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Walter Bianchi "L'Interpretazione comparativa della lingua Etrusca"
 

I DADI DI TUSCANIA.

Come è noto, presso la Biblioteca Nazionale di Parigi sono conservati due dadi d'avorio etruschi rinvenuti a Tuscania e recanti scritte alcune brevi parole la cui interpretazione è stata oggetto di accesi dibattiti in ordine al problema dell'identificazione dei numerali etruschi.
Ciascuno dei due dadi reca incise su ciascuna faccia le seguenti parole: "THU  CI  S'A  MAKH  ZAL  HUT "
Il non cospicuo valore venale degli oggetti faceva escludere agli Etruscologi che i dadi in questione potessero servire ad usi diversi dal giuoco come invece sosteneva il Corssen il quale pensava che le sei parole costituis­sero una scritta votiva.
Al riguardo, nell'articolo "Etruskische Sprache" - Encyclopadie Pauli - Wissowa (in G. Pontrandolfi " Gli Etruschi e la loro lingua", Bastogi, p.133) Franz Skutsch affermava:
"Il Corssen ha sostenuto che nelle sei sillabe debba vedersi una iscri­zione votiva dell'autore del meschino oggetto; oltre di lui nessuno al­tro ha dubitato che noi abbiamo qui i numeri da 1 a 6, cosa che il Deecke (Kritik) ha reso sicurissima col paragone colle indicazioni di età che si trovano sulle lapidi sepolcrali."
Prendendo spunto dall'opinione del Deeke da lui citato, lo Skutsch (op. cit. p.152) ritiene "sicurissimo" che i monosillabi in questione siano numeri per le seguenti ragioni:
1) alcuni di essi, con la terminazione z o zi e alcune varianti fonetiche, si trovano accanto ai nomi indicanti Ufficio, per dichiarare, si comprende, quante volte il defunto ha occupato quella carica;
2) nelle indicazioni di età delle iscrizioni sepolcrali, accanto alle forme dateci dai dadi, si trovano le medesime parole allungate di una sillaba finale, la cui parte costitutiva è "alkh"; queste forme sono chiaramente le decine. Il citato Autore (op. cit. p.153) esemplifica al riguardo menzionando, tra l'altro, i vocaboli CIZ, CIALKHUS, CEALKHLS, nonché i vocaboli ZATHRUM, ESLEM (e "grafosimili") più volte ripetuti nella maggiore iscrizione etrusca ("Liber linteus Zagrabiensis"), sostenendo che i primi rappresentano le "decine" di CI da lui presunto "cinque" e dall'attuale Etruscologia "tre") mentre i secondi Il testo dei dadi di Tuscania è tratto da "Introduzione allo studio dell'Etrusco" cit., p. 90 di M. Cristofani.
rappresenterebbero le "decine» di ZAL (da lui e dai moderni Etruscologi presunto "due").
Concorde circa la natura numerale dei monosillabi in questione, l'Etruscologia è invece divisa circa il valore numerico da attribuire ai monosillabi stessi.
"Attualmente" afferma M. Pallottino ("Etruscologia", Hoepli; p. 398) dobbiamo ritenere definitivamente acquisita la serie di equivalenze predisposta dal Torp, e cioè: THU = 1, ZAL = 2, CI = 3, S'A = 4, MAKH = 5, HUT = 6; il solo dubbio ancora possibile è che HUT corrisponda a 4 (per il classico raffronto con il toponimo preellenico "YTTENIA" = "Tetrapolis") e che S ' A significhi 6.
Ritenendo "definitivamente acquisita" la serie in questione, il Pallotti­no (op. cit. p. 398) ritiene che il suffisso ALC (o ALKH) aggiunto a CI o CE (ritenuto "tre") indichi le decine di "tre" (es. CIALKH, SEALKH). Sempre secondo il Pallottino (op. cit. p. 398) il computo sembrerebbe essere "additivo fino al 6 (HUTIS ZATRUMIS - "nel (giorno) ventisei") e sottrattivo dal 7 al 9 (ESLEM  -ZATHRUMIS - "nel (giorno) diciotto" e ciò in conformità al greco "duon deonta eikosi, latino "duo de viginti)".
Ma altri Autori propongono combinazioni diverse. Basterà citare ad esempio le seguenti del Buonamici, dello SKUTSCH, del Torp, del Margani (1):

Parola scritta
sui dadi

Buonamici

Skutsch

Torp

Margani

MAKH

1

          1

5

4

THU

2

3

1

 2

ZAL

3

2

2

3

HUT

4

4

6

5

CI

5

5

3

6

S'A

6

6

4

1

Da tale prospetto si evince, tra l'altro, che le interpretazioni del Buonamici e dello Skutsch divergono tra loro solo per la disposizione di THU - ZAL

(1) Cfr. M. Gattoni Celli "Gli Etruschi dalla Russia all'America", ed. Carabba p. 55 e F. Skutsch, "Etruskische sprache", cit. in G. Pontrandolfi "Gli Etru­schi e la loro lingua", Bastogi, p. 152 e segg..

(rispettivamente, 2 e 3 nel primo; 3 e 2 nel secondo) e che CI è stato tradotto "tre" soltanto dal Torp, attualmente, però, seguito in tale interpretazione dall'Etruscologia prevalente, a seguito della scoperta, avvenuta all'inizio degli "anni 60", delle lamine etrusco-puniche di Pyrgi.
Come è noto, nella maggiore delle iscrizioni etrusche di Pyrgi compare la parola CI seguita da AVIL (che gli etruscologi traducono "anno"), nella nona riga; poiché nella lamina scritta in punico, alla settima riga, com­pare il vocabolo "sls" seguito da tre linee verticali (III), l'espressione CI  AVIL della scritta etrusca è stata tradotta "tre anni" (oppure "anno tre").
In merito a tale interpretazione si tratterà appresso in modo specifico.
Premesso quanto sopra, appare opportuno tener presente, ai fini dell'interpretazione delle parole scritte sui dadi di Tuscania, una fondamentale osservazione che, al riguardo, da tempo è stata fatta dagli Studiosi, osservazione in base alla quale lo Skutsch (in ciò seguito dal Buonamici) giunse alla conclusione che MAKH significa "uno" (F. Skutsch, op. cit., in Pontrandolfi, op. cit., p.155).
"" I numerali sono scritti sulle facce dei dadi in diagonale. Ma sol­tanto se ambedue i dadi sono situati in modo che mostrino sulla faccia supe­riore MAKH nella medesima posizione di scrittura, le facce omologhe vengono ad indicare numeri uguali, mentre, se si situa in alto un altro qualsiasi numero, le facce omologhe non vanno più d'accordo tra loro. Colui, quindi, che fece i dadi DOVETTE COMINCIARE CON LO SCRIVERVI "MAKH" e si comprende da se che egli abbia cominciato con uno.""
In verità perché possa "comprendersi" che l'artefice dei dadi abbia cominciato con "uno" occorrerebbe prima provare che le parole scritte sui dadi stessi sono degli aggettivi numerali cardinali. Quello che però appare indiscutibile, in base alla citata osservazione, è che l'artefice stesso scrisse per prima la parola MAKH.
Tale circostanza appare estremamente rilevante perché qualora, negando il valore numerale dei monosillabi dei dadi, si intendesse individuare negli stessi una frase, questa dovrebbe cominciare necessariamente con la parola MAKH.
In effetti l'eventualità che, nella specie, ci si trovi di fronte ad
una frase e non a dei numeri, non può essere disattesa sulla sola base degli argomenti dedotti dagli Etruscologi a sostegno della loro tesi "numerale".Del resto è sempre parso piuttosto strano che su dadi da giuoco i numeri non fossero scritti in cifre, forma di scrittura questa senz'altro più adatta all'uso di tali oggetti. Infatti, al giorno d'oggi, quale fabbricante di dadi vi scriverebbe i numeri in lettere anziché in cifre?

LA TESI DELLO SKUTSCH

In "Etruskische spräche" (traduzione di G. Pontrandolfi cit. p.163), Franz Skutsch, nel contrastare l'ipotesi relativa alla appartenenza della lingua etrusca al ceppo linguistico indoeuropeo, afferma tra l'altro:
""Comunque si dispongano, i numerali MAKH, HUT, ZAL CEZP non si possono in alcun modo connettere con quelli indogermanici.... E al contrario, come sarebbe sparita la forma "Tri" del numerale "tre" così caratteristica e comune a tutte le lingue indogermaniche?" "
Al riguardo è necessario ammettere che lo Skutsch è nel vero quando afferma che i monosillabi sopra citati non si possono riconnettere con i numerali indogermanici. Si può al massimo osservare che , la Z di ZAL sostituendo l'altra dentale D mancante in Etrusco, quest'ultimo vocabolo può ben trovare spiegazione etimologica nei latini "duo" e "dualis" (= di, o, dei, due).
Del pari va giudicata, con lo Skutsch, illogica la "sparizione" dalla lingua etrusca, delle caratteristiche forme numerali indogermaniche tipo "tri" = "tre", nell'ipotesi di appartenenza dell'Etrusco a tale ceppo lin­guistico.
Ma le predette asserzioni appaiono fondate solo a livello teorico. Per­ché possano esserlo anche in sede interpretativa è necessario accertare la sussistenza dei dati di fatto dai quali le asserzioni stesse prendono lo spunto e cioè:

