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Studio su Tolfa di Paolo Macedone
 

3. FLORA E VEGETAZIONE


CARATTERI GENERALI

Negli ultimi decenni numerosi botanici si sono interessati a questo territorio, non tanto per i suoi elementi floristici, quanto per le fitocenosi estremamente variabili. Queste peculiari caratteristiche unitamente alla presenza di ancora estesi lembi di superfici boscate, ne hanno fatto un terreno adatto allo studio delle problematiche inerenti alla vegetazione appenninica.
Il territorio tolfetano è stato soggetto per molti secoli ad una costante ma moderata pressione antropica (sfruttamento agricolo, forestale, minerario), cui è seguito un ritorno ad una attività produttiva più primitiva, la silvo-pastorizia, permettendo cosi la sopravvivenza di lembi di vegetazione primitiva all'interno di una vegetazione singolarmente modificata dall'uomo (è il caso ad esempio delle cenosi ripariali).
La presenza di fasce microclimatiche conferisce a questo territorio una notevole variabilità ambientale: la conformazione ad acrocoro del complesso tolfetano e l'andamento parallelo alla costa, riscontrabile in alcuni contrafforti, insieme alle discrete altezze raggiunte già a breve distanza dal mare, permettono una seriazione altitudinale quasi completa delle foreste appenniniche, dalla vegetazione mediterranea sclerofilla del piano basale, alle faggete del piano montano.
Si verificano inoltre tipiche inversioni del clima, ovvero condizioni più fredde e/o più umide in valloni a basse altitudini, dovute alla complessa orografia ed alla tormentata morfologia di alcuni settori, e viceversa condizioni di clima più caldo e secco sulle cime, con l'instaurarsi cosi di faggete ripariali lungo i corsi d'acqua di fondovalle e di vegetazione sclerofilla nelle zone più alte. Assieme alla presenza di specie rare o poco frequenti allo stato spontaneo nel resto della Penisola, come le cerrete a farnetto, la vegetazione ripariale a Osmunda regalis, ecc., si hanno qui anche stazioni con caratteristiche di rifugio per alcuna specie o per forme di vegetazione termofila: fenomeno dovuto all'aspra morfologia e ai sistemi di rupi su cui si è rifugiata appunto una flora caratteristica di epoche più calde e/o più caldo-aride dell'attuale. Prevalgono in generale specie a carattere Centro-Sudeuropeo: da una parte il contingente orientale che predomina fra le entità submediterranee, dall'altra quello occidentale subatlantico fra le specie del settore mediterraneo.
Come afferma Spada (1977), qui “sono rimasti impigliati i frammenti delle varie cenosi e fascie di vegetazione nelle loro incessanti trasgressioni e regressioni nel corso delle ultime vicende storico-climatiche.” Continua Spada: “Il principale motivo di interesse va a mio avviso ricercato non tanto nella sua componente floristica, invariata rispetto a quella riscontrabile in tante altre regioni dell’Italia mediterranea, quanto nell’esistenza di un più che mai accentuato smistamento, nell’ambito di questa vegetazione, delle singole specie costitutive”.
L’area della ZPS è fondamentalmente compresa nella fascia bioclimatica più mediterranea. In questa individuiamo un settore di vegetazione mediterranea vera e propria, la foresta a Quercus cerris e i prato-pascoli cespugliati. All’interno di queste formazioni, la vegetazione ripariale.

3.1 LA VEGETAZIONE MEDITERRANEA

Le cenosi mediterranee caratterizzano gran parte dei rilievi paralleli al litorale, potendosi distinguere due principali settori in cui esse assumono diverse modalità di distribuzione.
Il primo, più esterno, in cui esse dominano il paesaggio vegetale, si estende praticamente ininterrotto dai confini NW (Maremma) a quelli SE (Ceriti) del comprensorio, includendendvi dunque gran parte della ZPS, nella sua fascia più adiacente alla costa.
Nel secondo settore, parallelo al primo e disposto più internamente, la vegetazione sempreverde è ridotta in estensione ed isolata all'interno della foresta decidua.
Nella vegetazione litoranea predomina un consorzio vegetale con fisionomia di "macchia" (dovuta a turni di ceduazione ravvicinati e al pascolo, anche all'interno della compagine vegertale), con Phyllirea latifolia, Pistacia lentiscus, Myrtus communis (in alcuni casi presente in forma di boschetti nani) e, in minor quantità, Quercus ilex, Arbutus unedo e Erica arborea, consorzi fitosociologicamente attribuibili al Quercion ilicis Br.-Bl. 1931. Abbastanza spesso però, laddove i turni di ceduazione sono stati effettuati in tempi meno ravvicinati, si ritrova una formazione con aspetto di piccola foresta di fillirea (ad esempio nell’area del Monte Fagiolano). D’altra parte, in zone maggiormente esposte, si presenta una fascia più termofila, forse relitto di un orizzonte differenziato nell’ambito del Quercion ilicis. Si tratta di associazioni in cui predominano il mirto e il lentisco accompagnati da Olea, Calycotome spinosa, Daphne gnidium. Spada (1977) avanza un’ipotesi verosimile sulla presenza di Olea, qui in condizioni di autoctonia. Popolazioni su cui le pratiche colturali hanno operato verso una trasformazione in oliveto domestico (Poggio Uliveto, Poggio Finocchiaro, Monte Chiavaccio, ad esempio).
Procedendo verso l’interno, la vegetazione mediterranea mostra una complessità crescente: la foresta a Quercus ilex si evidenzia più chairamente ed in modo esteso, mentre nelle zone più esposte si riscontrano cenosi a Quercus suber (più abbondante nella parte centrale del territorio, al di fuori della ZPS, proprio alle falde dell’abitato di Tolfa, in esposizione meridionale, adiacente alla faggeta appenninica di Allumiere ed ai castagneti), di nuovo Arbutus unedo ed Erica arborea, nonché Cistus salvifolius, C. monspeliensis. Spesso si ritrovano boscaglie a fillirea anche in assenza di leccio: quest’ultimo sembrerebbe essere qui una sorta di pioniere nei confronti di una vegetazione originaria a fillirea dominante, che ancora riesce a mantenere, o a ricostituire in alcune aree, una configurazione originaria, o per degradazione della lecceta, oppure costituendo il sottobosco in altre cenosi, diffondendosi nel territorio indipendentemente dalla specie arborea dominante in un dato luogo.
La documentazione del fatto che le varie fascie di vegetazione mediterranea abbiano valore di cenosi a sé stanti, e non siano il prodotto di ripetute ed intense manomissioni antropiche, è evidenziata dall’assetto della vegetazione sempreverde nelle aree più interne, in cui queste fascie si ripropongono in una miriade di stazioni isolate. Fillirea ed alaterno, assieme talvolta al leccio, ad esempio, assumono comportamento ripariale nell’ambito di foreste decidue, in piccole valli più fresche (Fosso del Lascone). Sembrerebbe che la boscaglia sempreverde del settore più esterno sia un prodotto della confluenza di differenti cenosi sotto la spinta del fattore termico preponderante sufgli altri fattori ecologici.


