Nel 1826 vengono
annotati dagli amministratori dell'Ospedale i giorni di degenza per
ogni malato e riportate alla
fine dell'anno il numero complessivo delle giornate di ricovero che
per quell'anno sono 1324.
Dopo un controllo positivo effettuato nel 1810 sulla contabilità
dell'Ospedale da parte dei Sindaci, che infatti riscontrano nel bilancio
consuntivo un attivo di 85 scudi e 58 baiocchi, gli anni a venire l'amministrazione
lasciò probabilmente a desiderare ed anche la gestione stessa
dell'Ospedale tanto è vero che il Vescovo di Sutri in una sua
Visita Pastorale effettuata a Tolfa nel 1827 si vide costretto a dettare
nuove norme per la gestione dello stesso.
Nell'esortare gli amministratori a rendere i conti consuntivi anno per
anno, impone che venga tutto registrato e vengano redatte copie di "
locuzioni, ordini, biglietti, lettere, inventari, catasti, piante, terreni,
memorie, strumenti, di legati pii, di censi ipotecari, appartenenti
a questo Ospedale ed il Canonico Bartolomeo Pucilli, cancelliere foraneo
nominato in qualità di computista, non solo per il buon regolamento
di questo Ospedale, ma ancora dell'altri luoghi pii e confraternite,
con l'assegnamento di scudi annui cinque da ripartirsi come in appresso:
OSPEDALE scudi 2
CONFR. SUFFRAGIO 1
CONFR. S. GIOVANNI DECOLLATO 1
CONFR. S. SALVATORE baiocchi 20
UNIVERSITA' DEI VACCARI 50
SCUOLA PIA 10
SCUDI 5
Inoltre il Vescovo, dopo aver nominato il computista, per una migliore
vigilanza sui vari organi ecclesiali raccomanda di vigilare seriamente
sul buon funzionamento dell'Ospedale affinché " quest'opera
così pia e santa sia bene amministrata, che si usi carità
ai poveri infermi, che siano ben trattati nelle loro malattie, insegnandoci
quanto la carità cristiana e la legge evangelica...." .
Nelle pagine successive vengono adottate norme riguardanti la gestione
dell'Ospedale in merito all'approvvigionamento del pane " che sia
regolato come al presente, servendosi del grano dei terratici dello
stesso Ospedale, con darlo al fornaro al prezzo stabilito e provvederlo
a tempo debito, quando si riconosce mancante, e lo stesso
dicasi per i medicinali in quanto è riconosciuto vantaggioso
e molto economico in molti ospedali della Diocesi, che almeno si provvedessero
dei medicinali semplici, e questi con l'intelligenza del medico si distribuissero
ai poveri infermi, secondo i gradi d e l l a malattia " ( 49)
.
Sicuramente negli anni precedenti l'Ospedale aveva avuto una gestione
abbastanza allegra sia dal punto di vista amministrativo, che anche
morale, se il Vescovo é costretto a ribadire nelle sue premure
della Visita Pastorale, che " è proibito all'Ospedaliere
e Ospedaliero di dare ricetto nel locale dell'Ospedale medesimo, e casa
di sua propria abitazione a persone di cattiva fama tanto uomini che
donne, tanto di giorno che di notte ricordandosi non essere questo un
asilo di gente infami, ma bensì di poveri infermi....",
e se il personale si riconoscerà colpevole delle mancanze di
cui sopra " sia immediatamente espulso senza veruna riserva ".
Continua lo scritto di Mons. Vescovo che " venga immediatamente
formato l'inventario di tutto ciò, che si ritiene e si consegna
all'Ospedaliere, tanto di sanitaria che di altro tutto venga segnato
in un libro a tale effetto destinato, sotto il controllo del Computista
e del Priore...»
Evidentemente la gestione degli anni precedenti alla visita del Vescovo
era risultata piuttosto carente e superficiale.
Nella parte finale della relazione il Vescovo tratta del lascito di
Buttaoni che avrà negli anni a venire una grande importanza per
il futuro economico dell'Ospedale (50 ).
Mentre sia il Vescovo della Diocesi che la Congregazione si sforzavano
di dare una gestione lineare e corretta all'amministrazione dell'Ospedale
nel 1845, a seguito della morte dello speziale, viene assegnato il servizio
della farmacia al signor Antonio Bertini che promette agli amministratori
" di detrarre un terzo del prezzo dei medicinali rispetto a quanto
in precedenza era stato fatto "
L'assegnazione della gestione della farmacia a codesto signor Bertini
creò una lunga serie di difficoltà sia alla Congregazione
che all'Ospedale stesso, nel 1846 il Bertini aveva acquisito i diritti
della seconda farmacia esistente in Tolfa, fino ad allora appartenuta
ai fratelli Bonizi, e l'aveva chiusa, pertanto si trovava a gestire
la propria in ragione di monopolio.
