Archeologia

 

 
Introduzione Pagina 1 Pagina 2 Pagina 3

I GIORNI CANTATI

UN PADRE DI FAMIGLIA MALATO
NON ASSISTITO DALL'E.C.A. (1)

Son già due mesi che sto prigioniero
e crocifisso dentro casa mia;
or più non sono ardito e nemmen fiero,
ché m'è finita tutta l'energia,
ma di guarirmi presto ancor lo spero,
al che richiamo la mia fantasia.
Mi sento il cuore pieno di dolore,
di otto figli son mesto genitore.

Tolfa, per i figli tuoi pien d'onore
purtroppo non c'è mai l'Ente assistenza;
n'han fatto presidente un professore
che agli ammalati non dà l'occorrenza.
Per il Comune sol fanno i lavori
e chi diritto n'ha rimane senza;
chi ha capital, terreni e fabbricati,
solamente a questi fanno i mandati.

'Sto prete in chiesa che devozion prega?
In terra l'è finito il buon ristoro!
Ma esami di coscienza inver non nega,
ti prego farli e con dolore imploro:
popolo, mira chi è di buona lega,
chi vive solamente di lavoro:
è pieno di bontà, non è mai tristo,
non so perché deve essere malvisto.

Mica volevo fare qualche acquisto!
Nonostante si spaccino i milioni,
quello sa che il paese è tutto misto,
cercando voti nelle votazioni,
quando si mette nella borsa Cristo
e recitando va sue orazioni;
portandosi Madonna e Sacramento,
può il vero esaminare in un momento.

Ma voglio ritornare al Presidente:
la Pastorella ben venne a pagare,
dando denaro alla sportiva gente
per farla divertire e sollazzare;
a chi 'l dolore dentro il cor si sente
del pane da largir non può pensare.
Ma vorrei dire a dieci ed anche a venti:
«Siate persone alquanto più coscienti!».

Forse ciascun consigliere è incosciente,
parlando loro ogni pensiero tace,
tu richiamarli devi, o presidente,
nonostante che il richiamo a lor non piace;
tu che sei, forse, uomo più sapiente,
s'ami il prossimo tuo, nonché la pace,
pronunzia una parola un po' gradita
che dia letizia con gioia infinita.

Sento dentro il mio cuore una ferita!
A Civitavecchia mi son recato,
ove un dottore a visitar m'invita
per veder se davvero son malato:
il mal mi affligge e l'osso mi si trita,
però nessuno si fa preoccupato;
questa gente potrebbe esser cortese:
pur un soldo non dà da più d'un mese.

Spero che le mie rime sian comprese,
di qualche sbaglio mi perdonerai;
questo succede a Tolfa, mio paese,
se non sai pianger, sostegno non hai;
ma qui ci rivorrebbe il rio francese,
quella gente che diede tanti guai.
Se le mie forze non fossero pigre,
in pasto li darei ad una tigre.

5 Agosto 1958

Costretto a letto da più di due mesi a causa di una malattia alle ossa, non assistito da nessun Ente, preoccupato per la numerosa famiglia che ha sulle spalle, con queste ottave il poeta sfoga la sua rabbia contro gli amministratori dell'Ente Comunale di Assistenza, che di tutto e di tutti si ricordano tranne che di un onesto padre di famiglia che ha il solo torto di non essere andato a raccomandarsi ed a «piangere» miseria. La gestione clientelare dell'Ente viene messa sotto accusa di fronte alla popolazione, affinché i suoi amministratori rivedano la loro politica e compiano gli interventi di assistenza sulla base del bisogno e non dell'appartenenza ad un partito o ad un altro, o sulla base della speranza di scambiare una manciata di soldi con il voto.

LA CACCIARELLA A VUOTO (1)

Quando si parte per la cacciarella
si veste il cacciator con grande stile,
si cinge la ventrier, la catanella
mette a tracolla insieme col fucile;
è tutto vero ciò, non si cancella,
anche il cane allor sembra più gentile;
chi parte in moto e chi sulla Seicento
ed altri ancora sulla Millecento.

Quando si giunge al bosco, il fuoco è spento
e quindi si comincia a tremolare,
ma il Capo caccia, con parlar sì lento,
indica ai cacciator dove sostare.
Cade la pioggia ed urla forte il vento,
ma pur nel bosco iniziano a gridare.
Il cane è pronto, abbaia e piano piano
cerca la preda al monte, a valle, in piano.

L'ordine dato non fu dato invano
ed appostato ognun sta con fermezza;
se l'animale passa un po' lontano,
la prova il cacciator tanta tristezza.
Maledice la sorte, il caso strano,
col core gonfio d'ira e d'amarezza;
se vien poi sotto mira l'animale,
allor gli dà quel colpo micidiale.

Non sa se sia una volpe od un cinghiale,
chè mal veder si puole infra la macchia,
urlar si sente e sembra un temporale,
dal quale fugge il merlo e la cornacchia.
Gli altri animali fanno tale e quale,
nel miglior modo ognun, se può, s'immacchia;
intanto il cacciator, sull'alberetto,
ha freddo, trema e soffre, oh ... poveretto!

Ma debbo dirvi, con parlar sì schietto,
che la cagion di tutto è la passione;
il cane salta in mezzo del boschetto,
lavora con pazienza e precisione.
Ora si tuffa dentro ad un fossetto,
ora insegue la preda nel macchione;
quando i cinghiali alfine esso ha trovati,
abbaia e i cacciator sono avvisati.

Ecco, i fucili son tutti spianati,
si sente il can che vien tanto veloce,
anzi più cani, e corrono affiancati
con brama incontro all'animal feroce.
I primi colpi son tutti sbagliati,
la preda è lungi e più nessun le nuoce,
fiutò per prima e poi girò a traverso,
quindi sparar di nuovo è tempo perso.

Sospira il cacciator, quando disperso
lo vede l'animal, con alti lai:
«Ahimè — l'un dice — la giornata ho perso
e senza intento pur m'affaticai!»
L'altro risponde: «Non è quello il verso
cacciar nel bosco, se cacciar non sai».
Qui giunge il capo, pone in bocca il corno
e tutti insieme a casa fan ritorno.

O sorte avversa, quanto e quanto scorno
hai dato al cacciator nella giornata!
A vuoto ritorniam per questo giorno
e con la vita molto affaticata.
Quando al paese noi farem ritorno
verremo accolti da una gran fischiata.
Diran, ridendo in faccia di ciascuno:
«Sparasti molto e non colpisti alcuno».

5 Gennaio 1965

(1) Composizione ironica e scherzosa, con la quale l'autore racconta il fallimento di una battuta di caccia al cinghiale, la tradizionale «cacciarèlla». Al di là del motivo satirico, essa è interessante per la descrizione minuziosa di tutte le fasi di preparazione e di esecuzione di una delle attività venatorie più tipiche e spettacolari, particolarmente sentita a Tolfa, dove sono presenti quattro o cinque associazioni di cacciarella in grande concorrenza tra loro.

UNA FESTA IN ONORE DI SANT'ANTONIO
MALE ORGANIZZATA (1)

O sant'Antonio, mi perdonerai
se nomino di Tolfa il Gran Consiglio,
riguardo alla tua festa, che, ben sai,
piace di tal paese ad ogni figlio.
Qui la giustizia non s'è vista mai,
sembra che stia nascosta in un naviglio;
spero possa trovarla almen nel giorno
della tua festa, quando fa ritorno.

Per noi quest'anno è stato un grande scorno
non festeggiarti con passione ardente,
ma la colpa, se triste è stato il giorno,
è d'ogni consigliere e il presidente.
Fece la Processione intorno intorno
al paesello, bella veramente,
la processione con la torcia in mano,
ricorda il Santo nel suolo africano.

(1) Il 17 gennaio, festa di Sant'Antonio protettore degli animali, è una ricorrenza particolarmente significativa per i tolfetani, la cui economia si è per secoli basata sull'agricoltura, nella quale fondamentale è il ruolo svolto dagli animali, sia come mezzo di lavoro che come merce utile per l'integrazione del bilancio familiare.
Anche oggi, nonostante le trasformazioni socio-economiche-culturali avvenute a partire dal dopoguerra, la festa di sant'Antonio conserva quasi intatto il suo fascino e particolarmente impegnativo è il compito dell'Università Agraria, l'ente che ha la responsabilità «politica» del programma e dello svolgimento della festa. Naturalmente qualche volta può capitare anche di compiere errori, come nel caso in questione, ma allora bisogna guardarsi dalla critica pungente del poeta a braccio.

Questo succede al suolo tolfetano
O per invidia oppur per gelosia;
un manifesto compilaron strano,
esponendolo poscia in ogni via.
Nulla v'era di bello e nè di sano,
e questa è verità, non è bugia.
Il gran consiglio un mal partito prese,
scartò il miglior cavallo del paese.

La razza tolfetana sol discese
nel campo per la corsa a quell'invito,
ma, vedendo tal bestie, ognun s'offese,
essendo vecchio l'un, l'altro sfinito.
L'unico corridor ch'aveva pretese
era fiacco, era secco, era zoppito,
ma nonostante ciò, con buon maniera,
correndo zoppo prese la bandiera.

Malgrado la giornata fosse nera,
la festa pur bisogna proseguire
e nella mascherata ormai si spera
per potersi un pochetto divertire.
Ma diventammo del color di cera
appena la vedemmo comparire;
perciò prego il consiglio e altre persone
di voler dare le sue dimissione.

Ma voglio salutar, per compassione,
la Giunta dell'Agraria con rispetto,
che l'ha creata tanta confusione
deliberando un sì triste verdetto.
Quel ch'ha più intelletto e più ragione
bisogna perdonarlo, è giovanetto,
però col canto pur lo voglio dire:
cedè centocinquantamilalire.

Il popolo non fece che soffrire,
per questo volli scriver uno scherzetto;
un'altra volta ben potrà capire
e fare un manifesto più perfetto,
senza gettare al vento tante lire
esenza accontentare un ragazzetto.
Spero un altr'anno, se al potere stai,
sant'Antonio miglior festeggerai.

17 Gennaio 1968

LA DONNA BIONDA IN CONTRASTO
CON LA DONNA MORA

Se l'intelletto è stanco, allor lo frusto
per confrontar la mora con la bionda;
quest'ultima dà sempre molto gusto
in quanto è più piacevole e gioconda.
Seppur la donna mora ha più bel fusto,
non ha la tenerezza alta e profonda.
Tu guarda il sol che spunta la mattina:
il raggio è biondo, a quello ognun s'inchina.

Elena, Omero innalza all'alta gloria
perché aveva il suo bel crine biondo,
Paride si innamora, e questa è storia,
nel senso più dolcissimo e giocondo.
Se poi la Primavera hai tu a memoria,
ch'ogni terreno rende più fecondo,
bionda è la spiga al grano maturato
di cui si nutre l'uomo di ogni stato.

La bionda è bella a Marzo ed a Gennaio,
specie d'inverno sotto le lenzuola,
quando la neve riempe anche lo staio,
con l'affetto ti scalda e ti consola.
La mora invece è fredda, e questo è '1 guaio,
è timida in amore e di parola.
Nell'amplesso d'amor spesso è fallace,
all'uomo intelligente ella non piace.

S'alla mora tu caricassi il basto,
degna sarebbe di tale ornamento,
così terminerebbe il mio contrasto
e non avrei più noie e nè tormento.
Di Galileo il genio alquanto vasto,
ricchissimo di studio e di talento,
ergersi puole a conquistar le gioie,
perché una donna bionda avea per moje.

Di certo il nero poco m'asseconda,
perchè sempre rammenta il triste lutto,
baciando invece il viso della bionda
bruciar mi sento il core dappertutto.
Nell'amore è più brava, è più profonda,
del diletto lei cerca il più bel frutto;
la donna quand'è bionda è quella rosa
che sol l'uomo beato al mondo sposa.

La bionda tu non sai che cosa sia:
è 'na donna allettante e divertente,
rasenta spesso l'uomo la pazzia,
quando baciar da quella lui si sente;
è tutta grazia, è piena di poesia,
loquace nel discorso ed attraente.
Quando si toglie l'ultimo suo velo,
compare il più bell'angelo del cielo.

12 Marzo 1977

LA TRAGICA VICENDA DI ALDO MORO

O patria nostra, come sei ridotta!
Non c'è più rispetto, non c'è amore,
ti vedo un po' pendente, hai qualche botta,
si vedono cose d'ogni colore;
a mio parere tu sei un po' corrotta,
solo a pensarci ognor mi dole il core.
Se dell'Europa sei il bel giardino,
ogni fiore lo getti a capo chino.

