Ma gli Etruscologi escludono implicitamente che a parlare sia il guerriero: infatti, prescindendo dall'incongruenza della traduzione “me sono stato dedicato” (MINI MULUVANIKE) che la loro teoria impone, dato che MULUVANIKE significa per essi' sono stato dedicato', tali parole non possono essere certamente attribuite al defunto.
Secondo gli Etruscologi quindi, anche in questo caso come in tutti quelli in cui figurano le parole in esame, é l'oggetto (nella specie una stele) a parlare in prima persona, il che, se la stele non era nominata, doveva rendere problematico per chi leggeva individuare subito 'l'interlocutore', mentre, se era nominata, il pronome, MINI o MI che fosse, doveva risultare pleonastico.
(7) Cfr. il testo traslitterato in M. Cristofani, "L'Etrusco Arcaico' citato pag. 109, n.62.
Quelle finora esposte non sono le sole ragioni d'inattendibilità della tesi etruscologica relativa al valore pronominale attribuito a MI ed a MINI.
Si é visto come le interpretazioni pronominali MI= “io" e MINI= "me” non reggano in sede d'analisi del rapporto dei due vocaboli con le voci verbali MULUVANIKE e MULUVANICE.
Ma anche a prescindere dall'inattendibilità dell'individuazione distintiva dei significati 'io' e 'me' nei vocaboli "MI" e "'MINI', é la natura pronominale di questi che non può essere condivisa.
La moderna etruscologia, avversando, come é noto, i metodi etimologici d'interpretazione, segue da vari decenni il metodo interpretativo detto 'combinatorio' in quanto fondato, soprattutto, sull'esame della posizione dei singoli vocaboli nelle iscrizioni.
Ebbene (ragioni etimologiche a parte) sono proprio di indole combinatoria i motivi che vietano di ritenere sottinteso il verbo essere, e quindi di tradurre 'io' il MI, nelle frasi di dedica.
Si esaminino le seguenti scritte:
Coppa Fabretti 354 (8) - MI FULUIAL
TLE 54 (9) - MI LARTHIA
In tali scritte ma gli esempi possibili sono numerosi- come é evidente e come é pacifico tra gli Etruscologi, manca il vocabolo indicante il verbo per cui questo se MI significa 'io' - dovrebbe ritenersi sottinteso.
Interpretando MI quale 'io' -in applicazione della teoria analizzata la prima frase andrebbe tradotta "I. (sono) di Fului", ove chi parla é la coppa FA 354 ed ove FULUI equivale palesemente al latino Fulvia.
La seconda frase viene interpretata dal Cristofani (9) 'Io di Larth (sono)' ove, a parlare è una coppa.
Nelle scritte in questione, dunque, deve ritenersi sottinteso il verbo essere se si vuole attribuire a MI il senso di "io". L'attribuzione di tale significato deriva sopratutto, come già si é accennato, (cfr. introduzione) da una supposta identità tra l'espressione etrusca "MI QUTUM (LEMAUSNAS..) "(T.L.E. 28: ved. Interpr. Nella parte specifica ) o l'espressione latino - falisca
"Eco quto (euotenosio) " identità che però non appare fornita di valida dimostrazione (cfr. introduzione).
8) Traslitterazione in Pontrandolfi "Gli Etruschi e la loro lingua' - traduzione dal tedesco dell'art. 'Etruskisce sprache' del Prof. Skutsch, pag. 137, Bastogi, Livorno.
9) Testo, traslitterazione e traduzione da M. Cristofani, 'Introduzione allo studio dell'Etrusco' cit. pag. 131.
Ma, anche prescindendo dal confutare la predetta equiparazione e ritenendo sottinteso il verbo essere nelle frasi MI FULUIAL e MI LARTHIA sopra riportate, é da chiedersi quale verbo possa essere riferito a MI nella scritta "CUPES CARPUNIES MI" (T.L.E. 19) (10) e nella frase "VELKHA (X) EPUSTMINAS MI (T.L.E.22) (10) nelle quali" il MI, presunto "ío" figura in fine di frase.
Inoltre, quale verbo potrà essere riferito a MI nella frase R.E.E. 1972, compresa una elencazione del citato Cristofani (11):
"EI MIPI CAPI MI NUNAR AVEQUS MI " cfr. appresso "iscrizioni brevi)
ove malgrado la brevità del discorso figurano ben due MI nei quali, secondo gli Etruscologi, dovrebbero leggersi ben due "io"?
Nella specie, infatti, oltre a chiarire quale verbo possa essere riferito al Mi finale come nelle due frasi che precedono, è da chiedersi: quale dei due "io" si riferisce all'oggetto parlante" ?
Essendo evidentemente uno solo tale "oggetto parlante", a chi o a che cosa può mai riferirsi l'altro "io" senza causare confusione in sede di lettura? Ossia, chi parlava oltre l'oggetto parlante?
In verità la semplice posizione di tali quesiti potrebbe essere ritenuta sufficiente ad attestare l'inattendibilità della interpretazione pronominale di MI della conseguente teoria relativa all'oggetto parlante.
(10) Da "Testimonia linguae etruscae" di M. Pallottino, pag. 23.
(11) M. Cristofani "L'Etrusco arcaico" atti del colloquio di Firenze, cit. L. Olschk , edit., pag. 108 n. 47
La teoria in esame va peraltro disattesa anche per ragioni d'indole diversa da quelle linguistiche. Sembra infatti storicamente improbabile cine nell'Etruria romanizzata della tarda Repubblica (a tale epoca risalgono alcune scritte recanti il vocabolo MI) potesse sussistere l'uso di far "parlare" l'oggetto inscritto in prima persona.
ANALISI ETIMOLOGICA DEI VOCABOLI MI, MINI, MULU, MULUVANICE E MULUVANIKE
1° - I vocaboli MI e MINI.
Da quanto esposto nelle pagine che precedono si può evincere che MI e MINI non sono pronomi.
Del pari è da escludersi che gli stessi possano essere verbi. Infatti
i predicati verbali delle proposizioni di dedica sono, come é noto, le voci verbali MULUVANICE e MULUVANIKE (oltre a MULO e ad altri verbi).
E inoltre impossibile ravvisare in MI e MINI altre parti del discorso: lo fanno escludere, ad esempio, frasi come “MI FULUIAL” ove il secondo vocabolo non é altro che il genitivo di FULUI (= lat. Fulvia). Tale frase, peraltro, composta com'è da MI e da nome di persona al genitivo, rende agevole individuare la parte del discorso da ravvisare in MI: si tratta, con ogni evidenza, di un nome comune. MI FULUIAL equivale quindi a 'X di FULUI'.
l' ''X" della frase che precede e delle altre che recano MI appare, a prima vista, agevolmente interpretabile quale 'dono'. Ma, in realtà, non é così. Il MI, infatti, figura anche in una serie di scritte di carattere diverso dal dono, come sono ad esempio, quelle funerarie che si leggono sulle urne e sui frontali delle tombe, nelle quali il concetto di liberalità é palesemente da escludersi.
Poiché MI figura in iscrizioni di tipo tanto diverso tra loro non può dubitarsi che il concetto insito in tale nome debba essere di portata molto ampia.
Tale ampiezza concettuale, mentre fa escludere, per quanto detto sopra, che il significato di MI inerisca ad oggetti specifici, rende inevitabile ritenere che il vocabolo debba esprimere un concetto di natura astratta.
Il più astratto dei concetti é il pensiero e la scrittura serve a 'fissarlo' nella mente di chi legge, Certamente il pensiero di chi donava un vaso ad un amico era di tipo diverso da quello di chi faceva incidere una scritta sulla tomba dei suoi cari. Ma sia l'uno che l'altro scrivente avevano almeno un'esigenza in comune: quella di chiarire i motivi dell'azione posta in essere dallo scrivente col mandare un vaso, col far costruire un sarcofago o una stele. Per motivi non s'intendono qui quelli di natura contingente bensì quelli che, pur non essendo specificati, sono tuttavia 'contemplati'
ed espressi, nella lingua italiana o nelle altre moderne, con le parole 'pensiero', 'mente', 'memoria', 'intenzione', 'cuore", 'animo', 'volonta'.