Questo fatto aveva creato gravissimi problemi alla comunità e
soprattutto all'Ospedale che, in una congregazione del 17 gennaio 1847
si rileva l'abuso del farmacista Bertini che "profitta del luogo
Pio (Ospedale) per sottometterla a durissima condizione ", prosegue
poi la nota " infatti spaventa la spesa dei medicinali e di soldi
bastano a provvedere per poco altro tempo " .
La Congregazione a questo punto chiede un intervento molto duro al Vescovo
cioè " di dare una giusta lezione al signor Bertini perché
l'Ospedale si provvegga di una spezieria da servire per gli ammalati
e per i poveri del paese " prosegue poi la richiesta con queste
considerazioni di carattere economico, " si spenderà il
quarto di quello che presenta oggi il Bertini e con poco più
della metà della spesa, l'Ospedale avrà la sua spezieria,
pagato un farmacista e un giovane che lo assista " .
Evidentemente la supplica della Congregazione trovò una giusta
risposta da parte del Vescovo che autorizzò l'apertura della
spezieria dell'Ospedale, tanto è vero che nel marzo del 1848
il Bertini reclama avverso la Congregazione affinché l'Ospedale
non somministri i medicinali ai poveri del paese, ma soltanto agli infermi.
A tale rimostranza rispondono gli amministratori che il Bertini non
deve sollevare reclami in quanto non ha I'iscrizione della matricola
per fare il farmacista e che l'Ospedale ha rilevato la spezieria per
far fronte alle necessità dei poveri infermi
del paese ai quali somministra vitto e tutto ciò che occorre
per le malattie, previo documento del parroco che più di ogni
altro conosce le miserie del paese (51 ).
A questo punto si interrompono le riunioni della Congregazione, evidentemente
anche a Tolfa si sente il riflesso degli avvenimenti nazionali e soprattutto
di quelli dello Stato Pontificio che daranno vita alla Repubblica Romana.
Le congregazioni susseguenti riprendono dal febbraio 1850 quando ormai
tutti gli avvenimenti straordinari accaduti si sono normalizzati.
Negli anni susseguenti sia la vita della comunità che quella
dell'Ospedale non subisce forti variazioni, infatti troviamo che resta
quasi sempre invariata con piccole differenze sia di numero dei ricoveri
che quello dei morti, infatti varia tra le 120 e le 150 unità,
i morti non raggiungono mai la decina; la stragrande maggioranza dei
forestieri ricoverati come già abbiamo visto in precedenza, è
marchigiana e umbra, segno della presenza dell'attività agricola
e dell'allevamento rispetto a quella mineraria dei secoli XVII e XVIII.
Riprende invece con veemenza la diatriba, che già abbiamo visto
iniziata nel 1847, tra il farmacista Bertini e la farmacia dell'Ospedale,
soprattutto dopo l'arrivo a Tolfa delle suore di San Giuseppe ed in
particolar modo di suor Carolina Lassalle che svolge le funzioni di
farmacista dell'Ospedale.
Infatti nel 1858 il Bertini scrive al Vescovo un reclamo con il quale
si chiede di porre fine da parte della farmacia dell'Ospedale al rilascio
dì medicinali per le persone non ricoverate, in quanto ciò
crea a lui un grave danno economico, ed inoltre fa presente che la suora
non ha ancora la matricola.
Interviene in questa faccenda in difesa sia delle suore ma soprattutto
in difesa dei poveri del paese il medico condotto dottor Valeriani che
nella lettera che invia al Vescovo di Civitavecchia sostiene che "
la farmacia dell'Ospedale soccorrendo i poveri non danneggia gli interessi
del signor Bertini perché se gli stessi trovassero credito, non
avrebbero di che soddisfarlo, trattandosi di famiglie che giacciono
nella più profonda miseria ". II dottor Valerianí rileva inoltre che " qualora fossero accettati
i reclami del Bertini, egli non ne trarrebbe nessun vantaggio in quanto
costoro abbandoneranno alla Provvidenza la loro vita e che inoltre le
ricette gratuitamente elargite non superano il numero di tre o quattro
al giorno " (52 ).
Comunque i reclami del Bertini ottengono qualche risultato tanto che
la suora che gestisce l'Ospedale è costretta a sostenere un esame
per poter prendere la matricola in modo da poter svolgere il suo lavoro
senza più noie.