3.2 LA FORESTA A QUERCUS CERRIS


Alla macchia foresta sempreverde si contrappone in modo massiccio la foresta decidua che qui è per la massima parte rappresentata dalla cerreta. Questa è presente come formazione continua su vaste aree, includendo ancora boschi di interesse paesaggistico e scientifico, nonostante l'intenso uso cui è soggetta.
Anch'essa è presente in due facies climatiche, di tipo mesofilo e termofilo. Quest'ultima è la più diffusa, soprattutto nell’ambito della ZPS in questione, e presenta un particolare interesse nella valle del Rio Fiume dove, accanto a Quercus cerris, troviamo Acer monspessulanum, Cercis siliquastrum, Fraxinus ornus ed anche Quercus ilex. Questa fitocenosi rientrerebbe nell'ordine delle Orno-Cotinetalia Jakucs 1961.
Le facies più mesofile invece sono riscontrabili nei fondo-valle più umidi: assieme a Q. cerris sono qui presenti Carpinus orientalis e, nei fondovalle, Carpinus betulus e Ostrya carpinifolia che, dal punto di vista fitosociologico, rientrano nell'ordine delle Carpinetalia.
Si evidenzia così in queste due facies, come peraltro in tutta la vegetazione del più ampio territorio tolfetano, il fenomeno dell' "orientalità": specie come il Cercis siliquastrum e le due del gen. Carpinus conferiscono a questa zona il significato fitogeografico di vera e propria "isola balcanica" (Montelucci, 1980). A proposito dell’orientalità della vegetazione tolfetana, Spada (1977) sottolinea come la zona più interessante dal punto di vista fitogeografico – anche in senso assoluto – è il settore compreso fra Monte Chiavaccio, Monteianni e Monte Grande, nell’ambito della valle del Rio Fiume. Qui si sviluppa una cenosi (considerata stabile) in relazione a stadi di ricostituzione della cerreta in ambiente sottoposto a forte diffusione di elementi mediterranei: questa cenosi comprende, nello strato arboreo, un’elevata presenza di Cercis, Acer monspessulanum, più raramente Quercus pubescens, e molti esemplari maturi di Paliurus spina-christi nelle zone aperte: questa cenosi è diffusa sui due versanti della valle del Rio Fiume e, in particolare, sulle pendici nordoccidentali di Monte Grande e su quelle meridionali del Monte Acqua Tosta. Questa zona corrisponde tra l’altro all’area di distribuzione più massiccia di Cercis.
In questo ristretto territorio, tutto compreso nella ZPS, si osserva dunque una cosiddetta “serie orientale” completa, da cenosi termofile fino a cenosi chiaramente mesofile.
D'altra parte il Quercus pubescens, non è molto diffuso nel comprensorio, venendo più che altro a caratterizzare le cerre¬te sui versanti meridionali dei rilievi od occupando le stazioni più esposte. Localmente la roverella, in modo frammentario, costituisce una fascia interposta fra la cerreta e la lecceta: Per lo più si tratta di individui o gruppi di individui isolati posti fra la foresta decidua e quella sempreverde: probabilmente essi rappresentano un tipo di cenosi forestale secondaria costituitasi in seguito alla degradazione della lecceta. Si osservano spesso individui colossali di roverella, isolati ai margini della foresta. Da citare la presenza, sporadica, di Viscum album e di Loranthus europaeus (raro nella Penisola) su randi individui isolati di roverella e di cerro (Valle del Fosso Chiavaccio).

3.3 LA VEGETAZIONE RIPARIALE

Il reticolo idrografico nell’area in esame è piuttosto complesso ed ospita comunità ripariali interessanti, anche se impoverite dal punto di vista floristico, che comprendono anche relitti di cenosi nel passato più ampiamente diffuse.
Ancora Spada (1977) riconosce i resti di due forme di questo tipo di vegetazione. Uno più termofilo caratterizzato da Fraxinus oxycarpa, Vitis vinifera e soprattutto Tamarix africana, è distribuito in modo frammentario lungo il corso del Rio Fiume e del Fosso del Marangone, dove si connette con le formazioni a Cercis e Acer monspessulanum.
Più diffuso, ma più impoverito del primo tipo, è la cenosi a Salix spp., Alnus glutinosa, Populus spp. e Ulmus, più mesofila della precedente. Tipica dei corsi d’acqua all’interno della distribuzione della foresta decidua, si è impoverita in seguito all’antropizzazione, perdendo soprattutto le costituenti più tipiche (Alnus, Salix, Populus) e riducendosi talvolta a popolamenti monospecifici di Ulmus campestris. Questa cenosi, all’interno dell’area in esame, mantiene la sua originale complessità solo lungo il Rio Fiume in località “I Cioccati” (corso medio); ma si ritrova anche nel corso del Fosso di Freddara. L’olmo non solo ha conquistato buona parte della foresta di fondovalle, ma anche molte radure e pascoli sfruttati dal bestiame, fino al margine del querceto deciduo (La Tolfaccia).
Negli alvei più ristretti ed infossati (Fosso del Lascone, ad esempio) è diffusa la presenza di Laurus nobilis. In questi ambiti si creano condizioni microclimatiche con scarsissime escursioni termiche e di umidità, sia nel suolo sia nell’atmosfera, che permettono a questa specie di perdurare. Laurus si ritrova però anche, assieme a Ostrya carpinifolia e Carpinus betulus, sulle pendici settentrionali di Monte Grande; oppure accompagnato ai resti di una vegetazione sempreverde all’interno del querceto deciduo (Fosso del Vallone, Monte S.Ansino versante nord).