Del sedici Marzo era un bel mattino,
o Fato avverso, o scellerata sorte!
Un aiuto ti chiedo, o buon Divino,
se tu mi dai parole e mi conforte,
per la fatalità, per il destino
dammi la forza e le parole accorte;
se tu mi fai coraggio alla memoria,
io scriverò una pagina di storia.

Falsa delle Brigate è la vittoria:
l'uno e l'altro era lì appostato,
ecco Aldo Moro e la sua scorta aboria
che verso il Parlamento fa il tracciato,
quando si intese una sparatoria
da una macchina che avea ostacolato.
Chi mamma chiama, chi la moglie o figlia,
grido disperato ch'al ciel s'appiglia.

Un brigatista Moro al braccio piglia,
uomo che di natura l'ha un messaggio,
che col pensiero suo tutti consiglia,
si volta e vede lì quel sangue raggio,
di pianto si bagnaron gote e ciglia,
disse: «Perché avete fatto l'oltraggio?».
A cinque figli di famiglia unita
quel giorno, lì, tolsero la vita.

«Ora vieni con noi in questa gita!».
Lui, con educazione e con maniera,
col suo buon cuore da person gradita,
devotamente fece una preghiera.
Disse poi: «Mia carriera è ben finita,
di colpo scatenata è la bufera».
Uomini dalla vita spinta in tutto,
lasciate al mondo dolor, pianto e lutto.

Al Presidente non gli fece brutto
e segue la sua strada nel destino;
quella notizia arriva dappertutto,
al paese più lontano e più vicino;
a nessuno rimase il ciglio asciutto,
geme in Italia ogni cittadino:
tanta pena dovunque e gran martoro,
han sequestrato il presidente Moro.

Uomo di grande fede e di decoro,
fu molto lunga la tua prigionia;
moglie e figli uniti eran fra loro,
vivevan giorni di malinconia.
Dice la moglie: «Dov'è il mio tesoro,
che da Via Fani hanno portato via?
Ridatemi vivo il mio primo amore,
altrimenti morrò di crepacuore».

Giorni scuri per quel brutto terrore...
finalmente arrivato è il volantino,
di Moro dà notizia alle prim'ore,
lo pubblica «Il Popolo» ed «Il Mattino».
La madre chiama i figli con dolore:
«Dove sarà il mio caro gelsomino?»
e mentre con i figli ne ragiona
ad uno svenimento s'abbandona.

Un altro n'arriva e condiziona
ch'un cambio si doveva allora fare;
Bettino Craxi, una persona bona,
a tale patto ci voleva stare,
ma più d'una parola non gli sona.
Il Papa incominciò a predicare:
ecco tanta sapienza della mente,
quella prece non è servita a niente.

Vedi la sorte d'uomo intelligente:
come fu fatto al nostro Redentore,
quello fu torturato veramente,
ch'un avvenire lo volea migliore.
Da quando è mondo esiste l'incosciente,
c'è il crudo, falso, iniquo e traditore,
ma chi al genere umano vuole bene
non deve far così, ché non conviene.

La F.U.C.I. fin da giovane lui tiene,
di quell'associazion fu presidente
e per quattro anni bene la sostiene,
fino al quarantadue seriamente;
come fratel agli alunni vuol bene
perché era educato e non prepotente;
"leader" democristiano fu chiamato
e nel quarantasei fu deputato.

E da quell'anno dall'elettorato
ben cinque volte venne Presidente,
alla Pubblica Istruzion più volte è stato
 ed era intelligente veramente.
Vorrei saper perché l'han sequestrato,
uomo di grandi doti e ben sapiente;
quando ministro agli Esteri lui era,
fu sollevata nostra Italia intera.

Torniamo un po' agli avanzi di galera;
onore faccio a nostra polizia
ch'ha lavorato da mattina a sera,
c'era un posto di blocco in ogni via,
ma c'è rimasta con la bocca nera
ed è restata la malinconia:
se quella liberava il Presidente
aveva ben più orgoglio certamente.

Sentite cosa ha fatto quella gente:
si formano tra loro un tribunale
per condannare a morte l'innocente,
a loro sembra giusto e ben legale.
Per tutto il mondo tristezza si sente,
all'appello risponde il Quirinale,
ogni partito lo prende di piglio,
ma non giovò la forma del consiglio.

Simile eri tu a un candido giglio,
che rimanesti saldo alla speranza;
ti fece spandere il sangue vermiglio
quel criminale che troppo s'avanza.
Di pietà si mosser il faggio e '1 tiglio,
ti sei trovato in brutta circostanza:
«O crudo destino, quale ria sorte,
sono innocente e condannato a morte».

E Moro domandò: «Dove mi porte?».
 «N'aver paura, non sei abbandonato».
Su una Renault messo, stretto forte,
nella via Caetani fu portato;
la capital ha genti ben accorte,
solo un passante che l'era avvisato,
vedendo il Presidente sì conciato,
strillò forte, ma lui non s'è svegliato.

Allora la famiglia hanno avvisato
e la Giustizia e 'I capo del Governo,
fu per primo a correre un deputato:
«Italia, tu hai perso un gentil perno»,
questo rimase molto addolorato
e fece una preghiera al Padre eterno.
Dalla Renault fu posto su un lettino,
i proiettili trovaron per cuscino.

A Roma piangeve ogni cittadino
e la famiglia tanto addolorata,
dal figlio più grande al più piccino,
nel vedere la faccia insanguinata,
maligna sorte e perfido destino:
«Babbo, sei una persona tanto onorata,
babbo, il tuo nome è grande assai
e l'Italia non ti scorderà mai».

La moglie, con angoscia e tanti guai,
eppure un fermo lo mise al governo;
«In quella chiesa dove ti portai,
da dove tu partisti per l'eterno,
la mia sorte, pur triste, m'abbracciai,
anche se tante cose non concerno».
E queste della vita son le gesta,
vedova con onor la donna resta.

La morte la sapienza pur calpesta.
Ora che sei scomparso, amico Moro,
uomo ch'avevi il sentimento in testa,
Italia amata, l'hai perso un tesoro,
a portar lutto la nazion s'appresta,
con pianto, con dolore e con martoro.
Qui si chiude il mio canto e qui si tace
ed io ti lascio nella santa pace.

9 Maggio 1978

IL TERRORE FASCISTA (1)

Sapienza mia, dammi il tuo conforto
per esternare questo mio messaggio;
cantar ora vorrei l'oltraggio e '1 torto
del Ventidue, quando fu '1 passaggio
e la camicia nera entrò nel porto
e prese posizion, non fu miraggio;
a chi diede tortura, a chi '1 confino
anche contro la legge ed il destino.

Usando il bastone, anche il pennino
e quanti gonfaloni han radunato;
torture e botte ad ogni cittadino,
ogni pensiero rese insanguinato;
tante squadracce fece il malandrino
e più di uno che girava armato;
tanti soprusi fece in questo loco,
la libertà valeva ormai più poco.

Di questo crudo e infame doppio gioco
si approfittava chi era fascista;
al grande onore ci pensava poco,
e '1 furbo fece l'ex socialista,
la marcia su Roma fece, uomo fioco;
subito ha carcerato il comunista.
Questo ha fatto la camicia nera,
chi torturato e chi morì in galera.

E quella gente ch'era un po' leggera
anche qui a Tolfa, piccolo paesello,
si comportò da avanzo di galera,
purgare non è certo un gesto bello,
chi torturava da mattina a sera
e l'uomo anziano e '1 piccolo monello.
Avevan fatto squadre di briganti
ed eran prepotenti tutti quanti.

Questo successe a Gigi de' Pelanti,
che aveva lavorato tutto il giorno:
quelli bussaro e si fecero avanti,
eran camicie nere pien di scorno,
che fecero le voci assai arroganti:
«Vieni con noi, chè poi farai ritorno»;
Gigetto impugnò l'ascia: «Ora entrate...»,
quelle carogne tosto son scappate.

Sentite cosa fanno 'ste brigate:
vanno in casa d'una partoriente,
prendono il marito e giù legnate;
quella, presa dal dolore ricorrente,
disse «Aristide mio..., cosa gli fate?».
Quelli menan più forte, da incosciente,
ebbero tale gioia e tal conforto
ch'Aristide lo reser mezzo morto.

Allora il capo li chiamò a rapporto:
«Ora prendete Tullio Valentini».
Ecco quel branco nero ch'è risorto
ed a prenderlo vanno, i malandrini;
appena da lontan l'ebbero scorto,
per le mani lo preser gli assassini.
L'oltraggio fu fatto e tanto avanza,
fu sottoposto a stretta sorveglianza.

C'eran Quirino e Luigi in una stanza
dove c'era la purga preparata,
offensiva ed umiliante sostanza;
una botta alla luce e fu smorzata,
di quei si perse la rassomiglianza,
male s'era lor messa la serata.
Così, andando nelle conclusioni,
con gente onesta furon mascalzoni.

Sentite cosa fecer 'sti bricconi:
si recarono presso Piancisterna,
dov'è '1 poder di Giacomo Belloni,
nella casetta, in quella stanza interna,
tutto bruciaron, vili e mascalzoni.
Sfregiano l'orto che quello governa
ed un uomo anziano ed ormai invecchiato
fu tanto impaurito e maltrattato.

Quando mio padre si fu congedato
il corteo fascista si faceva;
in mezzo a quelli essendosi trovato,
un fascista sentì che gli diceva:
«Tu non sei italiano, o scellerato»,
intanto una legnata riceveva;
a Sergetto mio padre era vicino,
del passato ragionavano un pochino.

Mio padre non era più bambino
e con l'amico suo partì d'accordo,
fecero largo d'ogni malandrino,
colpendo a più non posso ogni balordo;
Venturino Carducci, lì vicino,
raccontare lo può anche a chi è sordo.
Così partirno in tre, vi parlo schietto,
il quarto ch'arrivò fu '1 Saveretto.

D'aggiunge un altro fatto mi permetto:
Enrico, tu che fosti torturato,
il tuo fratello Pietro, più negletto,
anche lui dai fascisti fu menato;
chi aveva un'altra idea, poveretto,
lo facevano star disoccupato
e lo perseguitavan giorno e notte,
ecco un litro di purga e tante botte.

Rodolfo, che cantasti Matteotte,
qualche giorno fosti fuggitivo,
dormivi in capanna o nelle grotte
e così ti chiamavan sovversivo,
e fu l'amico tuo che l'ebbe rotte,
adesso che va 'n gir di tutto privo
e questo, ch'ancor oggi è qui vivente,
a testa bassa va tutta pendente.

Il fascista sempre fu incosciente,
i fratelli Minandri torturati;
tanti ne torturar, anche innocente,
quando alla sede li facean chiamati.
Scrivetto fu purgato, indifferente,
altri ancora furon maltrattati,
a Nicola e Ciòlo diedero pene
con sì malignità che non conviene.

Ora che son sparite le catene,
l'istruttore del premilitare,
quello che ci trattava poco bene
e sempre tutti ci facea tremare;
era uno che ci dava tante pene
e qualcheduno seppe incarcerare.
Se era rimasto dove fu portato,
non c'era da scontar nessun peccato.

A questo punto il canto ho terminato;
se indietro più di uno lo lasciai
e se l'oltraggiator non l'ho nomato,
o cittadino, mi perdonerai;
vedi ch'ognuno sconta il suo peccato,
andar solo soletto lo vedrai.
Tutto questo ho raccontato senza boria,
sol per ricordare un po' di storia.

24 Maggio 1978

(1) Anche a Tolfa, come nel resto d'Italia, «fascismo» fu sinonimo di prepotenza, di violenza, di sopraffazione su chi la pensava diversamente; spedizioni punitive, pestaggi, purghe, case devastate, antifascisti perseguitati e costretti alla disoccupazione furono avvenimenti frequenti nel ventennio.
Di quel periodo di terrore, che chi non ha vissuto non può comprendere fino in fondo, il poeta offre un quadro efficacissimo, ricordando, soprattutto a chi se lo fosse dimenticato, che la convivenza civile non può basarsi sul manganello e sulle squadracce nere.

CONSIGLI DI UN POETA ALLO STUDENTE

Dice che siam nell'era della scienza
e per togliere l'analfabetismo
i genitor l'esam fan di coscienza,
se levare si può tale egoismo
e non subire più la prepotenza;
e tu, studente, va' nel realismo,
se vuoi aver un avvenir migliore
usar tu devi il sentimento e '1 core.