Il Bertini evidentemente non soddisfatto delle risposte, avute alle
sue lamentele, da parte del Vescovo di Civitavecchia scrive alla Congregazione
Speciale di Sanità dello Stato Pontificio nella condizione di
ottenere giustizia sia nei confronti della farmacia dell'Ospedale che
continua a dispensare i medicinali sia agli ammalati che ai cittadini
poveri, che nei confronti del parroco di Tolfa che rilascia con grande
facilità certificati di indigenza.
Il farmacista allega alla sua lettera un elenco di persone con vicino
i beni di loro proprietà, che avevano ottenuto da parte del parroco
la dichiarazione di indigenza convinto così di ottenere soddisfazione.
A questo punto c' è un intervento estremamente pesante e molto
determinato da parte dell'Arciprete Bartolomeo Pucilli che ritiene che
non si sia " assolutamente abusato a pregiudizio del pubblico farmacista,
ma si é avuto riguardo di soccorrere a tanti capi di famiglia
che soccombevano in tante calamità fisiche e morali " continua
il sacerdote nella sua lettera " che io non mi sarei potuto esentare
in niun caso senza incorrere la pubblica indignazione ad essere sottoposto
a qualche insulto profondo " si allega poi un elenco ben determinato
di famiglie indigenti che sono in numero abbastanza elevato .
Il Bertini non ottiene soddisfazione alcuna anzi, qualche tempo più
tardi, scrivendo ad un amico fa presente che il Vescovo ha ordinato
che vengano dati i medicinali dell'Ospedale ai poveri del paese e questi
" sono i quattro quinti della popolazione e quindi
togliendone i quattro quinti della popolazione mi conviene domandare
l'altrui soccorso, per alimentare me e la mia povera famiglia "
( 53 ).
Comunque la farmacia dell'Opedale anche negli anni a venire continuerà
a dare praticamente i medicinali agli ammalati e ai poveri, con buona
pace del farmacista Bertini.
Tra il 1862 e il 1867 l'amministrazione dell'Ospedale è molto
carente tento è vero che nella congregazione del 1867 si fa presente
che la situazione del paese è drammatica infatti mancano i letti
nell'Ospedale ed altre cose necessarie, inoltre da tempo non c'è
più una stanza riservata alle donne " da tale situazione
derivano tanti sconcerti ed inconvenienti che fanno ribrezzo , per cui
bisogna prendere opportuni provvedimenti " (54)
non siamo riusciti però a conoscere quali provvedimenti in realtà
siano stati presi in quanto non vengono più registrate le decisioni
della Congregazione, infatti nei registri vengono riportate esclusivamente
le elezioni degli amministratori e dal marzo del 1870 si passa al 1873
e di lì in poi non sappiamo più quanto venne deciso per
la gestione dell'Ospedale.
E evidente qui che la fine dello Stato Pontificio ha determinato grandi
cambiamenti anche a Tolfa, pertanto di detti cambiamenti ne subirono
le conseguenze anche quegli Enti e quegli organismi che nel passato
avevano reso un così alto servizio per la popolazione.
E risaputo che la storia si ripete, e così come la Venerabile
Confraternita, nata solo per l'esaltazione del Nome di Dio, fini per
patrocinare un ben organizzato Ospedale, anche le suore, nella loro
più che centenaria permanenza a Tolfa, ampliarono le loro opere
e da semplici ospedaliere, divennero maestre di vita spirituale.
L'Ospedale nel secondo decennio di questo secolo fu trasportato in un
nuovo imponente edificio in posizione panoramica e la vecchia sede fu
trasformata in casa d'abitazione. Ma il nuovo ospedale non fu mai attivo,
perché con il miglioramento dei trasporti la comunità
tolfetana finì per fare capo al più grande e meglio attrezzato
Ospedale di Civitavecchia.
Cap. 5 - PATRONATO DELLA CONFRATERNITA SUL SANTUARIO DELLA ROCCA
a) Cenni storici del Santuario mariano
La
Confraternita fin dalla sua fondazione si prese cura di un antica chiesetta
dedicata alla Madonna.
Prima di evidenziare il rapporto tra la Confraternita del Nome di Dio
e il piccolo Santuario tolfetano abbiamo voluto premettere una sintesi
dettagliata della storia del tempio mariano. Questo per un duplice motivo,
innanzitutto perché oggi è l'unica vera eredità che
ci è stata lasciata dalla Confraternita e perché
si tratta di una Chiesa celebre e meta di pellegrinaggi, le cui vicende
storiche sono state poco approfondite rispetto ad altri Santuari del territorio
(55 ).
La Margarita Cornetana registra un atto del 13 marzo 1201 in cui compaiono
due chiese tolfetane: S. Egidio e S. Maria.
