio |
Cavedano Leuciscus
cephalus (Linneaeus, 1758) |
Rio Fiume,
Fosso del Vallone, Fosso del Lascone |
Vairone Leuciscus
souffia Risso, 1826 * +LR |
Rio Fiume,
Fosso di Monte Ianni, Fosso del Lascone, Fosso del Chiavaccio |
Barbo comune
Barbus plebejus (Bonaparte, 1839) * +LR |
Rio Fiume,
Fosso di Monte Ianni, Fosso del Lascone, Fosso del Chiavaccio, Fosso
del Vallone |
Lampreda di
ruscello Lampetra planeri (Bloch, 1784)* +EN |
Fosso di Monteianni |
* Specie di interesse
comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali
di conservazione, secondo l’All. II, Direttiva Habitat 92/43
+ Specie presenti nella Lista Rossa degli Animali d’Italia ( LR,
specie a più basso rischio; EN, specie in pericolo)
4.1.4 SPECIE
DI IMPORTANZA COMUNITARIA
Anguilla Anguilla Anguilla Linnaeus, 1758
Corologia: L’Anguilla europea è frequente in tutte le acque
interne italiane.
Biologia ed ecologia: Specie catadroma, svolge la fase riproduttiva
e una lunga fase larvale in mare e le giovani anguille (cieche) non
ancora pigmentate entrano nelle acque interne per svolgere la fase trofica.
Il popolamento dei nostri bacini idrografici avviene da parte di individui
provenienti dall’area di riproduzione situata nel Mar dei Sargassi.
L’afflusso di anguille nelle acque interne italiane interessa
maggiormente il versante tirrenico e le isole, mentre di minor rilievo
quello ionico ed adriatico.
Distribuzione nell’area di studio: la specie è stata rilevata
in due corsi d’acqua dell’area di studio, ma è probabilmente
presente in tutti in tutti gli ambienti reici del comprensorio, con
particolare riferimento al loro basso corso.
Conservazione: Recentemente la specie sta subendo una progressiva rarefazione
in tutta l’Italia imputabile alle seguenti cause: 1) intensa attività
di pesca e di allevamento sia in condizioni estensive che intensive;2)
eccessivo prelievo di cieche alle foci dei fiumi, in particolare negli
estuari tirrenici durante la loro fase di risalita nelle acque interne;3)
presenza di ostacoli spesso insormontabili (dighe, sbarramenti, briglie
ecc.) che ne impediscono la risalita e la diffusione nelle acque interne.
E’ quest’ultimo fattore la principale minaccia per questa
specie nei corsi d’acqua esaminati; sono stati infatti evidenziati
fattori quali la cementificazione degli alvei, verso le foci, e alcuni
sbarramenti che ne impediscono o comunque ne limitano la risalita.
Inoltre, la specie è molto utilizzata nelle semine e nei ripopolamenti,
per cui è difficile rilevare il carattere autoctono negli esemplari
rinvenuti.
Cavedano Leuciscus cephalus (Linneaeus, 1758)
Corologia: L. cephalus è una specie endemica dell’area
Paleartica, ampiamente diffuso in Europa; in Italia la sua distribuzione
arriva alla congiungente Crati-Savuto in Calabria (Bianco & Recchia,
1983). La distribuzione originale, ed in particolare i limiti meridionali,
sono stati alterati dalle immissioni. Nel Lazio è presente in
tutti i principali bacini idrografici e lagustri (Bianco, 1989).
La variabilità dei caratteri morfologici e meristici delle popolazioni
italiane è consistente, ma sembra rientrare in normali situazioni
di variabilità intraspecifica.
Biologia ed ecologia: Il Cavedano è un pesce molto resistente
che, nonostante la preferenza per le acque limpide e a fondo ghiaioso,
grazie alla spiccata capacità di adattamento occupa una grossa
quantità di ambienti. E' presente nella maggior parte dei nostri
laghi; lungo il corso di un fiume lo si può trovare dalla foce
fino alla zona dei salmonidi, anche se l'area preferita è quella
del tratto medio, dove si trova associato al Barbo.
Il periodo della riproduzione è compreso tra la seconda metà
di maggio e tutto giugno, ma può prolungarsi in relazione alle
condizioni termiche dell'ambiente. Le uova vengono deposte per lo più
in acque basse su fondali ghiaiosi.