La lingua latina, disponendo di maggior forza espressiva, con un solo vocabolo "mens”, riesce ad esprimere tutti questi concetti.
Il tema di 'mens' é lo stesso del verbo "memini' (= ricordare, ossia "essere presente nella mente') la cui origine etimologica è opportuno ricercare.
Al riguardo appare utile tener presente l'etimologia del nome 'Minerva".
Secondo Isidoro ("Etymologiae') il nome di tale Dea significherebbe "munus artium variarum" (1) A parte l'attendibilità, notoriamente non cospicua, delle etimologie proposte dal predetto Autore, é da riconoscere che nella parola "Minerva' il grafema 'mine' appare identico al MINE della TLE 481 (cfr. Cristofani, 'L'Etrusco arcaico', cit. p.109) e tematicamente con nesso al MINI ed al MI di molte altre iscrizioni di dedica.
(1) C. Cantù, op. cít. p. 865.
Ciò in quanto il predetto nome, pur appartenendo ad una Dea che corrisponde alla greca Atena, é di sicura origine estrusca come, ragioni storiche a parte, attesta la desinenza in VA che nella lingua etrusca esprime, grosso modo, quello stesso concetto che, in latino ed in italiano, è espresso dalla desinenza 'iva” ad indicare, in certo qual modo, una "relazione di passività' o di “suscettibilità" (Cfr. ital. 'seminativa' operativa ecc.)
Il nome della Dea in questione in lingua etrusca è infatti, come è noto, MNRVA.
A parte la sincope vocalica, in tale nome il tema MI è lo stesso del nome latino 'Minerva", ma in ambedue i vocaboli a MI segue il suffisso 'Ne': occorre dare un senso al grafema MINE che ne risulta.
Isidoro come si è visto, collega MINE al latino "munus = dono" ed il carattere donativo di molte scritte sembrerebbe rendere inconfutabile tale tesi se in etrusco il suffisso stesso non figurasse, come si è sopra accennato, anche in scritte di natura diversa e se non ostassero altre ragioni.
Infatti l'interpretazione, ad opera di Isidoro, del suffisso VA quale tema di 'variarum" (artium) non appare attendibile alla luce dell'esame delle origini mitologiche del culto della Dea Minerva il cui nome 'italicizzato' dovrebbe esprimere verosimilmente lo stesso concetto della 'versione' greca
di tale divinità: lo stesso concetto, quindi, Insito nel nome greco di "Atena".
Come é noto, Atena era considerata la Dea della sapienza, in quanto era nata armata dalla testa di Giove e concepita pertanto nella mente di quest'ultimo.
Tale circostanza appare rappresentata nella struttura del vocabolo 'Atena': A (alfa) - TE ('teou') NA (da "Nous" = "mente"), onde 'A Teou Na" 'dalla mente del Dio' (nata).
Trattandosi della stessa Dea, il nome italico della stessa, 'Minerva', dovrebbe logicamente contenere un concetto analogo.
'Mi' è infatti il tema del verbo latino "Mèmini" il cui significato di 'io ricordo' deriva dall'essere il vocabolo composto da "me" = "mea", "mi" = "mente' e 'ni' (= in), onde si ha: 'in mea mente (est).
"Mine', nel nome 'Minerva', è composto da 'Mi" = "mente" e da 'ne', suffisso questo omotematico dei latini 'in' e "ne" che sono tra loro omologhi proprio come lo sono, in italiano, 'in' e 'ne'. E pertanto da ritenere che 'Mine' nel nome 'Minerva', significhi 'In mente'.
Ma tra 'Mine' e la desinenza "Va", il nome "Minerva" reca la lettera 'r". Con tale lettera terminano i vocaboli latini (ed italiani nella forma 're') esprimenti il concetto di 'svolgimento di una azione' quali sono i nomi e
gli aggettivi con desinenze in "or" "ar", "er" (serie amplissima: ved. ad es. "ductor", "dispar", "congener").
In tali vocaboli la 'r' finale rappresenta la radice tematica del vocabolo latino 'rea" e del vocabolo etrusco RI il cui significato primario è, per ambedue, "scorrimento".
Infatti, come è noto, Ri in etrusco significa anche "vita' a significare la diversità di tale stato rispetto alla stasi rappresentato dalla morte (ma cfr. nella "Tegola di Capua' Picas Ri = 'bigas ruere" = (far) correre le bighe). Il significato primario del vocabolo latino "reo", d'altra parte, è "attività' onde 'res Pubblica" = 'vita pubblica', "attività pubblica".
Dall'etrusco RI traggono origine il latino "ritus" e l'italiano "rito"
ad indicare quel complesso di azioni in forza delle quali le prescrizioni giuridiche e religiose si realizzano, ossia 'scorrono ', ossia 'vivono" e senza le quali rimarrebbero "lettera morta'.
Elemento costitutivo delle lingue sono, come é noto, le consonanti, essendo, le vocali l'elemento accidentale.
Il tema di RI é la lettera R. E non lo è per semplice caso.
Di tutte le consonanti (di tutti gli alfabeti) la R è l'unica che in sede di pronunzia, può "risuonare" per un tempo indefinito senza aver bisogno di essere "sonorizzata" mediante l'aggiunta di una vocale. Ogni altra consonante infatti, anche con l'aggiunta di una vocale, può "risuonare" solo nell'istante della pronunzia.
Soltanto la S presenta, ma in misura infinitamente più lieve, lo stesso fenomeno ed è forse questo il motivo della nota equipollenza grafico-fonetica tra le due consonanti nelle lingue arcaiche (cfr. ad es. "asa" per "ara" nel latino arcaico).
Il suono della r quindi "scorre" (e quindi "vive") senza bisogno di vocali mentre il suono di tutte le altre "muore", senza vocale, non appena é stato emesso.
Questo fu forse l'inconscio motivo per cui nei primordi la lettera R simboleggiò il movimento, fatto questo, che confrontato con l'inerzia della morte, era verosimilmente l'unico elemento di giudizio a disposizione dell'umanità primitiva ai fini della distinzione tra la morte e la vita.
Un simile elemento di distinzione non poté non aver riscontro nella lingua e restarvi per millenni. Così nel "ductor" l'azione del "ducere" scorre e quindi "vive" e di tale "vita" é "simbolo" linguistico la lettera r che é il tema dell'etrusco RI significante appunto, in senso traslato, "vita".
Il vocabolo RI = "vita" é tuttora "vivo" nella lingua italiana, nei vocaboli che esprimono il ripetersi (= tornare in vita) d'una certa azione. Tanto per fare un solo esempio, nel verbo "rileggere" l'azione del leggere torna a vivere (ossia a "scorrere", a "svolgersi") e questo tornare a "vivere" è espresso appunto dal prefisso "ri" che non é nulla di diverso dall'etrusco RI = vita. Ed é nell'idea di scorrimento insita in RI che trova spiegazione l'omotomatica desinenza in "re", "ri", "r" del modo, infinito dei verbi della lingua latina e di quelle neolatine: nell'infinito, infatti, come é noto, l'azione del verbo "scorre" (es.: "scrivere") al contrario di quanto avviene nei modi finiti (es.: "scrivo") nei quali l'azione é istantanea.