Lo studio, certo, è la parte maggiore,
studente, quando a scuol ti recherai,
ascolta la lezion del professore,
allora qualche cosa imparerai,
più forza acquisterai e più valore;
ti prego allor di non mancare mai,
di lasciar perder gli stupefacenti,
se il tuo nuovo avvenir caro ti senti.

Tu sfrutti la famiglia, parimenti
tu porti in giro la professoressa,
gli studenti debbon esser coscienti,
ma a scuola molto spesso fanno ressa.
Un bel giorno verrà che tu ti penti,
la tua persona può rimaner fessa;
quando rimpiangerai quel tuo peccato
da solo ti dirai «Oh disgraziato!».

Allor fatti allo studio affezionato
e guarda un poco la casta natura
e nella notte il bel cielo stellato,
la chiara luna, la bella frescura!
Vedi che '1 pastor fa accompagnato
nella campagna, nella notte oscura.
Di giorno mira il dolce e caldo sole,
che riscalda la terra e la sua prole.

Di primavera guarda le viole,
ecco la terra mentre si rinnova;
studente, guarda come questa puole,
questa del progresso dà la prova;
se il professore chiama ed a te duole,
così alla terra tutto quanto giova,
se tu miri i bei prati ed il ruscello,
ti rinnovano il pensiero col cervello.

Ammira al campo ameno l'alberello,
il terreno che mostra il verde manto,
poi guarda la vacca col vitello
e l'altre bestie che ne stanno accanto,
sacrificio del pastore, poverello,
sotto la pioggia lui si copre intanto
e dorme nell'ovil, tutti lo sanno,
dal primo d'ogni mese in tutto l'anno.

Cerca un nuovo avvenir, non fa' '1 tiranno,
se l'olmo ammiri con la quercia e '1 faggio,
che '1 boscaiolo affaticare fanno,
comprendi d'evitar qualche miraggio.
Ascolta il professor, ti raccomanno,
mentre che canto ti spiego il messaggio:
se vuoi acquistar la scienza e la cultura,
devi veder dal vivo la natura.

Sappi, la gioventù sempre non dura,
allora, presto, prendi il libro in mano,
la scienza sai ch'esiste imperitura,
devi onorare il popolo italiano;
allora tu, studente, prendi cura
e non restar col sentimento vano.
Studiando avrai gran pregio ed un bel vanto,
che nel nuovo avvenir t'onoran tanto.

Il professore ti sta sempre accanto,
mentre la valle guardi con il monte
e la natura ti sembra un incanto;
nella pianur le messi son pronte,
il sole dona loro l'aureo manto;
pertanto bevi a lungo in quella fonte
e se vorrai ottenere un risultato,
alla natura fatti affezionato.

Poi c'è qualche studente indelicato,
ch'a quello onesto dà brutta lezione;
è '1 figlio di papà, tanto onorato,
ch'è la rovina di questa nazione.
Quello disturba chi s'è concentrato
e chi con cura spiega la lezione,
quello danneggia proprio il ceppo vecchio,
che nel paese è sempre '1 miglior specchio.

Se lo scolaro non studia parecchio,
al professore mi faccio appellato,
che prenda quello pure per l'orecchio
se quel che dice ben non ha ascoltato.
Il professore dice: «Già son vecchio
e spesso nell'orecchio gli ho soffiato,
sei ore al giorno faccio di lezione,
questi proprio non prestano attenzione».

Il professor fa sempre opere buone,
spesso la vita passa in sacrifizio
per portare alla stessa condizione
anche te, Giuseppe o Franco o Maurizio;
perchè non volete usar la ragione
e allontanar la mente da quel vizio?
Quello con passione t'ha insegnato,
devi essere perciò molto educato.

Alle supplenze mi fo avvicinato:
quando ch'a scuola manca il titolare,
è un giorno di scuola sorvolato;
ci vuol pazienza, che cosa vuoi fare,
se il vero titolare s'è ammalato,
dal Preside non devi reclamare;
la supplenza è bella e l'argomento
è svolto tutt'al più al cinque per cento.

Arrivati alla fin dell'argomento,
voi insegnanti mi perdonerete,
d'onorare il professor mi sento,
d'onorare anche quel ch'insegna il prete,
che sa chiamare lo strano elemento
e dove c'è subbuglio porta quiete;
così onoro il Preside e '1 Rettore,
che l'avvenire rendono migliore.

27 Febbraio 197

 

L'ORRORE DELLA GUERRA (1)

Se potessi dettar quello ch'ho in mente,
o biondo Apollo, aprimi la via;
Tersicore, conosci 'sta sorgente,
in questo canto fammi tu da scia;
dammi la forza, o Dio onnipotente,
mi raccomando a te, Vergin Maria,
dà intelligenza a un misero cantore,
che sforza la sua mente insieme al core.

Fu quel quarantatrè: quanto terrore
sotto al fascismo ed alla monarchia,
chi prigionier, chi per la patria more;
si vivevan giorni in malinconia,
in Italia c'era il barbaro invasore,
il nazismo ci donò la villania.
Questo ch'adesso ho detto è tutto vero,
c'era un posto di blocco ogni sentiero.

I morti non portati al cimitero,
i furti ed i ricatti furon tanti;
il partigiano, molto ardito e fiero,
vedeva rapire e restare i pianti,
l'Italia vedeva ridotta a zero.
Pensa cosa fanno questi furfanti:
si portan via il bene italiano,
lasciando tutti con le mosche in mano.

In Sicilia sbarcò l'Americano,
al settentrion di Francia c'è '1 francese,
ci fu lo sbarco nel napoletano,
l'aviazione a bombardare prese,
moltissime città ridusse a piano,
ad Anzio, ancor nel Civitavecchiese;
il Meridion tutt'era circondato
per fare l'invasore allontanato.

O Monarchia, dove ci hai portato!
Italia, ora di tutti sei bersaglio;
fascismo, tu non fosti equilibrato,
portasti la nazione allo sbaraglio.
Pensa a Monte Cassino bombardato,
tutto ridotto al suolo, se non sbaglio:
quell'italico antico monumento,
lo lasciasti sparire in un momento.

O patria nostra, sei vissuta a stento,
col prode partigiano alla difesa;
lo Stato Maggiore perse il talento,
i militari tutti fecer resa,
per le mamme un bruttissimo momento,
una sgradevolissima sorpresa;
il militar, ch'a casa avea pensato,
prigioniero in Germania fu portato.

Quanto terrore allor fu seminato,
fur fatti saltar ponti e ferrovie,
ogni porto d'Italia era minato;
pensa il Tedesco quante furberie,
in chiese ed ospedali era insediato,
dentro ai castelli e nelle praterie;
l'Italiano valeva ormai più poco,
regnavano 'I terrore e '1 coprifoco.

Lo spirito americano, fioco fioco,
della guerra intanto studiava il piano,
ecco che si moveva in ogni loco,
tutto comunicava al partigiano;
partecipavan i Britanni al gioco,
ma per salvare il popolo italiano,
che si trovava sotto ed umiliato
dal barbaro invasore indelicato.

Così la mala sorte ci ha portato
una classe che studia il grande inganno,
non pensando all'onore dello stato,
seminando terrore e grande affanno;
saper vorrei perchè hai abbandonato,
che s'è venduta, non tutti lo sanno,
la monarchia alla camicia nera,
che non torni mai più, questo si spera.

Chi torturato e chi messo in galera,
la famiglia Cervi basti guardare,
l'Italia era tutta prigioniera,
dall'invasor non si potè salvare,
sette figli spariti in una sera,
mentre scrivo mi sento lacrimare,
per la mamma quanta disperazione:
della famiglia fu la distruzione.

Questi son degni d'incoronazione,
quanti in Italia furon fucilati,
a Roma la più grande distruzione,
alle Fosse Ardeatine assassinati;
quante torture all'oneste persone,
quanti uccisi da pochi giorni nati.
Invasor, fosti crudo e disumano,
oltraggiatore d'ogni corpo umano.

Quanti paesi fur ridotti al piano,
tanti fur bombardati giorno e notte;
comincia l'avanzata da lontano,
italiano che dormi nelle grotte,
fatti coraggio con l'americano.
Persone intelligenti e tanto adatte,
salvateci dal barbaro invasore,
chi non è ucciso disperato more.

O Dio, condanna sempre il peccatore,
il gran macello della carne umana!
Sia maledetto ogni dittatore
che '1 pericolo crea e s'allontana!
Ma l'innocente lotta con amore
sul monte, la collina e nella piana;
mi dovete capir, cari lettori,
in Italia eran falsi e traditori.

Finita la pace, ci son gli orrori,
tu vedi ogni sentiero insanguinato,
se ne vedono di tutti i colori,
ed ancora la sua speme ha seminato,
popol severo e di gran crudo core,
o americano, fallo allontanato,
mandalo su nel suo nativo suolo,
levaci dal tormento e dal gran dolo.

Ventotto armate hanno spiccato il volo,
laggiù dal sud per arrivare al norde;
le truppe tedesche radono al suolo,
fanno saltare i ponti, 'ste balorde;
sono finite ormai, mi riconsolo,
tutto quello ch'hai fatto non ti scorde;
mentre il tedesco allor si ritirava,
monumenti e stazioni l'incendiava.

L'americano intanto bombardava,
pensate che sfracello 'sto paese:
mentre il tedesco tutto rapinava,
contro l'american non si difese
e così l'Italia se ne andava;
dall'America arrivano l'imprese,
e proprio grazie alla sua Ottava armata,
gli Italiani e l'Italia liberata.

Però quell'Esse Esse indelicata,
tutta la gente lei facea tremare
e più di qualche bestia ha macellata
ed ogni produttor senza pagare
e più d'una bottega ha devastata
e '1 buon metallo sì seppe intascare
e sfasciando cantine e magazzino
porta via maiale, grano e vino.

Il partigiano segue il suo destino
alla difesa della patria amata,
per cacciare il terrore e '1 malandrino
e quella gente infame e scellerata,
per salvare l'anziano col bambino,
ed anche ogni mamma tanto onorata;
tedesco, sei malvagio ed infedele,
così fece Caino con Abele.

Spargesti tanto sangue e tanto fiele
e calpestasti quell'Italia unita;
e quanto sei cattivo e sei crudele,
ecco che '1 partigiano l'ha capita,
negli Appennini quel sciolse le vele,
placando ogni dolore, ogni ferita;
unito s'è '1 toscano al romagnolo,
l'uccellaccio rapace spicca il volo.

Ecco del partigiano il riconsolo:
dopo che vari mesi ebbe lottato,
a cominciar da sud fino al nord polo,
per fare l'invasor allontanato,
l'amor del partigiano è uno solo,
salvar la terra dove è proprio nato;
onore rendo al prode partigiano,
anche a nome del popolo italiano.

Io dallo studio sono stato lontano,
la natura mi diè la fantasia,
non ebbi mai la scuola e '1 libro in mano,
ma non deriva ciò da parte mia,
non vi saprei dir lo stolto e '1 sano
e la giusta parola quale sia.
Lettor, che questo scritto leggerai,
tutti gli errori miei perdonerai.

2 Febbraio 1979

(1) L'otto settembre del 1943, con l'armistizio e l'occupazione militare dell'Italia da parte dei nazisti, si aprì uno dei periodi più sanguinosi della nostra storia; il poeta mette in risalto la tragicità di quei giorni, evidenziando le gravissime responsabilità del fascismo e della monarchia nell'entrata in guerra e nella disfatta.
Particolare rilievo assume, dopo la descrizione dei guasti causati dalla guerra, la figura del partigiano che, con la Resistenza e la lotta di liberazione, riscatta la dignità del popolo italiano

I BRIGANTI DI STIGLIANO (1)

All'improvviso ombre sul cammino,
che cosa fanno quattro sciagurati!?
C'è una mamma ed a fianco il suo bambino,
insieme ad altri vengono legati,
s'abbracciano sperando nel destino.
Son uomini malvagi e rinnegati,
non hanno amor di mamma e pargoletto,
la Natura l'ha fatti per dispetto.

Con mano scrivo e col cervello detto:
fu tra Tolfa e Canale Monterano;
se il Governo governa per dispetto,
che cosa ci ha a che fare il corpo umano?
Si chiami il Magistrato col Prefetto
a proteggere ogni onesto italiano.
Così, fra '1 deputato e '1 senatore,
la disonestà dell'Italia è onore.