Distribuzione nell’area di studio: la specie è stata rilevata
in tre corsi d’acqua dell’area di studio ed è probabilmente
presente in tutti in tutti gli ambienti reici del comprensorio. Una
discreta presenza è stata rilevata lungo il Rio Fiume nel medio
ed alto corso.
Conservazione: il Cavedano è una tra le specie ittiche più
resistenti all'inquinamento, pertanto non sembra risentire eccessivamente
nelle situazioni di elevato inquinamento organico.
Vairone Leuciscus souffia Risso, 1826
Corologia: specie indigena in Italia, con una distribuzione limitata,
nel settore meridionale, al Molise.
Biologia ed ecologia: E’ un ciprinide reofilo caratteristico del
tratto medio-superiore dei corsi d’acqua. Ampiamente diffuso in
Italia settentrionale e peninsulare. Ha abitudini gregarie e preferisce
acque fresche e ben ossigenate. Si ciba prevalentemente di piccoli invertebrati.
Distribuzione nell’area di studio: la specie è stata rilevata
in quattro corsi d’acqua dell’area di studio. E’ discretamente
comune nell’alto corso del Rio Fiume e nei suoi principali affluenti.
Conservazione: è una specie molto sensibile alla qualità
delle acque e negli ultimi anni ha subito una riduzione dell’areale
di distribuzione e della consistenza delle popolazioni.
Il Vairone è inserito anche nella Convenzione di Berna (1979)
“relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente
naturale in Europa”.
Barbo comune
Barbus plebejus (Bonaparte, 1839)
Corologia: Ampiamente diffuso in Italia settentrionale e peninsulare.
Indigeno nell’area padano-veneta; permangono molte incertezze
per quanto riguarda la distribuzione e l’autoctonia delle specie
in Italia peninsulare. Secondo Bianco (1993) il Barbo comune è
da considerarsi alloctono sul versante tirrenico.
Biologia ed ecologia: B. plebejus è un ciprinide reofilo caratteristico
del tratto medio-superiore dei corsi d’acqua planiziali. E’
un Ciprinide a deposizione litofila, le cui uova – velenose, giallastre,
del diametro di 2,5-3 mm. – sono deposte sui fondali ghiaiosi
o pietrosi da maggio a luglio su fondali a ciottoli, in acque poco profonde.
Distribuzione nell’area di studio: la specie è stata rilevata
in cinque corsi d’acqua dell’area di studio. E’ discretamente
comune nell’alto corso del Rio Fiume e nei suoi principali affluenti.
Conservazione: pur avendo una discreta valenza ecologica, questa specie
risente negativamente degli interventi antropici che alterano i substrati
adatti alla riproduzione.
Il Barbo comune è inserito anche nella Convenzione di Berna (1979)
“relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente
naturale in Europa”.
Nome
italiano |
Nome
scientifico |
Dir.
92/43 CEE |
Categoria
nella Lista Rossa Italiana
WWF 1998
|
Motivo
d’interesse |
Barbo
comune |
Barbus
plebejus |
All.
II |
A
più basso rischio |
Zoogeografico,
Conservazionistico |
Vairone |
Leuciscus
souffia |
All.
II |
A
più basso rischio |
Ecologico,
Conservazionistico |
4.1.5
SPECIE PRESUMIBILMENTE PRESENTI NEL COMPRENSORIO
Sulla base dell’analisi
degli habitat acquatici presenti nel comprensorio e dalla consultazione
della bibliografia disponibile (Bianco, 1989; Cataudella, 1977) si ritiene
presumibile la presenza di una ulteriore serie di specie, la cui presenza
dovrà ovviamente essere confermata da indagini di dettaglio successive.
Le specie potenzialmente rilevabili nel bacino del Rio Fiume sono le
seguenti:
Rovella (Rutilus rubilio)
Latterino (Atherina boyeri)
Cefalo (Mugil cephalus)
Muggine calamita (Liza ramada)
Cagnetta (Lipophrys fluviatilis)
4.1.6 MINACCE
E FATTORI LIMITANTI
I fattori di minaccia
e limitanti che potrebbero incidere sull’integrità del
popolamento ittico del Comprensorio meridionale Monti della Tolfa possono
essere così riassunti:
Discontinuità
dell’ambiente reico dovuto ad opere trasversali artificiali e
tratti cementificati.