Non diversa è la "funzione" della "r" nel nome "Minerva" nel quale, pertanto, "Miner" contiene i due concetti di "in mente" e di "vivere" (o "scorrere", "perdurare"). Tali concetti sono gli stessi della parola italiana "Reminiscenza" le cui componenti essenziali sono "re" (tema di RI) e -sintomaticamente- "Mini" che é lo stesso vocabolo che figura nelle iscrizioni etrusche di dedica, oggetto della presente trattazione.
"Minerva" equivale quindi a MI - NE - R(I) - VA, ove, analizzati nel modo di cui sopra i primi tre elementi, il suffisso finale VA é
da connettere al tema dei verbi latini (desunti in epoca classica) "vado, is" (andare), "vador, aris" (chiedere garanzia) e dei nomi "vas, dis" e "vadimonium" (garanzia, sicurezza).
Minerva significa, nella sostanza, colei che é garantita dal pensiero (del padre nella cui mente é nata) che (in Lei) continua a "scorrere" (vivere).
E' quindi al tema di "memini" (ed al tema di "mens", più che al tema di "munus" (come pensava Isidoro) che vanno collegati i vocaboli etruschi MI, MINI e MINE.
Nella specie, però, si é forse di fronte ad un falso dilemma. Che sia così, sembra attestato sia da ragioni "grafotoniche" (sit venia verbo) in quanto la "i" di "MINI" e la "u" di "Munus" sono equipollenti (cfr. "maxumus" per "maximus" e -nell'epitaffio di Scipione sopra riportato- "pari suma" per "purissima"); sia -sopratutto- da ragioni di indole lessicale, dato che il concetto espresso dal tema di MI ("memini", "mens") è all'incirca quello stesso espresso dal tema di "munus".
Quest'ultimo vocabolo, infatti, significa sopratutto "funzione" (Munus publicum a funzione pubblica, carica) con riferimento al comportamento consistente nel "prendersi cura", ossia "darsi pensiero" di qualche incombenza ed é solo interpretato come "pensiero" che potè assumere anche il significato di "dono", vocabolo quest'ultimo che, anche in italiano, non per nulla é sinonimo di "pensiero" o di "presente", espressioni queste che, come é noto, sono tuttora usate da chi dona.
Della equipollenza concettuale e fonologica esistente tra il tema di "nemini" (MI) e quello di "Munus" ("Mu") si trova anche indizio nel vocabolo latino "Munis" = "obbligante", "votivo", "relativo all'Officium"; nel vocabolo "Munio, nis" (nome di un inno in onore di Apollo); nel vocabolo "Minio, nis" (nome di un fiume dell'Etruria Meridionale menzionato nel canto X° della Eneide, odierno "Mignone") nonché nel vocabolo "Munio, nis" (nome di un fiume dell'Etruria Settentrionale, odierno "Mugnone in Firenze").
Il concetto espresso da "Munus" e la corrispondenza concettuale esistente tra le formalmente diverse espressioni "Minio" e "Munio" sembrano pertanto far fede della connessione concettuale tra i due vocaboli onde, tenuto conto delle precedenti considerazioni, analoga connessione va ravvisata tra il tema di "Memini" (o di "mens") e quello di "Munus".
Per tali motivi è da ritenere che MI, MINI (e MINE) esprimano lo stesso concetto insito nel vocabolo latino "mens" con i diversi significati sopra menzionati.
"Mens è connesso con "memini (= "mente in me", ove "me" è il pronome, "mi" = "mente" = etrusco MI, "ni" = "in" ed ove "mente" è ablativo assoluto).
Nel latino arcaico MED significa "me" (come TED = "te"). Ma MED è anche l'equivalente arcaico dell'omotematica particella la classica "Met" di "egomet", "nosmet" (= "io medesimo", noi medesimi", ecc.).E’ con tale voce (indeclinabile) e non con "me" che va tradotto il "MED" che figura -dopo il nome del fabbricante- nelle scritte latine arcaiche della "Fibula Praenestina"
e della "Cista Ficoroni", nelle quali è da ritenere che l'artista abbia inteso precisare che il lavoro era stato eseguito da lui in persona e non dai dipendenti:
(Fibula Praenestina) "Manios MED vhevhaked Numasjoi" (2) = Manio medesimo (personalmente) l'ha fatto per Numerio;
Che MED vada tradotto con "met" (come in "ego - met") e non con "me" (pur essendo di identica struttura tematica)e provato dalla scritta della "Cista Ficoroni" nella quuale il "MED" della seconda proposizione non può certamente essere rìferito a quella precedente:
" Dindia Macolnia fileai dedit. Novios Plautios MED Romai fecit (3) Macolnia alla figlia l'ha dato. Nevio Plauzio medesimo (di persona) in Roma l'ha fatto.
L'Italiano "medesimo" (deriva dal "met" di "egomet"), come è noto, è legittimamente usato sia con i pronomi personali(come il classico "met") sia con i nomi personali (come l'arcaico MED).
E da ritenere pertanto che l'oggetto delle scritte di dedica, oltre a non "parlare" in etrusco, non parlasse neppure in latino.
2) E' nel Museo Pigorini di Roma. (Cifr. N. Palermo- "Disegno storico della letteratura latina Ed. Cremonese, p. 15)
3) E' nel Museo di Villa Giulia di Roma (cifr. N. Palermo,op. cit.p. 16).
2° - I vocaboli MULUVANICE, MULUVANIKE e MULU.
Nella frase "MINI MULUVANICE MAMARCE VELKHANAS" scritta sopra un vaso arcaico del 600 A.C. circa (TLE 57, da M. Cristofani, "L'Etrusco arcaico" cit. pag. 107) il primo vocabolo "MINI", in base a quanto sopra esposto, equivale al latino "in mente".
Pertanto, poiché MAMARCE VELKHANAS rappresenta evidentemente il prenome ed il gentilizio (Marco Velkhanas) del dedicante, è chiaro che il restante vocabolo MULUVANICE non può essere che il predicato della proposizione.
Sulla base dell'interpretazione pronominale di MINI (v. sopra) gli Etruscologi traducono la frase predetta: "Mi ha donato MAMARCE VELKHANAS (cfr. M. Pallottino, "Etruscologia", Hoepli, p. 406) ove, sempre in base alla stessa teoria, il vaso recante la scritta dovrebbe essere interpretato quale "parlante".
Al riguardo è da chiarire che, nella specie, MULUVANICE viene tradotto "ha donato" non per esserne stato individuato il significato "intrinseco", bensì in forza di deduzioni di carattere "combinatorio" in base alla quale, individuato agevolmente il donante in MARCE VELKHANAS, nel vocabolo MULUVANICE è stata ravvisata l'azione del donare.
In effetti il verbo MULUVANICE evidenzia indubbiamente il rapporto che intercorre tra l'azione d'una persona ed il risultato di tale azione. Il vocabolo in questione, però, non può significare "ha donato".
Infatti, quale donante potrà essere ravvisato nella scritta scolpita sulla celebre stele di Vetulonia recante l'immagine di "Avele Veluskhe" in tenuta da guerriero e nella quale pure si legge, oltre MINI, la parola MULOVANIKE che è altra voce dello stesso verbo di cui alla scritta sopra riportata?
Pertanto il verbo in questione, figurando anche in iscrizioni di natura "non donativa", deve esprimere un concetto diverso e più ampio rispetto a quello del donare.
"combinatorio" adoperato fin qui dall'Etruscologia, non è possibile individuare tale concetto a ciò non bastando, per motivi evidenti, il confronto tra i vocaboli "all'interno" della lingua, senza paragonare cioè i vocaboli stessi con quelli di lingue ritenute affini. In realtà, una volta accertato che la lingua etrusca è un "unicum" linguistico come riteneva (o si pensa che riteneste) Dionisio D'Alicarnasso (2) i tentativi di interpretazione col metodo etimologico (comparativo con altre lingue) sarebbero da ritenere evidentemente vani.
