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Nel 1826 vengono annotati dagli amministratori dell'Ospedale i giorni di degenza per ogni malato e riportate alla fine dell'anno il numero complessivo delle giornate di ricovero che per quell'anno sono 1324.
Dopo un controllo positivo effettuato nel 1810 sulla contabilità dell'Ospedale da parte dei Sindaci, che infatti riscontrano nel bilancio consuntivo un attivo di 85 scudi e 58 baiocchi, gli anni a venire l'amministrazione lasciò probabilmente a desiderare ed anche la gestione stessa dell'Ospedale tanto è vero che il Vescovo di Sutri in una sua Visita Pastorale effettuata a Tolfa nel 1827 si vide costretto a dettare nuove norme per la gestione dello stesso.
Nell'esortare gli amministratori a rendere i conti consuntivi anno per anno, impone che venga tutto registrato e vengano redatte copie di " locuzioni, ordini, biglietti, lettere, inventari, catasti, piante, terreni, memorie, strumenti, di legati pii, di censi ipotecari, appartenenti a questo Ospedale ed il Canonico Bartolomeo Pucilli, cancelliere foraneo nominato in qualità di computista, non solo per il buon regolamento di questo Ospedale, ma ancora dell'altri luoghi pii e confraternite, con l'assegnamento di scudi annui cinque da ripartirsi come in appresso:

OSPEDALE scudi 2
CONFR. SUFFRAGIO 1
CONFR. S. GIOVANNI DECOLLATO 1
CONFR. S. SALVATORE baiocchi 20
UNIVERSITA' DEI VACCARI 50
SCUOLA PIA 10
SCUDI 5

Inoltre il Vescovo, dopo aver nominato il computista, per una migliore vigilanza sui vari organi ecclesiali raccomanda di vigilare seriamente sul buon funzionamento dell'Ospedale affinché " quest'opera così pia e santa sia bene amministrata, che si usi carità ai poveri infermi, che siano ben trattati nelle loro malattie, insegnandoci quanto la carità cristiana e la legge evangelica...." .
Nelle pagine successive vengono adottate norme riguardanti la gestione dell'Ospedale in merito all'approvvigionamento del pane " che sia regolato come al presente, servendosi del grano dei terratici dello stesso Ospedale, con darlo al fornaro al prezzo stabilito e provvederlo a tempo debito, quando si riconosce mancante, e lo stesso dicasi per i medicinali in quanto è riconosciuto vantaggioso e molto economico in molti ospedali della Diocesi, che almeno si provvedessero dei medicinali semplici, e questi con l'intelligenza del medico si distribuissero ai poveri infermi, secondo i gradi d e l l a malattia " ( 49) .
Sicuramente negli anni precedenti l'Ospedale aveva avuto una gestione abbastanza allegra sia dal punto di vista amministrativo, che anche morale, se il Vescovo é costretto a ribadire nelle sue premure della Visita Pastorale, che " è proibito all'Ospedaliere e Ospedaliero di dare ricetto nel locale dell'Ospedale medesimo, e casa di sua propria abitazione a persone di cattiva fama tanto uomini che donne, tanto di giorno che di notte ricordandosi non essere questo un asilo di gente infami, ma bensì di poveri infermi....", e se il personale si riconoscerà colpevole delle mancanze di cui sopra " sia immediatamente espulso senza veruna riserva ".
Continua lo scritto di Mons. Vescovo che " venga immediatamente formato l'inventario di tutto ciò, che si ritiene e si consegna all'Ospedaliere, tanto di sanitaria che di altro tutto venga segnato in un libro a tale effetto destinato, sotto il controllo del Computista e del Priore...»
Evidentemente la gestione degli anni precedenti alla visita del Vescovo era risultata piuttosto carente e superficiale.
Nella parte finale della relazione il Vescovo tratta del lascito di Buttaoni che avrà negli anni a venire una grande importanza per il futuro economico dell'Ospedale (50 ).
Mentre sia il Vescovo della Diocesi che la Congregazione si sforzavano di dare una gestione lineare e corretta all'amministrazione dell'Ospedale nel 1845, a seguito della morte dello speziale, viene assegnato il servizio della farmacia al signor Antonio Bertini che promette agli amministratori " di detrarre un terzo del prezzo dei medicinali rispetto a quanto in precedenza era stato fatto "
L'assegnazione della gestione della farmacia a codesto signor Bertini creò una lunga serie di difficoltà sia alla Congregazione che all'Ospedale stesso, nel 1846 il Bertini aveva acquisito i diritti della seconda farmacia esistente in Tolfa, fino ad allora appartenuta ai fratelli Bonizi, e l'aveva chiusa, pertanto si trovava a gestire la propria in ragione di monopolio.