Le alterazioni
apportate agli alvei derivanti dalle opere di cementificazione o canalizzazione
dei corsi d’acqua e dal prelievo di materiali per l’edilizia
hanno effetti negativi diretti sulle specie di abitudini bentoniche
ma anche su altre specie ittiche in quanto alterano gli equilibri dell’ecosistema
fluviale.
Nel corso delle indagini lungo il basso corso del Rio Fiume è
stata rilevata la presenza di uno sbarramento trasversale che impedisce
la risalita delle specie anadrome (che compiono migrazioni riproduttive
in acque interne) e catadrome (che risalgono i fiumi durante la loro
fase trofica mentre svolgono la fase riproduttiva in mare). Inoltre
lungo il Rio Fiume nel tratto medio è stata rilevata uno sbarramento
dell’alveo.
La maggior parte delle specie ittiche risente negativamente delle modificazioni
di carattere idraulico e morfologico apportate lungo l’alveo e
le rive dei corsi d’acqua: le artificializzazioni degli alvei,
il prelievo di inerti per l’edilizia, gli impianti di lavaggio
per la sabbia alterano in modo drastico le aree di frega, ovvero zone
con fondale ghiaioso e ciottoloso, rendendo impossibile la riproduzione.
Temporaneità
dello scorrimento superficiale per motivi naturali di carattere idrologico
Gran parte dei corsi
d’acqua del bacino del Rio Fiume hanno un marcato carattere di
stagionalità che produce nel corso dei periodo siccitoso estivo
delle prolungate magre con una conseguente interruzione della continuità
dello scorrimento idrico superficiale. Queste caratteristiche idrologiche
anche se naturali impongono un notevole stress alle popolazioni ittiche
e costituiscono un fattore di instabilità e minaccia.
Buona parte delle specie, almeno nell’alto corso, deve la sua
sopravvivenza alla presenza di pozze temporanee profonde, che permettono
il mantenimento delle condizioni vitali.
4.1.7 INDICAZIONI
SULLE ATTIVITÀ DI CONSERVAZIONE E DI GESTIONE DELLE DIVERSE SPECIE
Di seguito vengono
riportati in forma schematica gli interventi di conservazione e gestione
da prevedere per la fauna ittica, che verranno poi più approfonditamente
esposti nel Piano di gestione:
- divieto di introduzione
di specie o popolazioni alloctone o transfaunate;
- divieto di pesca
e attenta sorveglianza per prevenire fenomeni di pesca illegale soprattutto
durante il periodo di magra estiva;
- sottoporre a regime
autorizzativo tutte le opere di manutenzione idraulica dei corsi d’acqua
del bacino;
- attenta conservazione
della vegetazione ripariale;
- predisposizione
di uno studio dell’ittiofauna con approfondimenti sulle caratteristiche
delle popolazioni delle specie di interesse;
- monitoraggio della
qualità biologica e fisico-chimica delle acque, delle rive e
della produttività ittica;
- controllo degli
scarichi e verifica delle qualità delle acque reflue, con particolare
attenzione a quelle provenienti da allevamenti di bestiame domestico;
- incentivazione
della sperimentazione di sistemi di fitodepurazione.
4.2 ERPETOFAUNA
4.2.1 INTRODUZIONE
Le informazioni
sull’erpetofauna dei Monti della Tolfa provengono dall’analisi
della non ricca bibliografia e da dati comunicati personalmente dal
gruppo di lavoro del prof. Marco Bologna. Possiamo così ricostruire
un quadro generale, ancora però purtroppo insufficiente per la
ZPS in questione. Infatti la maggior parte dei dati riguardanti questa
area in particolare risalgono a diversi anni fa, e ben poche sono state
le revisioni e gli aggiornamenti al riguardo, soprattutto a proposito
delle specie prioritarie.L’area
compresa nella ZPS, come abbiamo visto, viene a trovarsi quasi completamente
nella fascia bioclimatica più arido-mediterranea, con l’esclusione
dei primi rilievi centrali (M. La Tolfaccia).
In questa fascia bioclimatica l’erpetofauna è leggermente
più ridotta non tanto in numero di specie quanto in densità
di popolazione, rispetto alla fascia più interna temperata (ipomesaxerica)
e all’intero territorio. Questo è forse dovuto ai lunghi
periodi di siccità estiva e alla minore diversità ambientale,
caratterizzanti la fascia più costiera.