3.4 I PRATO-PASCOLI CESPUGLIATI

L’utilizzazione a pascolo di vasti territori ha indotto lo sviluppo di stadi giovanili della successione, con varie forme di vegetazione di sostituzione, in cui dominano le legumino¬se erbacee e numerose composite. Spesso poi l'abbandono dei pascoli (fattore storico-economico che ha caratterizzato gli ultimi decenni nell’area tolfetana) ha portato dapprima ad una sostituzione della foresta con il prato arborato e poi ad una evoluzione di questa vegetazione verso cenosi sempre più vicine alla foresta.
Si ritrovano popolamenti discontinui a Spartium junceum, boscaglie molto rade a Pyrus pyraster, cespuglieti a Paliurus spina-christi (tra cui il denso popolamento in località I Cioccati, sulla sinistra idrografica del Rio Fiume, in una zona a pronunciata orientalità, caratterizzata da una particolare densità di Cercis). I popolamenti a Pyrus e a Spartium colonizzano sia i pascoli ottenuti dalla distruzione della foresta mediterranea, sia alcune aspetti marginali della foresta decidua submediterranea. I popolamenti a Pyrus vengono talvolta convertiti dagli agricoltori in frutteti, avvalorando in questo modo le considerazioni precedentemente fatte a proposito di Olea.
Si ritrovano inoltre cespuglieti mediter¬ranei costituiti da Cistus monspeliensis legato a Pistacia lentiscus alle falde del Monte Fagiolano; o ancora forme di degradazione di cerrete, con Rubus sp., Prunus spinosa, Crataegus spp. e Pyrus pyraster. Dal punto di vista fitosociologico i pascoli rientrano nei Thero-Brachipodetalia o, nel caso di situazioni xeriche, ai Brometalia (brometi e xerobrometi). Caratteristici i popolamenti a Cynara ed altri cardi su suoli ad elevato tenore di azoto, da sovrapascolamento: essi creano alternanza con le specie pascolabili, data la loro spinosità che induce un allentamento della pressione di pascolo per determinati periodi. Questi popolamenti si ritrovano su tutta la superficie a pascolo fra Civitavecchia e Cerveteri (particolarmente nell’area di Prato Cipolloso e della valle del Marangone).
Sui prati meno pascolati e nelle radure fra i boschi e i cespuglieti si osservano molto spesso ampie fioriture di orchidacee. In particolare di Orchis morio, Orchis papilionacea, Orchis laxiflora (prati umidi), Orchis provincialis, Orchis purpurea, Dactylorrhiza romana, Ophrys sphegodes; tutte specie non comuni, ma comunque sempre assai localizzate e spesso minacciate.
Le conclusioni cui perviene Spada (1977) possono essere riassunte come segue:

• L’esistenza di testimonianze di una seriazione o della presenza di più fitocenosi nell’ambito della vegetazione mediterranea.
• La vegetazione fornisce spesso più risposte alla stessa condizione ambientale.
• L’esistenza di una vegetazione submediterranea a carattere decisamente orientale, accanto ad una di impronta occidentale.

3.5 ELENCO PRELIMINARE DELLE ASSOCIAZIONI VEGETALI PRESENTI NELLA “ZPS COMPRENSORIOMERIDIONALE MONTI DELLA TOLFA”, ELABORATO DALLA SOCIETÀ BOTANICA ITALIANA

Asplenio-Quercetum ilicis (Br.-BI. 1936) Riv. Mart. 1975

Carici remotae-Fraxinetum oxycarpae Pedrotti 1970 corr. Pedrotti1992

Cercidi-Aceretum monspessulani Lucchese e Pignatti 1998

Circaeo lutetianae-Alnetum glutinosae Blasi e Frondoni 1998

Cynaro-Cichorietum pumili Lucchese e Pignatti 1990

Cytiso-Quercetum suberis Testi, Lucattini e Pignatti 1994

Dorycnio hirsuti-Brachypodietum phoenicoidis Ferro e Lucchese 1995

Erico arboreae-Arbutetum unedonis Allier et Lacoste 1980
.
Erico-Lavanduletum stoechidis Pignatti E. e Pignatti S. 1968

Erico-Quercetum cerridis Arrigoni et al. 1990

Festuco-Brometalia*

Ilici-Quercetum petraeae Brullo 1983

Lauro-Carpinetum betuli Lucchese e Pignatti 1991

Lonicero etruscae-Rosetum sempervirentis Cutini et al. 1996

Myrto-Lentiscetum (Bolòs 1962) Riv. Mart. 1975

Orno-Quercetum iiicis Horvatic (1956) 1958

Roso sempervirentis-Rubetum ulmifolii Blasi, Di Pietro e Fortini 2000

Rubio-Quercetum cerridis (Pignatti E. e S. 1998) Bas Pedroliefa/. 1988

Trìfolio scabri-Hypochoeridetum achyrophori Lapraz ex Biondi et al. 1997

Viburno-Quercetum ilicis (Br.-BI. 1936) Rivas-Martinez 1975

Vulpio ligusticae-Dasypyretum villosi Fanelli 1998

4. POPOLAMENTO ANIMALE

Seppure la ZPS in questione sia solo una parte (circa un settimo) della superficie totale del comprensorio tolfetano-cerite in senso lato, si tratta pur sempre di un territorio molto vasto ed articolato, in cui lo studio del popolamento animale non è dunque di semplice attuazione.
Il quaderno dell’Accademia dei Lincei pubblicato nel 1983 colmò solo in parte quella lacuna, così evidente nel precedente studio del 1977, riguardante l’entomofauna e la fauna di invertebrati in generale. Dalla bibliografia si evince come siano i vertebrati, con alcune eccezioni, il gruppo meglio indagato, ed in particolare gli uccelli, tra i quali d’altronde vi sono diverse specie ritenute di importanza comunitaria. Contoli, Lombardi e Spada (1980) tracciarono anche una linea guida per un approccio di tipo ecologico alla conoscenza della fauna del comprensorio, tenendo conto di “paesaggi faunistici”, come li definiscono gli Autori, e zoocenosi. Interessante metodo che può aiutare a stabilire delle priorità nella gestione di un tale complesso territorio.
In questa sede tratteremo dei gruppi meglio studiati, con particolare riferimento all’area oggetto della ZPS che, come detto, ha un carattere più spiccatamente mediterraneo. La bibliografia utilizzata è in gran parte quella ormai “classica”, con l’aggiunta di alcune nuove indagine, non pubblicate, su gruppi finora meno indagati - almeno nell’area del sito – (coleotteri carabidi, ittiofauna) e con aggiornamenti su altri gruppi ai quali è stato rivolto particolare interesse negli ultimi anni (avifauna, mammiferi).

4.1 ITTIOFAUNA

4.1.1 INTRODUZIONE

Le informazioni disponibili sull’ittiofauna provengono dall’analisi della bibliografia sulla presenza e distribuzione delle specie ittiche all’interno della ZPS “Comprensorio meridionale Monti della Tolfa”, lungo i suoi principali corsi d’acqua. Questo ha permesso di costruire un primo quadro di riferimento conoscitivo su questo gruppo faunistico che purtroppo in precedenza era alquanto insufficiente.
Infatti nell’area in oggetto non sono stati svolti studi recenti su questo taxon ad eccezione di quello effettuato dal Centro di Documentazione Regionale (Regione Lazio) negli anni 1999–2000. L’obiettivo del presente studio è stato quindi quello di definire una prima analisi dello stato attuale della fauna ittica del Comprensorio meridionale Monti della Tolfa rimandando a successive indagini di settore le ulteriori e necessarie raccolte di informazioni.
Nello specifico si è tentato di raggiungere i seguenti risultati:
• compilare una prima check list aggiornata delle specie presenti;
• definire la distribuzione delle diverse specie all’interno dei corsi d’acqua;
• evidenziare la presenza di eventuali specie di interesse zoologico;
• individuare i fattori di minaccia e le misure necessarie alla conservazione di questo gruppo animale.