Questo fatto aveva creato gravissimi problemi alla comunità e soprattutto all'Ospedale che, in una congregazione del 17 gennaio 1847 si rileva l'abuso del farmacista Bertini che "profitta del luogo Pio (Ospedale) per sottometterla a durissima condizione ", prosegue poi la nota " infatti spaventa la spesa dei medicinali e di soldi bastano a provvedere per poco altro tempo " .
La Congregazione a questo punto chiede un intervento molto duro al Vescovo cioè " di dare una giusta lezione al signor Bertini perché l'Ospedale si provvegga di una spezieria da servire per gli ammalati e per i poveri del paese " prosegue poi la richiesta con queste considerazioni di carattere economico, " si spenderà il quarto di quello che presenta oggi il Bertini e con poco più della metà della spesa, l'Ospedale avrà la sua spezieria, pagato un farmacista e un giovane che lo assista " .
Evidentemente la supplica della Congregazione trovò una giusta risposta da parte del Vescovo che autorizzò l'apertura della spezieria dell'Ospedale, tanto è vero che nel marzo del 1848 il Bertini reclama avverso la Congregazione affinché l'Ospedale non somministri i medicinali ai poveri del paese, ma soltanto agli infermi.
A tale rimostranza rispondono gli amministratori che il Bertini non deve sollevare reclami in quanto non ha I'iscrizione della matricola per fare il farmacista e che l'Ospedale ha rilevato la spezieria per far fronte alle necessità dei poveri infermi del paese ai quali somministra vitto e tutto ciò che occorre per le malattie, previo documento del parroco che più di ogni altro conosce le miserie del paese (51 ).
A questo punto si interrompono le riunioni della Congregazione, evidentemente anche a Tolfa si sente il riflesso degli avvenimenti nazionali e soprattutto di quelli dello Stato Pontificio che daranno vita alla Repubblica Romana.
Le congregazioni susseguenti riprendono dal febbraio 1850 quando ormai tutti gli avvenimenti straordinari accaduti si sono normalizzati.
Negli anni susseguenti sia la vita della comunità che quella dell'Ospedale non subisce forti variazioni, infatti troviamo che resta quasi sempre invariata con piccole differenze sia di numero dei ricoveri che quello dei morti, infatti varia tra le 120 e le 150 unità, i morti non raggiungono mai la decina; la stragrande maggioranza dei forestieri ricoverati come già abbiamo visto in precedenza, è marchigiana e umbra, segno della presenza dell'attività agricola e dell'allevamento rispetto a quella mineraria dei secoli XVII e XVIII.
Riprende invece con veemenza la diatriba, che già abbiamo visto iniziata nel 1847, tra il farmacista Bertini e la farmacia dell'Ospedale, soprattutto dopo l'arrivo a Tolfa delle suore di San Giuseppe ed in particolar modo di suor Carolina Lassalle che svolge le funzioni di farmacista dell'Ospedale.
Infatti nel 1858 il Bertini scrive al Vescovo un reclamo con il quale si chiede di porre fine da parte della farmacia dell'Ospedale al rilascio dì medicinali per le persone non ricoverate, in quanto ciò crea a lui un grave danno economico, ed inoltre fa presente che la suora non ha ancora la matricola.
Interviene in questa faccenda in difesa sia delle suore ma soprattutto in difesa dei poveri del paese il medico condotto dottor Valeriani che nella lettera che invia al Vescovo di Civitavecchia sostiene che " la farmacia dell'Ospedale soccorrendo i poveri non danneggia gli interessi del signor Bertini perché se gli stessi trovassero credito, non avrebbero di che soddisfarlo, trattandosi di famiglie che giacciono nella più profonda miseria ". II dottor Valerianí rileva inoltre che " qualora fossero accettati i reclami del Bertini, egli non ne trarrebbe nessun vantaggio in quanto costoro abbandoneranno alla Provvidenza la loro vita e che inoltre le ricette gratuitamente elargite non superano il numero di tre o quattro al giorno " (52 ).
Comunque i reclami del Bertini ottengono qualche risultato tanto che la suora che gestisce l'Ospedale è costretta a sostenere un esame per poter prendere la matricola in modo da poter svolgere il suo lavoro senza più noie.
Il Bertini evidentemente non soddisfatto delle risposte, avute alle sue lamentele, da parte del Vescovo di Civitavecchia scrive alla Congregazione Speciale di Sanità dello Stato Pontificio nella condizione di ottenere giustizia sia nei confronti della farmacia dell'Ospedale che continua a dispensare i medicinali sia agli ammalati che ai cittadini poveri, che nei confronti del parroco di Tolfa che rilascia con grande facilità certificati di indigenza.