4.2.2 GLI
ANFIBI
Questa classe è
ovviamente più colpita dalle caratteristiche bioclimatiche suddette.
Nell’area della ZPS, di cui la fascia bioclimatica mediterranea
costituisce all’incirca l’80% del totale, sono state osservate
nove specie: due urodeli (Triturus vulgaris, Salamandrina terdigitata)
e sette anuri (Bufo bufo, Bufo viridis, Hyla intermedia, Bombina variegata,
Rana bergeri–R. kl. hispanica, Rana italica, Rana dalmatina),
quasi tutte quelle riscontrate nell’intero territorio dei Monti
della Tolfa, con l’eccezione del Triturus cristatus.
Le specie più diffuse sono quelle più mobili e/o più
xeroresistenti: il tritone punteggiato (Triturus vulgaris), grazie alla
sua ampia capacità di spostamento notturno e in condizioni di
umidità, nonchè grazie alla sua tendenza ad estivare sotto
terra, ha colonizzato e continua a colonizzare tutti o quasi i fontanili
dell’area, numerosissimi a causa del fabbisogno d’acqua
per il bestiame pascolante; ma è anche presente in ogni corso
d’acqua. Tra l’altro, alcune singole colonie di questa specie,
all’interno di fontanili, presentano talvolta una completa o parziale
neotenia in condizioni di acqua corrente perenne. Non appena il delicato
equilibrio ambientale e ormonale viene in qualche modo a modificarsi,
i tritoni metamorfosano.
Il rospo comune (Bufo bufo), mobilissimo e xeroresistente, si diffonde
in tutti i corsi d’acqua anche i più piccoli, dove in primavera
si riscontrano numeri altissimi di larve. Da sottolineare il fatto che
nei corsi d’acqua soggetti a siccità parziale più
tardiva, le larve metamorfosano fin’anche in luglio: questo fenomeno
è osservabile in quasi tutte le specie di anfibi nel territorio
tolfetano. La rana verde (l’ibrido-ibridogenetico Rana kl. hispanica)
sembra essere (secondo studi recenti) più resistente della specie
parentale (sintopica) Rana bergeri ad inquinamenti moderati ed a modificazioni
ambientali dovute al carico di bestiame, agli incendi, ai disboscamenti,
e la si riscontra in ogni corso d’acqua o stagno (e alle volte
anche in fontanili), in zone aperte e soleggiate. Anche in questa specie
le larve possono metamorfosare con grande ritardo (fino ad ottobre),
o addirittura superare l’inverno in questo stadio. Questo complesso
di specie può essere utilizzato a fini di verifica della qualità
dell’habitat, in quanto la R. bergeri sarà più abbondante
del suo ibrido (distinguibili fra di esse per la colorazione dei sacchi
vocali, nei maschi) laddove l’ambiente sia meno compromesso.
Rana italica (buona specie biologica riconosciuta di recente, e la cui
località tipica prima del 1990 era proprio sui Monti della Tolfa
[sottospecie di R. graeca]), sebbene più igrofila e legata essenzialmete
ad ambienti più appenninici, si ritrova qui ogniqualvolta la
copertura vegetale del corso d’acqua risulti integra e l’idrografia
stessa più complessa. La presenza di questa specie è infatti
in genere minacciata dalle ceduazioni intensive effettuate intorno ai
corsi d’acqua. Questo anuro, nonostante le sue preferenze per
ambienti più temperati, anche nella zona del SIC, più
xerica, mostra una tendenza a rimanere allo stadio larvale finché
persista sufficiente acqua (in forma di ampie pozze nel letto dei torrenti):
la metamorfosi può infatti protrarsi fino ad agosto; mentre il
periodo di deposizione è ristretto al mese di marzo.
La raganella comune (Hyla intermedia) è estremamente diffusa,
anche perché anch’essa specie xeroresistente, e qui spesso
depone all’interno dei fontanili, essendo rari gli stagni, fino
a tarda primavera.
Discorso a parte va fatto per le quattro specie più rare localmente.
Le segnalazioni di salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata)
nell’area della ZPS riguardano due località, entrambe molto
appartate e fuori delle rotte consuete del bestiame e degli uomini.
La prima è nell’ambito del bacino del Rio Fiume (un’asta
secondaria): l’ultima osservazione risale alla primavera del 2000
(M.Bologna, com. pers.); la seconda al Fosso Caldano (confine settentrionale
dell’area), ma l’ultima osservazione risale a molti anni
fa.