4.1.2 AREA DI STUDIO

L’area di studio comprende il bacino idrografico del Rio Fiume con i suoi principali affluenti: Fosso del Chiavaccio, Fosso di Monte Ianni, Fosso del Vallone e Fosso del Lascone. Inoltre, il Fosso Marangone ed il Fosso Freddara, che rientrano nell’area di studio ma hanno due bacini idrografici distinti da quello del Rio Fiume.
Tutti i corsi d’acqua presi in esame presentano un regime idrologico a carattere torrentizio, con dei periodi di magra estiva anche molto pronunciati che quasi regolarmente provocano in questa stagione la discontinuità nello scorrimento idrico superficiale.
I campionamenti ittici sono stati effettuati previa autorizzazione da parte delle competenti autorità della Regione Lazio, mediante l’uso di retini a differente maglia.
Nel paragrafo successivo vengono descritte le specie rilevate. Per ognuna è stata preparata una scheda biologico-conoscitiva, in cui viene descritta la situazione attuale della specie, esaminata in termini di corologia e di conservazione. Per quanto riguarda l’areale italiano viene riportato quello riportato da Tortonese (1970,1975) e da Gandolfi et al.(1991) mentre per quello regionale si è fatto riferimento a Bianco (1989).

4.1.3 DISTRIBUZIONE E STATUS DELLE SPECIE

Nel territorio della ZPS sono state rilevate 4 specie ittiche, da considerare autoctone:

Nome della specie Corso d’acqua
Anguilla Anguilla Anguilla Linnaeus, 1758 Rio Fiume, Fosso Marangone, Fosso del Chiavaccio
Cavedano Leuciscus cephalus (Linneaeus, 1758) Rio Fiume, Fosso del Vallone, Fosso del Lascone
Vairone Leuciscus souffia Risso, 1826 * +LR Rio Fiume, Fosso di Monte Ianni, Fosso del Lascone, Fosso del Chiavaccio
Barbo comune Barbus plebejus (Bonaparte, 1839) * +LR Rio Fiume, Fosso di Monte Ianni, Fosso del Lascone, Fosso del Chiavaccio, Fosso del Vallone
Lampreda di ruscello Lampetra planeri (Bloch, 1784)* +EN Fosso di Monteianni

* Specie di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione, secondo l’All. II, Direttiva Habitat 92/43
+ Specie presenti nella Lista Rossa degli Animali d’Italia ( LR, specie a più basso rischio; EN, specie in pericolo)

4.1.4 SPECIE DI IMPORTANZA COMUNITARIA

Anguilla Anguilla Anguilla Linnaeus, 1758
Corologia: L’Anguilla europea è frequente in tutte le acque interne italiane.
Biologia ed ecologia: Specie catadroma, svolge la fase riproduttiva e una lunga fase larvale in mare e le giovani anguille (cieche) non ancora pigmentate entrano nelle acque interne per svolgere la fase trofica. Il popolamento dei nostri bacini idrografici avviene da parte di individui provenienti dall’area di riproduzione situata nel Mar dei Sargassi. L’afflusso di anguille nelle acque interne italiane interessa maggiormente il versante tirrenico e le isole, mentre di minor rilievo quello ionico ed adriatico.
Distribuzione nell’area di studio: la specie è stata rilevata in due corsi d’acqua dell’area di studio, ma è probabilmente presente in tutti in tutti gli ambienti reici del comprensorio, con particolare riferimento al loro basso corso.
Conservazione: Recentemente la specie sta subendo una progressiva rarefazione in tutta l’Italia imputabile alle seguenti cause: 1) intensa attività di pesca e di allevamento sia in condizioni estensive che intensive;2) eccessivo prelievo di cieche alle foci dei fiumi, in particolare negli estuari tirrenici durante la loro fase di risalita nelle acque interne;3) presenza di ostacoli spesso insormontabili (dighe, sbarramenti, briglie ecc.) che ne impediscono la risalita e la diffusione nelle acque interne.
E’ quest’ultimo fattore la principale minaccia per questa specie nei corsi d’acqua esaminati; sono stati infatti evidenziati fattori quali la cementificazione degli alvei, verso le foci, e alcuni sbarramenti che ne impediscono o comunque ne limitano la risalita.
Inoltre, la specie è molto utilizzata nelle semine e nei ripopolamenti, per cui è difficile rilevare il carattere autoctono negli esemplari rinvenuti.

Cavedano Leuciscus cephalus (Linneaeus, 1758)
Corologia: L. cephalus è una specie endemica dell’area Paleartica, ampiamente diffuso in Europa; in Italia la sua distribuzione arriva alla congiungente Crati-Savuto in Calabria (Bianco & Recchia, 1983). La distribuzione originale, ed in particolare i limiti meridionali, sono stati alterati dalle immissioni. Nel Lazio è presente in tutti i principali bacini idrografici e lagustri (Bianco, 1989).
La variabilità dei caratteri morfologici e meristici delle popolazioni italiane è consistente, ma sembra rientrare in normali situazioni di variabilità intraspecifica.
Biologia ed ecologia: Il Cavedano è un pesce molto resistente che, nonostante la preferenza per le acque limpide e a fondo ghiaioso, grazie alla spiccata capacità di adattamento occupa una grossa quantità di ambienti. E' presente nella maggior parte dei nostri laghi; lungo il corso di un fiume lo si può trovare dalla foce fino alla zona dei salmonidi, anche se l'area preferita è quella del tratto medio, dove si trova associato al Barbo.
Il periodo della riproduzione è compreso tra la seconda metà di maggio e tutto giugno, ma può prolungarsi in relazione alle condizioni termiche dell'ambiente. Le uova vengono deposte per lo più in acque basse su fondali ghiaiosi.
Distribuzione nell’area di studio: la specie è stata rilevata in tre corsi d’acqua dell’area di studio ed è probabilmente presente in tutti in tutti gli ambienti reici del comprensorio. Una discreta presenza è stata rilevata lungo il Rio Fiume nel medio ed alto corso.
Conservazione: il Cavedano è una tra le specie ittiche più resistenti all'inquinamento, pertanto non sembra risentire eccessivamente nelle situazioni di elevato inquinamento organico.

Vairone Leuciscus souffia Risso, 1826
Corologia: specie indigena in Italia, con una distribuzione limitata, nel settore meridionale, al Molise.
Biologia ed ecologia: E’ un ciprinide reofilo caratteristico del tratto medio-superiore dei corsi d’acqua. Ampiamente diffuso in Italia settentrionale e peninsulare. Ha abitudini gregarie e preferisce acque fresche e ben ossigenate. Si ciba prevalentemente di piccoli invertebrati.
Distribuzione nell’area di studio: la specie è stata rilevata in quattro corsi d’acqua dell’area di studio. E’ discretamente comune nell’alto corso del Rio Fiume e nei suoi principali affluenti.
Conservazione: è una specie molto sensibile alla qualità delle acque e negli ultimi anni ha subito una riduzione dell’areale di distribuzione e della consistenza delle popolazioni.
Il Vairone è inserito anche nella Convenzione di Berna (1979) “relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa”.