Se però, come in effetti è da ritenere, l'etrusco trova globale riscontro lessicale nella lingua latina, è in quest'ultima lingua che, come per tutti gli altri vocaboli, va ricercato il vocabolo che corrisponde radicalmente a MULUVANICE.
Nella TLE 867 - da Cristofani "L'Etrusco Arcaico" cit., p.107, n.32) MI MULU LICINESI VELKHAINASI (v. appresso la traduzione), interpretati facilmente MI = "mente" e le altre due parole quali gentilizi, al restante vocabolo MULU non può competere ruolo diverso da quello di predicato verbale.
MULU quindi, pur essendo lo stesso "grafèma" che insieme a VANICE costituisce la voce verbale MULUVANICE, è da ritenere voce verbale autonoma. Per tale motivo appare evidente che MULUVANICE è una voce verbale composta dalla voce verbale MULU e dalla voce verbale VANICE.
Occorre, in primo luogo, cercare l'equivalente latino di MULU. Il tema MUL, tenendo presente che in etrusco manca la O, sostituito dalla U, appare identico a quello del verbo latino "Molior", "iris" = fare, preparare, predisporre, avere in mente e simili.
La contrazione di sillabe e vocali specie nella parte mediana della parola è peculiarità da tempo nota della lingua etrusca: TLAMU per "Telamon", MNRVA per "Minerva", TNKHVILUS per "Tanaquillae", sono solo alcuni dei numerosissimi esempi possibili.
A tali vocaboli va aggiunto LUPU il quale, figurando, come è noto, nelle scritte funerarie, accanto ad AVIL (S) ad indicare la durata della vita del defunto, è stato interpretato dagli Etruscologi quale "morto", significato, questo, da ritenere "indotto" dato che quello autentico è "libatus", ossia "stroncato" (3).
2) Cfr. Storie - Dionisio, come è noto, riteneva il popolo Etrusco "oudeni allo èthnei omòglosson", ossia "simile per lingua a nessun altro popolo".
3) Cfr. sopra l'analisi specifica del vocabolo LUPU.
LUPU, infatti, non è che la contrazione di "libatus" (U = I: cfr.
in lat. "maxumus" per "maximus"). La forma contrattile di tale participio passato è dello stesso tipo delle analoghe contrazioni di participi passati nella lingua italiana e nei dialetti dell'Etruria Meridionale e di Roma (ad es. "còrico" "corco" in Etruria Meridionale) per "coricato", "lesso" per "lessato" (3).
MULU, quindi, può essere tradotto col latino "mòlitus" (mòlitum),
oppure "mòlito" (ablativo). La pluralità dei valori flessivi attribuibili
a MULU è connessa con la mancanza di molte desinenze nelle lingue arcaiche, mancanza (o scarsità) che la lingua etrusca ha in comune con il latino più antico. In quest'ultima lingua moltissimi sono notoriamente gli esempi al riguardo (cfr. tra l'altro, "omne Loucana cepit", per "omnem Loucanam cepit" nell'epitaffio di L.C. Scipione Barbato).
In base a quanto sopra esposto agevole appare l'attribuzione ai vocaboli VANICE e VENICE del significato "venit", onde MULU-VENICE (o VANICE) = "Molitum venit" = "predisposto venne", "preparato venne", "fatto venne" e simili, forma verbale, questa, costruita in modo identico a molti passivi della lingua italiana. E' noto, infatti, che in italiano un verbo transitivo può essere reso passivo facendo precedere al participio passato (oltre che una voce del verbo essere) anche una voce del verbo "venire" (cfr. U. Panozzo, "Lo studio e l'arte dello scrivere", Le Monnier, pag. 182).
Le traduzioni delle frasi di dedica in cui figura MULUVENICE (v. appresso) dimostrano, per evidenza di contesti, che la predetta versione di tale voce
verbale è pienamente attendibile.
ANALISI ETIMOLOGICA ED INTERPRETAZIONE DELLE ISCRIZIONI DI DEDICA
Molti vocaboli compresi nelle scritte seguenti sono interpretati dall'Etruscologia quali nomi di persone o gentilizi.
Si elencano a titolo d'esempio (con a lato il numero progressivo della scritta in cui figurano) i vocaboli ARATHIA (n.1), VELAVESNA (S) (n.1), ZALVIE (SLA)(n.3), VELELTHU (n.4), PIANA (n.5), SPURLAZA (n.10), LEMAUSNA (S) (n.11), LARICE (SI) (n.13), RAMUTHA (SI) (n.14), VESTIRICINA (LA) (n.14), VENEL(nn.15 e 16); rinviando, per ciò che concerne gli altri, agli elenchi relativi compilati dal Prof. M. Cristofani nella dissertazione dal titolo "I1 sistema onomastico" (in "L'Etrusco Arcaico" Atti del colloquio di Firenze dell'ottobre 19/4- L. Olschki, Firenze, pagine 99 -101).
Le scritte etrusche in cui figurano i vocaboli di cui agli elenchi citati -la cui analisi appresso esposta induce lo scrivente a dissentire dall'interpretazione "personale" di molti dei vocaboli stessi ed a condividerla invece per alcuni- sono comprese in gran parte tra quelle elencate dal Prof. M. Cristofani, ai fini dell'indagine onomastica, nel lavoro sopra citato (pag. 106 - 109) ed in parte minore tra quelle dallo stesso Autore fatte oggetto d'analisi interpretativa in "Introduzione allo studio dell'Etrusco", L. Olsckhi, Firenze, alle pagine indicate nel corso delle analisi seguenti
Parte Prima
Iscrizioni di dedica comprendenti i vocaboli
MI, MINI, MULU, MULUVANICE, MULUVANIKE
Iscrizione n. 1
REE 1072, 89 da Cristofani "L'Etrusco Arcaico" cit.
p.109
MI ARATHIA VELAVESNAS ZAMATHI MAMURCE MULVANIKE TURSIKINA
MI = lat. "mente" - ablativo assoluto per1'intenzione;
(in merito a tale vocabolo cfr. le considerazioni di
cui all'analisi introduttiva). Oppure = per il desiderio.
ARATHIA il suffisso latino-italico "ius, ia, ium" (come anche "eus, a, um") indica, come è noto, relazione di tipo genitivo (ad es. Marcius = di Marco).
ARATHIA corrisponde a tale forma genitivale dell'aggettivo latino "Arrectus, a um" che significa "dritto in piedi" ma anche "teso", attento, stimolato e -in senso figurato- "in gamba", espressione, questa, che traduce letteralmente l'aggettivo stesso.
Quindi ARATHIA = "arrectia", per cui MI ARATHIA = "mente arrectia" = l'intenzione di stimolare; in ARATHIA:
- r = rr (non esistendo in Etr. il raddoppio);
- a = e (per l'equipollenza vocalica arcaica tra a ed e: cfr. MULUVANICE E MULUVENICE;
- th = ct (combinazione quest'ultima assente in etr.)
VELAVERNAS
è un vocabolo composto da VELA e da VESNAS; VELA equivale al latino "vela", accusativo plurale di "velum" = vela;
VESNAS non è altro che il latino "vernus" che significa "di primavera" (cfr. Virgilio);
in VESNAS: la prima s vale r (cfr. "asa" = "ara" nel latino arcaico); la a vale u (equipollenza acquisita: cfr. nelle due lamine di Pyrgi -che sono coève- TEFARIE VELIANAS e TEFARIE VELIUNAS, nome e gentilizio di una unica persona e cioè del supremo magistrato di Cere; v. sotto MAMURCE per MAMRCE; quindi VELA-VESNAS= "le vele di primavera".
ZAMATHI = lat. "Zàmate" = (stando) in Zama" (è ablativo -assoluto- di "Zamatis" = soggiornante in Zama; così come, ad es. "Anziate indica chi soggiorna in Anzio). In ZAMATHI i = e (nota equipollenza fon. arcaica riscontrabile anche in tempi recenti in tutte le lingue indoeuropee).