Questi seminatori di terrore
chi uccidono, chi fanno sequestrato,
peggio di Tiburzi massacratore
e di Stoppa, che '1 sangue ha seminato;
vedi, l'avvenimento mai non more,
forse sarà la droga pel drogato,
io parlo molto schietto e parlo chiaro,
prego il Governo di porre riparo.

Son pure ladri e chiedono denaro,
che cosa c'entrano quattro persone,
prenderla col pullman è da somaro,
non hanno faccia a dir la lor ragione,
crudi di cuore e di pensiero avaro,
a mio parere senza educazione.
All'amore che mamma ha pel figliolo
quei dettero le pene e tanto dolo.

Si sa che il pullman è partito al volo,
quattro persone son rimaste ferme,
in piena notte e senza alcun consolo,
non hanno coraggio, la forza è inerme,
geme il figlio e si sente tanto solo,
ma la mamma è vicina a quel suo germe;
il figlio, quando vede il genitore:
«Mamma, slegar ci può '1 tuo primo amore».

Una preghiera faccio al Redentore:
vedi l'umanità ch'è in decadenza,
chi muore di gioia e chi di dolore.
Vergine e Madre, grande onnipotenza,
allontana dalla terra 'sto terrore,
non c'è più bene e né riconoscenza!
La sorte è questa d'ogni brutto o bello,
solo sanno crear l'iniquo e '1 fello.

Ogni inganno reclama un nuovo appello,
se questo è favorito, ancor cammina;
sequestrano la nave col battello,
sequestrano il dottore e la bambina,
se ci pensi te se ne va '1 cervello,
vedi ogni corpo umano alla rovina.
Come al tempo di Tiburzi e Fioravanti,
oggi al mondo ci son troppi briganti.

Certo la scienza ha fatto un passo avanti
per spandere il terrore sulla terra;
stan male i cittadini ed i viandanti,
dove tu cerchi pace trovi guerra.
Son seminati lutti e tanti pianti,
è meglio viver chiusi in una serra.
Siamo arrivati al punto, a mio parere,
che '1 delinquente qui debba giacere.

Tornare voglio al mio primo dovere,
parlar di quella mamma tanto amata
e del figlio, a cui dieder dispiacere
il ventitrè d'ottobre la serata.
Chi '1 ciglio asciutto potrebbe tenere
a maltrattà una mamma affezionata?
S'è ver che l'uomo del gran Dio è l'erede,
queste cose non debbon più succede.

25 Ottobre 1979

(I) La sera del 23 ottobre 1979 un gruppo di fascisti, autodenominatisi «Gasparone ed i briganti della Tolfa», bloccarono un pullman dell'A.Co.Tra.L. presso Stigliano, tra Canale Monterano e Tolfa, legarono ed imbavagliarono il personale ed i pochi passeggeri, minacciandoli con le pistole, e tentarono invano di far precipitare l'autobus in una cava di tufo. Su questo pullman si trovavano, tra gli altri, una madre con il figlio ed è proprio dall'angoscia di questa che il poeta trae ispirazione non solo per condannare il gesto in sé, ma anche per mettere in rilievo lo stato di violenza e di insicurezza in cui si trova la nostra società.

LA RONDINE PELLEGRINA (1)

Al ritorno della nuova stagione,
dopo un inverno tanto tormentoso,
la dolce Primavera, all'occasione,
a tutti fa trovar pace e riposo.
La rondine ecco a pranzo o colazione,
'1 suo tintinnio l'è tanto pietoso;
or mi tormenta pure nel mattino,
che brutta sorte e peggiore destino!

Assai gode il pastore, poverino,
ma non ti puoi fa' una passeggiata,
che cresce la cavalla col vannino,
male sta l'impiegato e l'impiegata,
la rondine tormenta un pochettino,
lascia il posto dov'è stata trovata,
non ti lascia in pace, ti tormenta,
il mio schifo con la gran noia aumenta.

Come un ospite in casa si presenta
perché le manca un po' d'educazione
e poi con voce grossa l'argomenta,
ma non sa riconoscer la ragione;
il troppo ragionare ti sgomenta,
questo può fare solo chi è impiccione;
o lettor, ti richiamo quelle gesta,
ché troppo ragionar per noia resta.

La rondine a cambiar zona s'appresta:
si respira un pochino d'aria pura,
sono un po' nervoso, mi duol la testa,
se ne andasse lontano addirittura
e per l'eterno ne rimanga mesta,
che sia giù nella valle o sia in pianura.
Vergine e Madre, una grazia ti chiedo,
sarei contento se più non la vedo.
24 Maggio 1980

(1) In periodo di elezioni, capita spesso di essere sottoposti a mille attenzioni da parte di zelanti procacciatori di voti; fino a non molti anni fa, a Tolfa ed in molti altri paesi, era facile vedere all'opera le famose «madonne pellegrine», che percorrevano assiduamente tutte le vie del paese, casa per casa, a caccia di favori e voti per la democrazia cristiana.
Oggi le classiche madonne pellegrine sono sparite, soppiantate dai moderni mezzi di comunicazione di massa, ma ne è rimasta qualcuna, tenacemente fedele ai vecchi sistemi di propaganda: è una «rondine pellegrina», che svolazza da una casa all'altra, invadente, tormentando la gente con argomenti assillanti. Questo è l'efficace ritratto fattone dal poeta.

LA STRAGE DI BOLOGNA

Quest'oggi geme si l'Italia intera
quando s'intese la brutta notizia
d'una bomba che di morte è foriera,
messa da persone senza giustizia
che portan male dove pace c'era;
Bologna è nel lutto e nella mestizia,
quella stazione è triste ed in rovina,
delle persone una carneficina.

Italia del ricatto e di rapina,
questa è la verità, non si nasconde,
adesso invoco te, somma Regina:
di questa situazion chi ne risponde?
Si rapisce l'anziana e la bambina,
del maremoto par di star nell'onde;
se 'sta politica non vien cambiata
vedi l'Italia in lutto e insanguinata.

Ma quanta delinquenza s'è formata,
ora la colpa diamola al governo,
ogni contestazione è presentata
per tanti favori che non concerno;
questa democrazia è un po' truccata,
scende dal Paradiso giù all'Inferno;
dall'era della scienza e dell'amico
qui stiamo ritornando al tempo antico.

Oggi viviamo in un tremendo intrico,
il mondo è tutto pien di ribellione,
per te, o senatore e mezzo amico,
la Repubblica ha perso la ragione;
il deputato soffre un male antico,
in Italia c'è grande confusione;
se non si toglie ogni favorimento
vivremo nelle pene e nel tormento.

Alla magistratura un complimento
ché tiene onore e fede, tien decoro;
Italia, t'han ridotta nello stento,
t'aiuta il magistrato col lavoro
contro ogni brigatista e lo spavento,
ai carabinieri do l'alloro;
fra le Brigate rosse e quelle nere
certo sarebber piene le galere.

Il Papa recita tante preghiere,
in terra l'è il secondo Onnipotente,
 ma non adopra tutte le maniere
perché non chiama l'anima incosciente;
se quel favoritismo fa tacere
vedi ogni peccator tornar pendente,
ma se '1 favoritismo ancor cammina,
o poveri italiani alla rovina!

Fu nel sessantanove, una mattina:
mentre il treno tranquillo camminava
una deflagrazione repentina:
chi '1 figlio e chi la mamma l'invocava,
una bomba è scoppiata, oh che rovina!
Ogni fascista le mani si lava,
incolpati gli anarchici son stati
mentre eran fascisti famigerati.

Che disastro, quanti sfigurati,
da Brescia la disperazione sale,
quanto vorrei saper chi l'ha mandati
a 'sto consorzio umano a far del male;
io penso che saranno ben pagati
per mettere l'ordigno micidiale;
in Piazza della Loggia c'è un comizio,
le bombe voglion far togliere il vizio.

Ecco gli avvenimenti in precipizio,
non è finito il tempo dello schiavo,
bene lo sanno pure Caio e Tizio;
come Ponzio le mani non mi lavo,
se tu metti le bombe io ti giustizio,
sia stramaledetto ogni tuo avo;
richiama un momentino il tuo cervello,
ognuno ha la sua mamma e è tuo fratello.

Di Milano alla Banca faccio appello
dove morì ben più d'un innocente,
di questi terroristi vi favello,
nel Servizio segreto è l'incosciente
ch'a quelli è stato guida e bastoncello,
come legge italiana non c'è niente.
Ci sono Minister tanto importanti,
ecco le bombe son venute avanti.
Si sono riempiti i camposanti,
se '1 popolo non fosse un poco accorto
lo sfruttator cambierebbe sembianti
e non riceve la ragione il torto,
di Polizia n'hanno uccisi tanti
e più d'un magistrato è che l'è morto;
nel paese c'è più d'un traditore
e ladro e vagabondo e sfruttatore.

Tutti si vive in stato di terrore,
la sciagura di Bologna si espande
e bisogna colpire il malfattore,
delle disgrazie questa è la più grande,
chi piange e chi non trova il genitore;
mamma di tua figlia ancor fai domande,
più d'ottanta restarono a giacere,
non si può sopportar 'sto masnadiere.

Corre la Polizia col pompiere,
pensate un poco alla cittadinanza,
in tanti sono andati lì a vedere,
ecco il dottore e l'autoambulanza,
le gote asciutte niuno può tenere,
non c'è più fede, amor, non c'è speranza:
son morti senza aver fatto del male
e poi quanti feriti all'ospedale!

O disumanità cruda e infernale!
D'ogni partito va un rappresentante
con l'espressione mesta e più cordiale
edi promesse n'hanno fatte tante,
ma bisogna colpire il criminale,
questa è la base oggi più importante.
C'è chi promette al momento opportuno,
poi si gira e non vede più nessuno.

Il corpo pien non pensa a chi è digiuno,
da quando è mondo c'è lo sfruttamento,
ma se tutte le mie forze raduno,
meglio che posso questo è l'argomento;
che ci fa viver male c'è più d'uno,
ci fa viver nel pianto e nel tormento.
O quanta verità vorrei ben dire,
ma chiudo il canto, mi sento languire.
3 Agosto 1980

IL TERREMOTO NEL SUD

O madre Terra, cosa hai combinato!
Hai distrutto tanta creazione,
ovunque pianto e lutto hai seminato,
si vede vita umana in perdizione;
forse avevi il cervello addormentato,
oppure hai perso tutta l'affezione.
Potenza, Salerno e '1 Napoletano
hai toccato con la funesta mano.

Un improvviso e malvagio uragano:
così è arrivata quella brutta sorte;
Era, che sei nel regno del Sovrano,
al terremoto apristi tu le porte,
questo si presentò certo non piano,
il suol delle città fu scosso forte;
o tu, che il terremoto hai scatenato,
desti morte anche a chi non era nato.

Ecco il telegiornale ch'ha parlato
E l'ha comunicato al mondo intero;
ognuno piange afflitto e addolorato,
ne parla «l'Unità» col «Messaggero»,
«Il Popolo» e «L'Avanti!» han ricordato
e «Il manifesto» sembra ben sincero;
ed or che le notizie tutti sanno,
sono gravissimi rovine e danno.

Avellino, che ti fece quel tiranno?!
Il ventitré Novembre ti sorprese,
i fabbricati per macerie vanno,
allor che '1 sisma al nono grado scese;
sono tre le region che male stanno,
tutto il mondo in allarme si riprese.
Tante migliaia stanno senza tetto:
o Padre eterno, questo non lo ammetto!

Questa natura è fatta per dispetto,
tanti Stati provaron compassione,
aiutarono il ricco e '1 poveretto,
si trovavan in brutta posizione;
han dato dal vestito al fazzoletto,
segno di fratellanza e educazione.
Li ringrazio con la mia mente e '1 cuore,
gente ch'al corpo umano porta amore.

Torniamo a questo sisma di terrore,
son quattro le provincie devastate;
ecco arrivare il buon soccorritore,
ma pochissime cose son restate,
il cibo hanno portato alle prim'ore,
roulottes e tende non sono bastate,
qualche prefabbricato hanno inviato,
povera Italia e misero lo Stato!

C'è più d'un monumento ch'è crollato,
c'è restata sol qualche abitazione;
sua Santità quei luoghi ha visitato,
facendovi una bella devozione,
non vi so certo dir cosa ha lasciato,
sol la presenza e per quale ragione.
Ha salutato il vecchio e la bambina,
questo dispone la santa dottrina!

