ancora oggi in participi passati italiani quali "còrico" (percoricato), "lesso" ( per lessato ) e simili; onde il vocabolo etrusco equivale, in certo qual modo a "Libus".
Chi moriva era detto "libatus", ossia, stroncato, còlto, così come viene còlto un frutto maturo e... còlto a caso , ad libitum, appunto, proprio come fa chi stacca dei frutti da una pianta a suo capriccio. In antico, come è noto, era il Fato a "cogliere" l'uomo.
Questo é il vero significato di LUPU. Del resto nessuno, nemmeno al tempo degli Etruschi, scrive sulle lapidi funebri semplicemente "morto". Anche ai nostri giorni vengono scritte le sole date di nascita e di morte, oppure si usano circonlocuzioni come, ad es. "mancato ai vivi", "strappato all'affetto di o dei ..." e simili. Gli Etruschi non sfuggivano a questa istintiva forma di espressione. Infatti i luoghi nei quali la parola 'Morto" si legge con minor frequenza sono proprio i cimiteri.
Da tale significato primario di LUPU = LIBATUS ebbero origine sia l'altro significato (indotto) di "libare" (versare il vino nelle cerimonie funebri e nei sacrifici), sia il vocabolo "liba" designante una focaccia che veniva consumata nei funerali. Anche tali significati vanno ravvisati in LUPU, onde tale vocabolo, oltre al concetto di cui sopra, racchiude anche quello inerente ai "conforti religiosi" prescritti ai fini ultraterreni.
Nei funerali che si svolgevano col rito dell'incinerazione (rito prevalente in Roma per tutta l'epoca repubblicana) i carboni del rogo dovevano essere spenti col vino ( nella "Mummia di Zagabria" si legge che é prescritto VINUM TRIN = vino di tre anni).
Nella lingua etrusca la cerimonia in questione veniva chiamata FUS'LE-RI espressione che letteralmente significa " FUSIBILE RITO (ablat. Cfr. nel Cippo di Perugia la descrizione del funerale di Afuna Vélsina, in app.).
Ed é proprio dal rito del "fundere" (versare) il vino che traggono origine il latino "funus, eris" e l'italiano "funerale", nonché i connessi vocaboli "funebre", "funesto" ecc.
I vocaboli con tema "LAR".
Nella lingua etrusca il tema "LAR" é riscontrabile sia nei nomi di persona ( LARTH, femm. LARTHI, LARIS ecc.), sia in nomi comuni.
Nel "Cippo di Perugia" la defunta AFUNA VELSINA é chiamata LAREZUL.
duale" = (colei che) nella casa é (l'altra) metà : ossia la consorte LAREZUL la Z = D, consonante questa mancante in etrusco - Cfr. relativa traduzione in app.).
Nella REE 1972 - 1 " MI ZINAKU LARTHUZALE KULENIIESI " la parola LARTHUZALE -come é evidente in base al confronto con i sicuri nomi personali LARTH e (femm) LARTHI- non é certamente un nome di persona (11) (cifr. introd.).
Altrettanto va detto in merito al vocabolo LARTHUS che figura nella scritta "MI LARTHUS ( SE - 6 in M. Cristofani - op. cit. pag. 107).
Nei vocaboli predetti i suffissi aggiunti a LAR ( o LARE) e cioè ZUL, THU-ZALE, THUS, fanno escludere che i vocaboli medesimi possano essere interpretati quali nomi di persona.
Nella frase MI LARTHUS, infatti, se LARTHUS fosse un nome di persona, potrebbe essere soltanto un genitivo. Ma il genitivo del nome LARTH é notoriamente LARTHIAL.
Dalle considerazioni che precedono emerge che LARTHUS, non essendo un genitivo, non é un nome di persona. Ma poicbé LAR, come si é visto in sede di esame della parola LAREZUL, é un nome a se stante (= lat. Laris = casa focolare domestico e simili), da tale circostanza consegue necessariamente che il suffisso THUS é, a sua volta, un vocabolo autonomo, onde, LARTHUS risulta essere una parola composta da due vocaboli.
Che il suffisso THUS possa essere una parte invariabile del discorso é da escludersi: lo attestano le varianti THAS, THIA, THAIA (cfr. ad es. LARTHAIA nella TLE 761, oggetto di specifico esame nelle pagine che seguono Iscriz. n. 24°).
Che THUS possa essere un nome appare improbabile data l'illogicità della aggiunta d'un altro nome al nome LAR = CASA, nome che, peraltro, risulta precedere THUS ( o varianti di THUS) in molte iscrizioni.
Del pari improbabile é che THUS possa essere un aggettivo data l'improbabilità logica d'una "qualificazione" della casa LAR (la nota frase MI LARTHUS, in caso di interpretazione aggettivale di THUS, non avrebbe senso Cfr. appresso l'analisi relativa al vocabolo MI).
THUS, in realtà, è una voce verbale e, precisamente, il participio passato d'un verbo etrusco che corrisponde perfettamente (considerata la sincope della "i") al latino ITUS, da "eo, is, itum, ire".
Tale affermazione suonerebbe certo apodittica se non ricevesse conferma di attendibilità da due vocaboli latini la cui etimologia può essere spiegata solo mediante la loro connessione con il vocabolo etrusco LARTHUS e le sue forme flessive.
(11) REE 1972 - 1 da M. Cristofani "Il sistema onomastico" in "L'Etrusco Arcaico" Atti del C. di Firenze dell'ott. 1974 L'Olschki Edit. FI pag. 109. Lo stesso aut. (Introd. allo Studio dell'Etrusco - Edit. Olskchi P;135)- ritiene LARTHU = ZALE probabile diminutivo del prenome LARTHU, prenome definito dall'aut. "raro".
Questi due vocaboli latini sono "MARITUS" e "MARITA" (voc. cit. voci relative).
Può apparire incredibile che "Maritus" possa ricollegarsi con LARTHUS malgrado lo "m" del tema latino. Ma tale incongruità é solo apparente ove si considerino i vocaboli toponimi dell'Etruria meridionale "Lartha" e "Larthenianum" i quali, nel tardo latino e poi in italiano, divennero rispettivamente MARTA (cittadina sul lago di Bolsena) e Martignano (comune e piccolo lago in provincia di Viterbo).
Probabilmente MARITUS é il risultato della contrazione, apportata dall'uso, dell'espressione "meus (in) lare itus" (o "mecum ecc. ).
Ma più che che "Maritus", il vocabolo latino che fornisce conferma sintomatica circa l'equivalenza THUS = ITUS, è la parola MARITA = moglie (voc. cit. voce relativa), considerata in "opposizione" logica al primo vocabolo.
Infatti MARITUS e MARITA, significando rispettivamente uomo sposato e donna sposata, hanno in comune la radice "Mar" ed il suffisso (Itus, ita).
Ma la radice "Mar" dovendosi escludere a priori la connessione con "mas, maris" = maschio, per evidenti motivi d'incompatibilità logico-sessuale, non può trarre la propria origine che da un termine esprimente un concetto riferibile sia all'uomo che alla donna che contraevano matrimonio.
Tale concetto, per doverosa esclusione di altri che potessero essere riferiti ad entrambi, non poteva fondarsi che su quello relativo alla creazione d'una famiglia, d'una coesistenza; il concetto cioè espresso dal vocabolo latino e nella sua interezza anche in etrusco, LAR, la cui iniziale, in epoca tarda, subì la stessa sorte subita dalla medesima consonante L dei toponimi "Lartha" e "Larthenianum".
L'iscrizione CIE 2365 ( da M. Cristofani, "Introduzione allo studio dello etrusco" L. Olschki Firenze 1976, pag. 127) attesta che il vocabolo LARTHIA che vi figura non é un nome di persona ma riguarda lo status matrimoniale della defunta:
"""" LARTHIA LATINI CESUMIA ( = CE-SUMIA) TUTNASA ULTIMNIAL SEKH """" "Maritea" latini civitate "sumptea" TUTNASA Ultimni filia
TUTNA(SA) figlia di Ultimo, per essere stata sposa d'un latino avendone assunto la cittadinanza. (12)
(12) Circa CE = "Civitate" ved. sopra il capitolo dedicato ai "Dadi di
Tuscania". Circa SEKH ved. sopra il paragrafo relativo a tale vocabolo.
4) Il confronto etimologico dell'Etrusco con la lingua latina.
I cenni analitici che precedono, pur sommari e suscettibili di ulteriori sviluppi, sembrano sufficienti ad eliminare il valore esemplificativo che ai vocaboli analizzati venne attribuito dallo Skutsch allo scopo di dimostrare l'estraneità della lingua etrusca al ceppo linguistico indoeuropeo in generale ed al latino in modo specifico.
Ma, tra quelli esaminati, peculiare rilievo va attribuito al vocabolo CLAN.
Si è detto sopra che il significato di "figlio" attribuito a CLAN dalla Etruscologia é, in realtà, un significato "traslato", dato che il vocabolo, corrispondete al latino "colens" vuol dire, letteralmente "colui che continua".
Tale assunto, oltre che dalla prova "ex contrario" costituita dal vocabolo di senso opposto SEC, riceve conferma "dall'interno" della lingua etrusca medesima.
Nelle iscrizioni etrusche, infatti, non sempre può essere attribuito a CLAN il significato traslato di "figlio". Ciò appare chiaro alla luce del confronto tra due note scritte.
Il celebre epitaffio di Laris Pulenas (conservato nel museo di Tarquinia) incomincia, come é noto, con queste parole:
"" LARIS PULENAS LARCES CLAN LARTHAL RATHACS ( = Laris Pulenas di Larse figlio (e) di larta Ratax....) (13)
Come é evidente, in tale iscrizione al vocabolo CLAN può essere attribuito certamente il significato traslato di "figlio". Ciò in quanto, essendo LARCES e LARTHAL due genitivi singolari (desin. S e AL), il "continuatore di tali persone non può essere che il loro figlio.
Si esamini ora l'iscrizione CIE 5092 (da F. Skutsch - G. Pontrandolfi op. cit. p. 145):
VEL LEINIES LARTHIAL RUVA ARNTHIALUM CLAN VELUSUM PRUMATHS' AVILS SEMPHS' LUPUCE
Detta iscrizione é facilmente interpretabile salvo per quanto concerne RUVA (la cui versione ufficiale quale "fratello" non appare convincente).
(Del pari da disattendere é l'interpretazione di UM quale suffisso aggiunto ad un presunto genitivo singolare. (cifr. S. Kutsch cit. p. 146)
(13) Cfr. la traduzione della scritta in app.
La CIE 5092 è compresa in un contesto familiare funebre di tre icrizioni.
RUVA corrisponde al cognomina Rufus e Rufius propri della
Gente dei Volusi (cfr. Rutilio Namaziano, "Deriditu", vv.168, 169,170,
trad. e comm. di E. Castorina, Sansoni, Firenze, pagg. 88-89):
"" Vel Leines Rufo, degli Arunziali continuatore (erede), dei Volusi pronipote, negli anni non ancora maturi (semifactis è stato stroncato" "
Il contesto epigrafico merita una dissertazione breve.
Come attestano anche i vocaboli LARCES e LARTHAL sopra citati, è notorio che il genitivo singolare etrusco termina con le desinenze S, AL, ALIS, AS o di struttura simile (es IL, EL, L).
Nella CIE 5092, sopra riportata, laparola CLAN risulta situata tra i vocaboli ARNTHIALUM e VELUSUM corrispondenti a due noti gentilizi i cui genitivi singolari sono noti perché figurano in altre iscrizioni.
ARNTHIALUM e VELUSUM sono sicuramente due genitivi, visto che tra loro è collocata la parola CLAN che é sicuramente (e notoriamente) un nominativo singolare. Il CLAN, pertanto, in questo caso, o "è" di ARNTHIALUM o "è" di VELUSUM. Ma le desinenze in UM di tali due vocaboli, non designando il genitivo singolare, designeranno necessariamente il genitivo plurale, come del resto la desinenza UM (= lat. UM) indica con ogni evidenza.
ARNTHIALUM e VELUSUM corrispondono quindi ai latini "ARUNTIALUM" e "VELUSIUM" (o VELUSIORUM).