MAMURCE = lat. (Ma) Marcus; la presenza in altre numerose scritte di MAMARCE, con la a, attesta (a prescindere da altre prove) dell'equipollenza fonetica tra a ed u. Il vocabolo (come si evince dal contesto) è all'ablativo (complemento di agente).
MULVANIKE il vocabolo è composto da due voci verbali: MUL e VANIKE. MUL "è" il tema del latino "molior, is" = preparare, fare; dal contesto risulta essere un supino. In MUL la U vale la O vocale che -come è noto- manca nell'alfabeto etrusco.
In merito al vocabolo cfr. sopra l'analisi introduttiva specifica.
Quindi MUL = "molitu"= a fare, a realizzare; in MUL è riscontrabile la consueta sincope di morfèmi:
VANIKE: corrisponde al latino "ventus" - a = e per la nota equipollenza arcaica (in altre scritte, come è notorio, si trova scritto VENIKE: lo stesso fenomeno si è riscontrato sopra a proposito del vocabolo ARATHIA)
In VANIKE la desinenza KE indica il participio passato (v. la precedente analisi), così come in VANICE la desinenza CE indica la III persona singolare - veniit - del perfetto di venio, is;
MULVANIKE significa pertanto: "venuto a realizzarsi". Normalmente in etrusco la desinenza KE indica la terza persona singolare del perfetto passivo, ma poiché il corrispondente verbo latino "molior" è deponente (di forma passiva ma di significato attivo) nella specie la desinenza in questione corrisponde a quella "passivosimile" (ventus) che è rappresentata, come è noto, dal participio passato.
TURSIKINA E', indubbiamente l'antichissimo nome della terra dei TURSKI e cioè l'Etruria dei Romani. La traduzione più vicina all'etimo è però "Toscana". Nella scritta gli elementi del discorso relativi al viaggio per mare allo estero, rendono indubbio per contrapposizione logica, che il vocabolo indica la patria di Marco e cioè la Toscana (ossia, in quel tempo, il territorio che si estendeva dalla riva sinistra dell'Arno alla riva destra del Tevere).
Confronto etimologico etrusco - latino:
MI ARATHIA VELA VESNAS ZAMATHI MAMURCE MULVENIKE TURSIKINA Mente arrèctea vela vernus Zamàte Mamarco molitu vento Tuscana
Traduzione italiana:
(dono fatto al tempio) per il desiderio di tendere le vele di primavera stando a Zama, (desiderio) venuto a realizzarsi in Toscana.
Nell'iscrizione si allude alla crociera primaverile: è noto che la navigazione antica si svolgeva da primavera all'autunno (epoca quest'ultima in cui si verificava il tramonto eliaco delle Pleiadi).
Iscrizione n. 2
TLE 278 - (da Cristofani, "L'Etrusco
Arcaico" cit. p. 108, n. 52.
MI ARATHIALE ZIKUKHE
MI = lat. "mente" = con l'intenzione, con l'augurio e simili (vedi sopra stessa vocabolo).
ARATHIALE E' il medesimo vocabolo ARATHIA della scritta precedente con in più la desinenza LE indicante una ulteriore relazione oppure un rafforzamento della funzione di relazione già espressa dal suffisso IA (cfr. ad es. il lat. "censorius" rispetto a "censorialis").
ZIKHUKHE Una celebre scritta bilingue (in cui ZIKHU = Scribonius) fece comprendere facilmente agli Etruscologi che il tema etrusco ZIKH esprime il concetto di scrivere, disegnare e simili.
La consonante etrusca la cui grafia é I o viene chiamata zeta ma in realtà sostituisce anche altre consonanti che mancano nell'alfabeto etrusco (ad es. d nonché g, pur essendo ambedue queste consonanti sostituite anche, rispettivamente, da t e da c);
il tema ZIKH pertanto può corrispondere a quello latino "dic" di "dicere" ma anche di "dicare".
Confronto etimologico etrusco - latino:
MI ARATHIALE' ZIKHUKHE
Mente arrectiale dicatum est
Ferme restando le corrispondenze etimologiche, la traduzione italiana dipende dalla scelta tra il significato primario e quello traslato di "arrectus" (= dritto in piedi, incitato, teso, oppure "in gamba":
con l'augurio di stare in gamba é stato dedicato.
Iscrizione n. 3
St. Etr. 31 (1963) (Cristofani "L'Etrusco arcaico" cit. p.108 n.51)
MI ZALVIESLA
MI (v. copra st. voc.).
ZALVIESLA Si tratta di tre vocaboli: ZAL = lat. "duale" = dei due nella specie "di noi due" o "tra noi due";
z vale d'assente in etr.; a vale u (v.s. TEFARIE VELIANAS e TEFARIE VELIUNAS);
VIES corrisponde per struttura al verbo latino "vieo, is"= legare ed é la contrazione etrusca di "vientis" = "che lega" ossia legame;
LA é la sincope etrusca del latino "latum" = portato, offerto; ma LA può anche concordare con MI = mente col significato di "esternata (intenzione)".
Confronto etimologico etrusco - latino:
MI ZAL VIES LA
Mente duale vientis Latum (lata)
Traduzione italiana:
- Ricordandomi del legame tra (noi) due(l'ho)portato (il dono);
- (col dono) essendo esternata l'idea del legame tra noi due.
Iscrizione n. 4
REE 1971,83 (Cristofani "l'Etrusco arcaico" cit. p. 108, n. 39;
MI VELELTHUS KAKRI QU NUMESIESI PUTES
VELELTHUSil vocabolo è composto da VELEL e THUS:
VELEL equivale, con espressione latino-simile ma etimologicamente corrispondente, a "vélile", ossia "relativo" alla vela", "per vela" (ove la L in altri casi LE ha la stessa funzione del "le" in vocaboli quali "possibile" = relativo al "potere");
THUS, a sua volta, equivale al lat. "itis" = andati:
sincope della i iniziale (la sillaba iniziale appare soppressa anche nel latino arcaico: v. "conia" per "ciconia" (C. Cantù "Storia degli italiani" U.T.E., Torino, p.885);
la u vale i (cfr. in lat. "maxumus" per "maximus"; quindi VELEL-THUS= "velile" itis = imbarcati sui velieri;
KAKRI QU KAKRI = lat. "caducari" = lett. "essere caducato" o "essere fatto ricadere"; il "caducarium" era una liberalità (cfr. Diritto romano) fatta con onere di passarla ad altri verificandosi certe circostanze; in KAKRI si nota la sincope della sillaba mediana e della E tra K ed R (cfr. ad. es. "Krus" per "Carus": Momsen riportato da C. Cantù in op. cit. pag. 872);
QU= lat. "quot"= "pro quota", ossia da ripartirsi in proporzione (sincope della desinenza);
NUMESIESI= lat. "numerosis" ( o "numeriis") il SI finale indica sempre la desinenza dei dativi e degli ablativi plurali; la prima s vale r (cfr. lat. "asa" per "ara" in Plauto).
PUTES= lat. "pusis" o "putillis" = bambini (in Plauto) "putillus" é connesso al presente vocabolo etrusco dal quale deriva direttamente l'italiano "putto". In PUTES e = i (equipollenza arc. nota). Confronto etimologico etrusco-latino:
MI VELEL THUS KAKRI QU NUMESIESI PUTES
Mente velile itis caducari quot numerosis (o numerarie) pusis
Traduzione italiana:
(dono fatto al tempio) con l'intenzione, da parte degli imbarcati sui velieri (andati per vela) che sia fatto ricadere "pro quota" sui numerosi bambini (oppure, in numerario ossia in contanti ai bambini).