Il farmacista allega alla sua lettera un elenco di persone con vicino i beni di loro proprietà, che avevano ottenuto da parte del parroco la dichiarazione di indigenza convinto così di ottenere soddisfazione.
A questo punto c' è un intervento estremamente pesante e molto determinato da parte dell'Arciprete Bartolomeo Pucilli che ritiene che non si sia " assolutamente abusato a pregiudizio del pubblico farmacista, ma si é avuto riguardo di soccorrere a tanti capi di famiglia che soccombevano in tante calamità fisiche e morali " continua il sacerdote nella sua lettera " che io non mi sarei potuto esentare in niun caso senza incorrere la pubblica indignazione ad essere sottoposto a qualche insulto profondo " si allega poi un elenco ben determinato di famiglie indigenti che sono in numero abbastanza elevato .
Il Bertini non ottiene soddisfazione alcuna anzi, qualche tempo più tardi, scrivendo ad un amico fa presente che il Vescovo ha ordinato che vengano dati i medicinali dell'Ospedale ai poveri del paese e questi " sono i quattro quinti della popolazione e quindi togliendone i quattro quinti della popolazione mi conviene domandare l'altrui soccorso, per alimentare me e la mia povera famiglia " ( 53 ).
Comunque la farmacia dell'Opedale anche negli anni a venire continuerà a dare praticamente i medicinali agli ammalati e ai poveri, con buona pace del farmacista Bertini.
Tra il 1862 e il 1867 l'amministrazione dell'Ospedale è molto carente tento è vero che nella congregazione del 1867 si fa presente che la situazione del paese è drammatica infatti mancano i letti nell'Ospedale ed altre cose necessarie, inoltre da tempo non c'è più una stanza riservata alle donne " da tale situazione derivano tanti sconcerti ed inconvenienti che fanno ribrezzo , per cui bisogna prendere opportuni provvedimenti " (54) non siamo riusciti però a conoscere quali provvedimenti in realtà siano stati presi in quanto non vengono più registrate le decisioni della Congregazione, infatti nei registri vengono riportate esclusivamente le elezioni degli amministratori e dal marzo del 1870 si passa al 1873 e di lì in poi non sappiamo più quanto venne deciso per la gestione dell'Ospedale.
E evidente qui che la fine dello Stato Pontificio ha determinato grandi cambiamenti anche a Tolfa, pertanto di detti cambiamenti ne subirono le conseguenze anche quegli Enti e quegli organismi che nel passato avevano reso un così alto servizio per la popolazione.
E risaputo che la storia si ripete, e così come la Venerabile Confraternita, nata solo per l'esaltazione del Nome di Dio, fini per patrocinare un ben organizzato Ospedale, anche le suore, nella loro più che centenaria permanenza a Tolfa, ampliarono le loro opere e da semplici ospedaliere, divennero maestre di vita spirituale.
L'Ospedale nel secondo decennio di questo secolo fu trasportato in un nuovo imponente edificio in posizione panoramica e la vecchia sede fu trasformata in casa d'abitazione. Ma il nuovo ospedale non fu mai attivo, perché con il miglioramento dei trasporti la comunità tolfetana finì per fare capo al più grande e meglio attrezzato Ospedale di Civitavecchia.

Cap. 5 - PATRONATO DELLA CONFRATERNITA SUL SANTUARIO DELLA ROCCA

a) Cenni storici del Santuario mariano

La Confraternita fin dalla sua fondazione si prese cura di un antica chiesetta dedicata alla Madonna.
Prima di evidenziare il rapporto tra la Confraternita del Nome di Dio e il piccolo Santuario tolfetano abbiamo voluto premettere una sintesi dettagliata della storia del tempio mariano. Questo per un duplice motivo, innanzitutto perché oggi è l'unica vera eredità che ci è stata lasciata dalla Confraternita e perché si tratta di una Chiesa celebre e meta di pellegrinaggi, le cui vicende storiche sono state poco approfondite rispetto ad altri Santuari del territorio (55 ).
La Margarita Cornetana registra un atto del 13 marzo 1201 in cui compaiono due chiese tolfetane: S. Egidio e S. Maria.
Dice il Morra: " Con la chiesa di S. Egidio, adeguata all'esigua comunità e pertanto assai più piccola di quella che vediamo adesso, ne appare anche un'altra citata sotto il titolo di S. Maria; viene spontaneo pensare che si tratti del piccolo santuario dedicato all'Addolorata ( S. Maria della Pietà ), tuttora esistente sull'alto del Monte" (56 ).
E' possibile dunque identificare la chiesa in questione con quella della Rocca; del resto lo stesso titolo latino Santa
Maria de Arce e l'attribuzione popolare hanno sempre collegato la piccola chiesa al castello sullo scoglio che per i tolfetani rappresenta il comune distintivo di appartenenza e la sintesi della loro storia.