Da ciò consegue che nella scritta in esame CLAN non può essere tradotto con "figlio", come nella precedente scritta di Laris Pulenas ( e come
in moltissime altre). Infatti, nella specie, CLAN può essere in relazione con uno solo dei due genitivi plurali (indicanti dei gentilizi) in mezzo aiquali è situato. Ma essendo indubbio che una persona non può essere chiamato figlio di una pluralità di individui, costituita, nella specie, dagli Arunziali o dai Velusi, è da ritenere altrettanto indubbio che nell'iscrizione in esame a CLAN non può essere attribuito il significato di "figlio".
Clan, nella scritta di Laris Pulenas, è senz'altro traducibile con "figlio", in considerazione della posizione del vocabolo rispetto al nome personale LARCES indicante certamente il genitore.
Da ciò consegue che il medesimo vocabolo CLAN che figura nella iscrizione CIE 5092 sopra analizzata, pur non potendosi tradurre con "figlio" per i motivi esposti, dovrà tuttavia esprimere un concetto non molto diverso e comunque attribuibile anche al "figlio".
CLAN può quindi essere tradotto soltanto con una parola (o una espressione) conciliabile con entrambi i tipi di contesto.
Si tratta, con ogni evidenza, d'una parola non attinente al concetto di generazione, dato che tale concetto, pur pertinente alla posizione di CLAN nella scritta di Laris Pulenas, appare completamente assurdo nelle parole ARNTHIALUM CLAN VELUSUM della CIE 5092.
Il figlio è tale rispetto al padre perché è stato generato da questo ultimo. Ma poiché anche la figlia è generata dal padre e poiché per indicare la figlia esiste il vocabolo SEC é chiaro che CLAN non esprime il concetto di generazione dal padre ma, con tutta evidenza, ciò che distingue il figlio maschio dalla figlia femmina.
Si é già chiarito (v. par, prec.) che tale distinzione non attiene al sesso in sé considerato, bensì alle implicazioni giuridico-sociali che al sesso sono strettamente connesse, implicazioni che, all'atto della nascita, non possono non riguardare la "continuazione" o "l'estinzione" della stirpe paterna.
Che quest'ultimo e solo quest'ultimo- sia l'elemento che, distinguendolo da SEC, individua il concetto espresso da CLAN, é provato oltre ogni legittimo dubbio, dalla posizione del vocabolo nella CIE 5092, posizione che vieta di tradurlo semplicemente "maschio", cosa che è invece teoricamente possibile per il CLAN della scritta di Laris Pulenas.
Infatti, mentre al limite della logica si può concepire un LARCES CLAN = figlio maschio di Larse, del tutto assurdo sarebbe un CLAN VELUSUM = figlio maschio dei Velusi.
Pertanto, escluso, per quanto precede, di poter ravvisare in CLAN il concetto di generazione o quello di sesso in sé considerato; dovendosi del pari escludere di poter ravvisare altri concetti per palese incompatibilità con quello di "figlio" (V. Laris Pulenas), il vocabolo in esame non può esprimere altro concetto che quello che lo contrappone a SEC e cioè quello di "continuazione". Tale "continuazione", peraltro, può riguardare sia la stirpe paterna (V; scritta di Laris Pulenas) sia attività o peculiarità svolte o possedute in passato da altre persone.
"Clan" è quindi "colui che continua" e si contrappone a SEC solo nei casi in cui l'oggetto della "continuazione" é la stirpe paterna.
Nella stirpe di Laris Pulenas questi era LARCES CLAN = CONTINUATORE
DI LARSE, mentre nella CIE 5092 VEL LEINIES di Larte era il "continuatore" dei Velusii ( ossia, con più accettabile espressione, (degno) erede e prosecutore delle loro imprese).
Pertanto, in base a quanto sopra esposto, anche a voler prescindere dal confronto etimologico CLAN - COLENS, é da ritenere che nessun concetto diverso da quello insito nel verbo "colere" possa essere logicamente ravvisato nel vocabolo CLAN che figura nei due testi analizzati.
Ne consegue che CLAN e COLENS, pur differendo parzialmente nella grafia ma non nella sostanziale struttura sono in realtà la stessa parola.
Poiché i popoli hanno termini propri per esprimere concetti fondamentali come quello di "figlio", CLAN non può essere considerato un "prestito" dal latino. In considerazione di tale carattere di 'Clan" lo Skutsch citava tale vocabolo quale indizio della presunta natura non indoeuropea della lingua etrusca. Ma CLAN, attestando il contrario, costituisce, invece, indizio rilevantissimo della strettissima affinità esistente tra la lingua etrusca e la lingua latina.
Tale affinità non é limitata al lessico ma abbraccia anche la morfologia delle due lingue.
Al riguardo può essere citata ad esempio la nota iscrizione scolpita sopra un pilastro posto presso la tomba della famiglia Claudia in Cerveteri , da M. Cristofani op. cit. Pag. 153): CIE 6231:
"" LARIS AULE LARISAL CLENAR SVAL CN SUTHI CERIKHUN-CE
APAC ATIC SANIS-VA THUI CESU CLAUTIE THURASI """
Prima di procedere all'analisi etimologica di tale scritta, appare opportuno, al fine di rendere ragione delle soluzioni adottate, riportare le interpretazioni che della stessa sono state effettuate da M. Cristofani (Op. cit. pag. 153, 155) e da M. Pallottino ("Etruscologia" Hoepli ed. VI pag. 488): (M. Pallottino) "" Laris (e) AVLE di Laris figli da vivi questa tomba hanno fatto. E il padre e la madre defunti ? qui giacciono.
Della famiglia CLAVTIE (Claudi)."" (M. Cristofani) "" Laris (e) AVLE di Laris figli vivi questa tomba costruirono. E il padre e la madre morti ? qui giacciono. Ai Claudi. "" fani, nell'affermare che nella prima parte della scritta si parlerebbe della costruzione della tomba ad opera di due "figli" ("vivi"), ritiene che SVAL significhi "vivi" sulla base del collegamento di tale vocabolo alla "formula SVALCE AVIL che indica l'età" e facendo riferimento alle scritte latine " nelle quali alcuni personaggi "vivi" costruiscono il sepolcro".
Il Cristofani, inoltre, ritenendo CERIKHUNCE una voce verbale, constata che nella stessa "manca qualsiasi riferimento al numero" (ossia non é chiaro se tale verbo significhi "costruì" oppure"costruirono"), numero che invece, secondo l'autore citato, " é presente in CLENAR, opposto a CLAN "figlio".
Analizzando quella che egli definisce seconda sezione della scritta, lo stesso autore, nell'affermare che APA(C) e ATI(C) significano rispettivamente "padre" e "madre", sostiene che nell'iscrizione " la presenza di APA collegato con ATI ("madre") il cui valore lessicale era stato identificato da tempo, ha definitivamente accertate, anche sulla base della considerazione della struttura fonematica simile ad ATI, il significato di "padre".
In merito a quanto sopra è da rilevare quanto segue:
Il vocabolo CERIKHUNCE é scambiato dal Cristofani per un verbo nell'evidente presupposto costituito dalla desinenza CE la quale in molti casi ma non in tutti e non nella specie é, come é noto, la desinenza della terza persona singolare del perfetto ( cfr. TURUCE = TRIBUIT nella Lamina maggiore di PYRGI). Pertanto anche se si trattasse di un verbo ed anche se tale verbo significasse "costruire", CERIKHUNCE dovrebbe essere tradotto "costruì" e non"costruirono". L'Autore predetto ritiene però tale "voce verbale" indifferenziata nel numero.
In realtà CERIKHUNCE non é un verbo (cfr. appresso la traduzione etimologica pedissequa).
Nell'iscrizione, inoltre, non si parla affatto di"figli".
Il vocabolo CLENAR, infatti, contrariamente a quanto afferma il Cristofani ( e con lui tutta l'Etruscologia prevalente), non solo non é il plurale di CLAN ( = "figlio" ) ma non è affatto un plurale.
Tale erronea interpretazione di CLENAR é conseguenza indiretta dell'altrettanto erronea interpretazione in senso numerale delle parole che sono scritte sui celebri " DADI DI TUSCANIA " ( MAC, THU, ZAL, HUT, CI, S'A Cfr. nelle pagine precedenti l'analisi critica della tesi "numerale").
Infatti CLENAR, in alcune scritte appare preceduto c seguito da uno dei monosillabi in questione, come, ad esempio, nella seguente (FA. 2340 da Skhutsch - Pontrandolfi, op. cit. p. 149): ""CLENAR CI ACNANASA
Lo Skhutsch (op. cit. p. 149) assegnando a CI valore di numero (l'Etruscologia attuale ritiene si tratti di "tre"), assimila tale frase a quelle latine ove si dice che il defunto (o la defunta) "gnatos X creavit (procreò X figli). Nella frase citata, quindi, ACNANASA = "procreò " dato che CI, significando "tre", numererebbe l’attiguo CLENAR (di struttura simile a CLAN (= "figlio"), rivelandone, con ciò, la qualità di plurale.
Ma l'analisi critica dei DADI di TUSCANIA, esposta nelle pagine precedenti ha accertato che CI significa "CIVITAS" e non "tre" (cfr., oltre ai maggiori testi nei quali il CI presunto "tre" si ripete per decine di volte, la TLE 888, ove pura figura l'espressione CLERNAR CI e della quale viene fornita appresso l'interpretazione.).
Del pari errata é l'interpretazione di SVAL (= "vivi").
In merito a tale vocabolo occorre in primo luogo rilevare che, in base alle cognizioni acquisite da tempo, la desinenza AL non può mai indicare
un plurale. Inoltre, pur prescindendo dall'evidente illogicità della precisazione relativa all'esistenza in vita dei costruttori all'atto della costruzione della tomba, è necessario rilevare che SVAL, nella specie, è stato tradotto erroneamente "vivi" sulla base d'un presupposto altrettanto erroneo.
In alcune iscrizioni, infatti, si nota l'analogo vocabolo SVALCE situato vicino all'indicazione dell'età (o della vita) del defunto (ad es. SUALCE AVILS ( = anni X ). La vicinanza di SVALCE ad AVILS è stata ritenuta sufficiente dai seguaci dei metodo interpretativo "combinatorio" (basato essenzialmente sull'esame della posizione delle parole nelle scritte) per tradurre le relative espressioni con "visse anni X".
Nella specie, quindi, SVAL é stato collegato con SVALCE e poiché a quest'ultimo vocabolo era stato assegnato il senso di "visse", SVAL é stato tradotto con "vivi".
"Svalce" é, invece, un vocabolo composto da SVAL (= lat. "sui", ossia "suale" = "di sé", "proprio") e da CE che essendo l'ablativo del già citato CI, significa "Civitate". SVALCE significa, pertanto, "NELLA PROPRIA CITTA'"; in alcuni casi ed in altri casi, letteralmente, "di propria cittadinanza" e, con espressione più conforme al diritto romano, "jure proprio", ossia "titolare di tutti i diritti civili connessi con la "civitas" (con diritto di voto).
Parimenti erronea, infine, é da ritenere l'interpretazione di APA(C) = "padre" e di ATI (C) = "madre".
Infatti, pur prescindendo dal rilevare, che in una tomba ove riposano i genitori, questi vengono di solito indicati non con "padre" e "madre", bensì scrivendo i loro nomi (e non quelli dei costruttori della tomba stessa), la deduzione del significato "madre" di ATI(C) ( ove C = lat. "ac" o "que") da APA(C) = "padre" appare infondata dato che quest'ultimo vocabolo non significa affatto padre.
Dubbioso circa il significato in questione é lo stesso M. Pallottino il quale propone il significato stesso in forma molto dubitativa (cfr. "Etruscologia. cit. pag. 415).
Che il dubbio sia più che giustificato lo attesta il vocabolo APCAR che il Cristofani cita e traduce col termine "abacario" ( = contabile).
Tale traduzione (condivisa da tutta l'Etruscologia) é incontestabile perché la predetta parola é scritta sopra una pietra preziosa posta vicino all'immagine d'un giovane che fa dei conti sopra una tavoletta cerata; il reperto é conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi (15 ).