Iscrizione n. 5
St. Etr. 36 (1968) 203; (Cristofani, "L'Etrusco Arcaico" cit. p. 108, n. 44);
MINI MULUVANICE PIANA VELETHNI CE
MINI = lat. "in mente" (ove NI = in); Ved. considerazioni su questo vocabolo nell'analisi introduttiva;
MULU-VANICE
PIANA
= lat. "mòlito evenit"= preparato è venuto (= è stato effettuato) - v.s. analisi introduttiva; = lat. "pianda" = (da "piare"= espiare e simili)
- n vale nd (impossibile in etr. data la mancanza della d; cfr. in "Cippo di Perugia" (2) i vocaboli S'CUNA e S'CUNE (= secunda e secunde);
VELETHNI CE il primo vocabolo corrisponde al latino "velitatione" (ablat.) = lite, sfuriata, fermento ecc.;
- la seconda e = i (equipollenza già rilevata altrove); idem dicasi per la i finale; la sillaba intermedia é, come al solito, sincopata.
CE = lat. "Civitate" (ablativo del nom. CI): gli Etruscologi ritengono ancora che CI (nomin. di CE) significhi "tre", malgrado la ripetizione, per decine di volte, del vocabolo nelle scritte (3);
Confronto etimologico etrusco-latino:
MINI MULUVANICE PIANA VELETHNI CE
In mente Molito venit pianda Velitatione civitate
Tradizione: E stato fatto con l'intenzione di placare il fermento nella cittadinanza.
(2) Cfr. App..
(3)cfr. in Appendice "Mummia di zagabria", "Tegola di Capua", lamina maggiore di Pyrgi, scritta di Laris Pulenas.
Iscrizione n. 6
TLE 867; - (Cristofani, "L'Etrusco arcaico" cit. p.107, n.32);
MI MULU LICINESI VELKHAINASI
MI = lat. "mente" (v. sopra st. voc.);
MULU = lat. "mòlito", part. pass. di "molior" (v. s. st. voc.);
LICINESI = lat. "Liciniis" = i Licinii;
VELKHAINASI = "Vulcineis" (?) - gentilizio;
Confronto etimologico etrusco-latino:
MI MULU LICINESI VELKHAINASI
Mente mòlito (a) Liciniis Vulcineis
Traduzione: Quale pensiero, apprestato dai Licinii per i Vulcinei.
Iscrizione n. 7
TLE 769, da Cristofani, op. cit. p. 107, 35);
MI LICINESI MULU HIRSUNAIESI - confronto etimologico etrusco-latino:
Mente Liciniis mòlito Ferroneis (in HIRSUNEIS RS = RR dato l'assenza del raddoppio consonantico in etrusco).
Traduzione italiana: (dono) quale pensiero dai Licinii apprestato per i Ferronii.
Iscrizione n. 8
TLE 153 - (Cristofani, "L'etrusco arcaico" cit. p. 108, n. 42);
MI MULU KAVIESI
MI MULU (v. sopra stessi vocaboli);
KAVIESI = Cuviis (desinenza SI indicante l'ablativo plurale;
a = u per l'equipollenza fon. già rilevata altrove;
Confronto etimologico etrusco-latino: Mente molito Cuviis
Traduzione italiana:
Pensando (a voi) preparato dai Cuvii.
Iscrizione n. 9
TLE 867 - (Cristofani, "L'etrusco arcaicon” cit. p.107, n.31;
MI HIRUMESI MULU
MI...... MULU (v. sopra stessi vocaboli)
HIRUMESI Gentilizio forse corrispondente a Verumii;
Traduzione: Quale pensiero, apprestato dai Verumii (?).
Iscrizione n. 10
TLE 941; (da Cristofani "L'Etrusco arcaico" cit.p.107, n.30);
MINI SPURIAZA TEITH - URNAS MULVANICE ALSAIANASI
MINI (v. sopra stesso vocabolo);
SPURIAZA = lat. "exportanda", ove:
- é iniziale sincopata;
- s = X lettera, questa, assente in etrusco;
- u = O " ,, “ ;
- z = nd combinazione, questa, impossibile in Etr. per l'assenza, nel relativo alfabeto, della d (v. sopra i cenni al riguardo);
"Esportare"= esternare (tra i vari significati);
TEITHURNAS= lat. "diuturnitatis" = vicinato (buon), ove:
- t = d (assente in etr.);
- ei = iu (per le note equipollenze vocaliche arcaiche già rilevate altrove);
- sincope della sillabe medie (v. sopra); align="justify">MULVANICE (v. sopra stesso vocabolo);
ALSAIANASI = lat. "Alsianis" = Alsiani, ossia abitanti di Alsio (attuale Palo di Ladispoli, vicina - appunto (v. trad.) a Cere;
Confronto etimologico etrusco-latino e traduzione italiana:
MINI SPURIAZA TEITHURNAS MULVANICE ALSAINASI
In mente exportanda Diuturnitatis Mòlitu venit Alsianis
Dovendosi esternare l'intenzione di (buon) vicinato (un dono) è stato apprestato dagli Alsiani.
Iscrizione n. 11
TLE 28; (Cristofani, "L'etrusco arcaico" cit., p. 106, n. 4); MI QUTUM LEMAUSNAS RENAZU ZINACE
MI (vedi sopra stesso vocabolo) = "mente";
QUTUMQUTUM = lat. "quietatum", supino di "quieto, as"
LEMAUSNAS = "lemorinas" ( = classico "lemurinae"), diminutivo femminile di "Lemuri" che erano, come è noto, le anime dei defunti; "Lemurina" equivale, quindi,a "bambina morta";
RENAZU = lat. "renascendo" (ablat.) = "ciò che sta per nascere"; sincope delle medie; Z vale la lat. "d" assente in etrusco; idem dicasi per U = lat. "o";
ZINACE = lat. "dignavit", ove Z = "d" (ass. in Etr.) – N = "gn" ("g" ass. in Etr.); CE = "se" = "si" (sincope della "t") per cui il vocabolo "vale" "dignasi (t) "così come CISUM ( cfr. pagg. 182,184,187,188;190,191,201, 202,204) vale "Civium";
Confronto etrusco–latino e traduzione:
MI QUTUM LEMAUSNAS RENAZU ZINACE
Mens quietatum Lemorinas renascendo dignavit
L’intenzione "diretta" a consolar (ci) d'una bambina morta (ci) ha fatti degni d'una nuova (prossima) nascita".
( In merito a tale scritta vedere le considerazioni che, in ordine alla stessa, sono state svolte nella introduzione).
Iscrizione n.12
Bibl. T.L.E., 34 –Museo di Villa Giulia- Roma.
(Da M. Cristofani, "Introduzione allo studio dell'Etrusco" cit., p. I37):
MINI MULUVANICE MAMARCE A PUNIE VENALA
MINI = in mente (ved. sopra st. voc.)
MULUVANICE (v.s. stesso voc.)
MAMARCE = Mamarco (Marco); ablativo;
A PUNIIE VENALA= Lat. " ad fundendis vinali ":
P = F (cfr. PH latino);
N = ND (v. sopra casi analoghi). La "d" manca in
etrusco; in VENALA etrusco; in VENALA "e" = "i" (equipollenza già rilevata altrove) ed "a" = "e" (cfr. MULUVENICE e MULUVANICE). L'oggetto donato doveva servire per "fundere" (versare il vino nelle cerimonie funebri): il vocabolo "funus, eris" trae origine proprio dal rito del "fundere" il vino; cfr. al riguardo la "Mummia di Zagabria"
Confronto etimologico etrusco-latino e traduzione italiana: MINI MULUVANICE MAMARCE A PUNIIE VENALA
In mente molito venit (a) Marco ad fundendis vinale
E' stato apprestato da Marco intendendo che debba servire per il vino nelle cerimonie funebri (ossia cerimoniale del "fundere").