Dice il Morra: " Con la chiesa di S. Egidio, adeguata all'esigua
comunità e pertanto assai più piccola di quella che vediamo
adesso, ne appare anche un'altra citata sotto il titolo di S. Maria; viene
spontaneo pensare che si tratti del piccolo santuario dedicato all'Addolorata
( S. Maria della Pietà ), tuttora esistente sull'alto del Monte"
(56 ).
E' possibile dunque identificare la chiesa in questione con quella della
Rocca; del resto lo stesso titolo latino Santa
Maria de Arce e l'attribuzione popolare hanno sempre collegato la piccola
chiesa al castello sullo scoglio che per i tolfetani rappresenta il comune
distintivo di appartenenza e la sintesi della loro storia.
Per amor del vero, bisogna affermare che il documento della Margarita
Cornetana, non ubicando chiaramente la chiesa denominata S. Maria, può
riferirsi anche ad un' altra chiesa le cui origini per ora non sono state
ancora rintracciate.
Si tratta della chiesa detta " S. Maria della Misericordia”,
intimamente collegata ai fatti prodigiosi della invenzione
della Madonna della Sughera (Novembre 1501) e ubicata nell'omonimo prato
ora Giardino Comunale. La chiesa, ora sconsacrata, nel `500 era una delle
chiese principali di Tolfa Vecchia; oggetto di Visita Pastorale, compare
in quella più antica del 1560 ( 57)
; fu sede di alcuni importanti sodalizi di Tolfa (la Confraternita di
S. Giovanni Decollato o della Misericordia, Compagnia dei Cavallari di
Tolfa e delle Lumiere, la Confraternita del Suffragio...).
Sul finire del cinquecento i Padri Predicatori del convento
di S. Maria di Civitavecchia chiesero di potervi stabilire nelle adiacenze
un piccolo convento per esercitarvi attività di insegnamento e
di culto.
La proposta domenicana non fu attuata ma, nel seicento, vi si stabilirono
alcuni religiosi detti Fratelli della Misericordia, i quali costruirono
dei locali sul lato orientale dove tennero scuole, insegnando anche filosofia
(58 ).
Secondo noi, resta però giustificata l'ipotesi del Morra che la
chiesa di S. Maria citata dalla Margarita Cornetana sia quella della Rocca,
non solo, ma alcuni indizi sembrano convalidare l'ipotesi che si tratti
della chiesa del castello.
a ) Se confrontiamo il più antico documento relativo alla Rocca
esistente nell'Archivio Storico del Comune di Tolfa,
notiamo che esso parla di un restauro quasi totale da apportare al consiglio
della comunità (congregato consilio secreto more solito) stabilisce
che si faccia "coperire et bene adaptare dictam ecclesiam sumptibus
et pecuniis communitatis " (59 ).
Nel registro di amministrazione si trovano elencate tutte le spese sostenute
dal comune ( per il muratore, canali, porta...) per un rifacimento quasi
totale dell'antico edificio che alla chiesa sullo scoglio.
II 2 aprile 1567 versava in uno stato pietoso.
Del resto ciò corrisponde alla descrizione che del castello fa
Annibal Caro in un sonetto dei 1532: " La Tolfa é Giovan Boni
una bicocca - tra schegge e balze d' un petron ferrigno, - ed ha n cima
al cucuzzol d'un macigno - un pezzo di sfasciume d'una rocca "...
(60 ).
A ciò fa eco un documento seicentesco dell'Archivio di Stato: "
La Rocca della Tolfa... si gode presentemente alla Camera Apostolica,
benché inutile per se stessa per qualsiasi abitazione, et altro
essendo quasi del tutto diruta come appare" (61)
.
La chiesa deve aver seguito le vicende del castello, Tolfa Vecchia fu
assediata con la sua Rocca nel 1468 per ordine di Paolo II; egli inviò
le milizie pontificie al comando del Governatore di Roma onde riportare
alla sottomissione con la forza delle armi i feudatari contrari alla proposta
del Papa che intendeva acquistare il feudo.
Era stato ritrovato nel 1462 l'allume sui Monti della Tolfa e il Pontefice
perseguiva il fine di avocare alla Chiesa tutto il territorio delle miniere.
I feudatari Ludovico e Pietro rifiutarono l'offerta del Papa che decise
allora di privarli della Signoria del feudo.
domandatene pur Cecco Lupini
Noi ci stiam per aver di quei catolli,
da farle patacche e de' fiorini,
poiché tu con gli tuoi non ci satolli.
Capre, pecore e polli
Ci cacan per le vie fagiuoli e ceci,
E noi co' piè ne facciam soldi e beci ".