L’ululone a ventre giallo (Bombina variegata) è stato osservato,
per laprima volta circa venti anni fa, e nuovamente alcuni anni dopo,
in una sola località, lungo un afflente del Rio Fiume, in condizioni
molto precarie, come d’altronde è sua prerogativa: stagni
fangosi occasionali in cui le femmine depongono le uova. Il sito presente
nella ZPS è stato fortemente danneggiato nel tempo dal passaggio
del bestiame e da veicoli fuoristrada. A tutt’oggi non sappiamo
se siano ancora presenti in questa fascia popolazioni di questo anuro.
Il rospo smeraldino (Bufo viridis) è certamente poco diffuso
nell’area di studio (l’ultima osservazione è del
1989, nella Valle del Rio Fiume, G. Carpaneto, com. person.), mentre
è più ampiamente presente lungo il bacino del Fiume mignone,
nella zona settentrionale del comprensorio tolfetano.
Infine, la rana agile (Rana dalmatina), seppure osservata in questa
area nel 1970, da allora non è più stata ritrovata. È
invece ampiamente presente in gran parte del territorio a nord della
ZPS.
4.2.3 I
RETTILI
Nella ZPS Monti
della Tolfa meridionali sono presenti diciassette specie: due testuggini
(Emys orbicularis e Testudo hermanni hermanni), sette sauri (Tarentola
mauritanica, Hemidactylus turcicus, Lacerta viridis, Podarcis muralis
nigriventri[sottospecie propria della provincia di Roma e di Latina],
Podarcis sicula, Chalcides chalcides, Anguis fragilis) e otto serpenti
(Coluber viridiflavus, Elaphe longissima, Elaphe quatuorlineata, Natrix
natrix, Natrix tessellata, Coronella austriaca, Coronella girondica,
Vipera aspis), tutte quelle riscontrate nell’intero territorio
tolfetano-cerite.
La testuggine
d’acqua (Emys orbicularis) è stata rinvenuta in questa
area una sola volta, nell’ambito del bacino del Fosso Freddara
(Colle di Mezzo) nel 1982 (M. Bologna, com. person.). Nuovi reperti
non se ne hanno; mentre la specie è abbastanza diffusa nel bacino
del Fiume Mignone.
La testuggine comune (Testudo hermanni hermanni) è abbastanza
diffusa nei prati cespugliati e nella macchia, e da qui purtroppo, almeno
nei decenni scorsi, ne venivano prelevati molti esemplari per la vendita,
divenuta illegale con la Convenzione di Washington, la legge regionale
per la tutela della fauna minore (5-4-1988, n°18) e quella 150/92
che tutela le testuggini mediterranee.
I due gechi (Tarentola mauritanica, Hemidactylus turcicus) sono presenti
soprattutto sui manufatti umani (muretti a secco, edifici e rovine,
ponti). Il ramarro (Lacerta viridis) è comune e presente soprattutto
nelle macchie e ai margini dei boschi. Le due lucertole del genere Podarcis
sono estremamente comuni sui prati cespugliati e lungo le strade (con
prevalenza della campestre); mentre lungo i corsi d’acqua e sui
macigni emergenti da questi, è più comune la muraiola:
le due specie sembrerebbero ancora in attiva fase di competizione.
La luscengola (Chalcides chalcides) è molto diffusa sui prato-pascoli
in primavera, mentre l’orbettino (Anguis fragilis) è molto
localizzato in alcuni boschi meno utilizzati dall’uomo (M. Pozzo
di Ferro).
I serpenti più
diffusi sono il colubro verde (Coluber viridiflavus), presente in qualunque
tipo di ambiente; il colubro d’Esculapio (Elaphe longissima);
la biscia dal collare (Natrix natrix), quest’ultima presente in
ogni ruscello e fontanile, e la vipera (Vipera aspis).
Il cervone è invece specie sempre più rara, come d’altronde
in tutto il Lazio; la biscia tassellata (Natrix tessellata) è
sporadicamente presente in alcuni torrenti con acque più profonde
e durature; mentre le due coronelle (Coronella austriaca, C. girondica),
essendo specie soprattutto crepuscolari e notturne, vengono osservate
di rado, ma sono comunque presenti in ristrettissime aree all’interno
della ZPS.
