A DON ANTONIO PASCUCCI
PER L'ANELLO UNIVERSITARIO
Del professore al dito c'è l'anello,
ogni alunno rivolge il complimento
perché è frutto d'amore e buon cervello!
Ognun di questo fatto è assai contento,
chi l'ha premiato ha fatto un gesto bello
ed ha riconosciuto il gran talento:
tutti insieme onoriamo il Professore
ch'è un grande ministro del Creatore!
Dell'ignoranza sei il gran vincitore
e l'onesta che hai è un bel modello,
pel Tolfetano è certo un grande onore
avere un così valido fratello;
l'intelligenza unita a un grande cuore,
dico la verità mentre favello:
fiore d'Italia e d'ogni altra nazione,
la tua sapienza è unita a devozione!
14 Febbraio 1988 |
A GIOVANNI KEZICH
(In morte della mamma)
Cosa c'è di più grande in questo mondo
d'amor, rispetto e pur benevolenza,
quando una mamma abbraccia il figlio biondo,
che ha sgravato con tanta sofferenza?
Vedendolo sì bello, rosso e tondo
provvedeva a tutta sua assistenza;
questo figlio ha una mamma affezionata,
ma una rapace arpia gliel'ha strappata.
O che notizia brutta e disperata!
Ma pensate alla pena del figliolo
nel vedere la mamma sotterrata!
In lui rimane pena e grande duolo,
spero che su nel ciel sia incoronata:
senza la mamma un figlio resta solo,
che l'abbracciava e lo stringeva al petto
con gioia, con amore e grande affetto!
La legge natural non ha difetto,
il mio pensiero sta in disperazione,
con bianca man t'accarezzava il petto,
era segno d'amore e d'affezione;
una preghiera faccio, lo prometto,
della legge cristiana ogni orazione:
la mamma rivedrai dal Padreterno,
dove la vita regna per eterno! |
A LINA, PER LA LAUREA
Non so se è un dono o naturale ingegno
che l'avvenire ricerca migliore,
solleva in alto quel suo bel contegno,
chi diventa avvocato e chi dottore,
fa onore alla sua stirpe e questo è il segno.
A te auguro un avvenir migliore
e nella profession la competenza:
ecco la forza di tua intelligenza.
Lina, ti sei votata all'assistenza,
ad alleviar le pene all'ammalato;
adopra nel lavoro la pazienza
fino a quando il degente è risanato.
Con l'esperienza aumenta la sapienza
che da mamma e papà hai ereditato;
il consiglio che dà il genitore
è pien di gioia, affetto e grande amore! |
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SFIDA POETICA IN OTTAVA RIMA TRA I POETI |
TRAVAGLIATI CARLO (La mora)
E TAGLIANI POMPILIO (La bionda)
M:
Abbiamo qui avanti una modella
dal crine nero, limpido e lucente
guardala ne le forme quanto è bella
e guardala negli occhi quant'è ardente
sembra del cèlo la più grande stella
piena di luce e di fosforescente
qui ti sondo il cervello e te lo raschio
si n'te piace la mora non sei maschio.
B:
Se l'intelletto è sporco lo riraschio
paragonar la mora con la bionda
quest'ultima infocar fa tosto il maschio
in quanto è più piacevole e gioconda
la mora ch'è pelata sembra un maschio
non ha la tenerezza alta e profonda
tu guarda il sol che spunta la mattina
il raggio ha biondo e a lui ogni uom s'inchina.
M:
Si dice che fu mora Messalina
mora Poppea la moglie di Nerone
mora la moglie fu di Catilina
mora l'amante de Napoleone
fu mora de la Grecia la regina
mora la moglie fu di Cicerone
con questo ti rinfresco la memoria
nessuna donna bionda è nella storia.
B:
Elena Omero innalza all'alta gloria
poiché l'aveva quel capello biondo
Paride s'innamora è questa è storia
nel senso più dolcissimo e profondo
se poi la Primavera abbi a memoria
che '1 tenero lo rende più fecondo
bionda è la spiga e '1 grano maturato
con cui si ciba l'uomo d'ogni stato.
M:
Non ce sta bocconcino prelibato
che la madre natura cià fornito
come una mora dal petto tornito
occhi di fuoco e viso colorito
amore tutto quanto riservato
che fosse o pell'amante o pel marito
si te piace la bionda, qui sta '1 guaio
segno che tu non sei un buongustaio.
B:
La bionda è bella a marzo e di gennaio
specie d'inverno sotto le lenzuola
quando la neve riempe lo staio
con l'affetto ti scalda e ti consola
la mora invece è fredda e questo è '1 guaio
è timida in amore e di parola
nell'amplesso d'amor spesso è fallace
e all'uomo intelligente ecco non piace.
M:
La mora è più aggressiva e più rapace
di sangue tropicale e intelligente
per presentarla è molto più vivace
ha lo stile più rude e più potente
'1 novantotto per cento a tutti piace
ne lo sguardo rimane più attraente
mo te vòj o toccà quest'altro tasto
si te piace la bionda hai l'ingegno guasto.
B:
Se tu a la mora lo mettessi '1 basto
degna sarebbe di tale ornamento
così terminerebbe il mio contrasto
e non avrei più ambasce e nè tormento
di Leonardo il genio è alquanto vasto
ricchissimo di studio e di talento
ergersi puole a conquistar la gioia
perché Gioconda bionde avea le cuoia.
M:
Famme '1 piacere nun me fa' 'sta noja
èsse prudente piglia 'sto consiglio
si per caso dovesse prènde moje
pigliela ch'abbi bruno l'occhio e,'1 ciglio
e vedrai che quanno te se spòja
fosse all'ombra del frassino o del tiglio
qui fosse lei e là fosse la bionda
l'altra sarebbe sempre la seconda.