Barbo comune Barbus plebejus (Bonaparte, 1839)
Corologia: Ampiamente diffuso in Italia settentrionale e peninsulare. Indigeno nell’area padano-veneta; permangono molte incertezze per quanto riguarda la distribuzione e l’autoctonia delle specie in Italia peninsulare. Secondo Bianco (1993) il Barbo comune è da considerarsi alloctono sul versante tirrenico.
Biologia ed ecologia: B. plebejus è un ciprinide reofilo caratteristico del tratto medio-superiore dei corsi d’acqua planiziali. E’ un Ciprinide a deposizione litofila, le cui uova – velenose, giallastre, del diametro di 2,5-3 mm. – sono deposte sui fondali ghiaiosi o pietrosi da maggio a luglio su fondali a ciottoli, in acque poco profonde.
Distribuzione nell’area di studio: la specie è stata rilevata in cinque corsi d’acqua dell’area di studio. E’ discretamente comune nell’alto corso del Rio Fiume e nei suoi principali affluenti.
Conservazione: pur avendo una discreta valenza ecologica, questa specie risente negativamente degli interventi antropici che alterano i substrati adatti alla riproduzione.
Il Barbo comune è inserito anche nella Convenzione di Berna (1979) “relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa”.

Nome italiano
Nome scientifico
Dir. 92/43 CEE
Categoria nella Lista Rossa Italiana
WWF 1998
Motivo d’interesse
Barbo comune
Barbus plebejus
All. II
A più basso rischio
Zoogeografico, Conservazionistico
Vairone
Leuciscus souffia
All. II
A più basso rischio
Ecologico, Conservazionistico

4.1.5 SPECIE PRESUMIBILMENTE PRESENTI NEL COMPRENSORIO

Sulla base dell’analisi degli habitat acquatici presenti nel comprensorio e dalla consultazione della bibliografia disponibile (Bianco, 1989; Cataudella, 1977) si ritiene presumibile la presenza di una ulteriore serie di specie, la cui presenza dovrà ovviamente essere confermata da indagini di dettaglio successive.
Le specie potenzialmente rilevabili nel bacino del Rio Fiume sono le seguenti:
Rovella (Rutilus rubilio)
Latterino (Atherina boyeri)
Cefalo (Mugil cephalus)
Muggine calamita (Liza ramada)
Cagnetta (Lipophrys fluviatilis)

4.1.6 MINACCE E FATTORI LIMITANTI

I fattori di minaccia e limitanti che potrebbero incidere sull’integrità del popolamento ittico del Comprensorio meridionale Monti della Tolfa possono essere così riassunti:
Discontinuità dell’ambiente reico dovuto ad opere trasversali artificiali e tratti cementificati.
Le alterazioni apportate agli alvei derivanti dalle opere di cementificazione o canalizzazione dei corsi d’acqua e dal prelievo di materiali per l’edilizia hanno effetti negativi diretti sulle specie di abitudini bentoniche ma anche su altre specie ittiche in quanto alterano gli equilibri dell’ecosistema fluviale.
Nel corso delle indagini lungo il basso corso del Rio Fiume è stata rilevata la presenza di uno sbarramento trasversale che impedisce la risalita delle specie anadrome (che compiono migrazioni riproduttive in acque interne) e catadrome (che risalgono i fiumi durante la loro fase trofica mentre svolgono la fase riproduttiva in mare). Inoltre lungo il Rio Fiume nel tratto medio è stata rilevata uno sbarramento dell’alveo.
La maggior parte delle specie ittiche risente negativamente delle modificazioni di carattere idraulico e morfologico apportate lungo l’alveo e le rive dei corsi d’acqua: le artificializzazioni degli alvei, il prelievo di inerti per l’edilizia, gli impianti di lavaggio per la sabbia alterano in modo drastico le aree di frega, ovvero zone con fondale ghiaioso e ciottoloso, rendendo impossibile la riproduzione.

Temporaneità dello scorrimento superficiale per motivi naturali di carattere idrologico

Gran parte dei corsi d’acqua del bacino del Rio Fiume hanno un marcato carattere di stagionalità che produce nel corso dei periodo siccitoso estivo delle prolungate magre con una conseguente interruzione della continuità dello scorrimento idrico superficiale. Queste caratteristiche idrologiche anche se naturali impongono un notevole stress alle popolazioni ittiche e costituiscono un fattore di instabilità e minaccia.
Buona parte delle specie, almeno nell’alto corso, deve la sua sopravvivenza alla presenza di pozze temporanee profonde, che permettono il mantenimento delle condizioni vitali.

4.1.7 INDICAZIONI SULLE ATTIVITÀ DI CONSERVAZIONE E DI GESTIONE DELLE DIVERSE SPECIE

Di seguito vengono riportati in forma schematica gli interventi di conservazione e gestione da prevedere per la fauna ittica, che verranno poi più approfonditamente esposti nel Piano di gestione:

- divieto di introduzione di specie o popolazioni alloctone o transfaunate;

- divieto di pesca e attenta sorveglianza per prevenire fenomeni di pesca illegale soprattutto durante il periodo di magra estiva;

- sottoporre a regime autorizzativo tutte le opere di manutenzione idraulica dei corsi d’acqua del bacino;

- attenta conservazione della vegetazione ripariale;

- predisposizione di uno studio dell’ittiofauna con approfondimenti sulle caratteristiche delle popolazioni delle specie di interesse;

- monitoraggio della qualità biologica e fisico-chimica delle acque, delle rive e della produttività ittica;

- controllo degli scarichi e verifica delle qualità delle acque reflue, con particolare attenzione a quelle provenienti da allevamenti di bestiame domestico;

- incentivazione della sperimentazione di sistemi di fitodepurazione.

4.2 ERPETOFAUNA

4.2.1 INTRODUZIONE

Le informazioni sull’erpetofauna dei Monti della Tolfa provengono dall’analisi della non ricca bibliografia e da dati comunicati personalmente dal gruppo di lavoro del prof. Marco Bologna. Possiamo così ricostruire un quadro generale, ancora però purtroppo insufficiente per la ZPS in questione. Infatti la maggior parte dei dati riguardanti questa area in particolare risalgono a diversi anni fa, e ben poche sono state le revisioni e gli aggiornamenti al riguardo, soprattutto a proposito delle specie prioritarie.L’area compresa nella ZPS, come abbiamo visto, viene a trovarsi quasi completamente nella fascia bioclimatica più arido-mediterranea, con l’esclusione dei primi rilievi centrali (M. La Tolfaccia).
In questa fascia bioclimatica l’erpetofauna è leggermente più ridotta non tanto in numero di specie quanto in densità di popolazione, rispetto alla fascia più interna temperata (ipomesaxerica) e all’intero territorio. Questo è forse dovuto ai lunghi periodi di siccità estiva e alla minore diversità ambientale, caratterizzanti la fascia più costiera.