APCAR é collegato giustamente dal citato autore al latino "Abacus", pur considerandolo "prestito dal greco ABAX (= tavoletta . Cfr. Cristofani op. cit. p. 89).
Ma se APCR in etrusco designa la persona che usa l'abaco (la tavoletta) e cioé "l'abacario", dato che la "r" del predetto vocabolo indica l'azione svolta, non può non ritenersi certo che l'oggetto che in latino si chiama "abacus", in Etrusco si chiama APAC.
L'abacus, come é noto, era la tavoletta di cera sulla quale, non solo si scriveva e si facevano i conti, ma si esprimeva anche il voto nelle elezioni politiche.
Nella scritta in questione, infatti, si dice che il defunto, nella CERIKHUN CE (CERITUM CIVITATE) aveva elevato i cittadini al diritto di voto che prima non avevano (Cfr. pagg. segg.). APAC ATIC significa infatti "abaco actis (que)..."
Nota (e controversa) é la vicenda relativa al "Municipium" romano di Cere ( che secondo la maggior parte degli storici sarebbe stato il primo ad essere costituito). In base all'opinione prevalente, i Ceriti avrebbero ricevuto la concessione del diritto di voto nel IV secolo A.C. (epoca alla quale il Cristofani fa risalire l'iscrizione in esame) dopo che, nel 390 A.C. la città di Cere aveva ospitato e soccorso le Vestali ed i profughi fuggiti da Roma a seguito dell'invasione gallica (circa tale ospitalità cfr. T. Livio "Ab Urbe condita", trad. M. Scardola, Rizzoli, l. V°, cap. 40).
(15) M. Cristofani "Introduzione allo studio dell'Etrusco" L. Olschki, p. 89.
Premesso quanto sopra,è d'uopo procedere all'interpretazione etimologica dell'iscrizione:
Iscrizione scolpita sopra un pilastro presso la tomba dei Claudi in Cerveteri da M. Cristofani, "Introduzione allo studio dell'Etrusco" cit. p. 155, BIBL. M. Pallottino in "St. Etr" XXXVII, 1969. p. 79 e segg.):
"LARIS AULE LARISAL CLENAR SVAL CN SUTHI CERIKHUNCE APAC ATIC SANISVA THUI CESU CLAUTIE THURASI "
LARIS AULE LARISAL = lat. Laris Aulus Larisalis" (filius L) CLENAR SVAL= lat. "clinare suale" (= sui) = nella sua discendenza - nella sua famiglia; CLENAR (e = i) è omotematico di "Cline", as, are" che significa "discendere"; CN= "Cnodax", cis" = "perno" e "Cnason", is" = "discriminazione". Connesse con tali nomi comuni è il prenome latino arcaico "Cn" = "Cneus"; ved. "Cn Naevius" in "Gell. 17, 21, 45" (G. D'Anna, "Problemi di letteratura latina arcaica", L. Lucarini, Roma, 1976, p. 369. Quindi CLENAR SVAL CN = "Clinare suole Cn" = "per i suoi familiari (detto) Gneo". CN figura anche in C.I.E. 6119 ed in T.L.E. 149 (ved. trad. nella parte del presente lavoro relativa alle iscrizioni brevi).
SUTHI = "subdtis''.(sincope);
CERIKHUM CE sono due vocaboli (oppure un vocabolo composto) corrispondenti ai latini "Ceritum civitate" = nella città dei Ceriti; circa KH = T confronta MENAKHE = "minuto" (succ. scritta n. 28), ZINAKU = "dignato" (succ. scritta n.25), MLAKH = "malacus" (in relazione all'omotematico "malatus" nella succ. scritta n. 19);
APAC ATIC APAC = lat. "àbaco", ablativo singolare di " àbacus" = tavoletta di cera per scrivere (e, presso i romani, per votare): P = B assente in estrusco; sincope della O. ATIC = lat. "actisque" ( la C finale equivale, come é noto, a "que" o ad "ac"; "àbaco actis " significa:
"col diritto di voto innalzati" oppure " nel diritto di voto inclusi"; come si è detto -e come é notorio- nelle elezioni politiche romane il voto era espresso incidendo con uno stile una tavoletta incerata;
SANIS SA si tratta anche qui di due vocaboli o d'un vocabolo composto; SANIS = lat. "sanis" = agli onesti;
VA = lat. "vas, dis" = sicurezza, garanzia e simili; (solita sincope);
THUI = lat. "tueri", infinito di " tueor " = difendere, salvaguardare e simili; (solita sincope);
CESU = lat. " gessit " = si adoperò ( e simili ):
C = G assente in etrusco; S = SS ( mancando in etrusco il raddoppio) ; U vale I ( per l'equipollenza più volte riscontrata); T finale sincopata;
CLAVTIE THURASI = lat. "Claudio tributis" = secondo le attribuzioni proprie ad un Claudio. I vocaboli latini " tribuo " , " tributus " ecc. sono tematicamente connessi con i vocaboli etruschi con tema "thur" ricorrenti in moltissime scritte; i vocaboli stessi recano insito il concetto di dedicazione ( = consacrazione a qualcuno o a qualcosa ) e sono, a loro volta, radicalmente connessi al vocabolo latino ( ma di evidente derivazione etrusca ) "thus, ris" = incenso, sostanza questa che era usata, appunto, nelle cerimonie di consacrazione (agli Dei); la U del tema etrusco "thur", perduta nel latino "tribuere", si conservò invece nel latino "turibulum": Cfr. l'acc. plur. THURAS ( = "tributos") nel "Cippo di Perugia" ""Velthina Thuras "; in App.
Confronto etimologico e traduzione:
LARIS AULE LARISAL CLENAR SVAL CN
Laris Aulus Larisalis (filius Laris), clinare suale (= sui) cnason (o cnodax) (= Cneus)
SUTHI CERIKHUM CE APAC ATIC SANIS VA THUI
Subditis Ceritum civitate abaco actis , ac sanis vas tueri
CESU CLAVTIE THURASI Gessit Claudio tributis
"" Laris Aulo, figlio di Laris, nella sua famiglia (detto) Gneo (= perno) I sudditi nella città dei Ceriti col voto avendo innalzati, si preoccupò anche di salvaguardare la sicurezza degli onesti secondo le attribuzioni proprie ad un Claudio.""
L'inconfondibile costruzione latina che emerge dalla traduzione pedissequa della frase etrusca, attestando nel medesimo tempo della latinità del lessico, fa fede oltre ogni possibile dubbio dell'autenticità del risultante discorso. Tale autenticità appare peraltro incontestabile anche sotto altro profilo dato che il discorso ottenuto ha per oggetto un avvenimento storico notissimo ( e dibattuto) e cioè la costituzione del "Municipium" di Cere, onde l'autenticità della traduzione è "in re ipsa" ( circa i prodromi dell'avvenimento storico cfr. T. Livio "Ab U. C. cap. 40 e 50 del libro V° trad. M. Scandola, Rizzoli).
In merito al vocabolo ATI che figura nella scritta e che, come si è detto, non significa affatto "madre" (come pretende l'Etruscologia attuale) equivalendo invece al latino "actis" (part. pass. di "ago, is" ), appare oltremodo utile riportare ( con la relativa traduzione, la iscrizione n. 35 Herbig - 1.c. Torp ( Etruscan Notes P. 42 è segg.) dall'esame della quale lo Skhutsch (op. cit. in M. Pontrandolfi op. cit. pag. 145) ritenne di dedurre il primo dei suddetti significati ( "madre" ):
NERINAI RAVNTHU ATI CRAVZATHURAS VELTHURURS LRTHALC
Lo Skutsch (op. cit. pag. 145) afferma, tra l'altro, al riguardo, che "nella specie si ha l'iscrizione sepolcrale di una NERINAI RAVNTHU (una donna, quindi, della stirpe NERINA) che viene chiamata ATI (o "AT") . CRAVZATHURAS VELTHURS LRTHALC ( = certamente a VELTHURUS LARTHALC ), cioè ATI di VELTHUR e LARTH CRAUZATHURA. Qui (prosegue lo Skutsch) si presenta come quasi inevitabile la spiegazione di ATI per "madre" proposta dallo Herbig 1.c. e dal Torp (Etruscan Notes citate).
Tale interpretazione seguita, come si è visto, dal Cristofani e dal Pallottino, è in realtà completamente errata. Infatti, che ATI significhi "actis" e non "madre" è provato dalla traduzione pedissequa dell'iscrizione 35 Herbig Torp citata, nonché dal raffronto del vero significato di ATI in tale scritta col significato, parimenti vero, del vocabolo stesso nell'iscrizione dei Claudi sopra analizzata.
"""" NERINAI RAVNTHU ATI CRAVZATHURAS VELTHURS LRTHALC
Nurinae rapente actis gravidae-tributis Velturis Lartaeque.
Ad una bambina, essendone stati privati durante le operazioni apprestate alla gravida, di Veltur e di Larta (oppure della moglie: LRTHALC = "maritaeque" : cfr. sopra la trattazione specifica sul tema LAR).
Oltre al vocabolo ATI ( = "actis" ) vi sono altre parole le quali, oltre a comparire nella scritta dei Claudi, figurano anche in altre iscrizioni la cui traduzione è esposta nelle pagine che seguono, nella parte dedicata alle singole epigrafi.
Tali vocaboli sono i seguenti:
CLENAR (= lat. "clinar, ris", da "clino, as" = discendere ); oltre che nella scritta dei Claudi, figura anche nella "Bibl. TLE 888 (ved. succ. traduz.);
CN , SUTHI e CERIKHUNCE ( corrispondenti, rispettivamente a "cnodax" o ("ona son"), "subditis" e " Ceritum civitate",) oltre che nella scritta dei Claudi figurano anche nella CIE 6119 (vedere rel. traduz.);
CN ; oltre che nelle scritte predette figura anche nella TLE 149 (vedere rel. traduz.);
CESU ("gessit"); oltre che nella scritta dei Claudi figura anche nella TLE 105 (vedere rel. Traduz.).
Ma a tali corrispondenze lessico-fonetiche tra la scritta dei Claudi ed altre scritte, vanno aggiunte quelle, numerosissime e di agevole costatazione, che intercorrono tra le diverse iscrizioni la cui analisi è esposta nella parte specifica alla quale si rinvia.
5) Latino ed Etrusco
Sulla base delle analisi e delle argomentazioni che precedono, si può ritenere accertato che il lessico e la morfologia della lingua etrusca siano sostanzialmente simili al lessico ed alla morfologia latina.
Gli scarsissimi elementi differenziali tra le due lingue hanno carattere prevalentemente quantitativo: abbondano, infatti, in Etrusco, molto più che in latino, gli ablativi assoluti e le costruzioni nella forma passiva, peculiarità quest'ultima già lucidamente intuita da K. OLZSCHA (Interpretation der Agramer Mumienbinde, 1939, p. 103 segg. cit. da M. Pallottino in "Etruscologia" Hoepli p. 399).
Peraltro, l'ablativo assoluto etrusco, oltre a presentare una maggiore ampiezza applicativa, svolge una funzione espressiva che in molti casi è assai più intensa rispetto a quella svolta dal latino. Così, ad es. nel "Liber linteus zagabriensis" (cfr. app.) il vocabolo ZUSLE (spesso ivi ripetuto) corrisponde al latino "ducibile" (ma anche "deducibile"), ma per evidenza contestuale- significando: "potendo dedursi ( o realizzarsi) che...".
La stessa cosa va detta per ciò che concerne la frase "TIMITLE CATHNA IM" (in "Liber linteus Z." cfr. app.) che corrisponde letteralmente alla latina "dimittibile cadenda imagine" ( = potendo essere abbandonata (l'usanza) cadendone l'immagine...).
Altra peculiarità della lingua etrusca -rispetto al latino- è costituita dall'estrema rarità di parti invariabili del discorso (ut, si, ad, nec, ecc.