  1. che i monosillabi scritti sui dadi di Tuscania siano effettivamente degli aggettivi numerali cardinali;
  2. che le forme numerali indogermaniche (in "Tri") risultino effettivamente "sparite" dalla lingua etrusca.
Al fine di verificare la circostanza di cui al punto 1) è bene accertare prima la sussistenza di quella di cui al punto 2).
Nella più estesa iscrizione etrusca pervenutaci finora e cioè nel "Liber linteus Zagrabiensis" può leggersi un brano di estremo interesse ai fini dell'indagine.
Al riguardo occorre premettere che, come risulta dal precedente prospetto, tra gli Etruscologi i pareri sono molto discordi tra loro circa i valori numerali specifici da attribuire ai monosillabi dei dadi di. Tusca­nia. Uno dei punti maggiormente controversi è stato finora il valore nume­rale da assegnare al vocabolo CI. Attualmente però, dopo la scoperta delle lamine etrusco-puniche di Pyrgi (vedere sopra) prevale la tesi in base al­la quale CI = "tre".
Ebbene, nel seguente brano del "Liber linteus" di Zagabria (detto "la mummia di Zagabria) compare, più volte ripetuto, il vocabolo CIZ che dalla Etruscologia viene interpretato quale forma derivata di CI (cfr. M. Pallottino, Etruscologia, cit. p. 417 : "CIZ, CITZ, CIZI = "tre volte"); ma accanto o "nelle immediate vicinanze" di CIZ, in tale brano compare anche - e per tre volte - un vocabolo con tema "tri" (il tema indogermanico, appunto, dato per "sparito" dallo Skutsch:
( Liber linteus Zagrabiensis - col. 7; da "Testimonia Linguae Etruscae" di M. Pallottino)

CEIA  HIA  ETNAM  CIZ  VACL
TRIN  VELTHRE  MALE  CEIA
HIA  ETNAM  CIZ  VACL
AISVALE  MALE  CEIA  HIA
TRINTH  ETNAM  CIZ  ALE
MALE  CEIA  HIA  ETNAM
CIZVACL  VILE  VALE  STAILE  ITRILE
HIA  CIZ  TRINTHASA  S'ACNITN

La sequenza dei CIZ e -in concomitanza- dei TRIN, TRINTH TRNTHASA, ap­pare in verità piuttosto sintomatica.
Infatti nella prima riga si ha CIZ (per gli Etruscologi =  "tre volte")
a breve distanza da "TRIN"; nella terza riga si ha TRINTH a poca distanza da CIZ. Ma nell'ultima riga si leggono, l'uno accanto all'altro, CIZ  TRINTHASA quasi che l'autore del "liber linteus" avesse voluto di proposito contrappor­re al numerale degli Etruscologi CIZ (= "tre volte") il tema numerale indogermanico "tri" (valore concettuale di "tre") dato per "sparito" dallo Skutsch e con lui dall'Etruscologia Ufficiale.
Il brano sopra riportato è stato tradotto da chi scrive nel modo seguente (ossia mediante confronto etimologico con la lingua latina.)

CEIA HIA ETNAM CIZ VACL TRIN VELTHRE
Sua fiat etiam civitati scribendi "vacabile" (a) triennio Volaterris.
La propria (cittadinanza) sia realizzata anziché dover stare privi di iscrizione civica da tre anni a Volterra!
MALE  CEIA  HIA ETNAM CIZ VACL  AISVALE
Mali sua fiat etiam civitati scribendi "vacabile" aes = Valente Preferisci che la propria si realizzi anziché dover stare senza iscrizione nella cittadinanza (essendo) ricco!
MALI CEIA HIA    TRINTH ETANM CIZ ALE
Mali sua fiat triginta etiam civitati scribendi alienae.

Preferisci che la propria sia realizzata per trenta anni anziché di dover essere iscritto ad una cittadinanza straniera!
MALE CEIA HIA ETNAM CIZ VACL VILE   VALE
Mali sua fiat etima, civitati scribendi "vacabile", vili valere.
Preferisci che la propria sia realizzata anziché, per stare senza iscrizione civica, essere poco stimato (vile valere)!
STAILE  ITRILE HIA CIZ  TRINTHASA SACNITN
"Stabile" " divisuru" (3) fiat civitati scribendi trigintaria saginandi dantibus.
Per essere stabilmente ripartiti (nelle tribù) sia fatta l'iscrizione alla cittadinanza premettendoci di mantenerla per trentanni (4).
Il tema "tri" compare anche in altri punti del "liber linteus" e -come si vedrà- anche in una specie di "conteggio".
A questo punto é opportuno analizzare il vocabolo CI (presunto "tre") e con esso i vocaboli CIZ, CELKH, CEALKH ed altri strutturalmente simili, i quali vengono ritenuti dei numerali connessi con CI = "tre" (v. sopra).
Come si è sopra accennato, CI viene interpretato per "tre" sulla base del confronto tra la lamina etrusca maggiore di Pyrgi (ove figura l'espressione CI AVIL) e quella punica (sempre di Pyrgi) ove figura l'espressione "sls III" che gli Etruscologi interpretano con "tre = 3" (in lettere ed in cifre) e paragonano all'espressione etrusca CI AVIL (lamina maggiore) la quale pertanto (essendo acquisito AVIL = anno) viene tradotta "tre anni" oppure "anno tre".
Al riguardo é necessario rilevare in via preliminare:
1) il contenuto della lamina punica, al pari di quello delle lamine etrusche, non risulta essere stato acquisito dagli Studiosi, fatta eccezione per qualche termine;

2) dato per certo che l'espressione punica "sls III" significhi "tre - 3", puramente ipotetica appare la sua identificazione con CI. Ciò per due motivi: a) il contenuto della lamina punica é tuttora incerto, ragione per cui non esiste una base di assimilazione dello stesso al contenuto della lamina etrusca (parimenti sconosciuto agli Etruscologi malgrado affermazioni in contrario); b) l'espressione "sls III" figura alla set­tima riga della lamina punica mentre l'espressione CI AVIL si legge alla nona riga della lamina etrusca, onde, data l'incertezza di cui alla let­tera a), arbitraria si rivela l'equiparazione. Senza contare l'indubbia singolarità della ripetizione, in lettere ed in cifra del numero tre in un atto solenne -scritto su lamina d'oro- quale é la lamina punica (al pari delle due lamine etrusche).
Peraltro è da rilevare che l'espressione CI AVIL non può essere tradotta "tre anni"  ciò in quanto AVIL é indubbiamente un singolare: per prova si veda il plurale evidente AVILS in C. I. E. 5424, in C. I. I. 2070 e nella lamina di Magliano (per quest'ultima cfr. appendice al presente studio) nella quale lo stesso AVILS, essendo preceduto dal numerale XXX é certamente un plurale (= 30 anni).
Del pari é da escludersi che CI AVIL possa tradursi "anno terzo" o "anno tre": non "anno terzo" perché a significare "terzo" dovrebbe esserci un vocabolo diverso da CI il quale, com'è evidente, se significa "tre" non può significare "terzo"; non "anno tre" in quanto, il CI precedendo AVIL, la dizione sarebbe erronea venendo a suonare in etrusco "tre anno" modo que­sto di esprimersi difficilmente concepibile in una lamina d'oro contenente una comunicazione della più alta autorità statale (Tefario Velianas, supremo magistrato di Cere).
Esclusa per tali motivi la possibilità di concordare CI con AVIL, non resta che riferire il vocabolo alla parola che nella scritta immediatamente lo precede: NAC. Tale parola corrisponde pressoché interamente alla latina "Nacca" che significa "uomo qualunque" o "chiunque'
Ma, concordato con NAC, il vocabolo CI non può significare "tre".
Occorre inoltre tenere presente che, pur tralasciando i vocaboli CE, CIZ, CITZ, CELKH, CEALKH, CIALKH, CEZP, CIS, CIL, CIM (ritenuti dagli Etruscologi dei composti di CI = 3, nonché il vocabolo CISUM, il vocabolo CI (senza suffis­si) compare spessissimo nelle iscrizioni e precisamente:

1) una volta nel "Cippo di Perugia";

2) una volta nella lamina maggiore di Pyrgi;

3) una volta nell'epitaffio di Laris Pulenas;

4) sei volte -6- nella "Tegola di Capua";

5) due volte nel "Liber linteus" di Zagabria, nel quale però sono varie decine le parole sopra elencate presunte composte di CI = "tre". (CEALKH ecc.).