( riportato nel libro di Ottorino Morra, Tolfa..., op.cít.,pag.75
Il conflitto militare si concluse tramite la mediazione del cardinal Lantino
Orsini e il Papa divenne proprietario assoluto del territorio delle miniere.
Dopo aver patito l'assedio, la Rocca di Tolfa verrà ristrutturata
nel 1472 e nel 1479 (62 ).
Sarà però Agostino Chigi a determinarne l'iniziale smantellamento
quando nel 1502 fece trasportare i pezzi di artiglieria della Rocca a
Porto Ercole.
L'appaltatore delle miniere di allume si fregiava infatti del titolo di
Castellano.
Si legge infatti nel citato documento dell'Archivio di Stato: " E'
questa situata sulla cima d'un alto monticello di sasso vivo fatto dalla
natura, fabbricata per difesa della Tolfa che alla falda di esso in
parte si dilata, et in quei tempi che non era in .pratica l'uso del cannone;
e benché presentemente detta Rocca sia la maggior parte caduta,
riserba il titolo di Castellano, quale suol darsi dalla Camera Apostolica
all'appaltatore pro tempore delle Lumiere" (63)
.
b) II Catasto delle tenute delle Allumiere da cui abbiamo tratto quanto
riguarda il titolo di castellano attribuito all'appaltatore, ci offre
un secondo indizio per affermare che la chiesa mariana di cui ci interessiamo
è stata anticamente la chiesa del castello.
Sembra infatti che la denominazione " Chiesa della Rocca " non
sia solo di origine popolare, ma per il catasto la chiesa e il castello
sono inscindibilmente uniti sia per la posizione geografica, che per la
proprietà spettante alla Rev; Camera Apostolica.
Nel catasto si offre una " descrizione della chiesa et Rocca della
R. Camera Apostolica posta dentro la Tolfa " facenti parte delle
tenute delle Allumiere, non si descrive solo il castello, ma anche la
chiesa segno evidente che veniva inclusa in queste tenute spettanti alla
Camera Apostolica e affidate all'appaltatore pro - tempore
che aveva il titolo di Castellano.
Mentre della Rocca si asserisce: " Non si é presa la misura
dé muri... né dei vani di detta Rocca, conforme all'altre
fabbriche, per non essere fabbrica coperta, né da doversi coprire
o mantenere se non fino a quel tempo che sarà permesso dal tempo
" ( 64 ); della chiesa si dà
una descrizione precisa, una pianta tanto dell'edificio sacro che dell'
abitazione eremitica annessa.
Quanto viene affermato in questa dichiarazione del catasto ci fa intuire
che la Camera Apostolica e per essa l'appaltatore avevano pressoché
abbandonato il castello di Tolfa, considerandolo inutilizzabile per qualsiasi
abitazione o opera; di conseguenza intuiamo anche il
motivo dell'intervento di restauro alla vecchia chiesa fatiscente che
fu sostenuto non dalla Camera Apostolica, ma dalla Comunità di
Tolfa (65) .
c) Un terzo indizio ci viene offerto dalle memorie di Alessandro Bartoli
riportate da O. Morra (66 ).
Il raccoglitore di memorie storiche tolfetane afferma : " Il paramento
esteriore nel muro orientale della chiesa della Rocca formato con pietre
bislunghe e parallelepipede (sic) a corsi verticali e l'altro con simili
pietre più pulimentate nell' orticello dell'eremita, ivi et arroge
l'apparecchio policromo a filari alternati di tufo giallo e nero che si
rese visibile nella demolizione della Porta del Castello sono date per
argomentarne l'esistenza prima del sec. Xl " ( 67 ).
Pur essendo difficile dare un giudizio sull'interpretazione delle vestigia
strutturali e murarie offerta dal Bartoli, la notizia da lui riportata
resta una traccia per asserire l'antichità della chiesa della Madonna
della Rocca e congiungerla sempre più alla storia del Castello.
Avendo presentato le più antiche testimonianze rintracciabili sulla
chiesa tolfetana, possiamo trarre alcune conclusioni utili ai fini della
nostra ricerca.
Rifacendoci al citato documento dell'archivio storico del Comune di Tolfa,
individuiamo nel 1567 un anno fondamentale per la storia del santuario.
Del periodo storico precedente a questa data possiamo affermare che con
tutta probabilità la chiesa mariana era la stessa chiesa del Castello;
possiamo attestare che si trattava realmente di una chiesa dedicata alla
Madonna; è difficile però stabilire se la pietà verso
Maria, che si esercitava nel tempietto, assumeva Io stesso fenomeno che
si registra nei Santuari mariani.