B:
Collega il nero poco m'asseconda
di quando mi rammenta il triste lutto
baciando invece quella della bionda
bruciar mi sento il corpo dapertutto
nell'amore è più brava e più profonda
cerca il diletto ovunque e dapertutto
la donna quando è bionda è quella rosa
beato è l'uom che al mondo se la sposa.
M:
La donna mora è sempre più focosa
la donna bionda è languida e sciapetta
la donna mora è sempre più amorosa
a donna bionda è chiusa e più ristretta
la donna mora è viva è spiritosa
la donna bionda è gelida e scarsetta
si della bionda hai proprio fantasia
tu non hai '1 genio, hai la fanteria.
B:
La bionda non lo sai che cosa sia
è una donna allettante e divertente
l'uomo rasenta a volte la pazzia
quando baciar dalle bionde si sente
è tutta grazia è tutta poesia
loquace nel discorso ed attraente
quando si toglie l'ultimo suo velo
eccoti il più bell'angelo del cielo.
M:
La donna bionda ha il verme come il melo
Cristo la fece in vera pasta frolla
d'avvicinarla non mi sento in zelo
è come la polenta non satolla
poi se dice ch'ha pure poco pelo
ma pe' nun seguità 'sta tira e molla
pe' nun èsse scortese ed insistente
sotto le coltre è meglio di niente. |
CONVERSAZIONE IN OTTAVA RIMA
TRA ANTONI PIZZUTI E POMPILIO TAGLIANI (1)
P...
Il gentil sesso è degno in poesia,
senza vergogna qua si faccia avanti.
Trova dolcezza e tanta simpatia
che gli esprimiamo con i dolci canti.
Vorrei ascoltarla l'alta fantasia
che bella se sarà come i sembianti
che questa porta, e la figur degli occhi:
speriamo che nel fine m'inginocchi.
M.M.: Dai, Susanna, devi rispondere.
S.C.: No, no. E poi con «occhi».
Un amico di Pizzuti: «Le ha lasciato una rima un po' chiusa».
Interviene Tagliani:
Sento un pochino stringi e un poco tocchi.
Amico, col tuo dir un po' vacci piano:
ma se la mente, sai, è delli balocchi,
è per la storia e sta molto lontano,
richiama il tuo cervello e li tuo' occhi,
un poco canta col tuo cuore in mano.
A stringer, sappi, l'è quasi un verbale:
l'è che la poesia funziona male.
P...
E' stata una chiusura occasionale.
Vedo, però, 'n'ho fatto alcun timore:
tu ce l'ha scritta, e l'ha presa a verbale
e t'ho risposto col candido cuore.
Mi scuso un poco se so' espresso male,
ma il forte là si vede nel terrore,
quando ch'affronta quel più duro scoglio
allor ci vuol la forza coll'orgoglio.
T.:
Ma quando ci sta voto il portafoglio
che vole fantasià? cos'è il coraggio?
Allor ti trovi a svolto tra un imbroglio
e ti finisce tutto tuo messaggio.
Ecco, collega, dir questo ti voglio:
è una malinconia per l'assaggio.
Ricca la mente, mentre dolce è il cuore,
allora è tutta gioia e tutt'amore.
P...
La vita non è sempre uno splendore:
anche la rosa, vedi, cià la spina
che se la prendi, po' punge e dolore
ti manda nella vena sopraffina.
Ma basta la ricchezza dentro il cuore,
allor sei felice la sera e la mattina.
Quando che poi nel cuor sei poverello,
non sta' ben nè col cugin, nè col fratello.
T.
Il cor è smorto sembra di un tranello
e nella vita 'n c'è più viguria,
ma si richiama il mite tuo cervello
allor t'insegna la diretta via.
Richiama di dipinge da un pennello,
prende la penna e scrive poesia:
e basta richiamà 'n po' de speranza,
la forza del coraggio e l'uguaglianza.
P.:
L'uomo quando che nasce sempre avanza,
cerca sì di raggiunge l'alta mèta,
lavora giorno e notte e cià speranza,
ossia il musicista col poeta.
In teoria raggiunge l'uguaglianza,
in pratica la cosa è un po' indiscreta:
perchè tu sa' che l'uomo è un egoista,
quando sta bene l'altro tiene a vista.
T.:
Vorrei che questa cosa più non esista
o, per dir meglio, tale differenza
e tutti di girà in sola vista
e facendo l'esame di coscienza.
Oppur del mondo guarda chi ha una vista
o, per dì meglio, la casta 'sperienza:
chi nasce pe' la vita fortunato,
per novant'anni viverà beato.
P...
Con ciò lo scordi allora chi è malato,
che giace in un lettino all'ospedale.
Anche il leone quando si è saziato
se passi vicino a lui non fa del male.
Ma guarda al mondo quanto è screanzato,
venendo dal peccato originale:
l'egoismo nell'uomo è una frattura,
è quasi quasi un genio di natura.
T.:
Vorresti dì che vive imperitura:
l'egoismo un dì verrà abbattuto.
Basta prendi il coglie la misura,
allor si calmerà quell'uomo astuto.
La primaver che crea la verdura,
verrà l'estate qui non è piaciuto,
a parte che autunno è che rinnova
e che al paro di tutti do la prova.
P.:
Purtroppo l'uomo al mondo assai rinnova,
ma non può rinnovare l'essenziale:
di esse fratello qualche volta prova,
ma rimane sempre un pochettin di male.
Ma l'egoismo, dimmi, chi lo scova?
Nemmeno l'uomo più patriarcale.
Penso coll'uomo l'egoismo è nato,
oppure che derivi dal più peccato.
T.:
Vorresti dì che Adamo l'ha creato,
ma però devi intende, caro amico,
quasi ti posso dì tempo è passato
e l'è finita la follia del fico.
Lo vedi l'alfabeto è immortalato,
novanta per cento studia, or te lo dico:
quando che tutti abbiamo una cultura,
per l'egoismo si prende misura.