Il vocabolo CI figura inoltre in numerose scritte di dedica. Al riguardo non può non rilevarsi che la ripetizione di CI in tante iscrizioni rende ine­vitabile il supporre che non possa trattarsi del N.3, anzi, che sia da esclu­dere che possa trattarsi d'un numero. Qualora poi si dovessero interpretare quali numerali i vari vocaboli sopra elencati, sipposti dagli Etruscologi composti di CI = 3, frequentissimi nel "liber linteus" e presenti in numero­se altre scritte, ebbene in tal caso, la tesi "numerale" sconfinerebbe certa­mente nell'”assurdo".
Un assurdo che si aggiungerebbe a quello -già rilevato- relativo alla interpretazione di CI AVIL ( ove AVIL é il singolare) con "tre anno" al posto della supposta -ma infondata- interpretazione "tre anni".
Contrariamente a quanto pensava lo Skutsch, si é visto sopra che il tema numerale indogermanico "tri" nella lingua etrusca esiste. Ma è da ritenere certo che i vocaboli etruschi sopra citati che lo "contengono" significhino "tre" (o numeri con il tre)? La risposta a tale domanda appare insita nella seguente frase della Col. XII della "Mummia di Zagabria" nella quale può leggersi addirittura una enumerazione; - tale frase va interpretata come segue:
(liber linteus zagrabiensis col. XII, cpv. 1 e segg., da T. L. E. di M. Pallottino, cit.):
......... THUNKH ULEM MUTH HILAR TUNE ETERTIC CATHRE KHIM ENAKH UNKHVA = (a) tunica olim mutato hilari tunicae ex ter dicto, quater, quinque aenea acta uncia (usura).
......dalla tunica d'una volta, passato ad una elegante tunica, per tre, quat­tro, cinque misure di bronzo prese in prestito all'uno per cento (d'interes­se: "uncia usura" = 1% int. (cfr. appendice. trad. della Mummia di Zagabria).
In tale frase il vocabolo TER appare certamente connesso, per struttura, col tema numerale indoeuropeo "tri" ed il suo valore di tre appare provato dall'evidenza costituita dalla successione di CATHRE é di KHIM il cui significato di "quater" e di "quinque" appare chiaro al di sopra di ogni dubbio.
Per quanto concerne, in particolare KHIM (quinque) si legga l' epitaffio di Laris Pulenas (cfr. Appendice, trad. della scritta in questione).
" "....ALUMNATH HERMU MELE CRAPICCES PUTS KHIM  CULSL  LEPRNAL  PSL" "....
 . Alumnavit "hermetum" (da Hermes = Mercuzio) meliores (in) Graviscis pondus quinque culeos liburnae ("liburnale") pìsilis
........ Addestrò i migliori dei commercianti in Gravisca al carico di cinque contenitori per (ciascuna) liburna pisana.
Ma oltre a KHIM = quinque, nei testi etruschi figura anche KHIMTH voca­bolo che, visto il significato di KHIM, non può significare che "quindecim" (e nella lamina di Magliano -ove é due volte ripetuto- é scritto, "più per esteso", CHIMTHEM).
Si leggano le seguenti frasi:

1) "Cippo di Perugia"

....CEI TESNS TEIS RASNES KHIMTH SPELT UTA S'CUNA AFUNA MENA
....suis (seis) tendentibus Deis Ràsenis quindecim specula (quibus) uta secunda Afuna in moenias (o in "meniana" (domo)).
....i suoi offrendo agli Dei Ràseni quindici specchi usati dalla cara Afuna in casa.      

2)"Lamina di Magliano"                                                  ( FRASE A)

CAUTHAS TUTHIUS AVILS A XXX ET CHIMTHM CASTHIALTH LACTH HEUN 
Gaudeas tutius aevis a (ctis) XXX et quindecim Castrensem lacte bibente.... Che tu goda con più sicurezza avendo compiuto 30 anni e (= di cui) quindici (trascorsi) bevendo il latte di Castro (ossia stando a..).
3) "Lamina di Magliano                                 (FRASE B)
....A FDS CIA LATH CHIMTHM AVLSCH ECA CE PEN TUTHIU         
....ac fides sua latet quindecim aevisque ecce civitate penatum tutius
...e la propria fiducia aumenta (stando) per quindici anni qui ancor meglio che nella città natia ("dei penati").
Quest'ultima frase è sintomatica ai fini dell'attribuzione del valore di "quindici" al vocabolo CHIMTHM seguito com'é dal vocabolo AVLSCH. Infatti nes­sun Etruscologo se la sentirebbe di negare che AVLSCH é forma flessiva di AVIL il cui significato concettuale di "anno" è da sempre fuori discussione (dal latino "aevus"). Il vocabolo AVILS (plurale di AVIL) compare del resto anche all'inizio dalla precedente frase della lamina di Magliano (v. sopra): "AVILS A XXX ET CHIMTHM....", ove il CHIMTHM segue, separato dal numero XXX solo da ET (= et), il vocabolo AVILS (= aevis), per cui il carattere numerale del vocabolo che segue ET non può essere posto in dubbio.
Ma, in verità, accertato il carattere numerale di CHIMTHM, resta possibile soltanto supporre che si tratti d'un numerale diverso da quindici il che appare veramente arduo specie considerando che il già analizzato KHIM equivale a "quinque" dato che, nella frase sopra riportata, segue immediatamente CATHRE (quater) il quale, a sua volta, è preceduto da TER (= ter).
In base alle argomentazioni che precedono si può affermare con tutta sicurezza che in Etrusco TER significa "tre" e che quindi il vocabolo CI scritto sui dadi di Tuscania non significa "tre".
Come sopra si é accennato, lo Skutsch (op. cit. in Pontrandolfi, op. cit. p.152) riteneva numerali le parole scritte sui dadi per due motivi:

  1. perché alcune di esse -terminanti in Z oppure in ZI (con variazioni foniche)- figurano accanto a nomi indicanti ufficio, a significare quante volte l'ufficio stesso era stato ricoperto;
  2. perché alcune di tali parole, recanti un suffisso in ALKH (ma anche con varianti in RLKH e simili) si trovano accanto ad indicazioni di età nelle scritte sepolcrali.

In merito al primo punto basti richiamare quanto sopra dedotto in meri­to al vocabolo CIZ in relazione ai vocaboli TRIN, TRINTH, TRINTHASA di cui alla col. VII della "Mummia di Zagabria" ed alla frase E TER TIC CATHRE, KHIM, ENAKH, UNKHIA (v. sopra) che figura alla col. XII della stessa iscri­zione
Ma gli etruscologi ritengono (v. sopra punto 2) che i suffissi ALKH, ELKH e simili, aggiunti a CI (o a CE) rappresentino la "decina" di CI = 3.
Si legga quanto al riguardo afferma il Pallottino ("Etruscologia", cit. p. 417, cap. "Cognizioni e risultati"):
"CI (-s,s') numerale: = "tre"; CIALKH-, CEALKH-, CELKH (-us, -us', -ls) = "trenta"; CIZ, CITZ, CIZI "tre volte"; possibili derivati CIALATH, CIANIL CEANUTH ecc.".
Si prenda ora in esame il vocabolo CEALKHUS che figura nella seguente espressione della "Mummia" ove é chiaramente indicata la carica di Lucumone (la più importante -come é noto- delle "cariche "etrusche"):
("liber linteus") col. IX g. 2 - da T. L. E. di M. Pallottino):
CIEM  CIALKHUS  LAUCUMNETI (cfr. trad. in appendice.)
In tale frase, secondo il Pallottino (con l'etruscologia ufficiale concorde) CIALKHUS significa "trenta". Ma, pur tralasciando il fatto che LAUCUMNETI non è un plurale, trenta Lucumonie (o Lucumoni) sono da rite­nere eccessive anche per la confederazione dei "XII Populi", a meno che, ignorando la carica indicata da LAUCUMNETI, non s'intenda riferire il "numerale" al vocabolo che lo precede e cioé a CIEM,
Tale riferimento, però, é da ritenere non legittimo (o quanto meno improbabilissimo) dato che il presunto numero non precederebbe ma seguirebbe l'entità numerata.
Tra i suffissi che, aggiunti al tema CI, formerebbero il "trenta", gli Etruscologi comprendono, come si é visto, ELKH; lo Skhutsch, però, vi comprendeva ELC (con la C al posto del KH); altra parola molto probabilmente collegabile con CI e ritenuto CEANUTH (v. sopra la citazione dal Pallottino, "Etruscologia", p. 417).
Ambedue tali suffissi figurano nelle parole CELC e CEANUTH che si possono leggere nell'iscrizione "Herbig - Torp n. 56" (da F. Skutsch,op. cit. in Pontrandolfi, op. cit. p.156):
" LV  CELC  CEANUTH  AVILS "
In tale scritta gli unici termini tradotti con sicurezza sono LV (= 55)
e AVILS = "anni"; ma gli altri presunti numerali a che cosa possono riferir­si?
Per quanto riguarda CELC tale termine veniva tradotto "cinquantacinque" (I = 5) prima che l'Etruscologia, (dopo la scoperta delle lamine di Pyrgi) ritenesse CI = "tre" -supponendo quindi che nella predetta scritta il numero degli anni fosse scritto sia in cifre che in lettere (Skutsch, op. cit. p. 156). Ma, dopo che l'Etruscologia ha creduto di ritenere CI = "tre", in CELC dovrebbe legger­si "trentatré" il che non può non apparire assurdo; assurdità che aumenta di intensità qualora, come si ritiene probabile (v. sopra) debba attribuirsi va­lore numerale anche al successivo vocabolo CEANUTH che nella scritta segue CELC.
In tale scritta, peraltro, non solo manca la prova della natura numerale di CI e delle sue presunte decine ma, anzi, vi é la prova del contrario, onde le relative deduzioni "combinatorie" sopra riferite appaiono prive di fonda­mento.
Peraltro, che i monosillabi dei dadi non siano aggettivi numerali cardi­nali è provato, "a contrario", dai vari numeri etruschi individuati in sede di traduzione delle iscrizioni sopra citate.
I numeri etruschi -come si é visto- sono sostanzialmente quelli latini: UNUM (= l'unificazione, "neutro" di "unus" ripetuto due volte ai cpv. 11 e 20 della colonna V del liber linteus); TER (con i connessi TRIN, TRINTH, TRINTHASA) di cui si é già trattato insieme con CATHRE (quater), KHIM (cinque) KHIMTH (quindecim).
Unico aggettivo numerale dei dadi di Tuscania é ZAL ma non si tratta di un numero cardinale; il vocabolo in questione infatti -come si "vedrà meglio appresso- corrisponde al latino "dualis" = di (o dei) due (Quinti­liano), in esso la dentale "z" sostituisce l'altra dentale "d" che, come è noto, manca nell'alfabeto etrusco mentre la "a" é equipollente alla "u" proprio come nel gentilizio del capo dello Stato di Cere, gentilizio che, pur appartenendo alla stessa persona, é scritto VELIANAS nella lamina maggiore e VELIUNAS nella coeva lamina minore.
Ma, anche a voler prescindere dalla prova "ex contrario" costituita dai veri numeri etruschi, l'interpretazione "numerale" dei monosillabi dei dadi si rivela infondata per motivi "interni", oltre che per le ragioni so­pra esposte, anche in base alla semplice lettura delle parole che sono scritte ai Cpv. 20 e 21 della colon. X del "Liber linteus Zagrabiensis" (TLE di M. Pallottino):
ZAL  ESIC  CI  HALKHZA  THU  ESIC  ZAL  MULA
Come si vede, in tale frase si possono leggere ben tre dei presunti nume­ri: ZAL, CI e THU (secondo il Torp ed il Pallottino: 2, 3 ed 1). Se i voca­boli in questione sono numeri é evidente che le parole che li segueno devono essere le entità numerate. Nella specie risultano elencati 2 ESIC, 3 HALKHZA, 1 ESIC, 2 MULA, elencazione ove gli "ESIC", assurdamente, "sono", all'inizio due per poi "ridursi" ad uno soltanto.