Iscrizione n. 13
TLE 32, (da Cristofani, "L'Etrusco arcaico" cit. p. 106, N. 3).
MI MULU LARICESI P (...) NAIESI CLINS'I VELTHURUSI LAR(IS) RUVRIES
MI MULU a "Mente mòlito" (cfr. sopra stessi vocaboli);
LARICESI = Lat. "largitis" = beneficati;
La "i" dopo LAR si spiega (forse) con la probabile connessione del vocabolo con LARE (ablat. di "Laris" = casa";
(voc. illeg.) - C = G, lettera mancante in etrusco;
- desinenza in SI propria degli ablativi plurali (vedi vocabolo successivo);
CLINS'I = latino "clientibus" : sincope dei morfemi medi e desinenza in SI dell'ablativo;
VELTHURUSI = "Velturiis": è il gentilizio della famiglia della quale sono clienti i donanti: anche qui la desinenza in SI dell'ablativo;
LAR(IS) = lat. "laris" = della casa;
RUVRIES = Lat. "rubricatis" = rubricati (iscritti nell'elenco della clientela Velthur: V = B ("affinità labiale") e solita sincope dei morfemi medi.
Confronto etimologico etrusco-latino e traduzione italiana:
MI MULU LARICESI ....(voc. illeg.) CLINS'I VELTHURUSI LARIS RUVRIES
Mente molito (a) largitis clientibus Velthuriis Laris rubricatis
Con animo memore apprestato dai beneficati clienti di Velthur rubricati della casa.
Iscrizione N. 14
Bibl. TLE 868 ‑ (da Cristofani "Introduzione allo studio dello Etrusco" cit. p. 136);
MI ARANTH RAMUTHASI VESTIRI CINALA MULUVANICE
MI= MI= "mente"
ARANTH= Arunte ( a = u: ved. sopra analoga equipollenza in altri casi); si tratta di un ablativo (ved. contesto);
RAMUTHASI = lat. "remutatis" = cambiati a nuovo ( desin. in SI = ablativo);
prima prima "a" = "e"
""s" = "r"
VESTIRI CINALA (sono due parole e non una come: ritengono gli Etruscologi i quali, peraltro, ritengono chVESTIRI CINALA (sono due parole e non una come: ritengono gli Etruscologi i quali, peraltro, ritengono ché
VESTIRI è, palesemente, l'infinito passivo di "vesto" = vestire;
CINALA = Lat. "cingula" = cintura;
""n" = "n", combinazione questa impossibile in Etr. per la mancanza della "g"
""a" = "u" (equipollenza già riscontrata altrove); quindi VESTIRI CINALA = "Vestiri cingula"
Confronto etimologico e traduzione italiana:
MI ARANTH RAMUTHASI VESTIRI CINALA MULUVANICE
Mente Arunte remutatis vestiri cingula molitu venit
Pensando ad Arunte (Mente in Arunte) da parte di quelli che sono stati (da lui) cambiati a nuovo con l'essere provvisti d'una (con una) cintura (il dono) è stato apprestato.
Iscrizione N. I5
TLE 917 - (da Cristofani "L'Etrusco Arcaico" cit. p. 109 n. 61;
MINI MULUVANIKE VENEL RAPALES LAIVEN
MINI MULUVANIKE = lat. MINI MULUVANIKE = lat. "Monto vento"
VENEL = Lat. "vini" (letteralmente "vinile" o "vinale":
il contesto delle altre scritte ove compare tale vocabolo - ved. sopra scritta n.II ed altre appresso - prova che il tema etrusco VENE equivale, nelle scritte arcaiche a "vinum"; in quelle più tarde figura invece la parola "vinum");
RAPALES = lat. "raphanalis" = rafanato:
"p" = "ph" sincope del morfema medio NA (si tenga presente che quando si parla di sincope occorre riferirsi
al latino e non già alla lingua etrusca in se stessa considerata).
Circa l'uso del vino rafanato nell'antichità cfr. Plinio (Naturalis Historia).
LAIVEN = lat. "Leben, is" = pentola ( e simili):
"ai" vale "e" (cfr. dittongo lat. ae). V = B (per equipollenza labiale);
Confronto etimologico e traduzione italiana:
MINI MULUVANIKE VENEL RAPALES LAIVEN
In mente "molito vento" vini raphanalis leben
Secondo l'intenzione (oppure "per un pensiero) preparata di vino rafanato una pentola.
Iscrizione n. 16
TLE 429 - TLE 429 - (da Cristofani "L'Etrusco arcaico"
MINI MULUVANIKE VHLAKUNAIE VENEL
MINI MULUVANIKE = lat. MINI MULUVANIKE = lat. "in mente molito vento"
Il vocabolo appare riferibile al latino "phiala" (= fiala, bottiglia ecc.); si tratta nella specie dello stesso tipo di accrescitivo che si riscontra nell'italiano "flacone" che da "phiala" trae origine; il vocabolo può quindi tradursi, presumibilmente, con "bottiglione"; VH VHLAKUNAIE = F; U = 0 (assente in etrusco); AI = E; E = I;
VENEL = "vini" (vinilis); cfr. stesso vocabolo nella critta precedente;
confronto etimologico e traduzione:
MINI MULUVANIKE VHLAKUNAIE VENEL
In mente molito vento "phiala (cone)" vini (vinile).
Quale pensiero fornito un bottiglione di vino.
Iscrizione N. 17
TLE 60; (da Cristofani "L'Etrusco Arcaico" cit. p.I07-26;
MI VENELUSI AKHESI MULU
MI .......... MULU (vedere sopra stessi vocaboli);
VENEIUSI = lat. "vinaliis" (dat. plur. di "vinalia"); presso i Romani (cfr. Plinio) i "vinalia" erano feste nelle quali si consacrava a Giove il vino nuovo; praticamente significava "nuovo raccolto". La prima "e" vale "i"; la seconda "e" vale "a"; ciò in base alle note equipollenze arcaiche già riscontrate altrove;
AKHESIAKHESI = lat. "accessis", participio passato di "accedo, is"
KH = CC, considerato che in Etrusco manca il raddoppio; idem dicasi per S (= SS);
Confronto etimologico e traduzione:
MI VENELUSI AKHESI MULU
Mente vinaliis accessis solito
Pensando al raccolto accresciuto (dono) apprestato.
Iscrizione N. 18
ST. Etr. 32 (1964) 165, S n. 1 - (da Cristofani "L'Etrusco Arcaico" cit. p. 107 n. 22);
MI VETHIES VEURAS
MI (ved. sopra st. voc.)
ETHIES= lat. "vites" IE = I (cfr. in lamina di Pyrgi maggiore THEMIATA = TEMATA)
VEURAS= lat. "viuras" = "che debbono attecchire": è il participio futuro del verbo "vieo" (già riscontrato nella scritta n. 3) che significa - come è noto - "legare" (o attecchire);
Confronto etimologico e traduzione:
MI VETHIES VEURAS
Mente (ad) vites viúras
(dono) pensando alle viti che debbono attecchire.
Iscrizione n. 19
TLE 759 (da Cristofani "L'Etrusco arcaico" cit. p. I09, n. 63);
MI MULU LARIL EZILI MLAKH
MI MULU (ved. sopra st. voc.).
LARIL = lat. "laris" ("larile), ossia relativo al "lar" = casa);
EZILI = lat. "exilii"; la Z sostituisce la X mancante nell'alfabeto etrusco;
MLAKH Il vocabolo ha lo stesso tema del latino "màlacus" = molle, calmo, tranquillo, rilassato e simili; cfr. "malacia" = bonaccia di mare e calma in genere; "malasso" e "malaxo, as, are" = calmare.
Confronto etimologico e traduzione:
MI MULU LARIL EZILI MLAKH
Mente molito laris exilii malaxato (ablativi assoluti);
Nell'intenzione preparato (il dono al tempio) di essere consolato della lontananza da casa.