P.:
Questo talvolta penso e ció paura,
pertanto lo ritengo è un'utopia:
lo studio è vero ch'è una gran coltura,
ma l'egoismo non lo porta via,
perchè l'è innato in quella creatura,
lo tiene come artiglio dell'arpia.
Lo tiene proprio in mezzo del suo cuore,
benchè col tempo non lo getta fuore.
T..
Va un po' pianin, vedrai che un giorno muore,
quando uno più due tutte fanno.
E certo morirà di crepacore:
ecco come si abbatte quel tiranno.
So, certamente patirà il dolore
e dal dolore le verrà l'affanno.
E certo lo risentirà il suo cuore,
così ne morirà le tarde ore.
P.:
Io so che un dì ne nacque un Redentore,
predicando con cuore l'uguaglianza,
ma l'uguaglianza del più casto amore:
questo ti voglio dir, se un po' mi avanza.
Lo presero allor per malfattore,
lo richiusero dentro di una stanza
e per fa' un po' calmare la sua voce
lo crocefissero sopra d'una croce.
T.:
Vedi che la disgrazia l'è veloce.
Solo tre preti questo sì lo fanno,
po' va pregando a quella pia croce:
e questo l'è il dolore del tiranno.
Ma questo si può dire all'alta voce,
far capire a gente che non sanno:
lui predicava, sì, al consorzio umano,
ma l'egoismo è dentro al Vaticano.
P.:
Vedi che l'uomo ce l'ha scritto in mano.
Non voglio assai peccà di scetticismo:
scettico sono perché sono umano,
quindi penso che grande è l'egoismo,
che noi combattiamo e combattiamo invano
benchè vogliam vantare lo stoicismo.
Lo stoico s'immola, e poi rimane
l'egoismo oggi e anche domane.
T.:
Perchè genti vagabonde e son profane
il falso a predicà stan tutto il giorno.
Ancor si attacca a un tozzolo di pane,
basta che nel clero fa ritorno.
Questo ti posso dì, so' gente insane
e senza onore, riputazione ed hanno un corno.
Quel che viaggia e cià la vesta nera
è un'anima dannata e 'un è sincera.
P.:
Anche questa ti dico è una maniera
T.: Ma che maniera, amico, mi vuoi dire
P.: Bandiera rossa oppure quella nera
T.: Meglio che quella nera va a sparire
P.: Sparisca pur, sparisca a la galera
T.: Al dilinquente cosa le voi dire?
P.: Se facciam una riflessione di se stesso
e guarda è dilinquente anche il progresso.
T.: Allor vorresti dì la peggio al fesso
P.: Vorrei dì l'umano è sì composto
T.: Ma cosa vale l'òmo genuflesso?
P.: Perché lui d'imperar l'ha sempre imposto
T.: Ma questo amico no è gioco ma interesso
P.: Di progredire ovunque si è proposto
T.: Allora al ladro gli dai vigoria:
meglio che non esiste e non ce sia.
[Decidono di continuare. Seguita Pizzuti.
P...
Basta che al ladro aperta è la via,
vedi se l'uomo a caso va in galera.
E per la società che per la via,
resta la pecorella ch'è più nera:
vène schifato senza fantasia,
credo che prende troppo alla leggera.
Il ladro ha già patito, sofferto assai,
perché la società ancor dà guai?
T.
Or ti domando la colpa a chi dai?
A chi vuo' caricare questa soma?
Il ladro chi difende, già lo sai,
le danno una medaglia con diploma.
Diche ch'in terra necessario è assai
gente, per carità, che non si doma:
dì due parole, non mi piace il gesto,
vale più il ladro, dici tu, che un omo onesto.
P.:
Poeta, ancora non m'hai detto il resto.
Vedi tu quello ricco ch'è contento,
a parlare in piazza è che fa presto
e ancor fare le leggi in Parlamento.
Ma quando allunga la mano è che fa presto:
quello l'è immune e dirti questo sento,
cià quell'immunità parlamentare
e che glielo può fà come gli pare.
T.:
Meglio che sulla terra lui scompare
per quanta schiavitù, per quante pene.
E nun pensa che al campo e a lavorare
e '1 son che nun lo sente de sirene.
Lui tutto il giorno se va a sollazzare,
po' chi sta fra il tormento e fra le pene:
da quella signoria o borghesia
è meglio che sparisca e nun ce sia.
P.: Ma c'è d'accordo la persona mia
T.: Questo, collega, un poco te ringrazio
P.: Però sono fandonie e fantasia
T.: Che le sopporto è un pezzo e ne so' strazio.
P.: T'ho detto che chi vive in allegria
T.: Quella serve alla terra e nello spazio
P.: C'è un proverbio, collega, ch'asserena:
che pancia vota nun pensa a quella piena.
T.: Guarda che si nun stronche la catena
P.: Ma per stroncarla non c'è lo strumento
T.: Basta un pennino e una mente serena
P.: Che te la porta via subito il vento
T.: Verme defraudator di questa scena
P.: Se ciài il quattrino non pense allo stento
T.: Ma più quattrin che ruba è il deputato,
lo stesso un giorno morirà crepato.
P.: Però tu vedi che ce sta il Senato
T.: Sarvo me tocco, nun lo menzionare
P.: E questo è l'uomo che si fa guardato
T.: Ci sta a fa' male, ci sta a oltraggiare
P.: Allora l'uguaglianza in questo stato
T.: Io cecherei a chi nun sa votare
P.: O voti bene oppure voti male,
ma l'egoismo è sempre 1' essenziale.
T.: Son due categorie e due rivale
P.: Benchè vince la classe proletaria
T.: Allor vedi la punta e il tacco è uguale
P.: Quando comanda allor la legge varia
T.: Per carità, non lo mette a verbale
P.: E te potrò anche dir che l'è contraria
T.: Contraria ne sarà delle conquiste,
è ben che ne sparisce e più 'n esiste.