IL LINGUAGGIO DEI DADI

Quanto si é argomentato finora induce ad escludere la natura numerale dei monosillabi scritti sui dadi di Tuscania (con l'eccesione di ZAL al quale, come si è accennato, va attribuito valore numerale non "cardinale").
Esclusa la natura numerale, appare evidente che i monosillabi stessi costituiscono una frase di senso compiuto.
Ai fini dell'interpretazione di tale frase é opportuno individuare la parola con la quale la frase stessa ha inizio.
All'uopo occorre tener presente la vecchia osservazione degli Studiosi, di cui si é trattato all'inizio della presente dissertazione, in base alla quale le facce omologhe dei dadi sulle quali le parole sono scritte in diagonale- indicano, nei due dadi, "numeri" uguali soltanto quando ambedue gli oggetti recano in alto il vocabolo MAKH, mentre, situando in alto qual­siasi altro numero, le facce omologhe non concordano più.
Tale osservazione che, essendo la pura constatazione d'un fatto, costituisce l'unico elemento sicuro ai fini della ricerca dell'ordine di lettura dei monosillabi, indusse lo Skutsch (op. cit. in Pontrandolfi, op. cit. p. 155) seguito poi dal Buonamici e da altri Studiosi, a dedurre che "colui che fece i dadi dovette cominciare con lo scrivervi MAKH" e si comprende "affermò lo Skutsch, "che abbia cominciato con "uno"".
Anche se MAKH non significa, "uno" é però da ritenere; in base all'osservazione in parola, che l'ignoto autore della scritta scrisse per prima la pa­rola MAKH.
Ai fini dell'interpretazione etimologica di MAKH é bene tener presenti i risultati cui l'Etruscologia è pervenuta in sede d'analisi dei vocaboli etruschi con tema MAKH (o MAC o MEKH).
Nell'"Etruscologia" del Pallottino (Hoepli, Milano 1975) al capitolo intitolato "Cognizioni e risultati" (in materia di lingua etrusca) si può leggere quanto segue:
1) (vocabolo MAKH) - pag. 423:
"mac, makh (makhs) numerale: quasi certamente "cinque"…" e subito appresso:
"macstreu (c) - titolo di magistratura (= lat. "magister"; cfr. il nome "Macstarna".

2) (vocabolo MEKH)- pag. 424:
"mekh (-1) concetto politico o istituzionale, probabilmente "populus" (cfr. "methlum"?); "zilath mekhl rasnal" (o "mekhlum") (rasneas) tito­lo (= praetor Etruriae, praetor Etruriae XV populorum).
Da quanto sopra risulta chiaramente che MAKH é considerato dall'Etruscologia tanto tema del presunto numerale "uno" quanto tema di vocaboli, come quelli sopra citati, aventi un contenuto concettuale di natura politi­ca, contenuto concettuale che, nel contesto di tale interpretazione, viene ritenuto insito anche nei vocaboli con tema MEKH.
L'assimilabilità dei due temi MEKH e MAKH va senz'altro condivisa. Tale assimilabilità trova infatti conferma sia nell'estrema labilità foneti­ca dell'elemento vocalico etrusco per cui a ed e sono in molti casi equi­pollenti (v. il verbo MULUVANICE, scritto anche MULUVENICE, nelle iscrizio­ni di dedica), sia nell'esistenza di vocaboli latino-arcaici la cui struttura appare connessa -allo stesso tempo- con entrambi i temi (se di due temi diversi si tratta).
Figurando i due vocaboli accanto ad altri che esprimono il concetto di preminenza in qualche settore della vita associata, non può essere posto in dubbio -sulla base dell'accertata evidenza- il concetto di "autorità" o di "priorità" insito in MAKH e MEKH.
In ciò, come si é visto sopra, é d'accordo l'Etruscologia quando pone MAC in relazione con "MACSTREU" e questo vocabolo col latino "Magister" (v. sopra) che il concetto di preminenza indubbiamente "contiene".
Per quanto concerne in modo specifico l'equipollenza tra il vocabolo MAKH ed il vocabolo MEKH é da rilevare che una equipollenza simile si riscontra nel vocabolo latino "Megistanes" che in Svetonio ("Vita dei XII Cesari") significa, sintomaticamente "personaggi grandi", "grandi signori" (4). (4) Cfr. "Vocabolarium latinum et italicum" ad uso Regise Accademi are Tauri Nensis "Pezzana, Venezia, 1781, voce "Megistanus".
"Megistanes" infatti, oltre al concetto generico di "preminenza", attribuibile, come si é detto, sia a MAKH che a MEKH, reca nel tema "Meg" elementi strutturali comuni ai temi di ambedue i predetti vocaboli etruschi e cioè la e di MEKH e la g (fon: = KH) del vocabolo probabilmente omotematico di MAKH e cioé di "Magister".
Considerato quanto sopra in merito a MAKH, è opportuno analizzare un altro vocabolo dei dadi ai fini del confronto contestuale.
Ai fini della scelta del vocabolo da analizzare appare opportuno tener presente ancora una volta l'osservazione in base alla quale MAKH é stata ritenuta la parola iniziale della frase. Infatti è tenendo conto di tale osservazione che lo Skutsch ed il Buonamici hanno determi­nato l'ordine di successione dei vocaboli (vedere il prospetto all'inizio nel quale l'ordinazione dei due Studiosi differisce solo per ciò che concerne il "posto" attribuito a THU).
Ma la scelta di THU é anche dovuta al fatto che l'Etruscologia, come si é visto verificarsi in merito a MAKH, attribuisce anche a THU l'espressione di un concetto di carattere "pubblico".
Tale affinità concettuale attribuita ai due vocaboli induce pertanto a procedere all'esame del vocabolo THU.
Nell'Etruscologia del Pallottino sopra citata (op. cit. p. 421 e 430) si legge:
(vocabolo THU - pag. 421):
"THU, THUM, TUN (thue-s?, thun-s?, tun-t?) numerale : "uno", anche "solo"...";
(vocabolo THUTI (o TUTI)   pag. 430):
"thuti, tuti -probabilmente "Comunità, Stato (con umbro TUTA?) varianti o derivanti "tutin, tutim, thutin; tuthiu, tuthina" dello Stato, pubblico?". A questo punto occorre rilevare che esiste un'iscrizione etrusca in
cui figurano, uno a fianco dell'altro, due vocaboli dei quali il primo reca il tema MEKH (che già é stato assimilato a MAKH: v. sopra) ed il secondo il tema THU che corrisponde in pieno al monosillabo THU che forma oggetto del presente esame.
L'iscrizione etrusca maggiore di Pyrgi comincia infatti con queste parole:
ITA TMIA ICAC  HERAMASVA VATIEKHE  UN  IALASTRES THEMIASA MEKH TUTA THEFARIEI VELIANAS
Tale frase, dallo scrivente (v. app.) è ritenuta corri­pondente alla frase latina che si trascrjve lasciando, per ora, non tradotti i vocaboli MEKH e THUTA (v. App.):
"Ita Tania dicace, Hera"musiva" vaticinata est Junonis Astartis thémata MEKH THUTA Tiberio Velianas"(ove TAMIA in greco = "casa del Principe" : cfr.
"praedia tamìaca " nel Codice di Giustiniano;  (Hera) "musiva" da "musinor" aris" = dichiarare) = "Così, nella Casa del Principe, formulando lamentele, la sacerdotessa incaricata dei responsi ha vaticinato di Giunone - Astarte prescrizioni al MEKH THUTA Tiberio Veliunno (cfr. VELIUNAS in lamina min. Pyrgi).

