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Narrata la varia fortuna del commercio degli allumi papali nel secolo decimoquinto, esporremo brevemente, per rendere meno incompiuto il nostro esame delle vicende di questa grandiosa impresa mercantile dei papi, come si esplicasse la tutela esercitata sopra di essa dal Fisco pontificio, e quale fosse l'ordinamento dell'industria mineraria sottoposta. alla vigilanza della S. Sede.
Paolo II, che cingeva la tiara quando lo sfruttamento delle miniere di Tolfa era da poco avviato, provvide subito, come si é detto, a creare un apposito ufficio di amministrazione dell'impresa, a capo del quale stavano i tre cardinali commissari generali della Crociata. Compito principale di codesto ufficio era di curare l'incremento delle cave tolfetane e del commercio degli allumi, dappoiché s'era abbandonata, con la morte di Pio II, l'idea di una spedizione guerresca contro la Mezzaluna, diretta dal Papato; e i commissari non ebbero, per tal riguardo, che a liquidare gli affari concernenti i preparativi d' armi e d'armati, e gli scarsi proventi pecuniari per essa guerra faticosamente raccolti (186). Costante e varia attività richiedeva invece la tutela della nuova impresa, da cui dovevano scaturire i tesori necessari alla difesa della fede. Benché la ingerenza della Camera apostolica negli atti contrattuali relativi agli allumi della Crociata si palesi in più modi, non é meno evidente che l'opera dei commissari generali si esplicava come quella di un ente ben distinto dalla Camera: la « Crociata » aveva una cancelleria propria (187), e la gestione de' suoi affari pecuniari era affidata ad un « depositario » indipendente dalla depositeria generale della Camera.
Codesti uffici avevano, come é facile comprendere, la loro sede in Roma. A tutelare gl'interessi della Santa Sede sui luoghi dove si estraeva il minerale e si fabbricava l'allume, era delegato un « commissario delle allumiere », il quale ufficio copri dapprincipio un tal Nicolò da Fabriano (188); a lui succedeva, nel febbraio del 1465, il famigliare di Paolo II Piramo Amerino (189), che tenne la carica per tutto l' anno successivo e fu sostituito, al principio del '67, da un altro favorito del papa Barbo, il profugo tirannello orvietano Gentile de' Monaldeschi dalla Sala (190). Ma, a cominciare dall'ottobre del 1468, i libri di conto della Crociata rivelano un nuovo ingranaggio nell'amministrazione: accanto a Nicolò da Fabriano, che ricompare con la qualifica di commissario « super pondus aluminis », troviamo un altro rappresentante del governo papale, con più lauto assegno che il precedente e col titolo di «commissario di Tolfa e Civitavecchia ». Il nuovo ufficio, coperto dal padovano Biagio del Legname fino al maggio del '71 (191), quindi dal figlio di Gentile dalla Sala, Pietro Antonio (192), mostra come si fosse ampliata l'autorità di chi sorvegliava il lavoro nelle miniere, sottoponendo a costui altresì le opere di trasporto e di deposito degli allumi nella città vicina, dove la merce era consegnata ai compratori, o caricata per conto della Crociata sulle navi che la dovevano trasportare ai diversi paesi di Occidente.
La venuta al trono papale di Sisto IV (9 agosto 1471) era immediatamente seguita da una riforma dell'amministrazione della Crociata. Intento a riparare al disordine, in cui aveva lasciato le finanze dello Stato il suo predecessore, e a suscitare nuove risorse per l'esausto tesoro papale, il pontefice roveresco, che dalle varie ricchezze minerarie dei domini ecclesiastici cercava di trarre il maggior profitto (193), trovò, probabilmente, l'opera dei commissari generali e dei loro delegati mal corrispondente all'interesse della impresa economica. Uno de' primi atti del suo pontificato fu, infatti, la sottomissione della industria mineraria al diretto governo della Camera apostolica, alla quale veniva deferita in perpetuo la vigilanza e la tutela delle allumiere e della regione ov'esse sorgevano (194). La Camera doveva deputare a tale ufficio uno de' suoi chierici, con l'obbligo di risiedere costantemente nei luoghi da sorvegliare; per maggior garanzia e libertà nell'esercizio del proprio mandato, il chierico deputato univa all'ufficio di commissario la carica di governatore di Tolfa e Civitavecchia (195). D'ora innanzi, vediamo succedersi, di sei in sei mesi, nell'alta sorveglianza delle allumiere (il minore ufficio di commissario « super pondera » essendo mantenuto anche in seguito) gli uomini insigni che facevano parte dell'Amministrazione papale, designati col titolo di « governatori degli allumi della Crociata » : Andrea Spiriti (196), Falcone Sinibaldi (197), Battista Orsini (198), Gasparo Biondo (199) ed altri molti, il cui nome é già noto alla storia politica e letteraria del secolo decimoquinto.