Vanno i politici ed ognun s'inchina
dove c'era un paese ch'è distrutto,
d'ogni villaggio vedi la rovina,
ovunque regna il pianto e tanto lutto,
morta è l'anziana insieme alla piccina
e d'ogni bene hanno perduto tutto;
non han più case, han perso il capitale,
povera gente, se la passa male.

Non c'è l'acqua e neppur medicinale
E questa gente a chi si raccomanda?
La clinica l'han persa e l'ospedale,
nessuno può mangiar, non c'è vivanda,
il dolore col pianto in alto sale.
Allor della sciagura si domanda,
a chi morì '1 fratello o '1 genitore
e di morte straziata lì si muore.

C'è l'incosciente unito al predatore
che tutti i prezzi portano alle stelle;
ecco la Croce Rossa e ogni dottore
 a incoraggiar le donne, poverelle,
la polizia ritorna in quel settore
per lo sciacallo, peggio del ribelle,
che ruba nelle case argento ed oro:
per questo, bell'Italia, assai t'onoro...

L'indomito pompiere sta al lavoro,
ogni mezzo meccanico è arrivato,
ogni persona vive in gran martoro,
ben più d'un corpo resta sotterrato;
l'Esercito italiano sembra d'oro,
con grandissimo impegno ha lavorato.
Ogni militare, insieme al borghese,
l'onore ha sollevato del paese.

Quando il Governo la notizia intese
subito un Commissario ha fatto eletto,
ogni italiano un poco si sorprese
perché s'era trovato già in difetto
e in qualche modo una condanna prese:
lo scritto del giornale me l'ha detto.
Allor dico così, che s'hai valore
puoi riscattar il tuo perduto onore.

Non voglio più parlar di quel dolore,
così di tante cose 'n vi ragiono;
s'avessi avuto più mente e più cuore
i versi avrebbero avuto altro suono.
Mi devi perdonare, o mio lettore,
se le peggiori cose non menziono;
è questa la chiusura del mio canto,
scrivo piangendo e col mio cuore infranto.
30 Novembre 1980

LA TRAGEDIA DI VERMICINO

Un ragazzino nell'età novella
tenero e dolce lo tiene il pensiero,
verso il proprio destin la strada appella,
ma della morte indovinò il sentiero:
è scritto che la sorte fosse quella,
ecco come si forma il gran mistero.
Per l'incapacità delle persone
il corpo umano cade in perdizione.

Mancanza delle leggi è la ragione
e questa, fra le tante, è grande prova;
manca a tutti l'esatta posizione
ed il coraggio inver non si rinnova
nei dirigenti di questa Nazione,
che solo di viltà dan grande prova;
in costoro nessun ripone fede,
ogni tanto è un fattaccio che succede.

Alfredo, male tu ponesti il piede,
quella maligna sorte a te crudele,
questo di Vermicino è quell'erede,
è peggiore di Caino con Abele,
Afredo giù nel pozzo retrocede,
in questo suolo amaro come il fiele.
Alfredo nelle pene e nel dolore,
le ricerche del casto genitore.

A conoscenza lo mise il questore
e poi tutta la Polizia italiana,
le ricerche iniziarono a tarde ore
nella valle, sul monte e nella piana,
un lamento da un pozzo viene fòre,
un poliziotto udì la voce umana,
là sotto a un gran lastrone era il lamento
dove Alfredo sopravviveva a stento.

A pensarci se ne va il sentimento,
dal pozzo dov'è l'anima innocente
fu levata la lastra in un momento,
ecco arriva in soccorso tanta gente,
ognun cerca il miglior provvedimento
per poterlo salvare veramente,
ma la profondità è metri trenta,
la corda non va giù, lui si lamenta.

Chiama la mamma ed il dolore aumenta,
la mamma come il ghiaccio ferma stava
con la pena nel cuor che la tormenta,
la voce del suo angelo ascoltava
con le lacrime agli occhi, bene attenta,
ogni tanto il suo figliolo chiamava;
si rivolgeva alla Bontà infinita
perché Alfredino lo voleva in vita.

Pastorelli, perché non chiami aìta
se l'ingegno alla mente tu non hai,
un ragazzino ch'era in fin di vita,
immerso nel dolore e grandi guai,
potéi chiamare un prete od un romita,
della tua colpa ne rimane assai.
Correva il calabrese e il siciliano,
l'hai rifiutati dal suolo romano.

Alfredo stretto nel pozzo artesiano,
Nando di sopra con la barzelletta,
un Presidente con le mosche in mano,
tutti hanno perduto la bussoletta;
Nando lo sosteneva piano piano
e con qualche curiosa paroletta:
Nando, sei forte al pari degli eroi,
Alfredino volevi ancor con noi!

Ognuno con i sentimenti suoi,
ben si decide fra tanto flagello:
quegli operai cominciaron poi
per tirar fuori quel bravo monello,
la roccia è dura, proceder non puoi:
e quello per Alfredo fu un tranello,
da trenta ch'era cala giù a sessanta
e nel saperlo a tutti il cuor si schianta.

O vergine Maria, o Madre santa,
presta soccorso a un'anima piangente!
Alla sua mamma in petto il cuor si schianta,
con tanti tentativi n' si fa niente,
della mamma le gote il pianto
ammanta, richiaman l'Ingegnere e il Presidente:
questi non san che dir, non san che fare
ed Alfredo non si può più salvare.

Angel Licheri si venne a calare
e dopo di lui Caruso Donato,
le sue manine giungon a toccare,
ma dalle mani il braccio è scivolato,
nessun ci si poteva riposare,
uno dall'impression ci si è ammalato.
Nessuno poté salvare Alfredino
perché non l'ha aiutato il buon destino.

Fin da Grosseto viene a Vermicino
un gruppo specialista e minatore,
giù nel profondo si fanno un cammino,
il lavoro fu duro per tante ore
per salvare quel misero tapino;
non giovò sacrificio nè dolore,
un bel premio ad ognun di lor fu dato
quando ritornò a casa: licenziato!

Torno alla mamma di quel figlio amato
con gran dolore e con acute pene:
pensa quanto dolore ella ha provato
ché il figlio dal pozzo su non viene.
Nando nel confortarlo s'è fermato
perché la voce più non lo mantiene;
povera mamma alla disperazione
che pensa al suo bel figlio in perdizione!

Alfredo perde forza e la ragione,
cessa quindi il lamento, ecco che muore.
Che grandi dirigenti ha la nazione,
son senza intelligenza e senza onore,
uno era il regista, l'altro l'attore,
 sulla capacità brutta opinione.
Alfredo morto nel pozzo è restato
e per coscienza l'hanno congelato.

Sorte crudele, cosa hai combinato!
Dal giardino strappasti il più bel fiore!
Dopo che fuor dal pozzo fu portato
la mamma svenne per il gran dolore,
considerate quanto l'ha abbracciato,
gli occhi bagnati, le tremava il cuore.
Figlio, eri bello, avevi il viso tondo,
Alfredo, ti vedrò nell'altro mondo!
23 Giugno 1981

LA CECITA'

(Contrasto tra un cieco nato e un cieco a vent'anni)
Cieco nato:
Un duro dramma, crudo e molto amaro,
a malincuore la mia penna scrive,
una mamma che piange il figlio caro
con lacrime copiose ed ossessive,
maldicendo il destin cinico e baro,
dolore e pena non si può descrive';
mamma, con gran dolore tu hai sgravato,
facesti un figlio cieco appena nato!

Cieco a 20 anni:
A vent'anni arrivò quel brutto Fato!
Conobbi la pianura e la collina
e tutte le bellezze del creato,
le montagne con la sponda marina,
vidi i fiori più belli sopra al prato
e la rugiada dolce ogni mattina,
ammirai l'acque chiare del torrente:
per vent'anni che vita divertente!

Cieco nato:
Io, nato cieco, non ho visto niente
e la mia vita è di disperazione,
racchiusa nel dolore è la mia mente,
nel mondo ho la peggiore posizione,
dalla vita sociale sono assente,
non so come sian fatte le persone.
Star sulla terra per me è grande scorno,
non conosco la notte o quand'è giorno.

Cieco a 20 anni:
Ricordo il viso mio sereno e adorno
e quello della mamma affezionata,
conobbi il crine nero e quello storno,
vidi il viso della mia innamorata;
ma quella malattia mi girò attorno
e la luce del giorno se ne è andata.
Di specialisti tanti ne girai,
nessuno mi curò, io mi accecai.

Cieco nato:
Il destino che venne m'abbracciai,
quella mia avventura sfortunata
e vivendo tra pianto, pene e guai,
con la mia mamma afflitta e sconsolata
i bei raggi del sol non ammirai
e nemmeno la luna inargentata,
non vidi il cielo quando ch'è stellato,
pur se innocente venni condannato.

Cieco a 20 anni:
Io non commisi errori, nè peccato,
ma vedo la Natura che m'inganna
e la mia donna che m'ha abbandonato
perché scontare debbo la condanna
di vive' con angoscia e addolorato;
questa sciagura il cuore me l'affanna
e tu, santa Lucia benedetta,
de' spiegarmi perché ciò si permetta!

Cieco nato:
Prima di te fu mia già la ricetta,
son puro come l'acqua di sorgente
e nacqui da famiglia molto retta,
piena d'educazione veramente;
dei genitor son strazio e son disdetta,
essendo un figlio che non vede niente.
Il babbo dal dolore si è ammalato
vedendo un innocente già accecato.

Cieco a 20 anni:
Io dalla sorte venni sbeffeggiato;
pregavo Dio con grande devozione,
eppure tutto insiem m'ha castigato:
allora a cosa vale l'orazione
se un uomo ch'è da tutti rispettato
perde la vista e cade in perdizione?
M'accompagnava un'amata sorella,
ma di dolore è morta pure quella!

Cieco nato:
Della nutrice stando alla mammella,
dalla sua bocca sentivo un lamento,
era piena d'angoscia, poverella;
povera mamma, perse il sentimento
per questa sorte strana e meschinella;
una mamma il dolor sente per cento
e così per grande amore s'è ammalata,
con poco tempo m'è morta accorata!

Cieco a 20 anni:
Eccola la mia vita abbandonata:
la mamma è vecchia e non mi può curare,
la Vergine del cielo immacolata
più d'una volta l'ebbi ad invocare,
la mia voce n' si sente, s'è affiocata
e l'assistenza chi me la può fare?
E se mi mancherà chi mi precede
la speme perderò, n' avrò più fede.

Cieco nato:
Questa è la sorte di chi non ci vede!
Ecco un giorno arrivar da me il curato:
 «Vedrai che tutto bene ora procede,
in un posto a curarti sei mandato».
Queste parole belle lui possiede,
passato è un anno e ancor non son chiamato,
ma falso nella voce era il suo tono
e così fui lasciato all'abbandono.

Cieco a 20 anni:
Da quando è mondo non ce n'è uno buono!
Ma per me venne il Capo del paese
e non sembrava chi scende dal trono;
successe allor ch'a cuore mi si prese,
fui mandato in ospizio e fu un bel dono:
il Comune pagò tutte le spese.
Il Sindaco un bel posto mi ha trovato
e finalmente sono sistemato!
11 Aprile 1983

LA SORTE DEL CONTADINO

Vi rammento la legge del padrone,
i torti che faceva ai contadini,
era uno schiavo chi stava a garzone,
nudi vedeva andare i suoi bambini,
il pane non avea per colazione,
lo calpestavano, quei cani mastini.
Era una vita passata nello stento,
fatta di schiavitù, di sfruttamento.

Lì non valeva avere il sentimento,
avere ingegno o forza di natura,
la ribellion portava il nocumento,
povera intelligenza in sepoltura!
Si viveva in un ordin di spavento,
diretti da una voce cruda e dura;
disubbidendo ad un comando dato
rimanevi da solo e abbandonato!

Quando il piatto di stenti fu colmato
fu rotto il segnale dei confini,
il terreno dei ricchi fu occupato
e le parti fur date ai contadini;
fin troppo di lor s'era abusato
riservando terra a pochi bovini:
io penso, dunque, che quell'invasione
fu un diritto della popolazione!

La fecero con forza e con ragione!
Nel lavor s'impegnò ogni contadino,
prese per la terra gran passione,
per produrre la biada, il grano e il vino,
dei qual fu raddoppiata produzione;
così volle la sorte del meschino
che si distese là, sopra al terreno,
d'ingegno, di passion, di forza pieno.