A volte qualcuna di tali particelle risulta posposta al nome: il latino "nec", ad es. corrisponde all'etrusco NE, come risulta chiaramente dalla frase del "Cippo di Perugia" ES'TAC VELTHINA ACILUNE TURUNE S'CUNE
ZEA ZUCI ENESCI (= ....esto ac Velsina, nec asilo, nec duro, secunde, Dea duci ignesci ...Cfr. la traduzione completa in app.),
Tra gli aspetti morfologici etruschi peculiari rispetto al latino non rientra invece il cosiddetto "genitivus genitivi", forma morfologica che è stata spesso citata a prova della pretesa natura non indoeuropea della lingua etrusca.
In "Etruskische spraeche" (trad. G. Pontrandolfi op. cit. pag. 141,42 43) F. Skutsch "scopri" la predetta, presunta, forma flessiva etrusca, attraverso l'analisi dell'iscrizione FA - 1 - 437:
"" LARTHI EINANEI S'ETRES SEC RAMTHAS ECNATIAL, PUIA LARTHL
CUCLNIES V E L T H U R U S L A AVILS HUTS CELKHLS ""
L'iscrizione non presenta difficoltà interpretative per quanto concerne i primi nove vocaboli ( = "Larte Einanei di Setre figlia (e) di Remita (figlia) di "Ignazio", moglie di Lart Coclnies (forse "coclite" al diminutivo).
Le difficoltà cominciano al vocabolo VELTHURUSLA.
Infatti, pur essendo evidente che il vocabolo rappresenta il patronimico di LARTH CUCLNIES, marito della defunta, non si comprende, a prima vista, né il perché dell'aggiunta del suffisso LA al genitivo (di VELTHUR) VELTHURUS, né il significato del suffisso stesso.
Che VELTHURUS sia il genitivo di VELTHUR è provato da tempo (cfr. FA 2117 in F. Skutsch - G. Pontrandolfi op. cit. pag. 142: "VIPINANAS VELTHUR VELTHURUS AVILS XV = Vibennanus Veltur (filius) Velturis aevis XV).
F. Skutsch, seguito dall'Etruscologia prevalente; affrontava e "risolveva" il problema interpretativo relativo al suffisso LA aggiunto allo indubbio genitivo VELTHURUS, nel modo seguente (F. Skutsch, op. cit. in G.Pontrandolfi op. cit. pag 142,143):
"""Non v'è bisogno di grande riflessione per comprendere che VELTHURUSLA non sia se non il patronimico di LARTHL CUCLNIES. Dobbiamo quindi trarre la conseguenza che se un mome come LARTH CUCLNIE(S) VELTHURUS = L. Cuclinie figlio di Veltur, vien fatto " genitivo ", il genitivo patronimico che ivi già si trova viene in certo modo come innalzato al quadrato: VELTHURUSLA è un "genitivus genitivi".
Ma, in realtà, in VELTHURUSLA non c'è alcuna elevazione al quadrato del genitivo VELTHURUS, elevazione che, del resto, apparirebbe inutile e pertanto illogica in qualsiasi lingua.
Ma se il LA finale non svolge la predetta funzione, occorre individuare quella effettivamente espletata.
Occorre premettere, al riguardo, che secondo il Cristofani ("Introduzione allo studio dell'Etrusco" cit. p. 63,64) la vera desinenza del "genitivus genitivi" non sarebbe il LA bensì SLA. Ma poiché i nomi dal Cristofani stesso addotti ad esempi (op. cit. p. 64) e cioè: SETHRESLA - AVLESLA - LARISALISLA - ARNTHALISLA - VELUSLA - VELTHURUSLA, una volta "privati" del LA risultano essere dei chiarissimi (e notissimi) genitivi in S, Is, US, da ciò consegue che morfema unico del cosidetto "genitivus genitivi" è soltanto il suffissso LA.
In merito al suffisso in questione s'impongono le seguenti constatazioni:
1) Il suffisso LA non sempre figura aggregato a nomi (quale morfema finale) ma, a volte, nelle iscrizioni, figura d a solo.
Ciò si verifica ad es. nella scritta "Bibl. S.E XXXIII p. 473, n.2 TLE 890 (cfr. M. Cristofani "Introduzione allo studio dell'Etrusco " cit. p. 163.); tale iscrizione, della quale si fornisce la traduzione pedissequa, inizia infatti con queste parole:
""FELSNAS : LA : LETHES..", la cui punteggiatura divisoria è quella originale riportata dal Cristofani (op. cit. pag. 163).
Al riguardo occorre in primo luogo far presente che il LA posto tra FELSNAS e LETHES è lo stesso vocabolo che compare in fine alla parola VELTHURUSLA ed alle altre parole al genitivo sopra riportate, alle quali pure il LA in questione appare aggiunto;
2) quando il vocabolo LA (che di vero vocabolo si tratta) figura incorporato in nomi (quale ultimo morfema), tali nomi sono sempre al caso genitivo (vedere sopra gli esempi tratti dal Cristofani op. cit.);
3) I nomi al genitivo cui risulta aggregato il LA sono sempre nomi di persone di sesso maschile (cfr. nello stesso senso M. Cristofani OP. Cit.p.64).
Da quanto sopra si evince:
a) che LA è un vocabolo a se stante e non una semplice desinenza (in base al precedente punto 1) );
b) che, per il motivo sub a) il vocabolo LA "regge" il genitivo al quale è aggregato;
c) che, tale genitivo, essendo costituito da un nome di uomo, il vocabolo LA nei casi in cui è aggregato a tale genitivo, non può non indicare un rapporto di parentela nella linea di discendenza maschile in tutti i casi nei quali non indica il coniuge.
Ciò premesso, ai fini della determinazione della funzione del LA aggregato al genitivo VELTHURUS (LA) della citata scritta FA-1 - 437, conviene procedere all'analisi della TLE 890 sopra citata nella quale il vocabolo LA, come si è detto al precedente punto 1), risulta isolato:
""" TLE 890 (da M. Cristofani, "Introduzione allo studio dell'Etrusco" cit. p. 163 -La punteggiatura e la quantità delle parole nelle righe della scritta sono identiche a quelle dell'originale riprodotto dal Cristofani nell'opera sopracitata):
FELSNAS : LA : LATHES
SVALCE : AVIL CVI
MURCE : CAPUE
TLEKHE : HANIPALUSCLE
(Nella predetta traslitterazione del Cristofani (op. cit. p. 163, figura il numero CVI anzichè CCVI; al riguardo si ritiene invece che con CCVI debba essere interpretato il numero originale *A i).
Il Cristofani (p.164 op. cit.) cosi interpreta tale iscrizione:
""Larth Felsna di Lethe, visse 106 anni Capua .... di Annibale."""
Per l'autore SVALCE significa "visse" (vedere al riguardo quanto si è detto in merito all'omotematico SVAL della scritta dei Claudi).
La traduzione del numero originale etrusco*" i con 106 (anzichè 206) non può essere condivisa, anche se l'età di 106 anni, vicina ai limiti estremi della vita umana, è più compatibile con la traduzione "visse" attribuita al vocabolo SVALCE.
Ma, come è noto, il numero 100 in etrusco è rappresentato da 44
(= 2 volte?' = 50 ) per cui il segno * (nel quale sia pure da angolatura diversa sono visibili due "incroci" dit= 50 ) non può significare che 200.
Del resto, come si è già visto, SVALCE non significa "visse" bensì "suale civitate" ( = sui civitate: cfr. sopra il commento alla scritta dei Claudi nonché, nella parte specifica, la scritta TLE 888).
Per quanto riguarda MURCE e TLEKHE il Cristofani, ritenendo il primo terza persona d'un verbo al perfetto attivo (des. CE) ed il secondo voce di un perfetto passivo, pensa che i vocaboli in questione indichino, il primo, una qualche azione compiuta dal defunto ed il secondo una qualche azione dallo stesso subita .
In merito ai vocaboli CAPUE ed ANIPALUS(CLE) i cui significati sono evidenti, il Cristofani (op. cit. p.164) afferma che "il personaggio con ogni evidenza è stato a Capua verso il 216 A.C, quando vi soggiornava Annibale”, concludendo (sulla base di considerazioni relative alla "formante" CLE: cfr. Cristofani op. cit. p.164) che presumibilmente " il personaggio in questione ha subito un'azione da parte di Annibale".
Ma l’osservazione più rilevante da fare in merito a tale interpretazione del Cristofani riguarda la mancata traduzione del vocabolo LA, il quale essendo isolato da ambo i lati da due punti (:A:) non può certo essere scambiato per un suffisso di tipo genitivo come è stato ipotizzato, ad es. per LA di VELTHURUSLA della scritta FA-1-437 sopra analizzata.
Pertanto, ai fini del raffronto ed in funzione del valore da attribuire al vocabolo LA figurante sia nella FA - 1 - 437 sia nella TLE 890, appare opportuno esporre la seguente versione etimologica e pedissequa della citata TLE 890 (che viene riportata anche nella parte specifica).
""" Iscrizione TLE 890 BiblS.E. XXXIII
Museo Naz. di Tarquinia (da M. Cristofani, "Introduzione allo studio dello Etrusco" cit. p. 163).
FELSNAS LA LETHES SVAL-CE AVIL CCVI MURCE CAPUE TLEKHE HANIPALUS-CLE
(nella traslitterazione del Cristofani op.cit. p. 163 figura il numero CVI anzichè CCVI; al riguardo si ritiene che con CCVI debba essere interpretato il numero originale *Ai).
FELSNAS LA LETHES - FELSNAS = lat. "Velsinae " (as = ae come in "familias") = Velsina: è il nome della Capitale della Confederazione etrusca la cui ubicazione non è stata finora individuata.
LA = lat. "Latum (est) " = è stata data notizia (sincope della desinenza);
LETHES
SVAL-CE AVIL C |
LETHES = lat. "lethatis" = agli uccisi (sincope della sillaba mediana); = lat. "sui (suale) civitate" = dalla loro città (= dai loro concittadini); nell’anno 206° (=dopo 206 anni);
loro concittadini); nell'anno 206° (= dopo 206 anni); |
MURCE CAPUE TLEKHE - = lat. "Murcidae Capuae (de) deleto" = della distruzione di Capua ignobile;
HANIPALUS - CLE - = lat. "Hannibalis colante" = per essere stata fautrice di Hannibale
Confronto pedissequo col latino e traduzione:
FELSNAS LA LETHES SVALCE AVIL CCVI
Felsinae (= Velsinae) Latum lethatis "suale civitate" in aevo CCVI
MURCE CAPUE TLEKHE HANIPALUS CLE
Murcidae Capuae (de)deleto Hannibalis colente
...... Agli uccisi di Velsina è stata data notizia dai loro concittadini, dopo 206 anni, della distruzione dell'ignobile Capua, per essere stata (questa) fautrice di Annibale."""
(Nel 424 A.C gli Etruschi erano stati vinti a Capua dai Sanniti - Cfr. "Te gola di Capua; trad. in appendice. Circa l'anno cfr. nota in calce p. 55).
1) che LA è un vocabolo a se stante e non una semplice desinenza (cfr. il precedente punto 1);
2) che, per il motivo sub a), il vocabolo LA "regge" il genitivo cui è aggregato (cfr. il precedente punto 2);
3) che, tale genitivo, costituito da un nome d'uomo (cfr. il precedente punto 3)) fa ritenere il vocabolo LA -nei casi in cui è aggregato ad un genitivo- indicante un rapporto di parentela nella linea di discendenza maschile.
Ciò premesso dall'esame congiunto della FA - l - 437 e della TLE 890, si evince che:
I predetti motivi, uniti a chiare ragioni etimologiche e di contesto, rendono indubitabile l'equivalenza del vocabolo etrusco LA al vocabolo latino "latus, a, um".
Pertanto nel tradurre LA (aggiunto a genitivi o isolato che sia) si deve unicamente aver riguardo ai significati fondamentali del verbo latino "fero" ( di cui "latus, a, um" è il participio passato) : portare, produrre, generare, riferire, ecc.
Per i motivi che precedono, mentre il LA (isolato) della TLE 890 va tradotto, come si è visto, LATUM (est) = "si è data notizia = si è riferito", la FA - l - 437 sopra citata, contenente il vocabolo VELTHURUSLA, va invece tradotta come segue (con particolare riferimento a tale vocabolo composto.