Anche il collegio dei tre porporati, ai quali Paolo II aveva affidato la suprema direzione della « Crociata », fu sciolto pochi anni dopo l'assunzione di papa Sisto; al posto dei commissari generali troviamo negli atti di codesta amministrazione, a cominciare dal 1475, il cardinale camerlengo di Santa Chiesa, ch'era assistito da un collegio di revisori della gestione amministrativa, nominati dal papa (200). Soltanto la tesoreria rimase anche in seguito distinta e separata dalla depositeria generale della Camera.
Per la parte industriale della impresa, la S. Sede ricorse, fin da principio, al sistema degli appalti. Il primo contratto era stato stipulato, come dicemmo parlando della scoperta degli allumi, già nell' estate del 1462, con una Società composta da messer Giovanni da Castro (lo scopritore dei giacimenti alluminosi della Tolfa), il genovese Bartolomeo da Framura e Carlo Gaetani da Pisa (201). Non ci son noti i capitoli di questo appalto; ma possediamo il testo della convenzione rinnovata, tre anni più tardi, fra i soci suddetti e la Camera apostolica; e il lettore troverà in appendice a questo lavoro (202) i patti contrattuali, che pubblichiamo qual contributo non ispregevole alla storia della industria e della legislazione mineraria italiana nel medio evo. Il contratto del 1465 doveva durare per nove anni; ma già nell'anno seguente esso subiva una notevole trasformazione: a Bartolomeo da Framura veniva sostituita, nella Società concessionaria delle allumiere, la casa mercantile dei Medici (203), la quale entrava nella convenzione con i vantaggi e le condizioni, che abbiamo esaminati nel capitolo precedente. Interessati specialmente nella gestione finanziaria e commerciale degli allumi della Crociata, i Medici lasciavano all'attività degli altri due soci il lavoro delle allumiere, ch'erano sottoposte, come notammo più sopra (204), alla suprema direzione di Biagio Spinola, genovese; questi si ritrasse però ben presto, nel 1467, dal lucroso ufficio (205), né appare dai libri dell'amministrazione della Crociata che gli fosse dato un successore.
Costantemente occupato nella industria mineraria fino al 1479 troviamo invece il pisano Carlo Gaetani. A lui era affidato il lavoro in alcune delle miniere e delle fornaci tolfetane, che i documenti chiamano « alumeriae Caroli Gaetani » e la tradizione «allumiere inferiori» (206); egli esercitava altresì, per proprio conto, il commercio degli allumi (207), che la Camera gli cedeva in compenso del suo lavoro, seguendo la consuetudine invalsa in Italia fin dai secoli precedenti, di pagare i minatori col minerale (208). Una tradizione locale vuole che questo irrequieto mercatante tramasse, aiutando la politica di Paolo II, per far sollevare la Tolfa contro i due fratelli che la tenevano in signoria (209); più tardi, al tempo di Sisto IV, egli veniva processato sotto l'accusa d'incendio doloso nelle allumiere (210); finalmente, il Gaetani fu, a quanto sembra, coinvolto nella disgrazia in cui caddero i Medici presso il pontefice dopo la congiura de' Pazzi (211). Più non compare il suo nome negli atti ufficiali della Crociata dopo il 1479, benché non finisse in codesto anno la sua vita e la sua attività nei commerci (212); ma il figlio di lui, Alfonso, continuò l'opera del padre nella industria degli allumi papali e finì per trarre a sé anche la gestione finanziaria della impresa, assumendo nel 1490, sotto la garanzia di un mercante fiorentino, la depositeria della Crociata (213).
Quanto al Da Castro, nella impresa economica egli godeva di una condizione privilegiata, che Pio II gli aveva assicurata e i papi successori conservarono a lui e a' suoi discendenti, nei profitti delle allumiere (214). Messer Giovanni mantenne fin che visse attiva parte nella industria mineraria, e vide crescere la prosperità della sua famiglia, sotto la protezione che la gratitudine dei papi tributava allo scopritore dei tesori nascosti nei monti di Tolfa (215). Nel giugno del 1470 egli era già morto (216), ma la concessione delle allumiere fu trasmessa a' suoi figli: un ordine mandato dai commissari della Crociata ai Medici il 19 aprile 1472 (217), disponeva, infatti, che « finito tempore apalti aluminis Ludovici et fratrum, condam filiorum Iohannis de Castro », fossero ad essi consegnati cinquemila cantari di minerale, donato agli eredi di messer Giovanni « cum certis condicionibus in certo contractu notandis » (218). A costoro restò affidata la fabbricazione degli allumi per molti anni in seguito (219); e sulle allumiere esercitarono un tal quale controllo i Da Castro anche nel secolo seguente, quando l'industria delle miniere era passata nelle mani di altri appaltatori, ostacolandone talvolta la libertà di esercizio (220). La costante ingerenza dei discendenti di messer Giovanni nelle allumiere tolfetane era fondata sugli originari diritti accordati allo scopritore: perciò i papi, a cominciare da Alessandro VI, se vollero sottrarre la industria da codesta servitù, dovettero sostituire, come notammo, alla interessenza dei Da Castro nella produzione degli allumi un annuo censo in danaro (221).