P.: Bisogna che un qualcosa qui sussiste
T.: Ed oggi la dirò degna persona
P.: L'uomo talvolta sappi quando esiste
T.: Prima di tutti, de' sparire la corona.
P.: Però prima per sè fa le provviste
T.: Ecco 'ndove l'umano lo abbandona
P.: Guarda che l'uguaglianza è un essenziale,
ma poi tu vedi, allor, ch'è disuguale.
T.: Ma la democrazia che cosa vale
P.: Bisogna vede qual democrazia
T.: E quella che resiste è l'essenziale
P.: Per me è la miglior cosa che ci stia
T.: Ha empito il carcere e tribunale
P.: Allora quella non è democrazia
T.: Ma perchè questa tu la vòe nascondi,
è governo di ladre e vagabondi.
P.: Bisogna che l'artiglio un poco affondi
T.: Ma non mi fà affondar nello sprofondo
P.: Io noto fra i neri, i bianchi e i biondi
T.: E tutti quanti farei un cerchio tondo
P.: Esistono per tutto i vagabondi
T.: Come in Italia, non ce ne sò al mondo
P.: Ci sono in Russia, in Cina e, caso strano,
anche laggiù nel ricco americano.
T.: Nove milion che ne predica invano
P.: Ma non mi fare entrar nell'argomento
T.: Ma poi che vanno là da disumano
P.: Mi spiacerebbe darti un po' tormento
T.: Mi rincresce che debbo 'nnà lontano
P.: Meglio che te ne vai e son contento
T.: Perchè proteggi e nulla lo nascondi:
sei il protettore de li vagabondi.
P.: I problemi sò assai più profondi
T.: Bisogna darci intanto un'occhiatina
P.: Bisogna che tu il verso l'arrotondi
T.: Siamo alla ser, la notte alla mattina
P.: Bisogna che li campi sian fecondi
T.: Ma si questa gente ci arrovina
P.: La gente è gente, sappi, assai cattiva,
se la ritenghi buona è delusiva.
T.: Meglio che di mattina non ci arriva
P.: E allor ci vuò 'l diluvio universale
T.: Una scelta di una capatina
P.: Siam tutti nella via e tutti al male
T.: Non te saprebbe dì quale disciplina
P.: Migliore penso, amico, è un animale
T.: Ma si sa l'animal la terra crea
de la buciarda, inganna gente rea.
P.: Qui non c'è il dio, non ci sta la dea
T.: C'è la schiavitù, ce sta il tormento
P.: Guarda ch'Omero quella musa crea
T.: Ovvia che un poco mi fanno spavento
P.: Perchè lungimirante e non credea
T.: Insomma si l'adopri il sentimento
P.: Se adopri il sentimento ti è fatale,
e tante volte ti conduce al male.
T.: Ma guarda un ladro in Italia quanto vale
P.: Io penso che qui ladro è ciascheduno
T.: Comincio dal vescovo e il papale
P.: E il capo dello stato ed anche alcuno
T.: Osa in paese e nella capitale
P.: Quello che parla in piazza all'aere bruno
T.: Se ruba della Gescal il fabbricato
e il povero operaio che ha pagato.
P.: Vedi tu tante volte un comitato
T.: Potreste dì ancora un direttivo
P.: E ruba quasi quasi il sindacato
T.: Ma quel che sta al governo è più cattivo
P.: Perchè ci sta più altolocato
T.: Si un poco parli, per lor sei sovversivo
P.: Per me ci ruba il re col dittatore,
perché nel mondo non lo trovi amore.
T.: Vedi un campicello quando è in fiore
P.: E' verdeggiante e bello ed ha un profumo
T.: Chi lo rapisce è il solo dittatore
P.: Quella beltà nel campo la consumo
T.: Lo devi gustà il profumo e il suo valore
P.: Ma se più un poco ambisco e che presumo
T.: Bisogna avere il cervello in testa,
ma ciò che dà natur non si calpesta.
- Registrazione di Marco Millier e Susanna Cerboni. Tolfa, 28/7/74. Osteria di Tanganèllo
|
APPENDICE
Per esplicita volontà dell'Autore, in questa breve Appendice vengono presentati alcuni componimenti poetici di altri tre personaggi, con ognuno dei quali Pompo sentiva di avere un qualche obbligo morale da assolvere.
Questa Appendice costituisce una ulteriore prova di generosità e di altruismo di Tagliani, che, pur potendo aspirare ad un libro a lui interamente dedicato (non sarebbe stato il primo, né l'ultimo...), ha voluto condividere la «gloria» della pubblicazione con altri autori, diversi da lui e tra loro per cultura, mentalità e storia personale, ma uniti tutti dalla comune passione per la Poesia.
ENRICO PADELLI (Tolfa 24/6/1897 - 13 / 10/ 1989)
«Righetto», come tutti affettuosamente lo hanno sempre chiamato, è stato uno dei personaggi più grandi della piccola storia di Tolfa nel '900, una figura luminosa, animatore di significative iniziative sul piano sociale, politico coerente fino al sacrificio personale, amministratore pubblico integerrimo e costantemente volto al conseguimento del bene della collettività.
Fu anche, in qualche modo, poeta.
Infatti, a metà degli anni '20, scrisse il testo dell'Inno dei Militi volontari della Croce Bianca di Tolfa, di cui era il Comandante, musicato dal maestro A. Di Miniello, ed una poesia in quartine dedicata agli stessi volontari.