4.2.2 GLI ANFIBI

Questa classe è ovviamente più colpita dalle caratteristiche bioclimatiche suddette.
Nell’area della ZPS, di cui la fascia bioclimatica mediterranea costituisce all’incirca l’80% del totale, sono state osservate nove specie: due urodeli (Triturus vulgaris, Salamandrina terdigitata) e sette anuri (Bufo bufo, Bufo viridis, Hyla intermedia, Bombina variegata, Rana bergeri–R. kl. hispanica, Rana italica, Rana dalmatina), quasi tutte quelle riscontrate nell’intero territorio dei Monti della Tolfa, con l’eccezione del Triturus cristatus.
Le specie più diffuse sono quelle più mobili e/o più xeroresistenti: il tritone punteggiato (Triturus vulgaris), grazie alla sua ampia capacità di spostamento notturno e in condizioni di umidità, nonchè grazie alla sua tendenza ad estivare sotto terra, ha colonizzato e continua a colonizzare tutti o quasi i fontanili dell’area, numerosissimi a causa del fabbisogno d’acqua per il bestiame pascolante; ma è anche presente in ogni corso d’acqua. Tra l’altro, alcune singole colonie di questa specie, all’interno di fontanili, presentano talvolta una completa o parziale neotenia in condizioni di acqua corrente perenne. Non appena il delicato equilibrio ambientale e ormonale viene in qualche modo a modificarsi, i tritoni metamorfosano.
Il rospo comune (Bufo bufo), mobilissimo e xeroresistente, si diffonde in tutti i corsi d’acqua anche i più piccoli, dove in primavera si riscontrano numeri altissimi di larve. Da sottolineare il fatto che nei corsi d’acqua soggetti a siccità parziale più tardiva, le larve metamorfosano fin’anche in luglio: questo fenomeno è osservabile in quasi tutte le specie di anfibi nel territorio tolfetano. La rana verde (l’ibrido-ibridogenetico Rana kl. hispanica) sembra essere (secondo studi recenti) più resistente della specie parentale (sintopica) Rana bergeri ad inquinamenti moderati ed a modificazioni ambientali dovute al carico di bestiame, agli incendi, ai disboscamenti, e la si riscontra in ogni corso d’acqua o stagno (e alle volte anche in fontanili), in zone aperte e soleggiate. Anche in questa specie le larve possono metamorfosare con grande ritardo (fino ad ottobre), o addirittura superare l’inverno in questo stadio. Questo complesso di specie può essere utilizzato a fini di verifica della qualità dell’habitat, in quanto la R. bergeri sarà più abbondante del suo ibrido (distinguibili fra di esse per la colorazione dei sacchi vocali, nei maschi) laddove l’ambiente sia meno compromesso.
Rana italica (buona specie biologica riconosciuta di recente, e la cui località tipica prima del 1990 era proprio sui Monti della Tolfa [sottospecie di R. graeca]), sebbene più igrofila e legata essenzialmete ad ambienti più appenninici, si ritrova qui ogniqualvolta la copertura vegetale del corso d’acqua risulti integra e l’idrografia stessa più complessa. La presenza di questa specie è infatti in genere minacciata dalle ceduazioni intensive effettuate intorno ai corsi d’acqua. Questo anuro, nonostante le sue preferenze per ambienti più temperati, anche nella zona del SIC, più xerica, mostra una tendenza a rimanere allo stadio larvale finché persista sufficiente acqua (in forma di ampie pozze nel letto dei torrenti): la metamorfosi può infatti protrarsi fino ad agosto; mentre il periodo di deposizione è ristretto al mese di marzo.
La raganella comune (Hyla intermedia) è estremamente diffusa, anche perché anch’essa specie xeroresistente, e qui spesso depone all’interno dei fontanili, essendo rari gli stagni, fino a tarda primavera.
Discorso a parte va fatto per le quattro specie più rare localmente. Le segnalazioni di salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata) nell’area della ZPS riguardano due località, entrambe molto appartate e fuori delle rotte consuete del bestiame e degli uomini. La prima è nell’ambito del bacino del Rio Fiume (un’asta secondaria): l’ultima osservazione risale alla primavera del 2000 (M.Bologna, com. pers.); la seconda al Fosso Caldano (confine settentrionale dell’area), ma l’ultima osservazione risale a molti anni fa.
L’ululone a ventre giallo (Bombina variegata) è stato osservato, per laprima volta circa venti anni fa, e nuovamente alcuni anni dopo, in una sola località, lungo un afflente del Rio Fiume, in condizioni molto precarie, come d’altronde è sua prerogativa: stagni fangosi occasionali in cui le femmine depongono le uova. Il sito presente nella ZPS è stato fortemente danneggiato nel tempo dal passaggio del bestiame e da veicoli fuoristrada. A tutt’oggi non sappiamo se siano ancora presenti in questa fascia popolazioni di questo anuro.
Il rospo smeraldino (Bufo viridis) è certamente poco diffuso nell’area di studio (l’ultima osservazione è del 1989, nella Valle del Rio Fiume, G. Carpaneto, com. person.), mentre è più ampiamente presente lungo il bacino del Fiume mignone, nella zona settentrionale del comprensorio tolfetano.
Infine, la rana agile (Rana dalmatina), seppure osservata in questa area nel 1970, da allora non è più stata ritrovata. È invece ampiamente presente in gran parte del territorio a nord della ZPS.

4.2.3 I RETTILI

Nella ZPS Monti della Tolfa meridionali sono presenti diciassette specie: due testuggini (Emys orbicularis e Testudo hermanni hermanni), sette sauri (Tarentola mauritanica, Hemidactylus turcicus, Lacerta viridis, Podarcis muralis nigriventri[sottospecie propria della provincia di Roma e di Latina], Podarcis sicula, Chalcides chalcides, Anguis fragilis) e otto serpenti (Coluber viridiflavus, Elaphe longissima, Elaphe quatuorlineata, Natrix natrix, Natrix tessellata, Coronella austriaca, Coronella girondica, Vipera aspis), tutte quelle riscontrate nell’intero territorio tolfetano-cerite.
La testuggine d’acqua (Emys orbicularis) è stata rinvenuta in questa area una sola volta, nell’ambito del bacino del Fosso Freddara (Colle di Mezzo) nel 1982 (M. Bologna, com. person.). Nuovi reperti non se ne hanno; mentre la specie è abbastanza diffusa nel bacino del Fiume Mignone.
La testuggine comune (Testudo hermanni hermanni) è abbastanza diffusa nei prati cespugliati e nella macchia, e da qui purtroppo, almeno nei decenni scorsi, ne venivano prelevati molti esemplari per la vendita, divenuta illegale con la Convenzione di Washington, la legge regionale per la tutela della fauna minore (5-4-1988, n°18) e quella 150/92 che tutela le testuggini mediterranee.
I due gechi (Tarentola mauritanica, Hemidactylus turcicus) sono presenti soprattutto sui manufatti umani (muretti a secco, edifici e rovine, ponti). Il ramarro (Lacerta viridis) è comune e presente soprattutto nelle macchie e ai margini dei boschi. Le due lucertole del genere Podarcis sono estremamente comuni sui prati cespugliati e lungo le strade (con prevalenza della campestre); mentre lungo i corsi d’acqua e sui macigni emergenti da questi, è più comune la muraiola: le due specie sembrerebbero ancora in attiva fase di competizione.
La luscengola (Chalcides chalcides) è molto diffusa sui prato-pascoli in primavera, mentre l’orbettino (Anguis fragilis) è molto localizzato in alcuni boschi meno utilizzati dall’uomo (M. Pozzo di Ferro).