Ognun lavorava, chi più, chi meno,
chi col vangocchio, chi con garavina,
di notte si dormiva a ciel sereno
e stanchi ci si alzava alla mattina;
era una vita amara, da veleno,
poco si vedeva la cittadina:
senza cambiarsi i panni e lava' il viso,
di polvere e sudore ognuno intriso.

Di fare le capanne fu deciso,
ben la fece il bracciante tolfetano
e gli sembrò d'entrare in Paradiso,
d'avere, finalmente, il senso umano.
La rapazzòla, poi, gli dié il sorriso,
quattro legni e ginestra è un letto sano;
così vivendo dentro la bacerna,
sacrificio e fatica lo governa!

Non aveva candele, nè lanterna,
tutto il giorno al lavoro a capo chino,
gli sembra d'aver fatto una quaterna
senza ch'abbia mai visto il dio quattrino,
un giorno uguale all'altro lì s'alterna;
questa è la sorte d'ogni contadino
che nel lavoro suo confida e crede,
ma restando d'ognuno sotto al piede!

Andando avanti con amore e fede
arriviamo a quei duri anni Quaranta:
il grano sull'aia un fascista vede,
la meta ti sequestra tutta quanta.
Vedete, allora, infine che succede?
Di ragione il contadino ce n'ha tanta,
ma, vedendo confiscare il suo prodotto,
ha lavorato tanto e è andato sotto!

Sia maledetto chi lo fece il motto!
La Finanza per strada si piazzava,
se la bolla non trovavi di botto
ecco il prodotto che ti sequestrava;
io, a quei tempi, ero giovanotto,
con coraggio affrontai la gente brava:
lavori un anno, da mattina a sera,
muovi una mano e ti trovi in galera!

Nel dopoguerra nuova la maniera:
è a Bonomi che voglio far ritorno,
ch'ha distrutto l'agricoltura intera,
aperto ogni villaggio, ogni soggiorno.
A Tolfa molto grano allora c'era,
era quel grano buono, bello e adorno,
più non si zappa seminando il grano
e nemmeno si taglia a falce in mano.

C'è il brigatista, non c'è più il villano,
la nazione sen va verso il regresso,
il careggio n' si fa più dal Marano,
per il somaro è stato un bel progresso,
dai terreni di Tolfa più lontano,
il somaro davanti e l'uomo appresso.
Alla fin del raccolto il risultato:
più d'uno col riscaldo era ammalato!

Ed ora voglio chiude 'sto dettato,
non menzionando debito e cambiale
per l'approfittatore e lo sfruttato;
il contadino stava sempre male,
eppure era colonna dello Stato
e con coscienza lo metto a verbale.
L'odierna legge questo a tutti ha offerto:
dov'era il Paradiso c'è un deserto!
2 Dicembre 1984

LA COPPA INSANGUINATA

Col cuor tremante e con la penna scrivo
il tragico dolor, il pianto e il lutto
innalzatisi da un campo sportivo.
La notizia s'è sparsa dappertutto
d'un fatto micidiale ed aggressivo,
ad ogni essere umano sembra brutto:
non c'è più l'avversario, c'è il rivale,
allo stadio il teppista e il criminale!

L'U.E.F.A., vi domando, quanto vale?
Forse all'occasione, era assopita,
di Coppa dei Campioni è la finale;
non serve, allora, gente un po' scemita,
ma un cervello assai ben funzionale
che sappia organizzare una partita:
l'U.E.F.A. è parsa proprio un'incapace
e dopo la sciagura tutto tace.

Belgio, è rovinata la tua pace
e tu sei senza guida, a mio parere,
fosti invaso da gente assai rapace,
nessuno fece l'ordin mantenere,
si sviluppò quel fuoco dalla brace,
a spegnerlo nessun può provvedere:
debole guida è quel tuo Governo,
dal Paradiso ti porta all'Inferno!

Queste orrende cose non concerno!
Inghilterra, sei in una bufera,
adesso l'U.E.F.A. ti lascia all'esterno
perché non hai più garbo e nè maniera,
squalificar ti deve per l'eterno,
nel far le risse tu sei la primiera:
guarda cosa fan tuoi beniamini,
son vandali, malvagi ed assassini.

Entrano in campo questi malandrini
(fuor lo stadio c'è gà stato il morto)
all'assalto travolgono i confini,
dell'ordine il servizio è poco accorto,
travolgon donne, uomini e bambini,
casse di birra fan lor da conforto;
qual sentimento c'è nella Nazione?
Penso sol quello di disperazione!

Son peggio d'un famelico leone,
malvagi tutti male intenzionati,
c'è poco qui da fare discussione:
molti di quelli si sono drogati
e certo non sentivano ragione,
ferro e sassi furono scagliati.
La gente fu pressata al parapetto
finché di schianto cedette il muretto.

Questo rende l'essere imperfetto,
uccider come fosse un animale;
il servizio è mal fatto, e non lo ammetto,
ci voleva un comando generale,
Polizia con scudo e con elmetto,
sembrava un bombardamento navale:
amici, questo non vi sembra vero,
lo stadio mi sembrava un cimitero!

I morti piange ogni cuore sincero,
sentite cosa ha fatto il malfattore;
disse il cronista che questo è un mistero,
 attonito si ferma ogni buon cuore;
nulla dire vi posso, e questo è vero,
a divertirsi lo sportivo muore.
Chi consolar potrà ogni famiglia,
son morti tanti padri, figlio e figlia.

Alla disperazione ci consiglia,
intensi sono il pianto ed il dolore,
di pianto son bagnate gote e ciglia,
nell'ospedal si prodiga il dottore,
feriti di pistola e di bottiglia,
non esiste vergogna e nè pudore:
la legge del Belgio è poco forte,
chi è morto e chi in pericolo di morte.

Coraggio, iuventini, genti accorte!
Tardelli è il primo in campo lì ad entrare,
calma furia e rabbia assai contorte,
ché la partita si dovea giocare;
questo è il coraggio d'un uomo assai forte,
che tutti ben calmò col ragionare;
questa vittoria bella al punto brutto,
c'è sangue in terra, morti e tanto lutto.

O Inghilterra, quale è il tuo costrutto?
Il tifoso è brigante e terrorista, lo dicono le genti dappertutto,
tra quelli c'è mischiato anche il fascista,
cosa voleva far quel farabutto,
una cosa così non s'è mai vista:
enorme è giudicato quel peccato
per quanto sangue è stato seminato.

nonna, che il Consiglio hai radunato,
sembri timida e pur tanto dolente;
prendi per il seder l'italo Stato,
la tua vergogna è lì, sempre presente;
rendi il popolo tuo più educato,
ché di quello ha bisogno veramente.
Tu mandi in giro il ladro e l'intrigante,
d'un popol incivil rappresentante.

Sportivo, non far troppo l'arrogante,
sai che lo sport è tutta intelligenza,
dimostrati civile sull'istante,
scaccia l'ignoranza e prepotenza.
Per la società molto è interessante
l'educazione e la ricca clemenza.
Se allo sport si procura gran dolore,
compare il sangue e allora lo sport muore!
29 Maggio 1985

IL VINO AL METANOLO
O madre terra, spianami il cammino,
tu, Natura, mi devi accompagnare,
non frequentai la scuola da bambino,
o Redentore non mi abbandonare,
mi richiama la sorte del destino,
Vergine e Madre, mi devi aiutare
per dar sfogo davvero alla mia mente
su quel pianto in Italia che si sente.

Del metanolo discorre la gente,
da ogni parte, in Italia, c'è il veleno,
un lamento s'ode assai frequente,
di quel prodotto c'è da farne a meno,
per l'angoscia e poi per l'incosciente
va a gonfie vele come fa il baleno;
chi è sequestrato e chi messo in galera,
meglio che quel prodotto oggi non c'era!

La scienza è un pochettino menzognera
e fabbrica veleno dappertutto;
Governo, non la prende alla leggera,
può capitare d'indossare il lutto,
peggior d'un temporale o di bufera,
d'una grandine che tutto ha distrutto.
Questa scienza nel mondo è una rovina,
cento ne sbaglia ed una ne indovina!

E' atterrata la classe contadina,
è in aumento la disoccupazione,
manca la produzione genuina,
il quaranta per cento di persone
sono ammalate, e questa è una rovina,
si vende l'artefatto, in conclusione.
Ma questa scienza, a mio parere, erra
se contro la Natura muove guerra!

Ci fa mangiare, si, roba di serra,
in galera non va questo scienziato
e quel che fa il Governo lo sotterra,
io spero che venga richiamato;
chi in chirurgia il suo impegno sferra
per risanar davvero chi è malato
spera che il prodotto sia ben sano
al fine di salvare il corpo umano.

E' abbandonato il bel suolo italiano,
l'agricoltura è misera e tapina,
prima si lavorava un anno sano
dietro al cavallo, pecora e vaccina;
si trovava buon cibo, puro e sano,
si beveva fresco vino di cantina:
da quando questa scienza ha preso piede,
prodotto genuino non si vede!

Fa finir religione e toglie fede,
ha inquinato il fiume col ruscello,
per ogni parte il veleno procede
e per l'umanità certo n' è bello;
Governo, metti un fren, salva l'erede,
fanno morir l'anziano col monello:
bisogna potenziar la medicina,
 perchè questo velen troppo cammina.

Bisogna bere il vino di collina
e potenziar la buona agricoltura
perchè il falsario vuol la sua rovina;
a questo diamo presto sepoltura
colpendo quella truffa e la rapina;
all'invasor prendiamo la misura,
la produzione a terra egli ha ridotto:
allor deve pagarne il giusto scotto!
 
Il mercato s'è chiuso assai di botto,
s'è invecchiata la nostra produzione;
ecco che il contadino è sempre sotto,
da secoli sta in quella condizione,
ignora cannelloni e buon risotto,
nel basso rango sta in questa nazione.
Qui chiudo il canto e spero venga meno
la banda criminale del veleno!
20 Maggio 1986

IN MEMORIA DI MIA ZIA
MARIA PUCCIARELLI

Cantar voglio l'angoscia e il gran dolore
d'una mia zia teneramente amata;
era ragazza, è morto il genitore
e la mia nonna vedova restata!
Fin da qui comincia il gran tremore
e la fortuna non fu tanto grata;
forza con coraggio dimostrava
e con la mamma sua si consigliava.

In vero matrimonio ella giurava
e passava una vita deliziosa,
che per oltre vent'anni le durava,
era molto contenta e assai gioiosa
e quanta educazione in vita dava;
chiamar la voglio la perla preziosa,
avea davvero grande sentimento
e della vita dava insegnamento.
 
Era il quarantasei, oh che spavento!
D'otto figli uno s'è ammalato
e questo brutto male dà sgomento,
eccolo il genitore addolorato;
per pochi giorni sopravvive a stento,
ben più d'un professor l'ha visitato:
infin ebbe una brutta emorragia,
una rapace arpia lo portò via.

Ecco il ricordo, con malinconia:
diciassettenne e già era Ragioniere,
godeva in vita tanta simpatia,
pieno d'educazione e di sapere;
perdette il fiore e la sua leggiadria,
ora la pace eterna può godere:
ora che sei nel cielo universale
dacci amore e pace a tutti uguale!

Questi son fatti brutti e nati male:
quattordici mesi passati appena,
una notizia brutta e assai letale,
piangon insiem Maria e Maddalena,
si stravolge il viso, pur se gioviale.
O zia, d'ogni amarezza eri ben piena
perché un'altra disgrazia si presenta,
tanto brutta ed orribil che spaventa.

La guerra da tre anni s'era spenta,
in Italia non c'era direzione,
ogni disagio, anzi, tanto aumenta,
perché si vive nella costrizione;
ogni parlamentare s'addormenta,
di riparare i danni n' c'è intenzione:
sulla via Aurelia c'è un passo a livello,
incustodito trovarono quello.

Solo a pensarci ti va via il cervello!
Il diciassette luglio, mi ricordo,
quella brutta disgrazia l'ebbe appello,
ne rimase colpito anche il balordo,
tu moristi, o mio zio, o mio fratello!
In Italia è presente più d'un sordo:
per andare al lavoro e aver conforto,
ecco un padre col suo figliolo morto!