In definitiva su
31 specie di anfibi e rettili noti per il Lazio, in questa area sono
presenti 26 specie. Mentre nell’intero conmprensorio tolfetano
sono presenti 27 specie. La differenza fra l’area del ZPS e quelle
bioclimaticamente più temperate è determinata più
che altro dalla consistenza numerica delle popolazioni di alcune specie,
più cospicua nella fascia temperata.
Nell’area meridionale (ZPS), nonostante l’accentuata xericità
ambientale, due specie indicano comunque una influenza appenninica,
seppure meno marcata che all’interno, e riscontrabile nelle vallette
fresche e nei boschi mesofili: Rana italica e Anguis fragilis.
Tutte le specie dell’erpetofauna laziale, con eccezione della
rana verde e della Vipera aspis sono protette dalla legge regionale
18/1988.
4.2.4 CHECKLIST
DELL’ERPETOFAUNA PRESENTE NELLA ZONA A PROTEZIONE SPECIALE “COMPRENSORIO
MERIDIONALE MONTI DELLA TOLFA”
* Specie di interesse
comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali
di conservazione, secondo l’All. II, Direttiva Habitat 92/43 (prioritarie)
** Specie che necessitano di una protezione rigorosa secondo l’All.
IV, Direttiva Habitat 92/43
+ Specie presenti nella Lista Rossa degli Animali d’Italia (EN,
specie in pericolo; LR, specie a più basso rischio; DD, specie
con carenza di informazioni).
? Presenza incerta
Specie |
Corologia |
Specie |
Corologia |
Salamandrina
terdigitata * +LR |
Endemismo
appenninico |
Testudo
hermanni * +EN |
Mediterraneo-centrosettentrionale-
balcanico |
Triturus
vulgaris +DD |
Euroanatolico-caucasico |
Chalcides
chalcides |
Mediterraneo
occidentale |
Bufo
bufo |
Eurocentrasiatico-maghrebino |
Anguis
fragilis |
Euroanatolico-caucasico |
Bufo
viridis |
Asiatico-europeo |
Coluber
viridiflavus ** |
Ovest-europeo |
Bombina
variegata * +DD ? |
Mediosudeuopeo |
Elaphe
longissima |
Mediosudeuropeo-anatolico-caucasico |
Hyla
intermedia +DD |
Endemismoitaliano
settentrionale-peninsulare e siciliano |
Elaphe
quatuorlineata*
+LR
|
Appenninico-balcanico-anatolico-caucasico |
Rana
bergeri-R. kl.hispanica |
Italia
peninsulare, Isola d’Elba, Corsica, Sicilia |
Natrix
natrix |
Eurocentrasiatico-maghrebino |
Rana
dalmatina ? |
Mediosudeuropea,
assente nelle isole ad eccezione della Sicilia |
Natrix
tessellata ** |
Europeo
orientale e ovestt-asiatico |
Rana
italica ** +LR |
EndemismoItalia
peninsulare |
Coronella
austriaca ** |
Europeoanatolico-caucasico |
Emys
orbicularis * ? |
Mediosudeuropeo-maghrebino-anatolico-caucasica |
Coronella
girondica +LR |
Sudeuropeo-occidentale |
Tarentola
mauritanica |
Olomediterraneo-macaronesico |
Vipera
aspis |
Ovest-europeo |
Hemidactylus
turcicus |
Medionordafricano-olomediterraneo-indiano |
|
|
Lacerta
viridis ** |
Mediosudeuropeo-anatolico |
|
|
Podarcis
muralis ** |
Mediosudeuropeo-anoatolico |
|
|
Podarcis
sicula ** |
Circumtirrenico-appenninico-dinarico |
|
|
4.2.5 SPECIE
DI IMPORTANZA COMUNITARIA
Di seguito vengono
riportate le schede di approfondimento sulle specie di importanza comunitaria
inserite nell'Allegato II della direttiva 92/43/CEE, presenti nella
ZPS in studio.
Salamandrina
dagli occhiali Salamandrina terdigitata (Lacépède
1788)
Classe:
Amphibia. Ordine: Caudata. Famiglia:
Salamandridae. Genere monotipico.
Corotipo: endemismo appenninico
Distribuzione in Italia: presente prevalentemente sul
versante tirrenico.