Ciò nonostante il vivo interessamento del Consiglio della Comunità
per il restauro della chiesa ha accolto "una voce" dei membri,
rivela come l'edificio sacro stesse a cuore ai tolfetani, che forse nelle
vicende belliche che avevano coinvolto la città avevano invocato
la Madonna venerata nel piccolo tempio e vi si erano affettivamente legati.
La data del restauro segna la rinascita della chiesa della Rocca, grazie
all'intervento del comune e al patronato acquisito sull'edificio dalla
Confraternita del SS. mo Nome di Dio che si costituiva proprio intorno
al 1567: un motivo in più per riconoscere in questo anno un punto
cronologico fondamentale.
b) Rapporto tra Santuario, eremita e Confraternita
Nei verbali delle congregazioni della Confraternita e in quelli delle visite pastorali più volte si trova l'espressione che la
compagnia ab immemorabili o da sempre o fin dalla sua fondazione ha ritenuto
il ius patronatus sulla Chiesa della Rocca (68 ).
Se la fondazione risale al 1567, ciò equivale a dire, che fin dall'anno
del restauro totale della chiesa del castello, la Confraternita si è
interessata della sua cura.
Possiamo ipotizzare infatti che la comunità, forse sollecitata
dalla stessa Confraternita, da poco costituitasi, abbia pensato di affidare
la chiesa mariana a un sodalizio, affinché non ricadesse nello
stato di abbandono in cui versava prima del restauro; oppure che la Confraternita
del Nome di Dio, dovendo ristrutturare la chiesa di S. Giovanni affidatagli
nel 1568, in un primo tempo per celebrare le sue funzioni si sia servita
della chiesa della Madonna della Rocca accettandone poi il patronato e
la custodia.
Sta di fatto che tutta la documentazione che abbiamo, pur non informandoci
dei motivi per cui la chiesa della Rocca passò alla Confraternita
dell'Ospedale, dà per scontati i diritti della Confraternita sul
piccolo santuario fin dagli inizi.
Nei registri di amministrazione si trovano elencate tutte le spese sostenute
dalla Compagnia per la manutenzione della chiesa.
Ad esempio: nel 1632 si accomoda il tetto; nel 1642 si sostituisce la
porta della cella e la finestra; il 19 gennaio 1642 si paga Marchidrino
picconiero per aggiustare la strada e il territorio intorno alla chiesa
per una processione; nel 1667 si fanno restaurare ancora
i tetti da mastro Giuseppe muratore; vi sono poi elencate spese per chiodi,
canali, limarelle, pianelle, legna...e altre cose necessarie per il culto
(69 ).
Alla Rocca la Confraternita faceva celebrare determinate funzioni e sante
Messe da sacerdoti invitati di volta in volta: non ci risulta che vi sia
stato un cappellano stabile per la chiesa.
All'inizio non troviamo nessuna celebrazione solenne in onore della Madonna;
viene invece sottolineata la solenne adorazione della S. Croce. Nel 1642
viene celebrata nel mese ( 70 ) di aprile;
in tale ricorrenza venivano raccolte delle elemosine che sono puntualmente
annotate ( vedi ad esempio nel 1632 ) Solo in un secondo momento si parla
di celebrazione di messe nelle principali feste di Maria SS. ma per un
legato di otto messe lette (sic) stabilito da una certa Caterina Allegri
(71 ).
L'onere di assolvere al legato spettava alla Compagnia nei giorni 2 febbraio
( Purificazione di Maria ) 25 marzo ( Annunciazione ) , 2 luglio ( Visitazione
) , 5 agosto (Dedicazione di S. Maria Maggiore o popolarmente Madonna
della Neve) , 15 agosto ( Assunzione ), 8 settembre ( Natività
di Maria ), 21 novembre ( Presentazione di Maria al Tempio
), 8 dicembre ( Immacolata ).
All'obbligo della celebrazione di queste messe, il cui elenco abbiamo
ricavato da un promemoria del 1756 (72 ), la compagnia è rimasta sempre fedele, lo attestano concordemente
le Visite Pastorali e ciò è riscontrabile nei registri di
amministrazione (73 ).
Altre messe venivano fatte celebrare ex devotione dai .l. 1640; Archivio
ECA, Tolfa. fedeli.
Comunque, le celebrazioni più solenni della Confraternita venivano
effettuate nella Chiesa di S. Giovanni.
Una celebrazione molto sentita era quella della Circoncisione, in occasione
della quale i Confratelli facevano una raccolta straordinaria della questua
che devolvevano a totale beneficio per la riuscita della festa.