L'iscrizione maggiore di Pyrgi é unanimamente riconosciuta di carattere ufficiale. Tale indiscutibile carattere induce a ritenere che le parole MEKH e THUTA che precedono il nome ed il gentilizio THEFARIEI VELIANAS siano il titolo ufficiale che spettava a tale persona.
Nella lamina maggiore di Pyrgi, però, l'espressione MEKH THUTA racchiude il concetto sopra attribuitole non tanto per quanto accennato, quanto per la connessione etimologica dell'espressione con altra analoga espressione in lingua latina.
Il MEKH THUTA della lamina di Pyrgi, infatti, non é altro che l'equivalente etrusco del "Meddix Tòticus" che, come é noto, era il titolo spettante a chi era investito della suprema carica politica presso la maggior parte degli antichi popoli italici quali gli Umbri, Volsci, Sanniti, Campani ecc. (cfr. Ennio in B. Festo) (5), (da C. Cantù, "Storia degli Italiani", U.T.E., Torino, 1858, p. 63 )
Continuando l'analisi delle parole dei dadi in conformità all'ordinazione del Buonamici (la quale, tranne che per la posizione di THU é uguale a quella dello Skutsch) dopo MEKH e THU occorre interpretare il vocabolo ZAL.
A tale vocabolo, per i motivi sopra esposti connessione col latino "dualis" é stato attribuito il significato "di due" (o "dei due": cfr. appresso l'esempio tratto dalla col. X - Cpv. 20 della "Mummia di Zagabria).
Il vocabolo che segue, sempre in base all'ordinazione adottata, é  HUT.
Prima di attribuire un significato a tale parola, appare opportuno prendere in esame il vocabolo CI, del cui carattere non numerale si é trattato sopra e che segue HUT in base all'ordinazione del Buonamici e dello Skutsch.
Ciò in quanto tale vocabolo oltre che nelle scritte etrusche, figura anche in iscrizioni in lingua latina.
Valga quale esempio l'epitaffio di Cornelio Scipione Barbato (Console nel  298 A. C.) scoperto, come é noto, nel 1780 a Roma, nel Mausoleo degli Scipioni" Cornelius. Lucius Scipio Barbatus Gnaivod patre prognatus fortis vir sapiensque Quoius forma virtutei parisuma fuit Consol Censor Aidilis quei fuit apud vos Tausasia Cisaunia Samnio cepit
Subigit omne Loucana opsidesque abdoucit
In tale iscrizione, a parte evidenti analogie lessicali, grafiche e fonemiche con la lingua etrusca (cfr. tra l'altro "parisuma" per "purissima" in cui a = u -come NAPER = nuper nel Cippo d. P."-, e mancanza del raddoppio consonantico; ei = i; accusativo "omne" senza la desin. m, ecc.) assume particolare rilievo la penultima riga nella quale si legge che il defunto prese, nel Sannio, "Taurasia Cisauna" (notare l'assenza della desinenza m).
Il Cantù (op. cit. p. 879) in merito osserva:
"Storicamente avvertiremo come qui si accenni una vittoria sulla Lucania ed il Sannio non indicata da Livio; e una città, Taurasia Cisau­na, innominata dagli scrittori".
In merito a "Cisauna" l'iscrizione ci dice solo che era situata nel Sannio.
Nella sua "Storia dei Longobardi" (6) Paolo Diacono, nell'elencare le città del Sannio, cita, tra le altre, la città di "Sannio" dicendo che la stessa era, ai suoi tempi, "ormai distrutta dal tempo ma da cui prende nome tutta la regione".
Paolo Diacono aggiunge inoltre che "I Sanniti presero il nome dalle aste che erano soliti portare e che i Greci chiamavano, appunto, "Saunia" (6)
Al riguardo occorre rilevare che l'etimologia in questione -tratta, peraltro, da P. Festo (6)- trova piena conferma nell'iscrizione della
"Tegola di Capua" (cfr. traduzione in App.) nella quale ricorre con frequenza la parola SAV = "Saunes" cfr: SAV  LASES = "Saunites lares" (tra le case Sannite).
Ciò premesso, considerata la palese inesistenza d'una etimologia latino-italica di "Cisauna", inevitabile appare l'interpretazione disgiuntiva del vocabolo il quale é da ritenere, pertanto, composto da "Ci" e da "Sauna", che, come si é visto, possiede una sua propria, autonoma etimologia.
Interpretato in tal modo "Sauna" con "Sannita" (o del Sannio) "Ci", collocato com'é tra il toponimo locale "Taurasia" ed il toponimo naziona­le "Sauna", non può alludere a nulla di diverso dall'elemento umano organizzato -la Civitas- che abitava "Taurasia .... Sannita”. A conferma di ciò si tenga presente che nell'iscrizione riportata "Taurasia Cisauna" noné preceduta, come ci si attenderebbe in una scritta del genere, dalle parole "civitatem od oppidum o simili", proprio perché all'individuazione qua­le città del toponimo in questione basta da solo il prefisso "Ci" di "Sauna". "Cisauna", non è (6) P. Diacono, "Storia dei Longobardi", traduzioni e note a cura di F.Ron Coroni, Rusconi, pag.65.

 

infatti, significa esattamente "Città del Sannio" (7).
CI é vocabolo che ricorre molto frequentemente nelle iscrizioni etru­sche; le analisi etimologiche effettuate in sede di traduzione dei maggiori testi, hanno accertato, sulla base della corrispondenza contestuale, che il significato del vocabolo CI è "Civitas".
Sono state elencate sopra le "presenze" di "CI" nelle maggiori iscri­zioni allo scopo di chiarire l'infondatezza del significato di "tre" attri­buito finora al vocabolo.
Ai fini del giudizio simultaneo e contestuale sul vero significato di CI appare opportuno elencare le singoli espressioni dei maggiori testi in cui il vocabolo figura (con esclusione delle frasi in cui compaiono i con­nessi CIZ, CIL e simili):

  • Cippo di Perugia
  • Lamina maggiore di Pyrgi
  • Epitaffio di Laris Pulenas

CI CNL
Civitatis Consul
Il Console della città (dinanza)
NAC  CI AVIL KHURVAR TES' IAMEITALE
...nacca civitatis "aevile" (in) "Caere" Tescis in ambitis...
Da parte di chiunque della cittadinanza ogni anno in Cere nelle Tesche (= sedi augurali) del vicinato....
...CI METHLUMT PUL HERMU
...Civitatis metiendam ("metile uncta"?) pullitiem hermetum (mercatorum)
...della città apprezzata generazione di commercianti.

(7) Il nome di "Taurasia ci -Saune" Trova forse riscontro in quello della attuale torella del Sannio.

Tegola di Capua

a) LETHAM SUL CI TARTI RIA
...lethum salvo civitate tardi rea...
...la morte scelgo tra la cittadinanza rea
di aver tardato (a sgombrare: v.trad. in app.)

b) CI PEN APIRES

...Civitate penatum abituris...
...dalla città natale (= dei Penati) stando per essere scacciati...

c) ALKHU SCUVSE RITHNAI TU TEI CI...

aliquanto secure redinendi, tuta Dei civi­tate...
...alquanto sicuramente di poter andar via essendo certa la cittadinanza ... della divinità
sicura.

d) UNIATHI TURZA ESKHATHCE CI

A Junone (= Juniate) torrenda exscussa est civitas...
Da Giunione bruciandola è stata scacciata la cittadinanza!

e) ACAS APHES CI TARTI RIA CI TURZA

agens aevis (de) civitate tardi rea, (de) civitate torrenda...
portando (la tegola: v. trad. cit.) nei secoli
(la notizia) della cittadinanza da bruciarsi perché rea di ritardo

f) ILUCU PERPRI CI PEN TARTI RIA

...illuctato perpendere (de) civitate pena­tum tardi rea...
...dopo aver combattuto riflettere sulla cittadinanza rea di aver tardato...

 Liber linteus Zagra              a) THIMITHLE CATHNA IM E. L. FA. (8) CI      THIMITHLE
biensis                                 UNUTH HUTERI IPA THUCU PETNA AMA NAC HINTU CAL VELTHE SANCVE
"Dimittile" cadenda imagine, e (x) l (inea) fa (bri) civitate, "dimittile" (ablat. assolu­ti) unite foderi ipsa duci poenitenda anima nacca (cum) cincto clamide,Velta sancivit.

(8) E.L.FA. è la forma abbreviata della frase "ex linea fabri" cfr."alba linea" in A. Gellio (voc. cit.); era il filo usato dal fabbro che veniva tolto appena il lavoro era (appunto) delineato. La frase era usata in senso figurato (nella specie si voleva dice che, persa l'abitudine, la gente credeva abolita la legge: cfr. stesso voc. in liber linteus, pag. 207).

Per essere stata abbandonata, stando per cadere l'usanza, nella cittadinanza, come il filo del fabbro ( 2 ) di smetterla di condurre alla sepoltura allo stesso modo qualunque anima da compiangere e quella del cinto dì clamide, il Velta ha sancito.
b) ZAL ESIC CI HALKHZA THU ESIC ZAL MULA SANTIC THAPNA THAPN ZAC LENA ESERA THEC
Duale esecata civitate vallanda ducta esecata duale, moliendae Sanctisque dapesne et dapespe duo lene exire decet.
Con l'essere divisa in due la cittadinanza dovendo essere dotata d'un governo diviso in due, dovendosi provvedere per i Defunti (Sanctis) le vivande, anche che doppia vivanda agevolmente esca (sia disp.) è opportuno.
In quest'ultima frase, come si vede, figurano insieme ZAL, CI e THU, presunti 2, 3,1 (Torp) ma vi compare anche ZAC che equivale a "duo ac" (ac duo). Nella specie THAPN ZAC è stato tradotto "doppia vivanda" ma la traduzione let­terale dovrebbe essere "ac dapes (ne) duo".
Come si è visto, "CI” è quasi sempre privo di desinenza (cfr. al riguardo analoghe mancanze nella scritta latina di C. Scipione) (v.s.).
Acquisito il significato di CI (= civitas) agevole appare dedurre, anche in base al contesto, che il vocabolo HUT (precedente CI secondo l'ordine se­guito) non può significare che "voto" (h = v; u = o mancante in Etrusco; sincope della desinenza).
Il vocabolo figura (per non citare che questi esempi) nelle seguenti fra­si:

  • Cippo di Perugia
  • Tegola di Capua

MASU NAPER S'R ANC ZL THI FALSTI VELSINA HUT
Musinato nuper super ancìlem, dicto Lucumoniale, sibì Fastis Velsina voto.
Essendo stato scritto sopra un ancìle, per decreto lucumoniale, per Lei, nei Fasti, previo voto di Vèlsina (città).