Queste due composizioni, inedite, furono affidate da Padelli a Tagliani affinché fossero pubblicate, ma a condizione che ciò avvenisse soltanto dopo la morte dell'Autore; alla prima occasione, Pompo ha voluto mantenere un impegno morale che ha sempre tenuto in grande considerazione. |
INNO DEI MILITI VOLONTARI
DELLA «CROCE BIANCA DI TOLFA»
Sempre pronti ad ogni appello
a lenir l'altrui dolore
forte il braccio forte il cuore
pronti e rapidi accorriam
noi di tutti siam fratelli
soccorriamo con fervore
questo è il compito d'amore
della umana carità
avanti avanti o Croce Bianca
avanti avanti o Croce Bianca
avanti Croce Bianca
paladina di umanità
sempre avanti Croce Bianca
sempre all'erta o balda schiera
sia di giorno che di sera
noi rechiam la carità
sulla fronte noi portiamo
una bella e bianca croce
e con lei corriam veloci
a dar pace e civiltà
avanti avanti o Croce Bianca
avanti avanti o Croce Bianca
avanti Croce Bianca
paladina di umanità
per i campi più remoti
per le balzi e pei dirupi
negli abissi oscuri e cupi
noi marciam senza timore
un amore sconfinato
per chi soffre e chi dolora
per chi geme e per chi implora
ci sollecita a marciar
avanti avanti o Croce Bianca
avanti avanti o Croce Bianca
avanti Croce Bianca
paladina di umanità
mentre piove e il freddo gela
mentre scroscia la tempesta
questa schiera sempre desta
lascia tutto e corre e va
siam chiamati da chi soffre
siam chiamati dal dolore
una fede si sta in cuore
è l'umana carità
avanti avanti o Croce Bianca
avanti avanti o Croce Bianca
avanti Croce Bianca
paladina di umanità
Tolfa, 20 Novembre 1925 |
AI BRAVI MILITI
DELLA «CROCE BIANCA DI TOLFA»
Salve ai baldi militi crociati
lottante schiera per un santo fine,
salute a lor che, giovani soldati,
mirano ad un amor senza confine.
Forti di cuore, ben temprato il piede,
giovani belli, pieni di fervor,
umil votati d'una santa fede
sono dovunque e sempre a farsi onor.
In pieno giorno e nella cupa sera,
col solleone e nell'algente inverno,
vanno verso chi soffre, in fitta schiera,
gli umili eroi dell'amor fraterno.
Allor che il solitario contadino
per le campagne immense e quasi ignote
passar li vede, con il capo chino,
l'interna commozion frenar non puote.
Pieni di fango, di sudor grondanti,
eccoli là che vanno, sempre vanno,
il loro motto è sempre: avanti, avanti,
chi vanno ad aiutar neppur lo sanno.
Vanno verso il dolor che l'ha chiamati
ad aiutar colui ch'è sofferente,
da una fede santa son guidati:
lenir dolori dell'umana gente.
Nello squallor del morbo che stermina
fanno olocausto della propria vita,
di fronte a lor l'umanità s'inchina
ed all'amor fraterno tutti invita.
Vanno sui monti, giù nella pianura,
entro i boschi, sui laghi, in riva al mar,
corrono sempre dove è la sventura,
amore e carità sempre a portar.
Avanti, avanti, Militi crociati,
pionieri santi di un miglior domani,
eletti cuori, dall'amor guidati,
gli sforzi vostri non saranno vani.
Tolfa, 20 Marzo 1926 |
|
LUIGI BELLONI (Tolfa, 24/6/1889 - 16/2/1967)
Figlio di Giacomo Belloni, ne seguì la tradizionale attività poetica, prediligendo, però, la poesia scritta, forse perché privo di quell'estro naturale che è tipico del poeta a braccio e che, come il coraggio, «se uno non ce l'ha, non se lo può dare!».
Anche di lui vengono presentate due brevi composizioni, a testimonianza, molto parziale, di una attività che fu portata avanti, seppure in forma quasi esclusivamente privata, per tutta la vita. |
IL ROVO
Con tutti i venti
tu inchini il capo,
rovo sottile,
tua cima tentenna,
fa imparato lo tuo stile.
Cede alla balìa
tue vicende,
t'artigli
nella giubba e nei calzari,
col tuo ingegno
la trappola tendi.
I tuoi artigli aguzzi
tendi paro,
li infiltri
nelle mani, nella vita,
fai uscire da essi
sangue amaro.
Tua persona
intorno
fu pulita,
graffiata faccia
con dolore.
Tutto per il tuo frutto,
mia gradita,
le vellutate
dolcissime
tue more.
Luglio 1957 |
L'IGIENE DELLA MIA BORGATA
Volgi, lettor, se l'hai la mente eletta,
a quel che dire in rima qui s'imprende
ed allibire tosto avrai disdetta.
In quella parte, là dove discende
la duna al sol, tra grigie mura e grame,
occulto giace un luogo e ... poco prende.
Cinto d'intorno egli è d'ogni letame,
vermi, mosche, pulci, zecche e blatte
posti vanno sicuri al lor reame.
Ivi di tristi genti esterrefatte,
spinti da fato iniquo, ogni mattina,
lotta insetticida sta a combatte...
Sostano a lungo e limitare in prima,
tremebondi tacciono i motori,
quasi un oscuro paventar l'opprima.
Ecco, al comparir dei primi albori,
passa la mesta Guardia, brontolando:
i polsi fa tremar a chi sta fuori.
S'osserva poi venir, di tanto in tanto,
l'immondiziere con il suo volume
e giù vi mesce quell'odore «santo».
Pubblico getto, detto dal Comune:
ben inteso, a loro meglio conviene,
il getto spruzza sulle fetenti dune.
Quest'è la via diretta per l'igiene,
a sangue si combatte 'sto duello,
creandovi peste, rogna e pur cancrene.
Se non fosse per questo loco fello,
che ha reso il mio cantar debole e lasso,
vi narrerei qualche altro fattarello,
che vi farebbe rimaner di sasso.