Fenologia ed ecologia: frequenta boschi umidi e zone
aperte, ma al di fuori del periodo riproduttivo (marzo-aprile) è
osservabile solo in giornate piovose o di notte. Trascorre i periodi
di svernamento ed estivazione sotto terra fino a profondità di
oltre un metro, o in grotte, da 200 m di altitudine fino ad oltre 1300
m. Depone le uova singolarmente sotto pietre ed altri oggetti sommersi,
attaccandole con un peduncolo, in pozze e piccoli ruscelli con corrente
debole ma acqua limpida e fresca.
Distribuzione e consistenza nel Lazio: presente in
tutte le province e nei principali rilievi della regione. Non è
più confermata la sua presenza per i Colli Albani e per la tenuta
di Castelporziano. È presente anche in alcune località
planiziali nei dintorni di Roma. Ampiamente distribuita, anche se localizzata.
Le principali minacce sono costituite dalle modificazioni agli ambienti
di ovodeposizione, dall’inquinamento delle acque di ruscelli e
torrenti.
Distribuzione e consistenza delle popolazioni locali:
la salamandrina è presente in due sole località nell’ambito
della ZPS, ma le osservazioni risalgono a molti anni fa. I due siti
apparentemente non sono stati modificati dall’uomo, ma potrebbero
comunque essere stati introdotti degli inquinanti nel Fosso Caldano,
il sito più vicino ad aree antropizzate.
Ululone a ventre giallo Bombina variegata (Linnaeus,
1758)
Classe:
Amphibia. Ordine: Salienta. Famiglia:
Discoglossidae.
Corotipo: specie medio-sudeuropea, mancante nella Penisola
Iberica e nelle isole mediterranee.
Distribuzione in Italia: la sottospecie variegata è
propria dell’Italia a nord del Po, mentre la pachypus dell’Italia
peninsulare, dalla Liguria alla Calabria. Alcuni autori considerano
la pachypus come specie distinta.
Fenologia ed ecologia: il periodo di attività
va da marzo a novembre, con picco primaverile in maggio. Prevalentemente
diurna. Lo sviluppo larvale si può completare in circa 30 giorni.
Gli individui giovani e quelli appena metamorfosati vengono raramente
osservati in acqua. Frequenta soprattutto habitat acquatici di piccole
dimensioni: pozze nei pressi di fontanili, noché ruscelli secondari,
al margine di boschi di latifoglie, posti fra 20 m e 1650 m s.l.m.
Distribuzione e consistenza nel Lazio: distribuzione
discontinua, concentrata soprattutto in ambiti collinari e montani.
Molte delle segnalazioni effettuate nel passato non sono più
state confermate (Capocotta e Castelporziano, Tolfa stessa).
Distribuzione e consistenza delle popolazioni locali:
le uniche segnalazioni di ululone sui Monti della Tolfa risalgono a
circa 12 anni fa ed erano limitate all’area del bacino idrografico
del Rio Fiume (Valle del fosso del Chiavaccio e nei pressi di Monteianni).
Da allora non sono più state confermate.
Testuggine
d’acqua Emys orbicularis (Linnaeus, 1758)
Classe:
Reptilia. Ordine: Testudines. Famiglia:
Emydidae
Corotipo: Entità mediosudeuropeo-maghrebino-anatolico-caucasica.
Distribuzione in Italia: Diffusa in tutta Italia ma
più frequente nelle regioni adriatiche settentrionali, padane,
tirreniche centrali, Sardegna settentrionale, Corsica e Sicilia.
Fenologia ed ecologia: Nel Lazio la specie può
essere attiva durante tutto l’anno. In aree più elevate
le testuggini possono svernare per alcuni mesi. In estati particolarmente
aride esse possono trasferirsi in stagni che ancora conservino acqua,
oppure possono estivare nel suolo o sotto ripari naturali. L’attività
riproduttiva si manifesta più comunemente tra marzo e aprile.
Distribuzione e consistenza nel Lazio: La specie occipa
quasi il 20% del territorio, soprattutto nelle aree costiere, ma anche
nell’interno, e in particolare nelle province di roma, viterbo
e Latina.
Distribuzione e consistenza delle popolazioni locali:
L’unico dato certo per l’area della ZPS risale al 1982 e
riguarda la località Colle di Mezzo. È molto probabile
che la specie sia però più diffusa anche nell’ambito
del comprensorio meridionale Monti della Tolfa.