TULEITI R SVEL FALAU HUT HUSILI TULE VELTHURT Tollendi vitam ("rem") suamsuam fallato voto (in) funere tutulo Volturni.
...di essere privato della propria vita,tradito
da un voto (deliberazione), sopra un funebre tetto di Capua.

                              Tollendi vitam (“rem”) suam fallato voto (in) funere              tutulo Volturni
…..  di essere privato della propria vita, tradito da un voto (deliberazione), sopra un funebre tetto di Capua

Liber linteus                           CELI HUTIS' ZATHRUMIS'
(col. VII cpv.3- da TLE         Septile votis daturis ("daturum itis")
di M. Pallottino)                  A settembre quando starete per dare i voti (nelle elezioni politiche; ved. trad. in app.)
In base all'ordine fin qui seguito, l'ultimo vocabolo da analizzare
è S'A. Il contesto che precede, data l'esclusione di altre logiche eventua­lità, inpone di individuare nel vocabolo il concetto di "eletto", "stabi­lito", "provveduto" e simili.
Pertanto in S'A va ravvisato il tema di "sanctus" (participio passato di "sancior", is = sancire, stabilire) oppure il tema di "satactus" (participio passato di "satago, is = provvedere ecc.).
Il contesto che precede consente di ravvisare in S'A un solo significato: quello che in italiano è espresso dai participi passati "eletto" "stabilito", "creato", "sancito" e simili.
Il vocabolo appare quindi connesso coi latini "sanctus" (part. pass. di "sancior, iris") o "satactus" (part. pass. di "satago", "is").
Pertanto, attribuito un significato ai monosillabi scritti sui dadi sulla base delle considerazioni che precedono, non resta che disporre e leggere i vocaboli stessi secondo l'ordinazione proposta dal Buonamici (uguale a
quella dello Skutsch fatta eccezione per THU) ordinazione che individua in MAKH la parola iniziale (v. sopra a pag. 15 ):
MAKH THU   ZAL HUT CI S'A
"Meddix Toticus" dualis voto Civitatis sanctus (o satactus) (o "Magister ductae")
Un capo di Governo dei due col voto della cittadinanza sancito.
I due dadi d'avorio di Tuscania sono quindi, come è evidente, un documento  storico relativo all'elezione di quei due supremi magistrati che nel Lazio, a partire dal 509 A. C., vennero chiamati "Consules". Anche in Etruria venne usata tale denominazione (ved. "Cippo di Perugia"), ma questa non sostituì la precedente inmodo repentino bensì dopo un lungo periodo caratterizzato dalla parziale coesistenza dei due titoli.
Di tale periodo intermedio chiara testimonianza viene fornita ai cpv. 7 e 8 della col. X del "Liber Linteus" (TLE di M. Pallottino -trad. in app.)
ove l'Autore, nel parlare di vari problemi politico-religiosi ricorda alla popolazione di Vèlsina (profuga a Volterra dopo la conquista romana della capitale dei "XII populi") che "IPEI THUTA CNL KHASRI HEKHS SUL SCVETU CATHNIS S'CANIN VELTHA IPE" (Ipsi Ductas Consuli quaesiri exequiis solvendum (est) scito (in) caducandis Veltha ipse"), ossia che "Allo stes­so Console in carica spetta di decidere di fare un quesito circa le esequie, avendo il potere di stralciare (o abrogare) gli adempimenti da stralciare il Velta stesso" (e cioè la suprema autorità religiosa, già sedente in Vèlsina).
In tal passo, ove, come si vede, il termine antico -e cioè il THUTA della lamina di Pyrgi- coesiste con il nuovo -C N L- si ha la testimo­nianza del periodo di transizione tra il vecchio ed il nuovo ordinamento.
Il nuovo titolo C N L figura invece da solo nel "Cippo di Perugia" ove appare ripetuto due volte (CNL e "CI CNL"; cfr. trad. in app.).
Con ogni probabilità i due dadi d'avorio di Tuscania venivano consegnati (forse dall'autorità religiosa) uno per ciascuno, ai due candidati alla su­prema carica che avevano raccolto il maggior numero di suffragi e costituiva­no quindi il simbolo della legittimità del loro potere.
Che tale potere fosse simboleggiato a mezzo dei dadi non può meravigliare alcuno Studioso della storia del mondo antico. E' noto infatti che circa tra il sesto ed il quinto secolo avanti Cristo-, mentre nella mag­gior parte del territorio italiano splendeva di viva luce la civiltà dei "Ras'ne", madre di quella latina, nella Magna Grecia, a Crotone, la Scuola filosofica di Pitagora aveva assunto il cubo, esempio di eguaglianza perfet­ta, a simbolo della parità giuridico-politica tra tutti i cittadini.
Tra i vocaboli dei dadi particolare rilievo va attribui­to a CI (= "civitas") identico, nella struttura, sia alla par­ticella pronominale “ci" (= noi) sia alla particella avver­biale "ci" (= qui, la)della lingua italiana. Ciò in quan­to ambedue tali particelle esprimono i concetti di delimitazione( risp. personale e territoriale ) propri anche del diritto di cittadinanza antico e moderno (spettante sia "cure sanguinis" che "jure soli"). Tali coincidenze, pur comportando la necessita di più profondo esame, consentono di ipotizzare l'esistenza d'un rapporto generativo(per il latino) tra i due vocaboli italiani ed il CI etrusco.

Traslitterazione e ordinazione delle parole dei dadi:
: 1) MAKH, 2) THU, 3) ZAL, 4) HUTH, 5) CI e 6) SA

align="justify"> l'ordinazione che precede non comporta il "salto" di alcuna "faccia" dei dadi in sede di lettura della frase risultante dall'ordinazione stessa;

CORRISPONDENZE  LESSICALI  E MORFOLOGICHE  TRA  LA  LINGUA ETRUSCA  E  LA  LINGUA  LATINA

Ercole negli specchi etruschi

Sopra la metà superiore d'uno specchio etrusco prove­niente da Vulci e conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi (cfr. Tavola XXVI in "Etruscologia" di M. Pallottino), osservando da destra verso sinistra, si notano le seguenti figure vicino alle quali si leggono alcune parole (che di seguito si riportano traslitterate):
una donna seduta, a mani vuote, le braccia abbandonate, recante a lato la parola THALNA; Giove seduto in trono con sopra scritto TINIA; davanti a Giove si vede Ercole in piedi, con la scritta HERCLE, recante in braccio un bambi­no sopra il quale si legge EPIUR; ultima a destra è una Dea seduta con scritto sopra TURAN.
L'Etruscologia è dell'avviso ( M. Pallottino, Tavola XXVI, op. cit.) che le parole di cui sopra siano i nomi delle figure rappresentate: TINIA = Giove, TURAN = Venere, HRECLE = Ercole, EPIUR sarebbe un "genietto" e TRAINA una Dea non meglio identificata.
Al riguardo, pur essendo certo che HERCLE indica Ercole e che la Dea recante a lato TURAN è Venere (dato che regge, sopra uno scettro, il noto pomo di Paride) è tuttavia da ritenere che, lette -ovviamente- da destra verso sinistra, le parole di cui sopra costituiscano la frase seguente:
TRAINA TINIA EPI-UR HERCLE TURAN
Tale frase, analizzata mediante confronto con vocaboli latini omostrutturali -e quindi omologhi- ha fornito le seguenti risultanze interpretative:
THALNA    TINIA EPI - UR  HERCLE                  TURAN
Delenenda tenua (ta) ? Ebe ortuo Erculi                   tribuendo
“Occorre far riposare chi è stanca con l'assegnare ad Ercole il nato da Ebe." Ebe, come è noto, era la moglie di Ercole e nella specie si tratta, d'uno "slogan" scherzoso, relativo all'esigenza che il padre (più forte, simboleggiato da Ercole) aiuti la madre nel far star buoni i bambini.

Sintesi delle corrispondenze:
1) THALNA = "delenenda", ove THA = "de": "d" manca in etrusco; A = E come nei noti MULUVANICE e MULUVENICE varianti fonetiche della stessa voce verbale; NA = "nda" come in S'CUNA e S'CUNE = "secunda e "secunde"
(cfr. l'interpretazione del "Cippo di Perugia" in appendice);

2) in TINIA "I" vale fon. "E" (cfr. i latino-arcaici "lu­ciscit" per "lucescit", quatinus per "quatenus", ecc.: v.C. Cantù, "Storia degli Italiani", UTE,1858, p. 885); la seconda "i" vale "u" (cfr. lat. arc. "maxumus" per "maximus"); sincope della desinenza;
3) EPI-UR è vocabolo composto da EPI( "Ebe" ove P = B consonante questa mancante in etrusco; "I" = "e" come sopra) ed UR = "orto" ove U = O vocale questa man­cante in etrusco; sincope della desinenza;
4) In HERCLE sincope della "u" breve (come nel lat. arc. "Krus" per "carus"; v. C. Cantù, op. cit. p. 872);
5) TURAN è omotematico del latino "tur, turis" = incenso, da cui deriva il verbo "tribuo": in antico si consa­crava, ossia si "attribuiva" alcunché a qualcuno con speciali riti in cui si usava l'incenso; al riguardo cfr. TURUCE (= tribuit) nell'interpretazione della lamina maggiore di Pyrgi ripottata in appendice; VELTHI- NA-TURAS (= Vèlsinae tributis) nella interpretazione del "Cippo di Perugia" riportata in appendice; MLAMNA-TURAS (= malamnis tributis) nell'interpretazione della scritta di Laris Pulenas, riportata, anche questa, in appendice.