LARTHI EINANEI S'ETRES SEC
Larti Einanei Setris Filia
a Larte Einani di Setre figlia
RAMTHAS ECNATIAL PUIA LARTHAL
Raemitae(?)Ignatii uxor Lartis
(e di) Remita(?) (figlia) di lgnazio, moglie di Larth.
CUCLINIES VELTHURUSLA
Coclitnis (?) Velturis la(ti)
Coclite (?) di Veltur prole (da "fero" = generare, produrre)
AVILS HUTHS CELKHLS
"aevilibus "(= ih aevis) votis selectilis
durante la sua vita, con i voti, ritenuto degno di essere eletto (alle cariche pubbliche,.
Circa CELKHLS = "selectilis" ed in particolare CE = SE , è da ritenere che sia gli Etruschi, sia i Latini pronunziassero S la C situata innanzi ad E e ad I ( almeno in casi determinati). Per l'Etrusco cfr. CEI = "seis" e = "suis" in "Cippo di Perugia" (v. trad. in app.).
CERINE = "seritne" = seminò(nne) e, sintomaticamente (innanzi ad A ) CATHAS (perchè part. pass. di CERO = "seco") = le semine (cfr. L. Pulenas in app.).
Alla luce di tali esempi etruschi appare attendibile la seguente argomentazione di Cesare Cantù ("Storia degli Italiani " cit. p. 874 n. 1):
"""Che (i Latini) al C dessero ....il suono del S come i Francesi, potrebbe arguirsi dal passo d’Ausonio ove Venere dice: "nata Salo, suscepta Solo, patre edita Coelo". "Il Cantù osserva al riguardo che "si spunta l'arguzia se non si legge "salo, solo, selo".
Ma poiché, come si è visto, CE è l'ablativo di CI = "civitas" (cfr., tra l'altro gli innumerevoli esempi possibili: CERIKHUN-CE e SVAL-CE della scritta dei Claudi e di altre scritte, oltre ai vari CE-PEN = "civitate penatum" della "Mummia di Zagabria" e della "Lamina di Magliano" (cfr. appendice tale circostanza pone il problema dell'origine della parola italiana "selezione", problema da trattarsi, opportunamente, in sede specifica.
Nota da pag. 54. Lo scarto di 5 anni tra l'anno 211 (data della punizione di Capua) e l'anno 206° risultante dalla scritta, è dovuto alle note differenze di calendario.
6) Latino arcaico. Peculiarità comuni all'Etrusco.
Esaminiamo l'iscrizione in onore di Duilio, posta in Campidoglio sotto la colonna rostrata nel 259 A.C. :
".................. ovem castreis exfociont Macell...
cnandod cepet enque eodem macis....
m nave bos marid consol primos e ........
Cuasesque navales primos ornavet par......
Cumque eis navebus claseis poenicas om.......
Dictatored el……..on in altod marid puc ""'
Di tale iscrizione Cesare Cantù forniva la seguente traduzione (16):""" Novem castris effugerunt. Macellam munitam urbem pugnando coepit, inque eodem magistratu propere
rem navibus mari consul primus gessit: remigesque
classesque navales primus ornavit paravitque diebus sexaginta cumque eis navibus classes punicas omnes
Dictatore illorum, in alto mari pugnando vicit."""
Sulla base di tale traduzione, nella scritta possono notarsi le seguenti peculiarità rispetto al latino classico:
1) Castreis per Castris EI per I
2) Exfociont per Effugeruntt per Coepit
3) Enque per Inque
4) Macis... per Magis(tratu) C per G ed O per U (oltre la omissione sillabica)
5) Navebos per Navibus E per 0E; E per I
E per I
C per G
E per: I; O per U
7) Consol primos per Consul primus - O per U
8) Ornavet per Ornavit E per I
9) Claseis per Classis S per SS ; EI per I
10) Puc... per pug(nando) C per G
16) C.Cantù "Storia degli Italiani" p. 878. u.T.E - Torino , 1857.
Esaminiamo, inoltre l'iscrizione in onore di Cornelio Scipione Barbato (console nel 298 A.C.) scoperta nel 1780 nel sepolcro degli Scipioni (I7):
""" Cornelius Lucius Sci
pio Barbatus
Gnaivod (Gneo) patre prognatus fortis vir sapiensque
Quoius (cuius) forma virtutei parisuma (purissima fuit
Consol Censor aidilis quei fuit apud vos
Taurasia CIsaunia Samnio cepit
Subigit omne Loncana opsidesque abdoucit""".
In tale isdizione si notano le seguenti peculiarità:
- Gnaivod per Gneo AI per AE; V innanzi ad O e D finale
- Quoius per Cuius QU per CU
- Parisuma per Purissima A per U; S per SS; U per I
- Aidilis per Aedilis AI per AE
- Quei per Qui EI per I
- Taurasia Clsaunia Manca la M dell'accusativo
- Subigit per Subiecit G per C
- Omne Loucana per Omne Lucana manca la M dell'accusativo
Le iscrizioni che precedono costituiscono, com'è noto, solo un limitato campione esemplificativo del sistema vocalico del Latino arcaico.
E' utile tuttavia elencare le principali caratteristiche di tale sistema:
Vocali:
caratteristiche principali. (cfr. C. Cantù, op. cit. p. 885):
E per A e per I
I per A e per E e per O
EI per I
O per U e per AU (O per U specie dopo la V)
U per C, per E, per I
AI per AI
Au per O
OE per I oppure per U (V. "poploe = estrusco "puplu"
(17) cfr. C. Cantù - op. cit. P. 878.
Caratteristiche principali: (cfr. C. Cantù, op. cit. p. 885):
B per V
C per G, per QU, per X ed anche per S (v. "cicurare"= "sicurare) facit per faxit
S per R e per X ( esit per erit, arbos, nugas)
D per L e R
F per H (fostis, fircus)
M per S e viceversa
doppia C per SC ( ad es. OCCILLARE per OSCILLARE) (I8)
B per P e sostituita dalla P (optinere) a da DV (Dvellum)
Inesistenza del raddoppio delle consonanti ( la prima delle due C di cui al precedente n. 15 vale S).
Altra caratteristica principale "La sincope".Spesso nell'antico latino si omettono le consonanti, le vocali e le sillabe.
Esempi di sincope sillabica: e consonantica e sillabica:
DEFRUDU, AUDIBAM, VINCLUM, SIS e SOS (per suis e suos) COSUL, CESOR, VOLUP, FACUL, LUXU, SATI, ASTU (astuto), MOMEN (monumentum), CONIA (ciconia), DEIN, (deinde).(Cfr. C. Cantù, op. cit. pag. 872, segg., 885 e segg.)
Le vocali brevi sono spesso "assorbite" nella lettera precedente (KRUS per Carus). Tale fenomeno, come è noto, esiste anche, ed in forma più accentuata, nella lingua estrusca, specie in quella tarda. (19)
19) Altra carattristica è l'aggiunta di lettere o sillabe alla parola.
STLOCUS, STLATUS, FRUCMENTUM, FORETIS, EXEMPLEU, MAVOLO (C. Cantù op. cit. p. 885).
20) Altra caratteristica è la mancanza pressoché totale della M finale del‑
l'accusativo singolare. (C. Cantù - op. cit. pag. 879).
Ma il latino arcaico ha in comune con l'Etrusco sopratutto il mistero dell'incomprensione. Difatti, per incredibile che possa sembrare, anche il latino (quello arcaico) è una lingua "sconosciuta". Il Carme dei Salii, il vaso di Dueno, il Cippus del Foro lo attestano (cfr. Pallottino "Etruscologia p. 151). Ciò si verifica pur essendo innegabile che, per tradurre il latino arcaico, la comparazione col latino classico (metodo etimologico) è l'unico metodo attuabile. "Il metodo etimologico in etruscologia è fallito" affermava il Trombetti negli anni 30, solo perché è stato male applicato del resto quando si tratta di interpretare una lingua ignorata, il metodo buono è quello che raggiunge lo scopo."" (da Trombetti
18) Circa CC per SC cfr. CRAPICCES = GRAVISCIS nell'epitaffio di Laris Pulenas
19) V; Pallottino "Etruscologia" cit. pag. 381. Per "KRUS" = Carus cfr. C.Cantù op. cit. p. 872.cit. da M. Gattoni Celli "Gli Etruschi dalla Russia all'America, Carabba, p. 150).
7) Rapporti tra la fonetica etrusca e quella latina ai fini della comparazione globale.
La sostituzione delle consonanti B, D, G (assenti in etrusco) con P, T, TH, Z, C, l'aspirazione (ad es. di P in F), la sincope dei morfemi medi ( es. Mnrva Minerva). l’anaptissi vocalica in corrispondenza della sincope (es. Atlenta = Atalanta), le desinenze femminili in "a" come nelle lingue indoeuropee e quelle maschili in "e" equivalenti aquelle latine in "us" (es.: Avle = Aulus) sono peculiarità della lingua etrusca già da molto tempo note (le nozioni citate sono tratte da F. Skutsck, "Etruskische SpräKe" in G. Pontrandolfi "Gli Etruschi e la loro lingua” traduzione dal tedesco del predetto lavoro, compreso nella
"Real Encyclopädie Pauly - Wjssowa - Bastogi, pagg. 129 - 132) (20) .
In particolare, F. Skutsck (op. cit. in G. Pontrandolfi, op.
cit., pag. 129) trattando della sincope, nel constatare che tale fenomeno "è identico fin nelle singolarità al latino", affermava che "l'idea d'una connessione retorica oggi ormai non la si può più rigettare tanto facilmente" (op. cit. pag. 129).
Le peculiarità sopra elencate (che vengono tenute presenti in questo paragrafo e nel corso delle singole ínterpretazioni) vanno integrate con altre peculiarità di cui è cenno nel presente paragrafo o in sede interpretativa.
É necessario, peraltro, tener presente che, ai fini della comparazione etrusco-latina, più. che la fonetica etrusca in se considerata, interessa conoscere la relazione fonetica che intercorre tra i singoli fonemi delle due lingue
Chi vorrà leggere le interpretazioni che seguono potrà rendersi conte che, nelle due coève lamine di Pyrgi, i voc. VELIANAS della lamina maggiore e VELIUNAS della minore sono, entrambi, il gentilizio della stessa persona, THEFARIE( Tíberius) supremo magistrato dì Cere, che il NAPER più volte ripetuto nel Cippo di Perugia non è che che il latino "Nuper" e che quindi molte delle "A" etrusche "valgono" foneticamente la latina "U".
In tali vocaboli, infatti (come in tutti) l'elemento vocalico è "accidentale" rispetto all'elemento sostanziale consonantico ( cfr. nello stesso senso C. Cantù, op. cit. p. 874).
Occorre peraltro tener presente che non ènè agevole, nè è necessario, ai fini di traduzione, conoscere quale suono dessero gli Etruschi alla A di NAPER: a noi, per ora, interessa invece sapere che la A di NAPER equivale strutturalmente e logicamente alla U del latino "Nuper" e che quindi molte delle A che compaiono in altri vocaboli etruschi possono avere valore di U e che, pertanto, di tale ambivalenza fonetica della A etrusca occorre tener conto in sede di traduzione etimologica allorché si procede alla ricerca della parola latina da scegliere quale "traduttrice" di quella etrusca.
(20) Per la fonematica cfr. inoltre M. Cristofani, "Introduzione allo studio dell'etrusco", L. Olschki, p. 34-54; M. Pallottino "Etruscologia, Hoepli, 1975, p. 385 – 395.
Quindi, in sede di traduzione etimologica, una vocale etrusca ha per noilo stesso valore fonetico che ha in latino la vocale che si trova, nella stessa posizione, nel tema del vocabolo che nella lingua latina corrisponde, per essenza, a quello etrusco.
Tale "regola" non serve, come si è detto, per conoscere la fonetica etrusca: può soltanto servire ad agevolare e a controllare l'esattezza del confronto etimologico tra le due lingue.