Credete a chi n'ha fatto l'esperienza,
se non credete, giù volgete il passo.
Restano infine, tuttavia non senza
levare lodi fervide, ben sempre,
Sindaco, Segretario e l'occorrenza...
Imperituri, eterni vi si tempre!
Maggio 1957 |
BARTOLOMEO BATTILOCCHIO
Nato a Tolfa, in una scomparsa Via dell'Inferno, il 26.4.1875, da Felice e Francesca Berardozzi, e morto a Bracciano il 25.1.1952, «Meo» è stato senz'altro il più famoso poeta a braccio e cantastorie tolfetano; venditore ambulante di maglieria, frequentava mostre, fiere e mercati anche con un gioco di tiro a segno, cogliendo l'occasione per far conoscere e diffondere le proprie storie, riportate su fogli volanti a stampa.
Della sua enorme produzione poetica, è giunta fino a noi soltanto la composizione in ottava rima «Nel centenario della fucilazione di tre sacerdoti ed altri cento e più tolfetani avvenuta alla Sughera per opera delle milizie francesi il dì 15 marzo 1799».
L'opera fu scritta nel 1899, nel primo centenario dell'avvenimento e, dopo una prima edizione non più rintracciabile, fu ristampata nel 1967 a cura di Ottorino Morra, illustre storico di Tolfa, che ne comprese appieno l'elevato valore non solo storico e documentario, ma soprattutto poetico.
Scriveva egli, infatti, nella sua Premessa ai versi: «Il Battilocchio ebbe doti di poeta estemporaneo in grado notevole, arricchite da letture copiose, sì che malgrado la modesta sua condizione sociale era giunto ad una conoscenza dell'epica classica e dei poemi cavallereschi e ad una espressività stilistica non comuni; e conseguì in tal modo buona notorietà in vaste zone dell'alto Lazio».
Ho voluto cogliere questa occasione per presentare al pubblico altre quattro composizioni inedite di Meo, tramandate a memoria dal Sig. Marco Gobbi e da me fedelmente trascritte; si tratta di quattro composizioni, facilmente ascrivibili alla sua produzione del Ventennio fascista, con particolare riferimento a quel periodo «del consenso», nella seconda metà degli anni '30, in cui la retorica del regime riuscì ad affascinare ed a coinvolgere non solo una larga fetta di società, ma anche un gran numero di intellettuali. Ritengo che la pubblicazione di questo materiale inedito di Battilocchio rivesta notevole valore documentario e costituisca anche un ulteriore atto di omaggio alla memoria di un personaggio di spicco nella storia culturale di Tolfa, anche se sarebbe stato auspicabile ed anche più logico leggere queste, o altre poesie inedite di «Meo», in qualcuna delle tre raccolte di poesie realizzate dal Circolo poetico-culturale tolfetano a lui intitolato. |
GRANDEZZA ITALIANA
Oggi, o mia patria, non sei più qual eri
nella guerra primiera all'Abissina,
nemmen nei tempi quando gli stranieri
ti calpestavan da sera a mattina;
oggi i tuoi figli son tutti guerrieri,
sei forte in terra, in aria ed in marina,
tieni nell'arte bellica istruzione
da stare al paro di qual sia nazione.
Di Marconi tieni l'alta invenzione
che nel caso di guerra tanto vale;
polvere non ti manca e munizione,
qual fu da bagarina il dì fatale,
che si ammutì il fucile col cannone
mancando il necessario materiale:
oggi non può accaderti certamente
ché c'è chi tutto studia, vede e sente.
Da oggi a prima tu sei differente,
oggi ti sei ingrandita e emancipata
per mezzo di quell'uomo arcisapiente;
Lui con la madre Chiesa affratellata, l
a fede che dà gloria è una sorgente
da poeti e orator sempre incalzata,
altera puoi gridar con chiunque sia:
non temo alcuno, ho Dio in compagnia!
Pel bene ch'io ti voglio, o patria mia,
debbo dirti la guerra è disastrosa,
dov'è la guerra, in quale punto sia,
è timor d'ogni madre e d'ogni sposa;
spero però che la diplomazia
coll'alto ingegno accomodi ogni cosa;
se poi la guerra viene, pel Sovrano,
pel Re e pel Duce è pronto ogni italiano.
Non porge ascolto, o popolo africano,
a chi ti istiga e a chi ti dà consigli,
venir contro di noi coll'arme in mano
per mette nell'Europa gran scompigli;
chi ti consiglia ti consiglia invano,
non ti muove, abissino, ché le pigli;
guidati siam dal Duce Mussolini,
temuti dai lontani e dai vicini.
Perciò coraggio, o cari cittadini,
contro di chi vuol metter confusione,
empir di stragi gli europei confini,
di metter sotto sopra ogni nazione.
Forte gridiamo «non siam più piccini,
cresciamo sotto il rombo del cannone,
siam sempre pronti a far chi ammazza ammazza
contro qual sia color, qualsiasi razza!».
Non temere, o bellissima ragazza,
se l'amante ti chiamano soldato;
lascia che per la Patria si strapazza,
lo bacerai di gloria coronato,
farai la seria e non farai la pazza,
la fede manterrai che gli hai giurato;
sposa diletta, non temer lo sposo
ché in breve lo riabbracci vittorioso.
Si, si, tra poco tornerà glorioso
ché la vittoria del coraggio è figlia,
l'italico soldato è pensieroso
nel distaccarsi sol dalla famiglia;
poi giunto in campo, qual leon furioso,
son guai dove addenta e dove artiglia,
diventa più feroce d'un leopardo,
più sangue vede e più divien gagliardo.
Freme il bollor nel siculo e nel sardo,
l'isole tutte e tutto il continente,
di più sento gridar qualche vegliardo:
«Tornar potessi in sull'età fiorente,
pria che spender la vita nel bigliardo,
in pazza gioia, in gioco inconcludente,
la spendo per te, o mia patria amata,
pel Re e per Quel da cui sei governata.