I serpenti più diffusi sono il colubro verde (Coluber viridiflavus), presente in qualunque tipo di ambiente; il colubro d’Esculapio (Elaphe longissima); la biscia dal collare (Natrix natrix), quest’ultima presente in ogni ruscello e fontanile, e la vipera (Vipera aspis).
Il cervone è invece specie sempre più rara, come d’altronde in tutto il Lazio; la biscia tassellata (Natrix tessellata) è sporadicamente presente in alcuni torrenti con acque più profonde e durature; mentre le due coronelle (Coronella austriaca, C. girondica), essendo specie soprattutto crepuscolari e notturne, vengono osservate di rado, ma sono comunque presenti in ristrettissime aree all’interno della ZPS.

In definitiva su 31 specie di anfibi e rettili noti per il Lazio, in questa area sono presenti 26 specie. Mentre nell’intero conmprensorio tolfetano sono presenti 27 specie. La differenza fra l’area del ZPS e quelle bioclimaticamente più temperate è determinata più che altro dalla consistenza numerica delle popolazioni di alcune specie, più cospicua nella fascia temperata.
Nell’area meridionale (ZPS), nonostante l’accentuata xericità ambientale, due specie indicano comunque una influenza appenninica, seppure meno marcata che all’interno, e riscontrabile nelle vallette fresche e nei boschi mesofili: Rana italica e Anguis fragilis.
Tutte le specie dell’erpetofauna laziale, con eccezione della rana verde e della Vipera aspis sono protette dalla legge regionale 18/1988.

4.2.4 CHECKLIST DELL’ERPETOFAUNA PRESENTE NELLA ZONA A PROTEZIONE SPECIALE “COMPRENSORIO MERIDIONALE MONTI DELLA TOLFA”

* Specie di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione, secondo l’All. II, Direttiva Habitat 92/43 (prioritarie)
** Specie che necessitano di una protezione rigorosa secondo l’All. IV, Direttiva Habitat 92/43
+ Specie presenti nella Lista Rossa degli Animali d’Italia (EN, specie in pericolo; LR, specie a più basso rischio; DD, specie con carenza di informazioni).
? Presenza incerta

Specie
Corologia
Specie
Corologia
Salamandrina terdigitata * +LR
Endemismo appenninico
Testudo hermanni * +EN
Mediterraneo-centrosettentrionale- balcanico
Triturus vulgaris +DD
Euroanatolico-caucasico
Chalcides chalcides
Mediterraneo occidentale
Bufo bufo
Eurocentrasiatico-maghrebino
Anguis fragilis
Euroanatolico-caucasico
Bufo viridis
Asiatico-europeo
Coluber viridiflavus **
Ovest-europeo
Bombina variegata * +DD ?
Mediosudeuopeo
Elaphe longissima
Mediosudeuropeo-anatolico-caucasico
Hyla intermedia +DD
Endemismoitaliano settentrionale-peninsulare e siciliano
Elaphe quatuorlineata*
+LR
Appenninico-balcanico-anatolico-caucasico
Rana bergeri-R. kl.hispanica
Italia peninsulare, Isola d’Elba, Corsica, Sicilia
Natrix natrix
Eurocentrasiatico-maghrebino
Rana dalmatina ?
Mediosudeuropea, assente nelle isole ad eccezione della Sicilia
Natrix tessellata **
Europeo orientale e ovestt-asiatico
Rana italica ** +LR
EndemismoItalia peninsulare
Coronella austriaca **
Europeoanatolico-caucasico
Emys orbicularis * ?
Mediosudeuropeo-maghrebino-anatolico-caucasica
Coronella girondica +LR
Sudeuropeo-occidentale
Tarentola mauritanica
Olomediterraneo-macaronesico
Vipera aspis
Ovest-europeo
Hemidactylus turcicus
Medionordafricano-olomediterraneo-indiano
Lacerta viridis **
Mediosudeuropeo-anatolico
Podarcis muralis **
Mediosudeuropeo-anoatolico
Podarcis sicula **
Circumtirrenico-appenninico-dinarico

4.2.5 SPECIE DI IMPORTANZA COMUNITARIA

Di seguito vengono riportate le schede di approfondimento sulle specie di importanza comunitaria inserite nell'Allegato II della direttiva 92/43/CEE, presenti nella ZPS in studio.

Salamandrina dagli occhiali Salamandrina terdigitata (Lacépède 1788)

Classe: Amphibia. Ordine: Caudata. Famiglia: Salamandridae. Genere monotipico.
Corotipo: endemismo appenninico
Distribuzione in Italia: presente prevalentemente sul versante tirrenico.
Fenologia ed ecologia: frequenta boschi umidi e zone aperte, ma al di fuori del periodo riproduttivo (marzo-aprile) è osservabile solo in giornate piovose o di notte. Trascorre i periodi di svernamento ed estivazione sotto terra fino a profondità di oltre un metro, o in grotte, da 200 m di altitudine fino ad oltre 1300 m. Depone le uova singolarmente sotto pietre ed altri oggetti sommersi, attaccandole con un peduncolo, in pozze e piccoli ruscelli con corrente debole ma acqua limpida e fresca.
Distribuzione e consistenza nel Lazio: presente in tutte le province e nei principali rilievi della regione. Non è più confermata la sua presenza per i Colli Albani e per la tenuta di Castelporziano. È presente anche in alcune località planiziali nei dintorni di Roma. Ampiamente distribuita, anche se localizzata. Le principali minacce sono costituite dalle modificazioni agli ambienti di ovodeposizione, dall’inquinamento delle acque di ruscelli e torrenti.
Distribuzione e consistenza delle popolazioni locali: la salamandrina è presente in due sole località nell’ambito della ZPS, ma le osservazioni risalgono a molti anni fa. I due siti apparentemente non sono stati modificati dall’uomo, ma potrebbero comunque essere stati introdotti degli inquinanti nel Fosso Caldano, il sito più vicino ad aree antropizzate.