In qualche caso è però utile a stabilire, con sufficiente approssimazione il preciso valore fonetico etrusco d'una certa lettera di questo alfabeto
Ad esempio nei vocaboli etruschi CATHAS e CERINE la C iniziale "vale" foneticamente la S latina in quanto motivi di struttura linguistica e di contesto logico (ved. scritta di Laris Pulenas) fanno ritenere con assoluta certezza che i vocaboli stessi corrispondono alle parole "Satas" ed a "Serit(ne)", rispettivamente participio passato (accusativo femminile plurale) e perfetto (3° persona sing.) del verbo latino "Sero" = seminare.
Ebbene, in questi due casi non sembra possa dubitarsi che la pronuncia effettiva dei due vocaboli etruschi fosse perfettamente identica a quella latina per quanto concerne la C iniziale.
In merito alla C (= S) di CATHAS occorre aggiungere che a coloro che negano l'utilità della lingua latina ai fini della traduzione dell'Etrusco, non potrà sfuggire il valore sintomatico che riveste il valore fonetico "S" della C iniziale di CATHAS dato che nella specie si tratta di una C posta innanzi a vocale diversa da E e da I e che, pertanto, dovrebbe suonare come "dura" se CATHAS non fosse il participio passato di "sero"; in questo ultimo caso si dovrebbe però poter negare anche che CERINE corrisponda a "Seritne" e con ciò l'intera interpretazione del testo (Cfr. però SATHAS a p. XXXIV.).
Premesso quanto sopra, può formularsi il seguente sommario prospetto nel quale il valore fonetico latino delle vocali etrusche viene determinato in base al suono della vocale che si trova nella stessa posizione nell'omotematico latino.
Nei casi non indicati nel prospetto, la vocale vale foneticamente come in latino (e in italiano).
VOCALI
Vocale A
Tale vocale vale foneticamente come in latino nella maggior parte dei casi. Vale invece U se il corrispondente latino vale U.
Ad esempio NAPER = NUPER; ARAS' = ARUS(pex) (cfr. Cippo di Perugia).
Spesso A ed A sono "equipollenti" tra loro (cfr. nelle coeve lamine di PyrgiVELIANAS e VELIUNAS, gentilizi notorimente appartenenti alla stessa persona).
Vale invece E se il corrispondente latino reca E : (MULU)VANICE = (MOLITU) VENICE perché tale vocabolo (composto) etrusco corrisponde al latino "veniit". Spesso A ed E sono equipollenti tra loro (cfr. MULAVANICE e MULUVENICE nelle scritte di dedica). Può valere anche il dittongo AE (altre volte espresso da AI).
Vocale E
Vale foneticamente come é scritta nella maggior parte dei casi. Eccezioni: vale I se l'omotematico latina reca I : ENESCI (Cippo di Perugia) corrisponde al latino "Ignesci", per cui la E iniziale vale I
(per quanto riguarda N = GN v. appresso consonante N): vale lat. “oe” (= u: Poeni = Puni): in 35 Herbig Torp (pag. 48) NERINAI = “Nurinae” da “nurus” = donna
Vocale I _______
Vale foneticamente come é scritta, salvo la seguente eccezione: Vale E se il corrispondente latino reca E: la I di ITANIM vale E perché tale vocabolo etrusco corrisponde al latino "Etenim" (cfr. lamina maggiore di Pyrgi; circa A = E nello stesso vocabolo ved. sopra voc. A).
Vocale U
Tale votale suona come è scritta salvo le seguenti eccezioni:
Vale O (mancante nell'alfabeto etrusco) se il corrispondente latino reca O: in TULE (RASE) (cfr. Lamina maggiore di Pyrgi) e TULARU (Cippo di Perugia) TU = TO perché tali vocaboli etruschi corrispondono a voci verbali del latino "Tollo, is".
Vale I se l'omotematico latino reca I ( LUPU = "libus" = "Libatus).
Il dittongo latino AE
Il dittongo latino AE in etrusco é di solito rappresentato daE: AME (cfr.Cippo di Perugia) è il genitivo di AMA anima)
Il dittongo etrusco EI
Tale dittongo vale invece I : in TES' IAMEITALE (Lamina maggiore di Pyrgi)
........... AMEIT.. ..= lat. "Ambit" (circa M = MB v. appresso lettera M).
CONSONANTI
Come per le vocali, anche il suono latino delle consonanti etrusche é determinato in base al suono della consonante che si trova in analoga posizione nella parola latina omotematica.
Nei casi non indicati nel prospetto, la consonante etrusca "suona" come appare scritta nella traslitterazione italiana del testo da tradurre.
Il prospetto che segue riguarda i suoni da attribuire alle consonanti etrusche quali si leggono nella relativa traslitterazione italiana del testo da tradurre:
Ad es. nella parola etrusca plet (Cippo di Perugia) la consonante * viene come é noto- traslitterata in Z : ebbene, nel prospetto si espongono i valori fonetici latini da assegnare a tale "zeta" (nella specie vale "d", per cui ))l./: traslitterato in "zuci", corrisponde al latino "duci", infinito presente del passivo di "duco, is ere".)
Consonante B La consonante B nell'alfabeto etrusco, come é noto, non esiste (salvo casi rarissimi) e, pertanto, del valore fonetico B (ai soli fini della ricerca etimologica) si tratterà anche oltre, in sede di descrizione dei valori fonetici delle consonanti etrusche che "sostituiscono" la B latina.
Atteso però il notevole rilievo linguistico che presenta tale lacuna alfabetica, é bene precisare fin d'ora che il suono latino di B è rappresentato nella lingua estrusca sia da P, sia da H, sia da V.
1) P = B ; PAKHIANAS = lat. "Bachianas " (= feste di Bacco);
Il predetto vocabolo etrusco, peraltro, fornisce una prova della necessità di distinguere tra "regole fonetiche etrusche" (la cui formulazione appare ancora ardua allo stato delle conoscenze) e "regole di comparazione fonetica" tra i suoni delle consonanti latine degli omotematici di paragone e la grafia delle consonanti dei vocaboli etruschi da confrontare ai fini della traduzione, con gli omotematici predetti.
Infatti sebbene PAKHIANAS equivalga al latino "Bachianas (ved. trad.
della scritta di Laris Pulenas in app.), ciò non vuol dire necessariamente che gli etruschi pronunziassero B la P del vocabolo in questione; é probabile, anzi, che la pronunziassero proprio P e di ciò è forse sintomo la parola italiano vernacola "PACCHIA" (insieme con "PACCHIANO") derivata, con ogni probabilità senza passare per il latino, dal citato vocabolo etrusco, la cui P pertanto doveva suonare come era scritta.
- B = H;
Come si é accennato, la B mancante è sostituita, nel senso sopra chiarito, anche dalla H : ved. HEUN in Lamina di Magliano (cfr. app.).
che equivale al latino "Bibens" ( = arcaico "bibuns". Circa E = 1 ed altre peculiarità ved. parti specifiche).
- B = V
Vedere PEVAKH (Mummia di Zagabria in app.).che equivale al latino "Bibax (cis)" = bevitore, ubriacone.
In tale vocabolo etrusco una B é "sostituita" da P ( la prima), mentre l'altra (la seconda) é sostituita da V proprio come nell'italiano "bevitore".
Consonante C (>.e.-ie-K.h)
La C vale la C dura latina quando il corrispondente latino reca la C dura.
Vale invece S, quando il latino reca S: ciò si verifica, come si é detto, quando la C si trova innanzi alla E ed alla I, ma può verificarsi anche quando si trova innanzi a vocale dura (vedi sopra l'esempio relativo ai vocaboli CATHAS e CERINE, rispettivamente corrispondenti ai latini "Satas" e "Seritne"; cfr. inoltre. SATHAS a p.184 - 1 ).
La C, inoltre, vale G -consonante questa assente dall'alfabeto etrusco- quando l'omotematico latino reca la G : vedi CENO = “GENU" nel "Cippo di Perugia".
Consonante D
La consonante D é totalmente inesistente nell'alfabeto etrusco ed é sostituita, come si vedrà appresso, dalla T (T oppure "teta") o dalla Z.
Consonante F ( 8 – 8 )
Suona F se il corrispondente latino reca F o PH (FALAS’ –Cippo di Perugia - cfr. Appendice ) = lat. "Phalas" - genitivo arcaico per Phalae = della torre.).
Consonante G
La consonante G non esiste in etrusco ed è sostituita da C o da Z. (vedere le parti relativa a tali due consonanti).
Consonante H
Tale consonante non ha quasi mai il suono aspirato che ha in latino.
Vale E se il latino reca E . Vedere HUSLN nella "mummia di Zagabria" (v. app.) = latino "FUNERI" . Vedere, a titolo di controprova, "FUSLE (RI) = Funere rito nel Cippo di Perugia" ( v. app.).
Vale B quando il latino reca B (ved. citato vocabolo HEUN = BIBUNS = BIBENS).
Vale V se l'omotematico latino reca V : HETUM (ved. "Mummia di Zagabria" = latino VETUM (ved. traduzione in A pp.).
Consonante L
Vale sempre la L latina.
Consonante M
Vale la M latina . Sostituisce però la mancante B quando il latino reca MB (ved. sopra citato AMEITAL = ambit....... ) nonché la doppia M latina.
Consonante N
Vale, di regola, la N latina.
Se però l'omotematico latino al posto della N etrusca reca GN, la N del vocabolo etrusco corrisponde foneticamente a tale valore: é infatti da tener presente che nell'etrusco manca la G, per cui il suono GN (dolce come in "pegno") é reso dalla sola N: ved. nel "Cippo di Perugia" il vocabolo ENESCI che non é altro che il latino "Ignesci" = essere bruciato (nella specie "cremata".
Inoltre, qualora l'omotematico latino rechi al posto della N etrusca il gruppo ND, la N etrusca rappresenta anche tale valore fonetico, essendo la D assente dall'alfabeto etrusco: vedi S'CUNA e S'CUNE nel "Cippo di Perugia" (cfr. app.) che corrispondono, rispettivamente, ai latini "Secunda" e "Secunde" (avv.). Al riguardo é da tener presente che in etrusco il suono ND non può essere reso con due N in quanto nella lingua etrusca non figura il raddoppiamento delle consonanti: ciò fa si che la N di S'CANA (e di S'CUNE) debba essere letta doppia corrispondendo al latino "secunda": quindi S'CUNA vale foneticamente "Secunna" od anche "Seconna", dato che la U etrusca può rappresentare l'assente O: in quest'ultima caso il suono del vocabolo etrusco sarebbe, peraltro, identico ai "seconna"e "seconno" dei dialetti dell'Etruria meridionale e di Roma.
Consonante P
Vale la P latina. Peraltro, come si é già accennato, la P sostituisce il suono della B, consonante questa assente (tranne rarissimi casi) nell'alfabeto etrusco.
(La B, come si è detto sopra, é sostituita anche da H e da V: vedi sopra i vocaboli etruschi già citati al riguardo).
Consonante Q
Tale consonante è quasi totalmente assente dall'alfabeto etrusco.
Nei numerali KHIM (cfr. Laris Pulenas in trad. cit.) CHIMTHEM e KHIMTH (rispettivamente in Lamina di Magliano e Cippo di Perugia -cfr. app.)
KH e CH sostituiscono la Q(u) dei latini "quinque" e "quindecim" (vedi KHIM anche nella "Mummia di Zagabria" cfr. app.
dove appare due volte).
Consonante S
Vale la S latina se, come si é chiarito sopra, il corrispondente latino reca S.
Suona però anche R in vari casi (così come nel latino arcaico : cfr. "visere" per "videre", nonché "asa" per "ara"). Vale anche la X latina ( assente in etrusco) quando questa consonante non é rappresentata da CS.
Come si é visto sopra, la S é rappresentata in etrusco anche da C. (vedi parte relativa alla C: nel "Cippo di Perugia - trad. cit. - CEI = SEIS = SUIS ).
Consonanti T e TH (rispettivamente e
Valgono la latina T meno che nei casi in cui, come si é visto, sostituiscono l'assente D (cfr. ad es. nel "Cippo di Perugia " trad. cit. - TEIS' = "Deis" e nella "Mummia di Zagabria" - trad. cit. TIS per DIS). TH vale anche S (cfr. THI e THIL = SIBI e SIBI EIUS nel "Cippo di P" - trad. cit. - HATR THI = PATRIAE SIBI nel "Liber L.'trad. cit.).