Cosa arcidegna d'essere cantata
quello ch'han fatto le Camicie nere:
tutte compatte e senza la chiamata
volate son tra l'africane schiere
per mantener la fede ch'han giurata,
tutti d'un cuore e tutti d'un pensiere:
siamo Italiani, noi non offendiamo,
ma se offesi noi siam, ci difendiamo.
Non lo posso negar, la pace bramo
per potere evitar tanti flagelli,
se poi la guerra v'è compatti siamo
e, si capisce, ricchi e poverelli,
d'Italia i cuori non solo cuor formiamo,
siam coraggiosi, uniti e siam fratelli
perché coraggio, fratellanza e unione
sostegno e forza son della Nazione.
Io grido altero a tutte le persone
ch'oggi se' al par d'ogni nazion latina,
per quei che t'aman con vera passione
parlan le strade e la zona pontina,
con città erette ed altre in costruzione,
dico, da serva ti puoi dir regina:
qui chiudo il canto e ognun legga la storia
p'aver del Battilocchio la memoria. |
LA GUERRA DI ABISSINIA
Di ras Desta vi canto la sconfitta
che col suocero suo s'era vantato,
con suo coraggio e con sua gente invitta,
di togliere all'Italia il conquistato;
però l'idea fu vana e derelitta,
ci venne per sonar, ma fu sonato,
tanto che stampa tutta ci assicura
che fugge sempre dalla gran paura.
Lui forte esclama, o che bella figura,
mordendosi di rabbia ambo le mani,
valica i monti e vola alla pianura
perché paventa il generai Graziani.
Terra per sé non trova più sicura
perché inseguito vien dagli Italiani
che, insieme al marescial Badoglio,
del Negus abbattono l'orgoglio.
Lui forte grida dall'imperial soglio:
«Vergognati a mia figlia esser consorte,
per genero nemmeno più ti voglio,
meriteresti ti mandassi a morte;
la tua sconfitta mi dà gran cordoglio,
per farti frate t'aprirò le porte!».
In un convento però, caro uditore,
non so se sia da messa o cercatore!
Certo dovrà marcir dal gran dolore
quando la nuova gli è comunicata,
che il suocero, con rabbia e con rancore,
la fida scimitarra l'ha spezzata
e con frasi di oltraggio e con furore
nel fango l'ha gettata calpestata;
con la sconfitta del genero Desta
poca speranza al Negus ormai resta.
Vedo ambedue grattarsi la testa
priva di speme e priva di conforti,
s'approssima per lor l'ora funesta,
son registrati ventimila morti,
i nostri eroi inseguono alla lesta,
la Vittoria li rende ognor più forti,
compagni in ogni evento a quei fratelli
là sul canale Doria e sul Neghelli.
Ora convien che a tutti voi favelli
la troppa civiltà ch'abbiamo usato,
perché d'umanità siamo modelli;
pochissimi esplosivi abbiam gettato,
però, da quando quei nemici felli
l tenente Menniti han catturato,
esso grida dal ciel: «Non più rispetti,
ma distruggete tutti quegli insetti!
Sgombrate, orsù, dai generosi petti
la nobiltà che regna in noi italiani!
Or convien la mia morte a voi prospetti,
volando caddi e capitai in lor mani;
non racconto gli oltraggi ed i dispetti
fattimi da quei barbari africani;
non soddisfatti, dopo avermi ucciso,
come esempio la testa m'han reciso.
Morto pel mondo io sòrto in Paradiso,
premio per chi combatte preparato;
non pianger, mamma, rasserena il viso
ché il tuo Tituccio in Ciel vive beato;
agli avieri però lascio un avviso,
che ogni rispetto venga abbandonato
e sian gettate bombe a tonnellate
finché duran quell'orde scellerate.
Non più rispetto, tutto bombardate!
Prova ci dà l'ambulanza svedese:
non conteneva persone malate,
ciò che rispetta l'italian cortese,
bensì cartucce belga preparate,
pallottole dum dum di marca inglese
che a milioni a milioni, tutti sanno,
mandano a quei crudel per darci affanno.
O popol civil, guarda che fanno!
Per timor delle nostre incursioni
la Croce Rossa adopera ogni inganno
per salvare se stessi e munizioni;
suvvia, senza pietà portate danno,
gettate bombe e fate distruzione,
questo sol voglio e sarete premiati
quando i miei torti avrete vendicati».
E qui mi fermo, o cittadini amati,
perché son belli e fritti gli abissini;
siamo alla capitale approssimati,
Negus, ormai convien che tu t'inchini!
Col gran coraggio dei nostri soldati,
la guida del gran Duce Mussolini,
l'abilità dei nostri comandanti
sconfiggeremo presto tutti quanti! |
LA CONQUISTA DELL'IMPERO
L'intera volontà d'una Nazione
ascolta la parola del gran Duce,
che d'ingrandir la Patria ha sol passione
e perciò nell'Etiopia ci conduce;
sorpassa per ingegno Salomone,
benefattor del popol che produce:
se l'amicizia l'era più sincera,
nostra sorella già l'Etiopia intera.
Per arrestar l'impavida carriera
degli artiglier, camicie nere e fanti,
più per frenar della celeste schiera
gli impavidi suoi voli strabilianti,
studiato hanno ogni modo e ogni maniera,
con le sanzioni son venuti avanti
credendo il nostro Duce d'impaurire
per non poter la guerra proseguire.
O sanzionisti, a tutti debbo dire:
per questa volta vi siete sbagliati,
le sanzioni ridestano l'ardire,
ci rendono più forti e più affiatati;
prima d'usar viltà bramiam morire,
dal grande amor di patria siam guidati,
con le sanzioni più ci affratelliamo
e, quanto abbiam, tutto alla Patria diamo.