Nella seconda metà del Seicento assunsero importanza per la Chiesa
della Rocca la celebrazione della festa dell'Assunzione, alla quale veniva
annessa l'indulgenza plenaria, e la festa di S. Bartolomeo ( 74 ).
Nella Chiesa della Rocca e successivamente nella Chiesa di S, Giovanni
la Compagnia dell'Ospedale ospitava l'Università dei Calzolai sotto
l'invocazione dei Santi Crispino e Crispiniano, loro protettori (75)
.
Ai due santi era dedicata una cappellina sul lato sinistro della chiesa,
soppressa poi per decreto di Visita Pastorale e trasformata in magazzino
di legna ( 76 ).
Un altro altare collocato in una cappellina sul lato sinistro era dedicato
a san Antonio di Padova; anche questa cappellina fu soppressa e trasformata
in seguito in sacrestia.
Così successivamente la Chiesa della Rocca si presentava con un
unico altare: quello dedicato alla Madonna.
La Confraternita, o Corporazione dei Calzolai, privata del suo altare
della Rocca, viene ospitata sempre dalla Compagnia del Nome di Dio nella
Chiesa di S. Giovanni, e ad essa verrà concesso uno dei sei altari
laterali esistenti in detta Chiesa (77 ).
Davanti all'autorità ecclesiastica la Compagnia rispondeva della
cura degli arredi sacri della chiesetta e custodiva gli ex - voto (in
argento, oro o altro materiale ) offerti alla Madonna (78)
.
Una particolare sorveglianza esercitava sull'eremita che viveva stabilmente
in alcune stanze annesse alla Chiesa della Rocca.
La nomina di questo laico custode spettava direttamente alla Confraternita.
L'eremita della Rocca non almeno agli inizi affiliato a un qualche Ordine
Mendicante, di certo vestiva un abito eremitico, ma molto generico.
Solo nell'Ottocento abbiamo per certo che l'eremita Benedetti e forse
anche il Catalini, erano iscritti al Terz'Ordine dei
Servi di Maria; del Benedetti abbiamo l'attestato del Priore di Cibona,
nel Catalini scorgiamo degli usi devozionali propri della tradizione Servita
(famiglia religiosa molto diffusa nel territorio ), come ad esempio l'erezione
della Via Matris (79).
Le prime notizie di un eremita alla Rocca le troviamo fin nella prima
metà del Seicento; ma è probabile che fin dagli inizi del
patronato, la Confraternita abbia collocato un eremita a custodia della
chiesetta.
La Confraternita che si interessava della sussistenza
dell'eremita anche in caso di malattia e di anzianità, provvedeva
ad esso l'occorrente per la questua del grano e del vino (le botti, la
barlozza..), lo forniva di vestiario, tonaca nera, cappellone, calzature,
legna (80 ).
Dava ad esso un sussidio particolare se in caso di tempo cattivo non avesse
potuto effettuare la questua; oltre la questua del grano e del vino poteva
chiedere elemosine in giorno di domenica (81)
.
La Compagnia vigilava sulla condotta dell'eremita, lo indirizzava a pratiche
di devozione e di vita spirituale, sorvegliava in particolare che l'eremita
si attenesse alle norme del Concilio Romano e cioè:
1) che portasse un abito non identico a quello dei religiosi;
2) che rendesse conto delle elemosine al Vescovo diocesano (e alla Confraternita
);
3) che si recasse alle funzioni delle feste di precetto in parrocchia;
4) che si confessasse e comunicasse in tutte le feste solenni;
5) che recitasse alcune orazioni tra cui il Rosario e le litanie;
6) che non tenesse alcun libro senza prima averlo mostrato al
Parroco e averne avuta licenza
7) che non ammettesse nessuno a pernottare presso il
romitorio senza licenza del parroco;
8) soprattutto non ammettesse " sotto qualsivoglia pretesto o licenza
alcuna donna di qualsivoglia condizione in qualunque tempo " (82).
La Confraternita esigeva il rendiconto amministrativo delle questue dell'eremita,
dalle quali ritirava una parte che devolveva a beneficio delle opere assistenziali
dell'Ospedale (83) .
Evidentemente la situazione era sfuggita di mano agli amministratori se
nella Congregazione del 17 novembre 1837, dopo i soliti preamboli e l'elenco
dei partecipanti, venne annotato che l'eremita della Rocca, sig. Luigi
Fatica, aveva prestato 25 scudi a tal Giovanni Andrea Urbani nonché
" due rubbia di grano concio " ( circa cinque quintali ) a tal
Michele Fronti, come risulta da dichiarazioni sottoscritte dagli interessati
stessi.
Ricordiamo che la Confraternita, e quindi l'Ospedale, viveva di proprie
rendite e di elemosine e che fra quest'ultime c'era anche quella ottenuta
dall'eremita della Rocca.