O zia, quel rio destino ti fe' torto;
quella notizia chi ti può portare?
Ci vuole l'esperienza e l'uomo accorto,
tanto dolore n' si può sopportare:
quando sapesti, che grande sconforto!
Il sentimento ti venne a mancare,
ti vidi stesa lì, sul pavimento,
cuore e cervello avevi quasi spento.

D'allungar questo dramma non mi sento,
sono atterrito e mi trema la mano,
le lacrime negli occhi ho in aumento,
mi raccomando a Dio, grande Sovrano,
il dolore mi dà grande sgomento,
Vergine e Madre, tienimi la mano:
tu li hai accolti nel celeste Regno,
tienili come tesor, te li consegno.

Il ricordo di grande onore è degno
e coltiva quella malinconia;
che vale sulla terra un vero pegno
quando la mala sorte è sulla scia?
Può cader la città, cadere il regno,
il rio destino non si caccia via;
perché, Natura, fosti cruda tanto?
A chi dai gioia, a chi dolore e pianto!

D'intelligenza avevi un gran bel manto,
camminando disseminavi amore,
per tutti benefici e cuore santo,
da vera madre e vero genitore;
chi ti conobbe ti rimpiange tanto,
non hai lasciato in terra alcun rancore;
ai bisognosi donavi il denaro,
o zia, nessuno può 'rivarti al paro!

Concludo il canto col mio pianto amaro;
cugini, non scordate il genitore,
il suo ricordo mantenete caro,
ché nella vita n' c'è altro valore;
or che s'è spento quell'eccelso faro,
lascia il distacco lutto, pianto e amore:
sono quattro sepolti al cimitero,
li rivedremo nel celeste impero!
 
Questo che ho dettato tutto è vero;
anche il Re del ciel le mani piega,
dà forza e dà coraggio il tuo pensiero.
Rammento quando apristi la bottega,
anche allor capitò un masnadiero
(e la fortuna spesso ti si nega):
chi la sfasciò vi fece un bel bottino,
quel vile, falso, crudo e malandrino.

Ti rubarono i muli, oh che destino!
Tu t'attaccavi sempre alla speranza,
andando avanti dritta nel cammino,
ma la sorte maligna sempre avanza,
lotta senza fine è il tuo destino,
sconfitta è la viltà e l'arroganza:
col coraggio la forza è stata tanta,
per quello ch'hai passato sei una santa!

Anna, ascolta il cugino ch'ora canta,
o Nazzarena, questo intenderai,
tu, Lucio, figlio d'una madre santa,
e tu Francesca, la rammenti assai,
Teresa, il primogenito si vanta,
tu Antonio, tante preghiere farai:
vivrete abbracciando il suo ritratto,
riposa in pace, il suo dover l'ha fatto!
Febbraio 198

UN MONDO DA CAMBIARE

Da quando è mondo che c'è l'invasore
e la colpa non è di quel peccato,
ma la sopraffazione a tutte l'ore,
 chi si sollazza e chi sta addolorato;
la natura ci dà gioia e dolore,
onesto in terra mai nessuno è nato:
chi nella vita l'onestà si sente
poi d'essere onesto se ne pente.

Il dolor si propaga immantinente,
in quella piazza ci hanno bombardato,
hanno fatto morire onesta gente;
eccolo il Tribunale e l'avvocato,
ma non paga denaro l'incosciente,
chi è seppellito e chi '1 lutto ha indossato;
dico, allora, che la legge italiana
è come ravanella tutta vana!

Sfascian le banche e scippano l'anziana,
alla disonestà s'apre il villaggio,
fanno sparire l'oro, è una fiumana!
Non c'è tregua d'april, oppur di maggio,
ti strappano la borsa e la sottana
e son capaci di cambiar linguaggio:
chi viene da quel sangue ingenerato,
senza la scuola viene diplomato!

Predicator, ch'hai sempre predicato
lì in televisione, oppure in piazza,
il corpo umano viene assassinato
da gente onesta e non da gente pazza;
vorrei sperar che venga richiamato
perché va in giro e molto si sollazza.
Questo paese è bello, n' si nasconde,
ma troppe son persone vagabonde!

Son inquinati quei torrenti e l'onde,
questa scienza va sopra al naturale,
solo ai troppi inganni corrisponde;
vedi che stai creando troppo male,
fermati un poco e più non ci confonde,
ritorna indietro, è base principale:
fermati di gettar tanto veleno,
tutto l'ambiente n'è fin troppo pieno!
Di buttar cose si può fare a meno,
non mandate navicelle in cielo
ché non si vede più quand'è sereno,
ma terremoti, grandine e gran gelo,
pascoli avvelenati e pure il fieno,
non mettere la carne nel congelo,
nel vino non ci metter medicina,
che per il corpo umano è una rovina.

Passata è l'era della ghigliottina,
la pena lì scontava il peccatore;
oggi senza peccati, si assassina,
ti fan morir di strazio e di dolore;
è uccisa gente onesta, poverina,
un richiamo ti faccio, o Creatore,
tu che in vita avevi l'eloquenza,
levaci 'sta pesante sofferenza!

In terra ci sta troppa delinquenza,
sfasciano banche di notte e di giorno:
O' chi levare potrà questa semenza?
In camera ti ruban, nel soggiorno,
bombardan le stazioni, oh che coscienza!,
poi sulla ferrovia ci fan ritorno:
pur nell'albergo una bomba è scoppiata,
povera carne umana lacerata!

Ma senza il generale di brigata
non c'è tenente, non c'è il colonnello,
la confusione viene mescolata,
lasciato un furto, un altro ne fa appello
e quanta droga che viene spacciata!
Dunque ci dev'essere un cervello,
lo prende la Finanza sulla scia,
poi un bel condono lo rimanda via!

Questo commercio è da buttare via,
che fa morir fratello con sorella,
levar bisogna tanta porcheria;
la droga mente umana è che sfracella,
si porta tanti danni nella scia,
pei genitori non è cosa bella
e chi di quella rosa ne approfitta,
condanna la salute alla sconfitta!

La polizia cammina ben diritta,
quante tonnellate ha sequestrato,
ma quella gente è malvagia e guitta,
fa fuor carabinieri e magistrato,
s'organizzano in vera e propria ditta
per avere migliore il risultato:
bisogna far sparir lo spacciatore
se l'avvenire lo vogliam migliore.

Nel mondo c'è ogni sorta di terrore,
da ogni parte il terreno è insanguinato,
si vive di paura, alle tarde ore,
d'essere ucciso, oppure sequestrato;
rubano in ogni parte, ogni settore,
è necessario un fermo assai immediato;
bisogna ben fermar questo invasore
che cose fa veder d'ogni colore!

Tu rinnova la legge, o senatore,
consiglia un poco la magistratura,
di più fai lavorare quel questore,
sennò si fa venir la dittatura;
l'essere umano che non porta amore
merita pena e poi grande tortura;
tutta questa gente che ci accora
di farla sparir n' si vede l'ora!

Chi in un ricco settore ci lavora
di miliardi n'ha accumulati tanti,
ma non ha mai pagato tasse o mora,
lascia disoccupati e cuori affranti;
di chiuder la camorra è giunta l'ora,
bisogna spazzar via questi furfanti:
chi se ne prende tanti, più o meno,
a quel profitto c'è da metter freno.

Di denaro altrui c'è chi ne è pieno,
quante cose da dire in questo canto,
chi s'è fatto la villa a ciel sereno,
c'è chi è appiccato e chi sta al camposanto,
chi passa il giorno in quel bel campo ameno,
alla vergogna non si mette il manto:
bella è libertà e costituzione,
ma bisogna cambiarla con ragione!

Qui chiudo il canto: fateci attenzione
quando lo leggerete, piano piano;
voglio dar sfogo a questa mia passione,
non obbedite a chi da noi è lontano
che al male vi ci porta, in conclusione,
chi vi calpesta in modo molto strano:
vediamo di cacciar questo invasore
che è senza fede e non porta l'amore!
20 Giugno 1987

COMPAGNI MODERNI

Chi viene da una lunga sofferenza
e più di sessant'anni ebbe lottato,
affrontato fascismo e Resistenza,
considerate quanto ha tribolato
perché nessun gli dava l'assistenza
e da tutti veniva calpestato;
quella era gente trista e molto ingorda,
ben degna d'avere al collo una corda.

Ma quel tempo brutale non si scorda;
ora un richiamo faccio al cittadino,
ché nel mondo ci sta gente balorda
e pieno d'egoismo è l'assassino,
c'è gente ad ogni sentimento sorda
che stronca l'onestà nel suo cammino;
se un dì sparisse quella iniqua gente
il mondo cambierebbe veramente.

Ora tanto lottar non vale niente,
se artigiano o contadin sei nato;
se avvocato o professor valente
ricerchi l'interesse in ogni lato,
geometra e farmacista prepotente,
che starebbero bene carcerato,
son tornati per difendere il lavoro,
son senza fede, onore e ogni decoro.

Voglio cantar con questo accento d'oro,
se si togliesse in terra l'assassino
tornerebbe il profumo dell'alloro
e forse pure quel del gelsomino;
la nuova generazione ora imploro,
che ha un cervello misero e meschino,
è senza core e pur senza cervello
ed al Partito fa inganno e tranello.

E' più d'un morganzese o Pinabello,
a Tolfa ci fu più d'un deputato
e qualcheduno resta per modello
e del Partito suo s'è ben scordato,
contro corrente ha fatto assumer quello
che nelle votazion non l'ha votato,
mangia braciole, uova e pure abbacchio,
se capita caviale con pistacchio!

Cerca la preda come un furamacchio
e dà una correzione al Direttivo,
fa diventar bello l'uomo racchio,
meglio che tante cose non le scrivo,
se no come il salice mi rincacchio;
questo che scrivo è tutto positivo:
il Partito, ad ogni votazione,
perde d'elettori un buon milione!

Pensa che cuore nero 'ste persone,
che nel Partito fermano il progresso,
non so quale principio e condizione,
sanno ben realizzar loro interesso;
chi vien dalla vecchia generazione
l'hanno abbandonato al tempo stesso;
accettate, cittadini, che ho proposto,
a chi non ha onestà gli danno il posto!

Mangiator di spaghetti e pur d'arrosto,
chi dà il posto al padre, chi al cognato,
chi due figli stipendia senza costo,
ognuno sol per sé bene ha pensato,
i suoi cugini sistemò d'agosto,
dunque ognun per sé s'è sistemato:
prima criticavi questo e quello,
pur tu se' per l'inganno e pel tranello!

Hai fatto tu il leone con l'agnello,
hai poco sentimento e meno cuore,
un democristian fa da modello,
quello ti portò a un brutto errore;
ha più d'uno stipendio, ti favello,
il sentimento ti fa dittatore;
più d'un compagno, da tempo malato,
tu, vile traditore, hai abbandonato!

All'Agraria bei voti ebbi portato
quando amministrava il Commissario,
devi saper che a Roma fui arrestato,
di mandarlo via era necessario,
il popolo di Tolfa sollevato,
io mandai via quel dente cario;
venner Natoli, Volpi e Compagnone
e si risolse, ecco votazione!

Guarda che cosa fai, brutto briccone,
da quando sei arrivato su al potere,
trovasti il posto pure a tre persone
che erano contrarie al tuo volere,
scandalo e vergogna ti si impone,
le cose giuste non le sai vedere;
abbandonar la mamma che dà il latte
lo fanno solo le persone matte!

Le tue finalità sono distratte
con un milion che dai di contributo,
più che cervelli queste son ciavatte
e forse il sentimento s'è bevuto,
perché quell'onestà giammai s'abbatte
o tu fingi d'èsse' un uomo astuto;
io penso ch'è bacato il tuo cervello,
o ingannar ti fai da un pollastrello.

Alla comunità or faccio appello,
s'è scordato di dare il contributo,
al prete lo dà, lo dà al monello,
la cultura la lascia per rifiuto;
o Presidente, non è un gesto bello
se nel cammino questo s'è perduto,
la tua volontà è innaturale,
qui ci vuole un articol di giornale.

O Padre, su dal regno celestiale,
richiama tutti da grande Fattore;
costui sta creando tanto male,
riporta all'onestà 'sto peccatore;
rinnova la memoria al tuo verbale,
risveglia la mente insieme al cuore;
tu ch'avesti torture e gran tormento
rinnova a questa gente il sentimento!