Dei procedimenti, che si seguivano nella escavazione e nella lavorazione del minerale nel primo secolo di vita delle allumiere di Tolfa, nessuna memoria ci é rimasta. Ma il confronto tra la descrizione che ne lasciò nel Settecento un dotto gesuita, Stefano Breislak, e il sistema di confezione adoperato nel medioevo dai lavoratori genovesi nelle miniere d'Oriente (222), dimostra che a Tolfa non si adottavano processi diversi, né più perfetti di quelli usati nei secoli precedenti. La qualità del prodotto era, a giudicare dall'unico prezzo che ne regolava la vendita, una sola: mentre nel commercio medievale compaiono numerose varietà di allumi, differenti non solo per il titolo e la provenienza, ma altresì per la intrinseca bontà, come attesta la grande diversità del valore che veniva loro assegnato sui mercati di Europa (223). Questo può spiegare, come l' allume della Crociata, di cui é vantato nelle bolle papali il prezzo inferiore a quello del prodotto di altre miniere (224), incontrasse gravi ostacoli nel guadagnare i mercati dei paesi, dove le industrie erano solite valersi di qualità differenti per i vari usi a cui codesta merce doveva servire.
Non tenteremo qui di esporre e ordinare le notizie da noi raccolte sui prezzi di vendita dell'allume papale nei diversi luoghi e tempi, raffrontandoli con i prezzi assegnati a codesto prodotto sui mercati occidentali nella età precedente la scoperta delle miniere di Tolfa. Tale studio non potrebbe dare, causa l'incertezza e la scarsità delle testimonianze de' documenti, che un risultato mediocre; né servirebbe, d'altra parte, a determinare con esattezza il vantaggio finanziario che la vastissima impresa recò alla S. Sede. Troppi elementi occorrono, infatti, al compimento di una simile ricerca; poiché, insieme al costo di fabbricazione del minerale devonsi considerare gli oneri che gravavano sull'amministrazione pontificia, per la sorveglianza, per i privilegi e le facilitazioni agli appaltatori delle miniere (225), per quelle solite a farsi ai compratori, come la tara e le forti regalie di minerale « per discrezione » (226), le spese di senseria (227) e simili. Quando poi la merce doveva giungere ai mercati dei paesi oltremarini per conto del Fisco, a questo noli (229), degli assegni ai « sopraccarichi » delle navi (230), delle assicura zioni (231), e dei diritti doganali richiesti nei paesi di arrivo (232). A tutto ciò conviene aggiungere i danni casuali, che all'amministrazione papale derivavano dalla pirateria sul mare (233), e dalle frodi frequenti nei depositi del minerale, contro le quali dové spesso intervenire chi teneva l'alta sorveglianza della vasta impresa economica (234). E non si devono dimenticare, finalmente, le spese che la Camera papale doveva sostenere per i depositi della merce a Civitavecchia, nonché per far trasportare la merce fin là, traverso la inospite regione tolfetana.
Il trasporto delle merci dalle allumiere ai magazzini di Civitavecchia (dove era depositato tutto il minerale estratto e lavorato a Tolfa) si compieva dapprima a cura degli stessi maestri » delle cave, ai quali la Camera corrispondeva cinque baiocchi (bolognini) per ciascun cantaro (235). Mancavano allora comode vie di comunicazione tra le miniere e il porto; e la merce doveva essere caricata sui muli. Già nel luglio del 1465 venne, però, sistemata anche questa parte dell'azienda con un regolare contratto, stipulato fra la Camera e Pierantonio di Andrea da Macerata, il quale assumeva l'appalto del trasporto di tutti gli allumi fabbricati a Tolfa fino a « l'uscio de li magazzini di Civitavecchia », verso il compenso di bol. 3½ per cantaro, e si obbligava di costruire a proprie spese una strada carreggiabile dalle allumiere al porto (236).