Consonante V ( )
Suona come la latina V, se il corrispondente latino reca V, meno che nei casi in cui sostituisce l'assente B (vedi sopra HEUN = BIBENS o BIBENTE .
Il suono V, come si é visto, é reso anche dalla consonante H (HETUM = VETUM, nella (“mummia di Z." trad. cit.).
Consonante Z
suono etrusco di tale consonante non corrisponde sempre e completamente a quello latino. La Z, del resto, è scarsamente presente in quest'ultima lingua, come in quelle neolatine.
Come si è visto sopra, la Z sostituisce in etrusco il valore fonetico di varie consonanti latine:
Vale D se il latino reca D (vedi ZUCI = DUCI, ZIA e ZEA = DIA e DEA nel "Cippo di P.", trad. cit.), (vedi ZATHURUMIS = DATUR(UM)IS nella "Mummia di Z". trad. cit.).
Vale G se il corrispondente latino reca G: cfr. nel "Cippo di P."- trad. cit. - LERZINIA = LE(ge) VIR(ginea).
Analizzate brevemente vocali e consonanti ( il presente lavoro non é
un trattato) basti la semplice menzione della "sincope" di vocali, consonanti ed intere sillabe che caratterizza, come é ampiamente noto in Etruscologia, moltissimi vocaboli etruschi. Tale sincope, del resto, é parzialmente presente anche nel latino arcaico: "conia" per "ciconia", "caldus", "vinclum", "defrudo", "sis", "sos" (quest'ultimi per suos e suis) - cfr. C. Cantù op. cit. pag 885.
Tenendo presenti gli elementi di comparazione (lessicali, morfologici e fonetici) sopra esposti, é opportuno procedere, a titolo di esempio, alla analisi comparativa etrusco-latina d'un brano particolarmente significativo ai fini della comparazione stessa:
Si esaminino le seguenti parole etrusche: CEIA HIA ETNAM CIZ VACL TRIN VELTHRE
Alla C iniziale del primo vocabolo si dia il valore di S (vedi elementi di fonetica); al dittongo EI si attribuisca il valore di E (od anche di I); ciò fatto, la pronunzia di CEIA risulterà "SEA" (oppure "sia": vedi sopra il latino arcaico "Sis" per "Suis").
Per ciò che concerne il suono S della C di CEIA cfr., tra l'altro, il latino arcaico "cicurare" (per sicurare" - vedi sopra) e CEI TES'NS = SUIS TENDENTIBUS nel "Cippo di P." (trad. cit.).
Pertanto CEIA = SEA (o "sia") = SUA.
Tali osservazioni non costituiscono certamente la prova che questo sia il significato del vocabolo CEIA. Occorre quindi procedere, ai fini d'una eventuale conferma di tipo contestuale, all'analisi dei vocaboli successivi, seguendo lo stesso ordine di successione del testo originale.
Il secondo vocabolo del brano in esame é: HIA. -
Si attribuisca, in via di ipotesi, alla H iniziale il valore fonetico di E (vedi sopra elementi fonetici ). Come nel caso precedente, tale "attribuzione" di valore, pur corretta -come è noto- linguisticamente non ha ancora giustificazione morfologica.
Attribuito ad HIA, il suono di FIA, quest'ultimo vocabolo risulta strutturalmente identico alla terza persona presente dell'indicativo del verbo "Fio, is" = essere fatto ecc.; la sincope della T finale non é, a rigore, certa, per cui, anche in questo caso, probabilità e non certezza caratterizzano l'equiparazione di HIA con il latino FIAT.
Si esamini il terzo vocabolo. ETNAM.- Tale parola corrisponde totalmente alla forma più antica della latina ETIAM la quale, significando "anche", appare composta da ET e da NAM, vocaboli questi che, presi separatamente, vogliono dire"ed infatti", ossia "anche".
Ma ETIAM, come è noto, oltre a significare "anche", significa pure "anziché"
Si attribuisca, per ora, ad ETNAM il valore di "anziché" esi passi all'esame del quarto vocabolo:
CIZ.
Il tema CI é comune a quello del latino "Civitas". E' evidente che, per il momento, mancano ragioni sufficienti a giustificare una tale assimilazione per cui la assimilazione stessa appare, allo stato della traduzione, affatto empirica. (vedere però sopra l'analisi specifica di CI nel capitolo avente per oggetto i "Dadi di Tuscania").
La Z finale di CIZ è l'iniziale del tema etrusco ZIKH (NE) = SCRIVERE, onde CI-Z é un vocabolo composto. Anche di tale asserzione non può fornirsi alcuna prova intrinseca, onde conviene esaminare il successivo vocabolo:
Il tema VAC é lo stesso dei vocaboli latini "vaco, as, - vacuus, vacans" e simili. La L finale indica, come .è noto, il caso genitivo, per cui VACL considerando assorbita la A tra C ed L, va letteralmente interpretato come "VACAL" (genitivo aggettivato), con il significato di "privo di" (VACL può essere interpretato anche come "vacabile", col significato di " per essere privi di", intendendosi l'espressione all'ablativo assoluto nel senso peculiare etrusco più sopra significato).
Si esamini ora il sesto vocabolo: TRIN.
Il tema di questo vocabolo non é diverso da quello dei vocaboli latini che esprimono il concetto di "tre" (cfr. capitolo dedicato ai "Dadi di Tuscania").
Il senso che abbiamo attribuito alle parole che precedono, orienta la scelta del vocabolo latino corrispondente a TRIN verso la parola "triennium". Quindi TRIN = (da) UN TRIENNIO.
Il settimo vocabolo non presenta difficoltà: VELTHRE.
Si tratta della città di Volterra.
Proviamo ora a dare un senso all'intera proposizione, in base ai significati assegnati, in via sperimentale, alle singole parole esaminate:
CEIA HIA ETNAM CIZ VACL TRIN VELTHRE
Sua Fiat Etiam Ci (vitati) Vacabile Triennio Volaterris
""" La propria (cittadinanza) sia realizzata anziché dell'iscrizione civica essendo privi (stare) da un triennio a Volterra.""" Ossia si realizzi l'autonomia potendo accadere, dopo tre anni di residenza, di restare privi della iscrizione nella cittadinanza di Volterra.
La traduzione, come si vede é letterale e pedissequa, ma il significato é tuttavia cristallino: si tratta di gente che da tre anni abitava a Volterra, senza diritto pieno di cittadinanza (iscrizione ad una tribù, con diritto di voto) e che viene poi invitata a premere per ottenere parità di diritti con la popolazione ospitante.
La compiutezza e la logicità del discorso ottenuto non sono tuttavia sufficienti a far definire esatta la traduzione, ove non venga accertato che il confronto etimologico con i vocaboli omotematici non é arbitrario né in quanto a metodo né avuto riguardo ai confronti singoli ed ai relativi risultati.
Non basta, infatti, che ad ogni parola etrusca corrisponda per struttura una parola latina, ma occorre che tutte le parole tradotte siano tra loro sintatticamente collegate.
Ma, come ad ogni vocabolo etrusco corrisponde un vocabolo latino, così l'intero testo etrusco, nella traduzione latina, DEVE risultare costruito secondo le regole della sintassi latina.
La sintassi di una lingua sconosciuta, infatti, non può essere conosciuta a priori con l'ausilio della linguistica in quanto "la descrizione di un sistema linguistico dipende dalla conoscenza della lingua stessa e non viceversa" (M. Pallottino "L'Etrusco arcaico", atti del colloquio di Firenze 1974 - L. OLschki ed. p.137).
La linguistica, infatti, é "figlia" e non "madre" delle lingue.
La sintassi DEVE quindi emergere nel corso del confronto etimologico. DEVE essere Quella, E SOLO QUELLA della lingua prescelta per il confronto.
Nella specie, dunque, il "discorso" della traduzione latina deve risultare costruito dagli etruschi sulla base delle regole della sintassi latina.
Se ciò risultasse erroneo, erronea sarebbe la scelta della lingua latina ai fini della traduzione etimologica della lingua etrusca ed erronea sarebbe la traduzione stessa.
Ma se dalla traduzione emergesse -per l'intero testo- la sintassi latina, tale circostanza costituirebbe la prova inconfutabile non solo che la lingua prescelta ai fini del confronto é quella "giusta", ma anche e sopratutto che la traduzione é esatta. Infatti, dato che la sintassi non può essere inventata, quella risultante, non può non essere che quella originale.
La frase sopra tradotta non é isolata, ma fa parte di un lungo testo che, come tutti i testi etruschi contenenti "discorsi articolati" (non "MALE CEIA HIA TRINTH ETNAM CIZ ALE"
Anche in questa frase si notano ben CINQUE vocaboli identici ad altrettanti vocaboli della seconda frase (ved. sopra) e QUATTRO vocaboli che sono identici sia ad altrettanti della seconda frase, sia ad altrettanti quattro della prima frase.
Pertanto, in questa terza frase, al primo vocabolo MALE diamo lo stesso significato ("Mali" = preferisci) attribuitogli nella seconda proposizione, mentre agli altri quattro vocaboli (CEIA, HIA, ETNAM,CIZ) attribuiamo gli stessi significati dati loro sia nella prima che nella seconda frase (vedere sopra).
Restano quindi da interpretare due vocaboli non "incontrati" prima e cioè "TRINTH e ALA". Per quanto concerne TRINTH occorre tener presente il significato di "triennio" che é stato sopra attribuito al vocabolo TRIN in sede di interpretazione della prima proposizione: etimologia e contesto rendono inevitabile l'attribuzione a TRINTH del significato di "Trenta" (ved. al riguardo il capitolo dedicato ai "Dadi di Tuscania").
Il vocabolo ALE, a sua volta, ha lo stesso tema dei latini "alius", "alias", "alienus" e simili e tutta la logica del discorso che precede rende obbligatoria l'attribuzione ad ALE del concetto espresso da tali parole latine. Ad ALE "può" quindi assegnarsi il senso di "altrui".
L'intera terza proposizione suona pertanto così:
"Preferisci essere di propria cittadinanza (sui juris) per trenta (anni) anziché di essere iscritto (CI (vitati) scripto) ad una cittadinanza straniera (altrui).
Le successive otto parole (formanti, come si vedrà, una quarta proposizione) sono le seguenti:
"MALE CEIA HIA ETNAM CIZ VACL VILE VALE"
Di queste otto parole, come si vede, solo le due ultime sono, per così dire, "nuove": VILE e VALE.
Ma il contesto precedente rende ormai agevole il confronto etimologico etrusco-latino: VILE, infatti, non é altro che il latino "vilis", é " (spregevole e simili); VALE, a sua volta, é palesemente omotematico del verbo latino "valeo, es, ere" dall'evidente significato. A VILE VALE si può pertanto attribuire il senso di "vile valente" = essendo valutato spregevole.
La frase che precede può quindi essere tradotta letteralmente così:
"MALE CEIA FIA ETNAM CIZ VACL VILE VALE"
Mali sua fiat etiam civitatis scripti vacabile vile valente
Preferisci che la propria (citt.) sia realizzata anziché per essere privo (VACL = Vacabile: ved.sopra il peculiare senso dell'abl. ass. etrusco) d'iscrizione civica essere stimato spregevole.
Le successive sei parole formano, a loro volta, un'altra proposizione: "STAILE ITRILE HIA CIZ TRINTHAS'A S'ACNITN"*
Stabile "divisuri (LE)" fiat civitati scriptio trigintaria saginandi teniti (?) (oppure "antibus"?)
Per essere stabilmente ripartiti (ITRI = (divisuri in base alla celebre glossa relativa ad ITUS = "Idi": divisione a metà del mese) (nelle tribù) si realizzi l'iscrizione alla cittadinanza per trenta anni consentendoci di mantenerla.