Ululone a ventre giallo Bombina variegata (Linnaeus, 1758)

Classe: Amphibia. Ordine: Salienta. Famiglia: Discoglossidae.
Corotipo: specie medio-sudeuropea, mancante nella Penisola Iberica e nelle isole mediterranee.
Distribuzione in Italia: la sottospecie variegata è propria dell’Italia a nord del Po, mentre la pachypus dell’Italia peninsulare, dalla Liguria alla Calabria. Alcuni autori considerano la pachypus come specie distinta.
Fenologia ed ecologia: il periodo di attività va da marzo a novembre, con picco primaverile in maggio. Prevalentemente diurna. Lo sviluppo larvale si può completare in circa 30 giorni. Gli individui giovani e quelli appena metamorfosati vengono raramente osservati in acqua. Frequenta soprattutto habitat acquatici di piccole dimensioni: pozze nei pressi di fontanili, noché ruscelli secondari, al margine di boschi di latifoglie, posti fra 20 m e 1650 m s.l.m.
Distribuzione e consistenza nel Lazio: distribuzione discontinua, concentrata soprattutto in ambiti collinari e montani. Molte delle segnalazioni effettuate nel passato non sono più state confermate (Capocotta e Castelporziano, Tolfa stessa).
Distribuzione e consistenza delle popolazioni locali: le uniche segnalazioni di ululone sui Monti della Tolfa risalgono a circa 12 anni fa ed erano limitate all’area del bacino idrografico del Rio Fiume (Valle del fosso del Chiavaccio e nei pressi di Monteianni). Da allora non sono più state confermate.

Testuggine d’acqua Emys orbicularis (Linnaeus, 1758)

Classe: Reptilia. Ordine: Testudines. Famiglia: Emydidae
Corotipo: Entità mediosudeuropeo-maghrebino-anatolico-caucasica.
Distribuzione in Italia: Diffusa in tutta Italia ma più frequente nelle regioni adriatiche settentrionali, padane, tirreniche centrali, Sardegna settentrionale, Corsica e Sicilia.
Fenologia ed ecologia: Nel Lazio la specie può essere attiva durante tutto l’anno. In aree più elevate le testuggini possono svernare per alcuni mesi. In estati particolarmente aride esse possono trasferirsi in stagni che ancora conservino acqua, oppure possono estivare nel suolo o sotto ripari naturali. L’attività riproduttiva si manifesta più comunemente tra marzo e aprile.
Distribuzione e consistenza nel Lazio: La specie occipa quasi il 20% del territorio, soprattutto nelle aree costiere, ma anche nell’interno, e in particolare nelle province di roma, viterbo e Latina.
Distribuzione e consistenza delle popolazioni locali: L’unico dato certo per l’area della ZPS risale al 1982 e riguarda la località Colle di Mezzo. È molto probabile che la specie sia però più diffusa anche nell’ambito del comprensorio meridionale Monti della Tolfa.

Testuggine di Hermann Testudo hermanni Gmelin, 1789

Classe: Reptilia. Ordine: Testudines. Famiglia: Testudinidae.
Corotipo: Entità mediterranea centro settentrionale-balcanica.
Distribuzione in Italia: In Italia vive la sottospecie T.h. robermertensi Wermuth 1952. Attualmente la sua distribuzione è limitata alle seguenti regioni (ma con areale discontinuo e con popolazioni di dubbio indigenato): Toscana, Lazio, Campania, Molise, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia, Sardegna (Bologna et al. 2000). La specie è stata citata anche per alcune piccole isole in cui sono stati raccolti individui di origine incerta.
Fenologia ed ecologia: La specie è attiva da marzo a ottobre. La maturità sessuale viene raggiunta a circa nove anni per i maschi e undici per le femmine; il numero di uova deposte varia da 1 a 6 per covata, e generalmente si osservano due covate l’anno. I piccoli nascono dopo due mesi o più, a seconda della temperatura ambientale: la determinazione del sesso è di tipo termico (50% di maschi e femmine a 29-30°C). La specie nel Lazio è osservata soprattutto in habitat costieri e subcostieri dal livello del mare fino a circa 600 m, coperti da macchia mediterranea, cespuglieti, impianti di pinete, bosco deciduo e coltivi abbandonati. Distribuzione e consistenza nel Lazio: le maggiori popolazioni di testuggine di Hermann sono ospitate nel Lazio e in Toscana, grazie alla presenza di alcune aree protette. La specie è comunque presente in tutte le province con esclusione di quella di Rieti. Molti reperti sono però relativi ad individui abbandonati dopo l’entrata in vigore della legge regionale 150/92.
Distribuzione e consistenza delle popolazioni locali: le uniche popolazioni sicuramente naturali rinvenute alle massime quote sono proprio quelli dei Monti della Tolfa. La specie è piuttosto diffusa nella ZPS e nell’intero territorio tolfetano-cerite.

Cervone Elaphe quatuorlineata (Lacépède, 1789)

Classe: Reptilia. Ordine: Squamata. Famiglia: Colubridae.
Corotipo: Entità appenninico-balcanico-anatolico-caucasica..
Distribuzione in Italia: Italia peninsulare a sud del fiume Arno, ma citata anche in alcune località dell’Italia settentrionale.
Fenologia ed ecologia: La specie è attiva da aprile a settembre in ore diurne, nelle località di pianura. Fra giugno e luglio si può esporre al sole nelle ore centrali della giornata. In piena estate vive nascosta, esponendosi al sole solo nelle ore meno calde. Negli ambienti mediterranei l’accoppiamento si attua dalla fine di aprile a metà giugno e la deposizione delle 8-18 uova nella seconda o terza decade di luglio, mentre la schiusa a settembre. Abita boschi e boscaglie sempreverdi e decidui, in cui preferisce le radure e gli ambienti ecotonali. Si rifugia nel cavo degli alberi e nei tronchi abbattuti; ma si ritrova nche in ambienti limitrofi, come arbusteti e prati con alte erbe, soprattutto se costellati di casali, ruderi e vecchi muri. La si osserva anche in ambienti ripariali lungo fossi, canali e fiumi circondati da boschi. Si nutre prevalentemente di uccelli, dal cui numero dipende strettamente. Si spinge dal livello del mare fino a 1500 m, ma in genere non supera i 900-1000 m ed è più frequente negli ambienti mediterranei, essendo specie termoxerofila.
Distribuzione e consistenza nel Lazio: distribuita su tutto il territorio della regione. Il cervone risente molto del disboscamento e del taglio di alberi e siepi. Tali interventi confinano la specie in aree boschive ridotte ed isolate, frammentando così le popolazioni.
Distribuzione e consistenza delle popolazioni locali: il territorio della ZPS e quello in generale del comprensorio tolfetano-cerite sarebbero particolarmente adatti a questa specie, data la scarsa influenza dell’uomo e la vastità dei boschi, seppure sottoposti a turni di ceduazione, nonchè alla presenza di una ricca avifauna. Purtroppo però negli ultimi anni le osservazioni di questo serpente si sono ridotte notevolmente.