Crebbe allora a nuova vita e prosperità la piccola città marinara (237), che fino a quel tempo aveva avuto ben poca importanza nel movimento commerciale sulle coste della provincia del Patrimonio, dove il porto di Ostia serviva agli scambi con Roma e quello di Corneto al traffico attivissimo del sale e del grano. Civitavecchia diveniva ora il centro unico della nuova, grandiosa impresa commerciale, e raggiungeva in breve tempo il primato sui porti vicini. Ad accogliere e custodire le enormi quantità di allume erano da principio adibiti magazzini affittati da private persone (238), alla sorveglianza dei quali veniva preposto un Viterbese, Giovanni di Iuzzo (239); ma già al tempo di Paolo II si provvide a dotare la impresa di edifici propri, sia acquistando magazzini già esistenti, sia costruendone dei nuovi.
Nicolò da Fabriano, che già conosciamo qual commissario papale alle allumiere, ebbe la direzione di queste fabbriche (240).
Sisto IV si preoccupò inoltre di rendere più ampio e sicuro il traffico con nuove opere di difesa dalle violenze del mare e degli uomini. I grandi disegni di questo papa per la ricostruzione del porto e della ròcca (la cui esecuzione rimase interrotta con la sua morte (241), e non ebbe compimento che nel secolo seguente) muovevano certamente, oltreché dal bisogno di fornire Roma di un buon porto militare, dalla necessità di tutelare il tranquillo funzionamento di un traffico, da cui dipendevano ingenti interessi dell'erario pontificio. Alle cresciute esigenze della sorveglianza sulla costa di Civitavecchia sarà dovuta la origine, o almeno la riedificazione di un'altra ròcca vicina, quella di Santa Marinella, che veniva fabbricata in codesti anni per ordine del papa Della Rovere (242), mentr'egli provvedeva altresì al restauro delle fortificazioni di Tolfavecchia, da cui erano dominate le circostanti miniere (243). Un'era di insolita attività si dischiudeva per la derelitta regione circostante alla città papale : spettacolo nuovo di intensa vita industriale non solo per lo Stato romano, ma per l'Italia intera, che aveva visto decadere nel Quattrocento le numerose miniere, specialmente di Toscana, fiorentissime ne' due secoli precedenti.

IX.

Nel Cinquecento, e nei secoli successivi, l' importanza del commercio degli allumi papali decadde rapidamente.
Esso non aveva, d' oltronde, mantenute a lungo le speranze destate ne' primi anni dopo la scoperta delle miniere di Tolfa, nemmen nel secolo precedente. Rivelata al tempo che le conquiste di Maometto II avevano gettato lo scompiglio nei traffici tra l'Oriente e l'Occidente, la nuova, grande ricchezza mineraria aveva dapprima trovato terreno assai favorevole alla sua diffusione sui mercati occidentali. Ma i papi vollero imporre l'uso esclusivo del prodotto delle cave tolfetane con la forza della loro spirituale potestà, contrapponendo il sentimento religioso (quella « guerra santa »  che naufragò contro la indifferenza dei popoli e l'egoismo dei principi) all'interesse economico delle nazioni; e il tentativo di creare un monopolio così vasto, che non ha forse riscontro nella storia dei commerci, andò a vuoto, com'era inevitabile.
Le relazioni commerciali colle terre dei Turchi bagnate dal Mediterraneo riprendevano il loro corso normale, mentre dileguavano, sul finire del Quattrocento, i timori d'una invasione ottomana nel cuore dell' Europa; e le nazioni cattoliche tornavano, anche per il commercio degli allumi, alle antiche fonti, secondo il maggior loro vantaggio, senza curarsi degli anatemi papali: tanto più, che si faceva ognor più evidente, dal tempo di Paolo II in poi, come la « Crociata » fosse più che altro un pretesto per adunare, mercé il monopolio degli allumi, le ricchezze di cui la Santa Sede disponeva per iscopi bene spesso estranei alla difesa della fede contro la Mezzaluna (244). Si continuava bensì a pubblicare le bolle di scomunica contro chi introducesse e commerciasse l'allume degli Infedeli nei paesi della Cristianità (245), ma l'effetto di codeste minacce riusciva sempre più vano. Noi abbian visto come Giulio II dovesse intervenire contro le trasgressioni al divieto degli allumi orientali, compiute in Fiandra e in Inghilterra sotto l'egida degli stessi sovrani. Non avevano, del resto, i Veneziani mercanteggiato pubblicamente, già nel 1481, grosse partite di codesta merce con Costantinopoli (246), proprio nel tempo che la Serenissima era stretta in alleanza con Sisto IV contro gli Estensi?