Le preposizioni che precedono fanno parte del testo scritto sulle fasce di lino ("liber linteus") che avvolgevano la cosidetta "Mummia di Zagabria" (portata dall'Egitto da un viaggiatore Croato e conservata presso il Museo di Zagabria). Le (circa) 1500 parole scritte su tale "liber linteus" costituiscono, come è noto il, maggiore testo etrusco pervenutoci (ved. la relativa traduzione in appendice).
Sebbene la traduzione delle proposizioni che precedono sia suscettibile di perfezionamenti, si può affermare con tranquillità che il contenuto delle stesse (così come il contenuto dell'intero "liber" quale risulta dalla traduzione
Infatti le parole che nelle varie frasi si ripetono "forniscono" significati perfettamente logici pur affiancate alle parole che non si ripetono. Il senso delle parole ripetute può sembrare dubbio nella prima proposizione, ma ripetendosi più volte il vocabolo, dando luogo sempre ad un discorso sintatticamente e logicamente ineccepibile, la traduzione di ciascuna proposizione non può non ricevere conferma di esattezza dalla traduzione di ciascuna delle altre; per tale motivo -oltre che dal contesto della traduzione completa del "liber" sopra citata- l'esattezza complessiva dell'intera versione delle proposizioni che precedono appare confermata dall'evidenza.
"combinazione" è infatti usata, nella specie, solo quale mezzo di controllo e quale forma di esemplificazione dell'esattezza della traduzione etimologica della prima delle proposizioni tradotte. E' chiaro, infatti, che, per poter tradurre la prima frase (o quella scelta per prima) nessun procedimento di tipo "combinatorio" potrebbe soccorrere qualora venisse omessa la comparazione etimologica. La prova di tale assunto è data anche dall'ormai ammesso fallimento del metodo interpretativo puramente combinatorio finora usato dalla Etruscologia prevalente.
Pertanto il testo di cui sopra è stato prescelto in quanto nello stesso il confronto tra le varie frasi, lungi dall'essere fine a se stesso, fornisce invece la conferma dell'esattezza della traduzione etimologica e -per tale motivo- della validità del metodo etimologico stesso in sede d'interpretazione di qualsiasi testo della lingua etrusca,
Ma è "lecito" confrontare etimologicamente l'Etrusco col Latino'? Nel "liber linteus" è ripetuta "fino alla noia" una frase:
"KHIS CISUM PUTE TUL THANSUR HATHR THI REPINTHI C; traduzione latina: Quis civium potest tolerare damnosiora patriae, sibi repetundis ac." ossia: quale dei cittadini può tollerare danni maggiori alla patria, a se, delle estorsioni di denaro e...?": per THI = sibi si veda la citata traduzione del Cippo di Perugia; per la H = F e quindi P, di HATHR = Patriae, si tengano presenti, ai fini della classificazione indogermanica dell'Etrusco, i nomi con i quali Tedeschi ed Anglosassoni chiamano il padre; per il resto della frase si tengano presenti gli elementi (pur scarsissimi) di fonologia sopra esposti.
LE ISCRIZIONI BREVI
Su molti reperti archeologici databili tra il settimo ed il primo secolo A.C. si leggono brevi scritte che sono unanimemente riconosciute quali "dediche".
La maggior parte di tali brevi scritte comprende i vocaboli MI, MINI, MULUVANICE, MULUVANICHE.
In merito a tali vocaboli, la cui interpretazione è fondamentale ai fini della traduzione delle scritte in questione, il prof. Mauro Cristofani (M. Cristofani, "Introduzione allo studio dell'Etrusco", L. Olschki Firenze, rist. 1977, pag. 84,85.) afferma quanto segue:
"Una delle prime scoperte sull'etrusco può essere considerata la individuazione del pronome personale MI facilmente riscontrabile in testi epigrafici nei quali l'oggetto è per solito "parlante". L'oggetto iscritto, infatti, nelle formule delle epigrafi più antiche del mondo classico parla spesso in prima persona e come tale fornisce esso stesso, a chi riceve il messaggio, quegli elementi fissi che caratterizzano la situazione descritta nell'enunciato."
Il Cristofani cita al riguardo due esempi, nel primo dei quali MI viene interpretato "io", mentre nel secondo MINI è interpretato "me".
a) TLE 63 MI QUTUM KARKANAS
"Io X.1,4J1.9rAjV di Karkana (1)
b) TLE 57
MINI MULUVANICE MAMARCE VELKHANAS
"Me dedicò (?) Mamarce Velkhana".
Il Cristofani afferma inoltre che " nei testi relativi a dediche MI occorre in contesti con nomi di possessori caratterizzati dal morfema in funzione possessiva (come nel caso a) o a predicati del tipo in U (MULU ALIQU, ZINAKU), mentre MINI, a sua volta, occorre in contesti con nomi di possessori in caso zero, o con predicati verbali terminanti in CE."
"Ne consegue", conclude il Cristofani, "che MINI realizza una funzione oggettiva". Il Cristofani stesso, però, aggiunge: " si conoscono pochi
casi nei quali MI è in distribuzione complementare ance con predicati in CE".
(1) QUTUM è interpretato quale prestito greco da, C1A/ 175)V , nome di vaso
per versare.
Sia il Cristofani, sia l'Etruscologia moderna attribuiscono a MI il signif.
di "io"; per conseguenza, a MINI il significato di "me".
Sulla base di tale teoria la maggior parte degli Etruscologi assegna al l'espressione MINI MULUVANICE il significato di "me ha dedicato" (cfr. esempio sub b) del Cristofani) mentre, per converso,all'espressione MI MULUVANIKE viene attribuito il significato di "io sono stato dedicato".
Le due predette espressioni figurano, com'è noto, in moltissime dediche di doni. Nelle scritte relative, quindi, MI (presunto "io") "deve" accompagnarsi con MULUVANIKE (presunto "fui donato”) mentre MINI (presunto "me") "deve" accompagnarsi con MULUVANICE (presunto "ha donato").
Ma si è visto sopra come il Cristofani ammetta che, in alcuni casi, MI anziché figurare accanto a MULUVANIKE, figuri accanto a predicati verbali in CE.
Occorre però precisare che tra tali predicati verbali in CE figuranti accanto a MI anziché accanto a MINI è compreso proprio il verbo MULUVANICE. Tale circostanza appare sintomatica dato che MULUVANICE è ( come da tempo notorio) voce attiva dello stesso verbo di cui MULUVANIKE è voce passiva.
Se quindi anche in sede di coniugazione d'un solo verbo, tra le migliaia della lingua etrusca, la teoria che prevede MI solo accanto a voci passive in KE (dato MI = io) e MINI solo accanto a voci attive in CE (dato MINI = me) "soffre" d'un'eccezione di tale portata in ben quattro casi (conosciuti) il dubbio sulla consistenza scientifica della teoria stessa non può non apparire più che legittimo.
Alcuni di tali casi -nei quali figurano le combinazioni "anomale" MI MULU VANICE e MINI MULUVANIKE- compaiono in una elencazione di brevi scritte dedicatorie effettuata dal citato Prof. M. Cristofani in occasione del colloquio sull'Etrusco arcaico tenutosi a Firenze il 4 - 5 ottobre 1974 (3).
Infatti nella scritta REE 1972, 30 (4) MI USILE MULUVANICE e nella scritta TLE 868 (4) MI ARANTH RAMUTHASI VESTIRICINALA MULUVANICE, vediamo che MI (presunto "IO") non figura con MULUVANIKE (presunto "sono stato donato"); pertanto, sulla base dell'analizzata teoria, la prima frase dovrebbe essere -assurdamente- tradotta "IO USILE ha donato" e la seconda - altrettanto assurdamente - "Io Arunte (a) Ramutha Vestiricinala ha donato".
Il Cristofani -in sede di traduzione di questa seconda frase- evita di attribuire al MI della scritta il senso di "io" (senso obbligatorio in base all'analizzata teoria), interpretando "Me Aranth a Ramutha dedicò" e commentando: "MI sta qui, molto probabilmente, per MINI, dal momento che MINI è per solito in distribuzione complementare con forme in CE...si conoscono però altri quattro casi in cui MI funziona da oggetto." (5)
3) In "Atti del colloquio sul tema "L'Etrusco Arcaico"- L. Olschki, Editore, Firenze - pagg. 107-108.
4) Cristofani op. sopra citata, p. 107, nn.21 e 33.
Ma ritenere che "probabilmente" MI, nella specie, "sta per MINI" dato che "di solito" è MINI che figura insieme ai verbi in CE ( come il MULUVANICE della scritta, mentre MI = "io" = l'oggetto parlante, può figurare solo con i verbi passivi in KE come MULUVANIKE) é pura supposizione.
Al riguardo, nella scritta in esame, l'unica certezza é l'esistenza d'un MI - presunto "io" - accanto ad una voce verbale in terza persona attiva ("ha dedicato"). Il che é palesemente assurdo.
Per tali motivi é da ritenere quanto meno dubbio il valore di "io" attribuito dagli Etruscologi a MI; tanto più che, come si è visto, l'Autore citato (v. sopra) afferma che "si conoscono altri quattro casi in cui Mi funziona da oggetto"; tanto più che, come si é detto, (e come si vedrà) alcune di queste funzioni anomale di MI si riscontrano in corrispondenza d'un solo verbo (MULUVANICE) tra migliaia di verbi etruschi.
Ma anche dando per attendibile la probabilità sostenuta dal Cristofani (v. sopra) che nella TLE 868 sopra riportata e negli altri quattro casi accennati MI stia per MINI; poiché esistono altre scritte nelle quali si verifica il fenomeno inverso ( e cioè MINI MULUVANICE anziché MI MULUVANICE) resterebbe da spiegare come mai un'anomalia del genere si possa verificare anche per l'altro presunto pronome MINI (presunto "me" accusativo di MI = "Io") rispetto a MI. Infatti oltre all'analizzata ipotesi relativa ad un MI in funzione d MINI, per poter spiegare i casi nei quali si legge MINI MULUVANICE, si dovrebbe, per coerenza, supporre che, come MI non sempre vale MI ma a volte vale MINI, così MINI, non sempre vale MINI ma a volte vale MI. Ma una simile ambivalenza reciproca dei due vocaboli non può non apparire improbabile.
Un esempio del secondo tipo di "ambivalenza" (ossia MINI in luogo di MI) é constatabile nella TLE 917 (6):
MINI MULUVANIKE VENEL RAPALES LAIVEN (....).
5) Cristofani, "Introduzione allo studio dell'Etrusco" cit. p. 136.
6) M. Cristofani, "l'Etrusco Arcaico" cit. pag. 109, n.61.
In tale frase vediamo che MINI (presunto 'me', accusativo di MI = io) non é in relazione con il verbo all'attivo MULUVANICE (presunto "ha donato o dedicato”) bensì col passivo MULUVANIKE (presunto “sono stato donato o dedicato”) onde la frase stessa, conformemente alla teoria analizzata andrebbe assurdamente tradotta “Me (complemento oggetto) sono stato dedicato da... VENEL RAPALES LAIVEN' (chi “parla" é naturalmente l'oggetto).
Un altro esempio nel quale accanto al passivo MULUVANEKE figura il "complemento oggetto” MINI anziché il soggetto MI, é costituito dalla celebre scritta TLE 363 di Vetulonia (7):
“ (A) VELES' (.) ELUSKES' TUSNUTN... PANALAS' MINI MULUVANIKE HIRUMINA PHERNAKHS".
In tale scritta, secondo la regola in base alla quale MINI = 'me', la espressione MINI MULUVANEKE si deve interpretare "me sono stato dedicato” oppure, stando a quanto si é 'dovuto' ipotizzare per l'inversa anomalia relativa a MI, si deve ritenere che, nella specie, MINI stia in luogo di MI.
E' peraltro da tener presente, in merito a tale iscrizione, che le parole che la compongono sono incise come é noto sopra una stele di rude pietra rappresentante un guerriero armato d'ascia bipenne, con scudo ed elmo.
Dato per scontato che MI significhi 'io' e MINI significhi 'me' e che quindi nelle lapidi etrusche i discorsi si tenessero in prima persona, riesce invero un po’ arduo credere che scolpendo la figura d'un defunto (nella specie, per giunta, probabilmente illustre) tra questi e la stele preferissero far parlare quest'ultima.
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