Il giudizio in merito alla legittimità fonemico-morfo­logica delle risultanze comparative sopra sinteticamente esposte, potrà essere in qualche modo agevolato dai cenni illustrativi contenuti nelle pagine seguenti del presen­te capitolo.
Per ciò che concerne invece l'attendibilità logica della interpretazione che precede, è da rilevare che la brevità del "discorso" non consentirebbe, in verità per via di logica di poter escludere un'origine puramente casuale dello stesso.
Tale origine va però esclusa sulla base dell'interpretazione effettuata con lo stesso procedimento- altra iscrizione in cui Ercole (simboleggiante anche qui il sesso "forte") sempre sopra uno specchio risulta fatto oggetto dello stesso tipo di satira. Su altro specchio d'identico stile (Museo Arch. Firenze, da Volterra; Tav. XXVIII in M. Pallottino, "Etruscologia" cit.) si vede infatti Ercole allattato da Giunone, mentre, alle spalle di questa, Giove regge un "cartello" sul quale è scritto:

(Traslitterazione e confronto col latino)
ECA          STHN        TVA      IKNA C HERCLE
Ecce, sitenti               Diva dicanda, ac Hercules
UNIAL                         CLASTRA               SCE
Junonis ("Junonalia") colostra                      sugit
Ossia : "Qui, ad un assetato dovendo assegnarsi una Dea, anche Ercole di Giunone il primo latte succhia!" ( = "Qui (nell'Olimpo) se ad ogni assetato si dovesse ...ecc.).
ECA = "ecce" in "Cippo di Perugia" e Lamina di Magliano (cfr. Appendice); IKNA = dicanda(v. IKH =  dicto = libro e S'CUNA, S'CUNE = "secunda e secunde, in "Cippo" (v. Appen­dice). CLASTRA = "Colostra", ove prime due A = U, vocale che in Etrusco "vale" l'assente O: circa A = U cfr. VELIANAS e VELIUNAS, cognome della stessa persona (THE­FARIE) nelle coeve lamine di Pyrgi (v. Appendice), nonché NAPER = "Nuper " nel " Cippo di Perugía" (v. Appendice). In merito alle altre corrispondenze fonemiche e morfologiche si rinvia -per ciò che concerne i principi
generali dell'analisi alle pagine seguenti del presente capitolo.

2) La lingua etrusca ed il ceppo linguistico indoeuropeo.
L'etruscologia non disconosce che molte parole etrusche sono radicalmente simili ad altre indoeuropee ed italiche in particolare. La maggior par­te degli studiosi considera però tali parole "mutuate" dai popoli confinan­ti con l'antica "Etruria" e, come tali, inutili ai fini d'una comparazione etimologica globale.
In merito a tali vocaboli Franz Skutsch, nel suo articolo " Etrusckice Sprache" della "Real Encyclopadie Pauly Wissova" (5), affermava che se lo Etrusco avesse effettivamente conservato le caratteristiche proprie delle lingue indogermaniche, le forme flessive e le parole che con tale lingua sembrano avere attinenza " non ci dovrebbero apparire come dei "rari nantes in gurgite vasto", ma, a centinaia, si dovrebbero presentare caratteristiche simili ad esso" (6).
A titolo di esemplificazione di tipo opposto, lo stesso autore (cfr. G. Pontrandolfi, opera citata in nota n. 5, p. 163) cita, tra l'altro, i nomi di parentela CLAN (figlio), SEC (figlia) e PUIA (moglie), affermando: "Basta paragonare queste voci, sicuramente non indogermaniche, con NEFTS' e PRUMTS (nipote é proponipote) per persuadersi immediatamente che se queste due ultime voci fossero ereditate dalla lingua indogermanica e non già mutu­ate dallo italico, non si potrebbe spiegare perché mai CLAN, SEC, PUIA pre­sentino un aspetto così interamente estraneo".
Lo Skutsch ne deduceva (Op. cit. in Pontrandolfi, op. cit. p. 164) che "le indicate caratteristiche dell'Etrusco sono così singolari che pur sareb­be facilissima cosa trovar le lingue affini ad esso, se lingue affini esso ha. L'antico giudizio di Dionigi d’Alicarnasso "Oudeni allo etnei omoglos­son", resta pur sempre il nostro".
Il predetto giudizio di Dionisio di Alicarnasso viene spesso citato da coloro che negano l'affinità della lingua etrusca rispetto alle lingue ita­liche. Dionisio, però, espresse anche un altro giudizio di rilievo: egli riteneva il popolo etrusco autoctono dell'Italia, circostanza questa diffi­cilmente conciliabile con una supposta unicità in Italia della lingua di un popolo italico.
Ma l'osservazione dello Skutsch in merito ai vocaboli CLAN (figlio),
SEC (figlia) e PUIA (moglie) era ed è di grave portata. Infatti, qualora non sia dato di accertare negli stessi una etimologia indoeuropea, ben difficilmente si potrà sostenere l'ipotesi di un "prestito" dei vocaboli medesimi da altre lingue ( non indoeuropee).
Ciò in quanto è difficile immaginare che un popolo non possieda termini propri per esprimere concetti quali "figlio", "figlia" e "moglie".

5) Cfr. la traduzione di tale art. in G. Pontrandolfi, "Gli etruschi e la loro lingua" Bastogi, pag. 95 segg.

6) Op. cit. in G. Pontrandolfi, op. cit. p. 162.

E' dunque necessario analizzare etimologicamente tali vocaboli.
Tale analisi è necessaria non tanto allo scopo di dimostrare che gli stessi sono di origine indoeuropea, quanto per cercare di dimostrare che la lingua latina li contiene tutti nella loro essenza linguistica e che, quindi, per tale motivo, la loro citazione appare priva di pregio probato­rio al fine di sostenere l'estraneità dell'Etrusco al ceppo linguistico predetto, per cui ancor meno sostenibile apparirebbe tale tesi avuto ri­guardo agli altri vocaboli della lingua etrusca.
3) I vocaboli CLAN (= figlio ) e SEC ( = figlia ). I vocaboli PUIA, LUPU FUS(LE) e LAR(TH). I vocaboli con tema LAR.
Ai fini dell'analisi etimologica dei vocaboli CLAN e SEC, occorre preliminarmente osservare che, contrariamente a ciò che avviene nel latino, gli Etruschi indicavano la figlia con un termine specifico e non femmini­lizzando la parola figlio.
I due vocaboli CLAN e SEC infatti sono di struttura completamente diver­sa tra loro.
Tale diversità strutturale può significare solo una cosa: i due nomi esprimono concetti completamente diversi tra loro.
All'atto della nascita le uniche differenze tra figlio e figlia riguar­dano, come è evidente, esclusivamente il sesso, ed è da ricercarsi appunto nella diversità del sesso l'origine della diversità strutturale tra le due denominazioni.
Ciò premesso, occorre accertare la natura tematica dei due vocaboli.
A) Vocabolo CLAN.
Nessun vocabolo latino con tema CL appartiene a parole attinenti al concetto espresso da "figlio".
Pertanto, tenendo conto della sincope vocalica estrusca, è necessario ricercare il corrispondente latino di CLAN tra i vocaboli che recano una vocale tra C ed L .
Vista la necessità di scegliere temi verbali recanti C ed L e dovendosi d'altra parte escludere i temi in CA-L, CE-L, CI-L, CU-L, a causa del carat­tere specifico dei concetti espressi dai relativi verbi, l'indagine va logi­camente orientata verso il verbo "colo, is, ere", in relazione alla varietà ed all'ampiezza dei significati nonché al numero cospicuo dei vocaboli da esso derivati.
Tenendo conto del peculiare fenomeno della contrazione, tipico della lingua etrusca ( ma anche del latino arcaico, sia pure in misura minore: cfr. "Krus" per "carus", "canto" per "canite" (7) ), CL può corrispondere al latino "Col", così come HERCLE corrisponde notoriamente ad Hercules.
Tra i vocaboli latini connessi tematicamente a "Colo" sono da notare i seguenti: “coleus" =  "testicolo" (Cicer. vocab. cit.) e "coleatus" = "che ha i testicoli" (Pomponio in Nonio. Voc. cit.);
Ma l'indagine sui radicali latini in "col" deve essere effettuata allo scopo di accertare la ragione linguistica dei predetti vocaboli indubbiamente derivati da "colo". E' proprio a tale verbo che deve dirigerai la ricerca e ciò allo scopo di individuare "l'azione" comune riferibile alla funzione che i nomi latini predetti esprimono.
In realtà tutte le funzioni espresse dai nomi sopra citati sono da collegarsi all'azione rappresentata dal verbo "colere" il cui significato fon­damentale -che è alla base di tutti gli altri è "conservare ".
In latino, "vitam colere" significa " sic et simpliciter" "vivere" ( Plauto - voc. cit. ), ossia "conservare la vita"; "colere memoriam" . "conservare la memoria".
"Colere" significa anche, corre è noto, "coltivare". Tale significato è connesso con l'esercizio dell'agricoltura proprio perché tale attività, nella sostanza, non è altro che la conservazione della specie della pianta mediante l'inserimento del seme nella terra. "L'invenzione" dell'agricoltura, attribuita dagli antichi a Cerere, consisté proprio nella conservazione del­la specie vegetale e cioè nella riproduzione della pianta.
Così dicasi similmente per ciò che concerne l'allevamento del bestiame.
Ma, sia nell'agricoltura sia nell'allevamento, c'è il seminatore e c'è il seminato. Chi semina "colit", ossia conserva, perpetua la specie della pianta; la stessa cosa avviene nell'allevamento delle specie animali tra le quali è l'uomo.
E' inutile, a tale riguardo, precisare che è il maschio che "colit", ossia conserva la stirpe.
E' bene però chiarire che tale concetto di conservazione, ai fini interpretativi in oggetto, va inteso non già in senso puramente genetico, bensì, precipuamente, in senso giuridico.
Nell'antichità ed anche ora chi conserva la stirpe (anticamente la "Gens") perpetuandone il nome, la fama e, nei tempi remoti, anche le prerogative, è il maschio il quale era detto, appunto, dagli Etruschi "colui che conserva" o " che continua", "colens"; participio presente questo la cui struttura e con la struttura il significato è la stessa dell'estrus­co CLAN ( CL = COL; A = E: cfr. MULUVANICE e MULUVENICE; sincope della desinenza).
B) Il vocabolo SEC ( = figlia).