Gara plebiscitaria invero chiamo
ad offrire alla Patria argento ed oro,
con bronzo, piombo, ferro, ciò che abbiamo
per tenere sempre alto il suo decoro;
con gran fierezza tutto sopportiamo,
innanzi ad essi lo gridiamo in coro:
economia per non restar sprovvisti,
ma odio eterno contro i sanzionisti.
Purché Patria maggiore forza acquisti
del clero e del medesimo ideale,
fatti nell'altra guerra mai non visti:
dare i pastor l'anello episcopale,
la gran sovrana, per le sanzioni triste,
dona con fede l'anello nuziale,
ricorda d'esser sposa, d'esser sovrana,
di più la gioia d'essere italiana.
Ad offrire oro e argento è una fiumana,
con gioia fece un vero plebiscito,
chi il braccialetto dà, chi la collana,
tolgon le spose la fede dal dito,
chi gli orecchini all'antica romana,
rievocando dell'Urbe un vecchi rito:
potrà con questi il duce Mussolini
domare i sanzionisti e gli abissini.
O sanzionisti lontani e vicini,
se andiamo in oltremar, così lontano,
non per ricchezze o per aver domini,
là tra le beltà del suolo africano,
andiamo sol per migliorà i destini,
per procurare il pane quotidiano
perché d'Italia è poca l'estensione
in proporzion della popolazione.
Non siamo noi come qualche nazione
che possiede a levante ed a ponente,
per tutti i mari tiene possessione,
può dirsi di ricchezze è una sorgente;
possiede ogni metallo, oro e carbone,
pur ci sanziona senza fargli niente:
di dirlo apertamente le conviene,
le dà fastidio questo nostro bene.
La fantasia di guidar mi viene
se andiamo tra le barbare persone,
che vivon nelle tane come iene,
prive d'ogni saper, d'ogni ragione;
quel popolo incivile a noi appartiene,
togliere schiavitù, dare istruzione,
perciò i miglior di quella stirpe nera
vengono sotto l'itala bandiera.
Vengono giornalmente, a schiera a schiera,
ras, capi tribù, capi del clero;
depongon l'armi e poi fanno preghiera
poter combattere contro il proprio impero;
forte esclama il Negus e dispera
nel veder che le sue forze vanno a zero:
essendo dai migliori abbandonato,
per la passione morirà crepato.
Abbiam l'eroe Galliani vendicato
come del primo marzo la giornata,
per meglio dire: Macallè è pigliato,
in nostre mani Adua è tornata,
là dove un monumento fu innalzato
ci venne questa epigrafe stampata:
«Pei sommi eroi memoria imperitura,
amor di Patria finché il mondo dura». |
LA FORZA DELL'ASSE
Di cuor t'invoco, o Madre intemerata,
del Ciel regina e diva del dolore,
per quanto fosti afflitta e sconsolata
il dì ventitrè marzo, quindici ore,
quando, dalle pie donne accompagnata,
sul Golgota mirasti il gran furore:
il popolo giudeo, stolto e infuriato,
che dava morte al tuo figlio amato.
Per quel dolore, che già tu hai provato,
e per l'ardente amor che volgi ai figli
rimira questo mare insanguinato,
ricoperto di pene e di perigli;
convien, somma Regina del creato,
che riparo al momento tu ci pigli;
con cenno del poter tuo celestiale
dovrai portar la pace universale.
Dovrà pentirsi chi ci fe' del male,
che essere dell'Asse simulava,
guidato dall'Impero occidentale
la sconfitta dell'Asse decretava,
per meglio dir l'Europa in generale;
la politica russa ciò studiava,
d'accordo col ministro d'Inghilterra
all'Europa portò miseria e guerra.
Tal fatto è noto in cielo, è noto in terra,
non dico a te, che tutto senti e guardi,
dirò la Russia, e se '1 mio dir non erra,
contraddir l'Asse ha fatto brutti azzardi
ché l'Asse la distrugge e la rinserra,
benché son coraggiosi e son gagliardi;
di numero maggior son certamente,
ma contro l'Asse non c'è da far niente.
Madre del ciel, rinforza la mia mente
per dir che i russi ovunque son sconfitti;
usando quel proverbio volgarmente,
son tutti pesci infarinati e fritti,
perciò ti prego, o Vergine possente,
di dovere evitar nuovi conflitti:
un messo manderai dal Paradiso
a dare a Roosvelt il seguente avviso.
E dirgli chiaro cosa hai tu deciso:
tutta sbagliata è la tua politica,
da molti paesani sei deriso
e un vecchio presidente ti fa critica;
di più ti dice con parlar preciso,
contro il Tripartito male si litica;
non hai tutta la chiara convinzione
che se ti muovi è pronto anche il Giappone.
Non te la sei formata una ragione
che l'Inghilterra attira a guerra tutti,
imperi e stati e più d'una nazione
furono vinti e furono distrutti;
non sai lo stile della vecchia Albione,
ritrar dal sangue altrui profitti e frutti:
lo grido forte e con i versi miei:
distrutte l'altre, sparirà anche lei.
Madre celeste, molto dir vorrei,
ma richiama quel messo ch'hai mandato,
per quanto immaginare io non saprei
dal detto Roosvelt che ne sia ascoltato;
o Gran Bretagna e tutti i tuoi trofei,
che fiumi e monti hai già profetizzato,
tra poco sparirà la tua grandezza
e in più l'incalcolabile ricchezza.
Madre celeste, mia preghiera apprezza,
benché degno non sia di nominarti;
tu che di tutti noi sei la salvezza,
perciò mi son permesso d'invocarti;
per salvare sì balda giovinezza
manda la pace da tutte le parti.
Te festeggiando poi farem baldoria,
inneggiando alla pace e alla vittoria. |
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