Iscrizione N. 20
TLE 766 - ( da Cristofani "L'Etrusco arcaico" cit. p. 109 n. 66);
MI TANAKVILUS SUCISNAIA
MI "mente" (ved. sopra st. voc.);
TANAKVILUS= di Tanaquilla (nome personale femminile). La US indica il genitivo ( = AS, gen. arcaico 1° declin.);
SUCISNAIA= lat. "succernea" (da "succerno" o "subcerno" = setacciare la farina, cernere;
"C" = "CC" ( il raddoppio manca in etrusco) "I" = "E" per la nota equipollenza arcaica; "S" = "R" (idem come sopra; cfr. lat. "asa" per "ara"; AI = E (lat. AE); la desinenza IA (= EA) è il caratteristico suffisso latino-italico indicante relazione;
Confronto etimologico e traduzione:
MI TANAKVILUS SUCISNAIA
Mente Tanaquillae (as), succernea (ablativo assoluto concordato con l'altro
ablativo "mente");
(dono al tempio) di Tanaquilla pensando alla farina da setacciare.
Iscrizione n. 21
TLE 765 - (Cristofani "L'Etrusco arcaico" cit. p. I09);
MI REPESUNAS AVILES
MI (ved. stesso voc. sopra);
REPESUNAS = lat. "reperundae" (corrispondente al gen. in AS); = "reperendae" (v. lat. "repetundae");
- S = R (ved. sopra altri casi); N = ND (D assente);
AVILES = lat. "avillis" = agli agnellini (E = I per la nota equipollenza;
Confronto etimologico e traduzione:
MI REPESUNAS AVILES
Mente, reperundae, avillis
(dono) pensando agli agnellini, di una che li deve ritrovare (dono al Tempio).
Iscrizione n. 22
Bibl. De Simone, REE 1972 -
( da Cristofani "Introduzione allo studio dell'Etrusco" cit. p. 133):
MI USILE MULUVANICE
MI (ved. sopra st. voc.);
USILE Il tema del vocabolo è lo stesso del latino "utor, eris" = usare; di "usus", "utile", "utibile" (in Plauto);
MULUVANICE (ved. sopra stesso voc.) = è stato apprestato;
Confronto etimologico e traduzione:
MI USILE MULUVANICE
Mente utile molitu venit
Nell'idea che possa essere utile è stato apprestato.
Iscrizione n. 23
TLE 363 - (E' la nota “Stele di Vetulonia").(Gristofani "L'Etrusco arcaico cit. pag. 109, n. 62; Pallottino, "Etruscologia, Hoepli, tav. XXII)
(A) VELES (.) ELUSKES TUSNUTN ...PANALAS MINI MULUVANIKE HIRUMINA PHERSNAKHS
(A) VELES (.) ELUSEES Sono il prenome ed il gentilizio della persona raffigurata sulla stele, ambedue al caso genitivo come attestano le S delle rispettive desinenze;
TUSNUTN= lat. "tornitum" = scultura: prima u = o, seconda u = i, s = r, sincope della u tra t ed n, n per m;
PANALAS il vocabolo ha lo stesso tema del verbo latino "pando, is, ere" = allargare, distendere ecc.; "pandulatio, nis" (cfr. P. Festo) significa "agitazione delle braccia"; PANALAS, quindi,= "pandulans"= agitante il braccio (chi osserva la figura del guerriero può notare che lo stesso agita il braccio destro armato di ascia bipenne); na = ndu; las = lans;
MINI MULUVANEKE= eseguito secondo l'idea ("in mente solito evento") (v. s. st. voc.);
HIRUMINA= lat. "vero mune" = conforme al vero; hi = ve, u = o, mi = mu, na = ne, in base ai fenomeni già riscontrati altrove;
= lat. "personax" forma arcaica di "personatus" aggettivo che in età tarda significò "mascherato" ma che originariamente aveva gli stessi significati del nome "persona" in senso traslato (condizione, carica, stato e simili) nonché quelli primari (costume, tenuta, paludamento, oltre che maschera). Circa l'equivalenza di "personax, cis" a "personatus" (cfr. in C. Cantù, "Storia degli italiani", cit. pag. 890, "cordax" per "cordatus" - nel latino arcaico}, per non citare che questo esempio.
Confronto etimologico e traduzione:
(A) VELES (.) ELUSKES TUSNUTN ...PANALAS MINI MULUVANEKE HIRUMINA PERSNAKHS
Auli Feluskes (?) tornitum ...pandulans, in mente mòlito vento vero mune, personax.
Di Aulo Feluske (?) la scultura (che lo mostra) agitante il braccio, per ricordarlo, eseguito conformemente al vero, in costume (tenuta da guerra).
Iscrizione n. 24
TLE 761; (da Cristofani "L'Etrusco arcaico" cit. p. 109, n. 64)
MI LARTHAIA TELICLES LEKHTUMUZA
.MI "mente" (v. s. st. voc.)
LARTHAIA Il vocabolo va letto "làrtea" ossia "relativo" a "larta".
In merito a tale vocabolo cfr. l'analisi introduttiva specifica, nella quale vengono trattati i problemi relativi alle due diverse "accezioni" del tema "LARTH": quale elemento del nome personale Larth-femm. Larthi e quale elemento costitutivo del nomo composto "Larthu" femm. lartha (in lare itus-ta) per struttura = maritus e "marita" nomi questi che sono probabilmente da ritenere la contrazione determinata all'uso delle espressioni (omotematiche delle corrispondenti etrusche) (meus) in lare itus" e (mea) in lare ita" (cfr. in latino "marita" = moglie.
Per ciò che riguarda la scritta in esame, il carattere "delicato" dell'argomento trattato (v. appresso) sembra far escludere che a LARTHAIA possa essere attribuito il significato di nome di persona.
pertanto MI LARTHAIA corrisponde a "mente" (in) lare "itea"= "con l'intenzione di sposarsi";
(ved. nella scritta successiva LARTHU-ZALE
= Lare ito duale che letteralmente significa "uno dei due che è entrato nel nuovo focolare" e concettualmente - vista la desinenza in U (= O) - il marito.
TELICLES è il genitivo (desin. in s) del vocabolo TELICLE il quale può essere "reso" in latino con l'espressione "teliculus" (= piccolo dardo) in analogia concettuale col vocabolo, nella specie, significa proprio "piccolo dardo", piccola lancia e come si evince chiaramente dal vocabolo successivo- allude ad un bambino di sesso maschile (e quindi futuro guerriero);
quindi TELICLES = "telìculi" = di un maschietto; sincope della U tra C ed L;
LEKHTUMUZA= lat. "legitimanda" (ablativo assoluto):
KH = g (assente in etr.) dopo KH (= g) sincope della i; la prima u vale i (equipollenza arcaica già rilevata altrove; la seconda u vale a (cfr.
in lamine di Pyrgi VELIANAS e VELIUNAS, gentilizio della stessa persona); la z vale nd, combinazione impossibile in etrusco per l'assenza della d;
Confronto etimologico e traduzione:
MI LARTHAIA TELICLES LEKHTUMUZA
"mente" lare "itea" ("maritea") telìculi legitimanda
(dono fatto al tempio) con l'intenzione di sposarmi dovendo effettuare la legittimazione d'un maschietto.
Iscrizione n. 25
Bibl. F. Nicosia, REE 1972,1 -
(M. Cristofani, "Introduzione allo studio dell'Etrusco" cit. pag. 135).
MI ZINAKU LARTHUZALE kuleniilesi (cfr. introd. p. XI) MI = "mente" (v. s. st. voc.)
ZINAKU = lat. “dignato” (Z = assente D – K = T:
= minuto, nella TLE 282 (v. appresso);
U = O ass.;
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