Certamente questa fu la delibera più delicata che abbiano dovuto
prendere i Confratelli riuniti. Essa, dopo aver ricordato che, quando
Luigi Fatica fu deputato (nominato) Eremita della Rocca, era così
misero che l'Ospedale gli aveva dovuto dare un vestito decente, così
prosegue: "...questo ven. Ospedale sempre ha avuto il diritto di
patronato sulla Chiesa sempre la manutenzione della chiesa e locale medesimo
non solo per quel che riguarda i restauri ma ancora i suoi arredi"
come risulta dai registri della Confraternita ( congregazione del 29 dicembre
1799 e del 28
dicembre 1806) "nonché il provvedimento dei mezzi di sussistenza,
tanto nello stato di salute quanto in caso di infermità del medesimo
eremita, ed a cui ( Confraternita) perciò appartiene il diritto
di nominare ( l'eremita) sempre esercitato come risulta dai registri della
Congregazione " (congregazione del 30 settembre 1795 e del 28 dicembre
1796).
Pertanto, quanto sopra riportato e il seguito della delibera stessa si
possono così riassumere:
- l'eremita della Rocca dipendeva dalla Confraternita del SS. mo Nome
di Dio o di S. Giovanni come più brevemente era chiamata;
- compiti dell'eremita erano la sorveglianza e la manutenzione della Chiesa
della Rocca, alle quali avrebbe dovuto provvedere con le questue domenicali
e con la " cerca " del grano e del vino che doveva fare nelle
opportune stagioni;
- questo eremita da parecchi anni, sembra quattordici, buono o cattivo
che fosse il raccolto, versava all'amministrazione dell'Ospedale solo
due rubbie di grano ( circa cinque quintali ).
Pertanto si cominciò a dubitare della lealtà e dell'onestà
dell'eremita, anche perché lungo tutto questo tempo non aveva speso
un soldo per la manutenzione della chiesa,né per rinnovare gli
arredi, cosa sempre fatta dai precedenti eremiti.
Esposto quanto sopra e dopo lunga discussione la Congregazione così
decise:
1 ) l'eremita dovrà presentare un rendiconto mensile di qualunque
elemosina ricaverà;
2) il Priore lascerà all'eremita il sufficiente per vivere e il
restante lo verserà all'Ospedale;
3 ) gli scudi 25 saranno restituiti dal sig. Urbani al Priore dell'Ospedale
che li impiegherà per la Chiesa della Rocca, così pure i
due rubbia di grano e qualsiasi altra somma che fosse eventualmente recuperata;
4 ) si darà all'eremita copia delle regole stabilite dal Concilio
Romano per tutti gli eremiti, regole integralmente trascritte nel verbale.
Infine venne precisato che la Congregazione aveva stabilito quanto sopra:
- per togliere dubbi ai fedeli che si rivolgevano con elemosine alla Madonna
della Rocca:
- perché era scandaloso che gli eremiti negoziassero i denari delle
elemosine.
La Congregazione desiderava anche troncare le chiacchiere sull'eremita
che già nel 1832 aveva prestato scudi 8 ad un certo Fortunato Martini
ed essa decise infine di dare lettura di quanto stabilito all'eremita
in presenza del Segretario, del Vicario, dell'Arciprete e del Priore dell'Ospedale.
Dopo aver ricordato alcuni lavori eseguiti nella Chiesa della Rocca e
nel romitorio, la Congregazione venne chiusa con la solita formula.
La Confraternita infatti manteneva " propriis expensis " l'Ospedale
di S. Giovanni, dove i fratelli prestavano gratuitamente il loro servizio.
Una particolare forma assistenziale svolgeva con l'assegnazione
di numerose doti alle zitelle erogando in loro favore il reddito di alcuni
lasciti; a ciò aggiungeva l'assegnazione di un sussidio a famiglie
di ebrei o eretici convertiti e battezzati nella chiesa di S. Giovanni
(84).
Concludiamo questo punto, richiamando al fatto che la presenza di un eremita
presso una chiesa, denota, oltre alla necessità di una ordinaria
custodia - manutenzione, anche l'indizio che il tempio, nel nostro caso
dedicato alla Madonna, è un centro di particolare pietà
per il popolo e custodisce insigni memorie religiose.
Non possediamo nessuna notizia che dimostri una presenza eremitica prima
del 1567; numerose sono invece le testimonianze sui numerosi eremiti che
si sono avvicendati alla Madonna della Rocca dopo che la chiesa passò
sotto la cura della Confraternita del SS. mo Nome di Dio e suo Ospedale.
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