Ora di chiude il canto son contento,
le cose ingiuste voglio raccontare,
voglio evidenziare veramente
per quanti in terra non lo sanno fare,
fanno asciugare la propria sorgente,
lasciando sol gli iscritti a tribolare.
Con questi accenti duri il canto chiudo,
con il malfattor ci vuol lo scudo!
15 Maggio 198

LA DISFATTA

Era sereno e torna il temporale,
cade la pioggia e fertile è il terreno,
sul petto può arrivare anche uno strale
con la punta intinta nel veleno!
L'accusatore è un essere brutale,
non lo salva nemmeno il Nazzareno:
di mandare in galera l'innocente
è capace soltanto il delinquente!

In Italia dovunque si risente,
oh, quanta droga in giro han sequestrato,
poi dove va a finir non si sa niente,
forse la metteranno sul mercato,
ma ne muoiono tanti, veramente,
dimmi che legge c'è in questo Stato;
stanno spandendo, si!, tanto veleno
che n'è impregnato pur sacro terreno.

Al delinquente c'è da mette il freno,
bisogna eliminar favoritismo,
ogni concorso sol d'inganno è pieno,
deve sparire pure il carrierismo;
chi specula deve rubar di meno,
bisogna cancellare l'egoismo:
mezzo milione ne costò il dettato,
oddìo, quanto dormi, o magistrato!

Delle carceri d'oro hanno parlato,
ma poca gente c'è dentro, in galera,
e per questo mi sento addolorato,
per questa crudeltà malvagia e fiera;
 nei negozi tutto ch'è aumentato,
il pensionato non cena alla sera:
i miliardi che prende il Governo
vanno in Paradiso o giù all'Inferno!

Una parte d'Italia sta all'esterno,
ché le tasse 'n ha pagato mai,
prende il contributo, non concerno,
è l'operaio che ne paga assai;
la legge è solo scritta sul quaderno,
ma, dimmi, la coscienza dove l'hai?
Si sperpera il miliardo col milione,
il ministro della legge è un gran coglione!

Il popolo all'abuso sottopone,
italiano, davvero sei un tesoro,
hai perso l'intelletto e la ragione,
lo scandalo delle lenzuola d'oro,
tutto fanno sparire, in conclusione,
per questo te lo meriti un alloro.
Siamo scambiati per animaletti,
per questo più ne hai e più ne metti.

Giornalista, come ti permetti
di scriver tali cose sul giornale?
Troppe parole, forse, è che tu detti!
Trattar ti voglio, allor, da criminale,
perché abusi di tutti i poveretti,
tu sei ottuso e, forse, micidiale:
uno del «Tempo» e l'altro al «Messaggero»
stanno bene sepolti al cimitero.

Quell'uomo onesto lo mettono a zero,
sopra alla FIAT fallo un bel dettato,
prima l'hai detto, or non è più vero,
che voleva lontano il Sindacato:
sulla terra nessuno è più sincero,
nessuno vive più senza peccato.
Se ognuno i suoi peccati si scontava,
qualche persona buona si trovava.

Come Pilato le mani si lava,
ecco della legge il produttore,
è tutta gente onesta, è gente brava,
a chi è in salute gli dona il dolore,
questo l'oltraggio e l'inganno dava,
perciò ha poca fede e meno amore:
chi in tale crudeltà è ingenerato
sta bene sol richiuso e incarcerato.

Al mondo è onesto chi tanto ha rubato,
acquista case, villa e pur terreno,
allora ti richiamo, o magistrato,
gli informatori tuoi al ciel sereno,
uno, per tante botte, è pensionato,
la legge corre via come un baleno.
L'Italia è composta, veramente!,
per condannare l'anima innocente.

Con le orecchie aperte bene si sente,
di altri pensionati ti ragiono,
prendono pension, non hanno niente,
questo dell'egoismo è il grande dono,
prende l'infortunio tanta gente,
nemmeno assicurati molti sono:
chi va dalle galline o dal maiale,
chi, ubriaca, cade per le scale!

Tu dici che la legge a tutti è uguale,
il mio dire questo non l'ammette,
è tutta camuffata in generale,
ci sono in giro, sai, troppe mazzette:
tu mi devi comprende', è essenziale,
per l'incosciente non ci son manette,
oppure, se stasera è carcerato,
al nuovo dì ritorna liberato.

Ed ora voglio chiudere il dettato:
è stata fatta una casa di cura
per poter risanare ogni drogato,
però alla droga metti una censura,
chi faceva del bene l'hai arrestato,
questa legge va fuori di misura:
se si condanna chi fa l'assistenza,
la legge mostra poca competenza!

Se adoperava un po' d'intelligenza,
allor la spia davvero condannava,
levava dalla terra delinquenza,
ognuno il buon servizio lo lodava,
ci vuol la gente piena d'esperienza,
ma quanta gente falsa simulava.
Rileggi attentamente la poesia,
qualcuno è traditore, l'altro spia.

E' falso, rinnegato e così sia,
dice che la Natura è grande manna,
salva l'incosciente, o Madre pia,
e la natura stessa lo condanna,
è un gran maligno, senza simpatia,
non lo salverà nemmeno sant'Anna;
tutti i falsari e chi vive illegale
li dovrebbe colpire il peggio male!

Prenderò di Montalto la centrale,
guarda il Governo cosa ha combinato,
c'è tanta gente che lavora uguale,
doppio lavoro come un impiegato:
ma ti sembra giusto ed essenziale?
Dimmi cosa pensi, o magistrato?
Perché non metti in moto, o Polizia,
per cancellare questa porcheria?

Il dono della chiesa è tanto caro:
chi orecchini, chi fede e catenina,
il figlio stava in guerra, pianto amaro,
e si pregava la bontà divina
che ritornasse quell'eccelso faro;
forse c'è stata lì qualche rapina,
forse si stava a lume di candela,
sparito è l'oro e non c'è più la tela!
 
Il veleno viaggia in barca a vela,
hanno inquinato pure il casto mare,
la banca e pur la casa il ladro pela,
l'incosciente tutto può ben fare,
la televisione tutto rivela;
disoccupati, state ad aumentare,
questa è la vita allo Stato italiano:
far progredire il ladro e il disumano!

Un fattaccio nel suolo tolfetano:
hanno arrestato un padre di famiglia,
qui han parlato Pinabello e Gano
senza pensare a mamma, moglie e figlia,
e un uomo onesto, puro e molto sano,
son dieci le famiglie che scompiglia:
di quella spia è un naturale gesto,
tu al disonore, ma io resto onesto.

O magistrato, tu comprendi questo,
chi lavora dev'essere pagato;
tanta gente non paga e vuole il resto,
tu lo sai che cosa ha combinato,
ma se tu di memoria eri più lesto
gli facevi scontar tutto il peccato:
se il padre fosse morto da ragazzo
non c'era in giro il delinquente pazzo!
15 Gennaio 1989

ITALIA '90

Italia, ora sei madre, ora sei figlia!
Sarà per la bontà che hai nel cuore,
chini la testa ed abbassi le ciglia,
un pochetto hai abbassato il tricolore;
molte cose non vanno a meraviglia,
il tuo prestigio l'ha poco valore:
studia la legge ben, con attenzione,
non pensar pranzo, cena o colazione!

Mi riferisco al gioco del pallone,
che c'è rimasta, si, tanta amarezza;
in mezzo al campo hai messo Gamelone,
quella persona per tradire avvezza,
ad ogni lato ci stava un poltrone,
che l'onore più può, più lo disprezza:
finché al mondo esisterà il tiranno,
sempre le cose in peggio se ne andranno!

Buttan fuori la Russia, è grosso danno,
direttore del campo era Marchino
che cura bene chi ce l'ha l'affanno,
e l'onor della mamma a capo chino;
le altre squadre pari a quella stanno,
qui la mano ci vuole del Divino;
avete visto cosa fa la F.I.F.A.,
di quella tutto il mondo ora si schifa!

Mi sembra una pantera che si ingrifa,
o un leopardo quando ha divorato,
ma lo sportivo alla camorra tifa,
l'uno con l'altro si fa massacrato;
vedi il lupo quando il pelo arrifa,
questo è quel che regna in questo Stato:
il Consiglio del Pallone e il Presidente
non si vergogna ed è sempre presente.

Ora lasciamo perder l'incosciente,
tu hai investito lì tanti miliardi
ed or cresci le tasse veramente,
pei cittadini non ce l'hai riguardi,
hai prosciugato più d'una sorgente,
un avvenir migliore tu non guardi:
se avevi senso umano e una cultura
pensavi all'artigiano e agricoltura!

Troppi miliardi hai messo in sepoltura
per vedere un maiale corco in terra,
poi mena con le mani, a chi misura,
l'allenator dalla panchin si sferra,
la tua giustizia io la trovo impura;
il Direttore quei suoi occhi serra:
si trovavano lì due Presidenti,
entrambi, però, non han visto niente.

La Polizia è l'unica valente:
bene ha inquadrato il barbaro invasore,
vedi chi ha il cervello veramente,
per questo ad essa faccio tanto onore,
ché l'onestà è l'unica sorgente
che ci lascia il profumo, come un fiore;
i meriti degli agenti qui canto,
coraggio ed impegno fanno loro vanto.

Dunque in terra ci sta pur qualche santo
che mette un freno a questo disfattismo
e solleva chi tiene il cuore affranto;
tutta la colpa è dell'egoismo
che con lo scandalo cammina accanto,
quel sangue sì malvagio del fascismo,
preghiera ti rivolgo, o Polizia,
è bene che giustizia e gioco sia!

Dunque, tu sai chi devi buttar via,
alla Magistratura faccio appello,
che scacci falsità e ogni eresia;
chi ha tante debolezze nel cervello
non deve avere quella simpatia
che disonora il grande col monello;
leva di mezzo questo traditore
che rovina la squadra e il giocatore.

Il gioco del pallone ha un gran valore,
toglie la volpe da quel gallinaro,
se no presto lo getta nel dolore,
quando è accaduto non c'è più riparo;
ti prego, sommo nostro Salvatore,
di questo mal che rende l'uomo avaro,
tu fa' essiccar la fonte e la sorgente,
finché di ciò parlar più non si sente.

Di nuova legge ognuno sia cosciente,
che chi sbaglia sul campo sia punito
e di punirlo ognuno se la sente,
lì ci vuole un uomo rifinito:
son tutti bizzochelli, senza mente,
ancora il tempo antico n' è finito;
bisogna cambiar la terna arbitrale
che crea morti ed empe il tribunale!

Ma questo tradimento sempre sale,
vedi come è composta la Natura,
non pensa all'onestà, ma crea il male
e l'onore lo manda in sepoltura;
ciò ch'è successo in questo bel Mondiale
è privo di giustizia e di misura:
han visto le person di questo mondo
a galla disonestà, onore a fondo!
15 Luglio 1990

ALL’OCCASIONE

IL RADUNO ANNUALE DELLA FAMIGLIA BELLONI

Cantar voglio l'amore col rispetto,
prima, seconda con terza genia,
di quell'antico ceppo, cosiddetto,
di Giacomo Belloni e di sua scia,
di quello ch'era detto il Pesciaretto,
della mamma di tutti e mamma mia;
sono rimasti in tre, da veri saggi,
col sentimento buono dei remmaggi.

Uno si gode l'ombra di quei faggi,
l'altro risiede al porto di Traiano,
lassù in Toscana fra quei paesaggi,
e tu, Novilio, lassù nell'altipiano,
di pini e d'abeti l'odore assaggi,
le neve sempre tocchi con la mano,
e così, chi in montagna e chi in marina,
la fratellanza sempre sta vicina.

Merlino, tu stai sopra a 'sta collina;
questa è la culla dove sei nato,
è qui che tu respiri l'aria fina,
a 'sto paese tanto affezionato,
il mare ci rispecchia, il sol s'inchina,
qui vedi le bellezze del creato.
La sua temperatura è l'essenziale,
ecco perché la nostra Tolfa vale.

E' del settantanove il carnevale,
e dimmi, Dante, quanto hai lavorato,
l'invito lo facesti a tutti uguale,
perché di quel tuo sangue innamorato.
E t'ascoltaron tutti, è l'essenziale,
perché da tutti tu sei rispettato;
gente di tanto amore e di coscienza,
porto a voi tutti la mia riverenza.

Fu fatta troppo lunga penitenza,
ora cerca il fratello col cugino,
ad ogni riunione fan la presenza,
tutti i miei parenti voglio vicino,
per vedere del mio ceppo consistenza,
abbraccio la nipote e '1 nipotino.
Queste son cose che non tutti fanno,
a tutti do gli auguri di buon anno.
20 Febbraio 197