Testuggine
di Hermann Testudo hermanni Gmelin, 1789
Classe:
Reptilia. Ordine: Testudines. Famiglia:
Testudinidae.
Corotipo: Entità mediterranea centro settentrionale-balcanica.
Distribuzione in Italia: In Italia vive la sottospecie
T.h. robermertensi Wermuth 1952. Attualmente la sua distribuzione è
limitata alle seguenti regioni (ma con areale discontinuo e con popolazioni
di dubbio indigenato): Toscana, Lazio, Campania, Molise, Basilicata,
Calabria, Puglia, Sicilia, Sardegna (Bologna et al. 2000). La specie
è stata citata anche per alcune piccole isole in cui sono stati
raccolti individui di origine incerta.
Fenologia ed ecologia: La specie è attiva da
marzo a ottobre. La maturità sessuale viene raggiunta a circa
nove anni per i maschi e undici per le femmine; il numero di uova deposte
varia da 1 a 6 per covata, e generalmente si osservano due covate l’anno.
I piccoli nascono dopo due mesi o più, a seconda della temperatura
ambientale: la determinazione del sesso è di tipo termico (50%
di maschi e femmine a 29-30°C). La specie nel Lazio è osservata
soprattutto in habitat costieri e subcostieri dal livello del mare fino
a circa 600 m, coperti da macchia mediterranea, cespuglieti, impianti
di pinete, bosco deciduo e coltivi abbandonati. Distribuzione
e consistenza nel Lazio: le maggiori popolazioni di testuggine
di Hermann sono ospitate nel Lazio e in Toscana, grazie alla presenza
di alcune aree protette. La specie è comunque presente in tutte
le province con esclusione di quella di Rieti. Molti reperti sono però
relativi ad individui abbandonati dopo l’entrata in vigore della
legge regionale 150/92.
Distribuzione e consistenza delle popolazioni locali:
le uniche popolazioni sicuramente naturali rinvenute alle massime quote
sono proprio quelli dei Monti della Tolfa. La specie è piuttosto
diffusa nella ZPS e nell’intero territorio tolfetano-cerite.
Cervone
Elaphe quatuorlineata (Lacépède, 1789)
Classe:
Reptilia. Ordine: Squamata. Famiglia:
Colubridae.
Corotipo: Entità appenninico-balcanico-anatolico-caucasica..
Distribuzione in Italia: Italia peninsulare a sud del
fiume Arno, ma citata anche in alcune località dell’Italia
settentrionale.
Fenologia ed ecologia: La specie è attiva da
aprile a settembre in ore diurne, nelle località di pianura.
Fra giugno e luglio si può esporre al sole nelle ore centrali
della giornata. In piena estate vive nascosta, esponendosi al sole solo
nelle ore meno calde. Negli ambienti mediterranei l’accoppiamento
si attua dalla fine di aprile a metà giugno e la deposizione
delle 8-18 uova nella seconda o terza decade di luglio, mentre la schiusa
a settembre. Abita boschi e boscaglie sempreverdi e decidui, in cui
preferisce le radure e gli ambienti ecotonali. Si rifugia nel cavo degli
alberi e nei tronchi abbattuti; ma si ritrova nche in ambienti limitrofi,
come arbusteti e prati con alte erbe, soprattutto se costellati di casali,
ruderi e vecchi muri. La si osserva anche in ambienti ripariali lungo
fossi, canali e fiumi circondati da boschi. Si nutre prevalentemente
di uccelli, dal cui numero dipende strettamente. Si spinge dal livello
del mare fino a 1500 m, ma in genere non supera i 900-1000 m ed è
più frequente negli ambienti mediterranei, essendo specie termoxerofila.
Distribuzione e consistenza nel Lazio: distribuita
su tutto il territorio della regione. Il cervone risente molto del disboscamento
e del taglio di alberi e siepi. Tali interventi confinano la specie
in aree boschive ridotte ed isolate, frammentando così le popolazioni.
Distribuzione e consistenza delle popolazioni locali:
il territorio della ZPS e quello in generale del comprensorio tolfetano-cerite
sarebbero particolarmente adatti a questa specie, data la scarsa influenza
dell’uomo e la vastità dei boschi, seppure sottoposti a
turni di ceduazione, nonchè alla presenza di una ricca avifauna.
Purtroppo però negli ultimi anni le osservazioni di questo serpente
si sono ridotte notevolmente.
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