(7) Cfr. C. Cantù, "Storia degli italiani". UTE, Torino, I858, p. 872.

Le consonanti S e C sono l'elemento costitutivo della parola ( come CLN lo erano per CLAN ) e pertanto la ricerca del radicale latino corrisponden­te deve essere orientata verso i vocaboli il cui tema contiene le predette due consonanti.
 Vocaboli latini con radice SEC il cui significato è logicamente utile
ai fini del confronto sono: "secus" (indecl.) = "sesso" (Sallustio Voc. cit); "siccanea" = "di sua natura" (Columella. Voc. cit.); "sectaculum" = "progenie" (Apulio. Voc. cit.); "sectarius vervex" = "castrato" (P. Festo. Voc. cit.) "sexus" = "sesso".
E' inutile avvertire che tutti questi vocaboli esprimono concetti deri­vati da quello proprio del verbo " seco, as, avi, atum, are", che, nel significato reale indica l'azione del fendere, mentre nel significato figurato, indica quella del "dividere", "separare", "interrompere".
Tutti i concetti espressi dai vocaboli con tema "Sec" e connessi al verbo"seco" si riferiscono quindi a quelli primari di "divisione", "separazio­ne" e "interruzione".
Gli Etruschi avrebbero quindi indicato la figlia con SEC semplicemente perchè è distinta, separata ed infine diversa dal maschio?
In verità non è così; e che non sia questo il senso da attribuire allo indubbio concetto dì divisione contenuto nel comune tema di SEC, di "SECO": nonché dei nomi aggettivi ed avverbi sopracitati, lo si può dedurre proprio dal vocabolo CLAN sopra analizzato. Infatti l'assoluta diversità strut­turale esistente tra il vocabolo indicante il figlio e quello indicante la figlia, può trovare logica spiegazione solo se posta in relazione con significati, non tanto tra loro diversi, bensì diametralmente opposti: Solo così si spiega l'inesistenza del femminile di CLAN ad indicare la fi­glia.
Si è visto sopra che CLAN equivale tematicamente a "colens" = "colui che continua (la stirpe)".  Ebbene SEC, omotematico di SECO, rappresenta "Chi la interrompe".
Infatti la figlia non conserva la continuità della famiglia rappresen­tata dalla linea di discendenza maschile, con tutti gli annessi costituiti dal nome, dalle tradizioni, dagli eventuali privilegi, ma, col suo matrimonio, al contrario, contribuisce alla conservazione ed alla continuazione d'un altra stirpe la quale ultima può anche divenire avversa a quella da cui la donna discende.
Tale netta separazione concettuale ed espressiva, mentre trae spunto da ciscostanze di fatto fisico-genetiche, ha però un'essenza squisitamente giuridica: quella stessa che è alla base dell'istituto della "Gens".
Cicerone, nella Topica VI (da C. Cantù, Storia degli Italiani, UTE.- TO 18E8, P. 989) così definisce i requisiti che devono possedere i membri del­la "Gens" ( ossia i "gentiles" ):
"" Gentili sono quelli che hanno lo stesso nome; non basta; che sono d'origine ingenua; non basta; dei cui ascendenti nessuno fu in servitù; manca qualcosa ancora; che non subirono la "capitis deminutio". Tanto forse basta, né altro vedo v'abbia aggiunto Scevola Pontefice. ""
Se questo rigore vigeva nella romanità classica è da ritenere che ancor più rigida fosse la disciplina giuridica, in materia, nei secoli anteriori e che pertanto la continuità della stirpe fosse oggetto della più grande cura e della più minuziosa regolamentazione. Per tale motivo non può certo meravigliare l'attribuzione alla prole delle denominazioni quali CLAN e SEC, il cui significato di base attiene alla possibilità o meno di traman­dare con la stirpe, le qualità e prerogative gentilizie..
C) I vocaboli PUIA, LUPU, FUS(LE) e LAR(TH).. -
La corrispondenza etimologica che è stata riscontrata tra i vocaboli CLAN e SEC ed i temi latini "colo" e "seco", rende agevole l'identificazione del tema latino corrispondente a PUIA ( = moglie ).
Infatti, poiché i vocaboli con i quali in Etrusco sono designati il figlio e la figlia "contengono" concetti inerenti alla generazione ( stirpe), con riferimento alla sua continuazione (CLAN) od alla sua interruzione (SEC), il vocabolo che designa la moglie (PUIA) non può verosimilmente "contenere" un concetto di estrazione diversa da quello inerente alla procreazione.
Al riguardo occorre tener presente che la lingua cui appartiene il vocabolo sorse in epoca remotissima e che quindi, nella semplicità dei pri­mordi, vocaboli quali "moglie", "figlio", ecc.. non potevano esprimere con­cetti diversi da quelli connessi con l'esigenza d'una designazione distin­tiva delle entità da nominare in relazione alle "attribuzioni" delle entità stesse. Per tale ragione il carattere strumentale del lessico era alquanto più accentuato di quanto non lo sia stato in epoche posteriori.
PUIA ha lo stesso tema del sancrito "Putra" (8) = "Puer", nonchè di tutti i vocaboli latini radicalmente connessi con quest'ultima parola.
(8) Cfr.  C. Cantù -Storia degli It. - op. cit. p. 874.

PU, inoltre, è la stessa radice tematica dei vocaboli PUL = "Pullities = Generazione (10) e PULES (10).
E' la stessa radice delle parole latine "pullatio" (covata, generazione), di "pullesco" (germogliare), di "pullulus" (germoglio); di "pollis, nis" (polline); di "Pusia" (bambina); di "puerpera"; di "pubeo", di "puber", e "pubens" nonché di "popius" che in Plauto sta per "populus".
La PUIA, quindi, nei tempi antichissimi, era la donna che, contraendo matrimonio, diveniva "titolare " della funzione di procreare dei "pueres", funzione questa importantissima in epoche nelle quali la grandezza e la prosperità d'un popolo o d'una famiglia (cfr. l'episodio storico relativo alla Gens dei Fabii) dipendevano sopratutto dal numero degli individui che lo componevano.
Nelle iscrizioni funerarie etrusche, come è noto, figura spesso il vocabolo LUPU il quale per essere situato accanto all'indicazione degli anni di vita del defunto (AVILIS X) viene di solito tradotto "morto". La stessa cosa si verifica per quanto riguarda il vocabolo LUPUCE ( = "mori" ).
In tali vocaboli le consonanti L e P sono l'elemento costitutivo (CE, come è noto, è la desinenza della terza persona del perfetto),  mentre le due U sono l'elemento accidentale ( e quindi variabile nel corso dell'evoluzione linguistica).
Per quanto concerne la P, occorre evidentemente tener conto della carenza della B nell'alfabeto etrusco, onde la ricerca del corrispondente tematico latino va orientata anche verso i vocaboli contenenti nel tema la B, nella stessa posizione intervocalica in cui si trova la P di LUPO.
Vocabolo latino omotematico di LUPU é senza dubbio "Libitina" che, ol­tre a designare la Dea della morte, significa anche, semplicemente "morte" (Giovenale voc. Cit.).
Ma " Libitina", a sua volta, trae origine dal verbo "Libo, as, are".
Il tema "Libi" di "Libitina" corrisponde perfettamente a LUPU, sia
per ciò che concerne l'elemento consonantico ( P = B ), sia per quanto ri­guarda l'elemento vocalico. Circa questo secondo aspetto, occorre tener presente l'equivalenza latino arcaica tra la "i" e la "u", del tipo di quella ricordata che si riscontra in "Maxumus" (per "Maximus").
LUPU corrisponde pertanto al latino "LIBATUS", nonché a " LIBITUM".
LIBATUS, come é noto, significa "còlto", "strappato", "stroncato" e simili. Un frutto "còlto" é "libatus". LUPU non è altro che la contrazione etrusca (sopprimente le sillabe medie) di "Libatus" o di "Libitum", contrazione che, sintomaticamente, é dello stesso tipo di quella che si riscontra
(10) PUL che figura nella scritta di Laris Pulenas (Cfr. l'interpretazione in Appe ndice) corrisponde all' inglese POOL sia per radice che per significato di base: PULES, nella stessa scritta, equivale a "pulliti" e cioè a rampolli.

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