Tuttavia, i proventi che il tesoro pontificio traeva dal commercio degli allumi della Crociata nel secolo decimosesto dovevano essere pur sempre cospicui, se Leone X, intento a escogitare ogni sorta di ripari alle gravissime iatture delle finanze papali, assicurava sui redditi delle allumiere di Tolfa l'annua pensione di centotrenta ducati a trecentosessanta cavalieri del nuovo Ordine di san Pietro, da lui istituito per estinguere i debiti (ciascun cavaliere pagava il nobile grado con mille ducati d'oro) della guerra d'Urbino (247).
Si può credere, bensì, che il papa mediceo non si preoccupasse soverchiamente d'istituire uno scrupoloso raffronto delle entrate del monopolio col numero dei fedeli pronti a pagare sì lautamente la vanità soddisfatta; ma convien pure ricordare, come nei due primi decenni del Cinquecento il commercio di questo prodotto fosse venuto nelle mani di una assai potente casa mercantile, quella del Chigi, la quale era in grado (come quella dei Medici nel secolo precedente) di dare nuovo impulso alla diffusione della merce pontificia. Agostino Chigi « il Magnifico » doveva, dicesi, la grande sua rinomanza e autorità nel movimento commerciale del tempo, sopratutto ai vastissimi traffici con gli allumi (248).
Quale estensione mantenesse il commercio degli allumi di Tolfa nei paesi cristiani, e quanto fosse il vantaggio che ricavava il Fisco pontificio nei secoli seguenti al decimoquinto, é ricerca difficile oggi, che sono scomparsi i libri dell'amministrazione di codesto monopolio posteriori al papato d'Innocenzo VIII. Noi crediamo che il monopolio, e in gran parte anche il libero traffico si venissero un po' alla volta restringendo ai paesi, dove il diretto dominio della Chiesa permetteva di mantenere la rigida osservanza dei decreti pontifici, e in quelli dove il governo dalla S. Sede poteva imporlo, in virtù della mediata sovranità e di antiche convenzioni, come accadeva nelle vicine provincie napoletane. Difatto, le copiose raccolte di memorie e di atti concernenti il commercio dell'allume della Crociata nei tempi posteriori alla metà del Cinquecento, che si conservano nell' archivio Segreto Vaticano, riflettono l'esercizio del monopolio negli Stati della Chiesa e nel vicereame di Napoli, e trattano altresì della risollevata questione dello sfruttamento delle miniere di Piombino; ma nessun documento ci ammaestra intorno alla vendita della mercanzia pontificia negli Stati occidentali, specialmente nelle Fiandre e nel regno d'Oltremanica, dove frequenti e vive controversie si erano agitate, per tal cagione, nella età precedente.
Non è nostro compito seguire la storia del monopolio degli allumi negli Stati papale e napoletano, dopo cessata la importanza mondiale di codesto commercio. Vogliamo soltanto osservare, chiudendo questo modesto saggio, come la difesa del monopolio richiedesse anche nei tempi più vicini a noi una sorveglianza continua della Camera apostolica (249): il che dimostra, come esso fosse dannoso alla vita economica dei sudditi della S. Sede. Il fatto si manifesta ancor più evidente e più grave, che negli Stati della Chiesa, nel vicino Stato napoletano, dove più attive e diffuse erano le industrie, e più vivaci si elevavano le proteste contro la gravosa imposizione del monopolio pontificio : dappoiché a quest'ultimo era riuscito di dominare senza limiti anche in codeste regioni, avendo la Camera apostolica fatta cessare la produzione delle allumiere regie, che lavoravano un tempo d'accordo con l'amministrazione delle miniere di Tolfa (250). Nei primi anni del secolo XVII la Sommaria (Camera regia) tentò di liberare da tale oppressione i cittadini commercianti e industriali, revocando i provvedimenti presi contro gl'introduttori di allume forestiero; fu anche tollerato che si riaprissero le miniere napoletane d'Ischia é di Agnano, che i papi volevano chiuse per evitare la concorrenza al prodotto delle allumiere tolfetane. Ma Roma ebbe, ancor questa volta, ragione (251) contro i vitali interessi di quelle popolazioni, che lamentavano giustamente il doppio danno delle ricchezze minerarie costrette a rimanere infruttuose e dell'enorme prezzo imposto agli allumi venduti nel Regno per conto della Camera di Roma. Napoli subiva ancora al principio dell'età contemporanea (252) la schiavitù economica, nel tempo che i meravigliosi progressi della scienza chimica stavano per dare il colpo di grazia alla importanza del prodotto dell'allumite nella vita industriale moderna.

G. ZIPPEL

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