Per amor del vero, bisogna affermare che il documento della Margarita Cornetana, non ubicando chiaramente la chiesa denominata S. Maria, può riferirsi anche ad un' altra chiesa le cui origini per ora non sono state ancora rintracciate.
Si tratta della chiesa detta " S. Maria della Misericordia”, intimamente collegata ai fatti prodigiosi della invenzione della Madonna della Sughera (Novembre 1501) e ubicata nell'omonimo prato ora Giardino Comunale. La chiesa, ora sconsacrata, nel `500 era una delle chiese principali di Tolfa Vecchia; oggetto di Visita Pastorale, compare in quella più antica del 1560 ( 57) ; fu sede di alcuni importanti sodalizi di Tolfa (la Confraternita di S. Giovanni Decollato o della Misericordia, Compagnia dei Cavallari di Tolfa e delle Lumiere, la Confraternita del Suffragio...).
Sul finire del cinquecento i Padri Predicatori del convento di S. Maria di Civitavecchia chiesero di potervi stabilire nelle adiacenze un piccolo convento per esercitarvi attività di insegnamento e di culto.
La proposta domenicana non fu attuata ma, nel seicento, vi si stabilirono alcuni religiosi detti Fratelli della Misericordia, i quali costruirono dei locali sul lato orientale dove tennero scuole, insegnando anche filosofia (58 ).
Secondo noi, resta però giustificata l'ipotesi del Morra che la chiesa di S. Maria citata dalla Margarita Cornetana sia quella della Rocca, non solo, ma alcuni indizi sembrano convalidare l'ipotesi che si tratti della chiesa del castello.
a ) Se confrontiamo il più antico documento relativo alla Rocca esistente nell'Archivio Storico del Comune di Tolfa, notiamo che esso parla di un restauro quasi totale da apportare al consiglio della comunità (congregato consilio secreto more solito) stabilisce che si faccia "coperire et bene adaptare dictam ecclesiam sumptibus et pecuniis communitatis " (59 ).
Nel registro di amministrazione si trovano elencate tutte le spese sostenute dal comune ( per il muratore, canali, porta...) per un rifacimento quasi totale dell'antico edificio che alla chiesa sullo scoglio. II 2 aprile 1567 versava in uno stato pietoso.
Del resto ciò corrisponde alla descrizione che del castello fa Annibal Caro in un sonetto dei 1532: " La Tolfa é Giovan Boni una bicocca - tra schegge e balze d' un petron ferrigno, - ed ha n cima al cucuzzol d'un macigno - un pezzo di sfasciume d'una rocca "... (60 ).
A ciò fa eco un documento seicentesco dell'Archivio di Stato: " La Rocca della Tolfa... si gode presentemente alla Camera Apostolica, benché inutile per se stessa per qualsiasi abitazione, et altro essendo quasi del tutto diruta come appare" (61) .
La chiesa deve aver seguito le vicende del castello, Tolfa Vecchia fu assediata con la sua Rocca nel 1468 per ordine di Paolo II; egli inviò le milizie pontificie al comando del Governatore di Roma onde riportare alla sottomissione con la forza delle armi i feudatari contrari alla proposta del Papa che intendeva acquistare il feudo.
Era stato ritrovato nel 1462 l'allume sui Monti della Tolfa e il Pontefice perseguiva il fine di avocare alla Chiesa tutto il territorio delle miniere. I feudatari Ludovico e Pietro rifiutarono l'offerta del Papa che decise allora di privarli della Signoria del feudo.
domandatene pur Cecco Lupini
Noi ci stiam per aver di quei catolli,
da farle patacche e de' fiorini,
poiché tu con gli tuoi non ci satolli.
Capre, pecore e polli
Ci cacan per le vie fagiuoli e ceci,
E noi co' piè ne facciam soldi e beci ".
( riportato nel libro di Ottorino Morra, Tolfa..., op.cít.,pag.75

Il conflitto militare si concluse tramite la mediazione del cardinal Lantino Orsini e il Papa divenne proprietario assoluto del territorio delle miniere.
Dopo aver patito l'assedio, la Rocca di Tolfa verrà ristrutturata nel 1472 e nel 1479 (62 ).
Sarà però Agostino Chigi a determinarne l'iniziale smantellamento quando nel 1502 fece trasportare i pezzi di artiglieria della Rocca a Porto Ercole.
L'appaltatore delle miniere di allume si fregiava infatti del titolo di Castellano.
Si legge infatti nel citato documento dell'Archivio di Stato: " E' questa situata sulla cima d'un alto monticello di sasso vivo fatto dalla natura, fabbricata per difesa della Tolfa che alla falda di esso in parte si dilata, et in quei tempi che non era in .pratica l'uso del cannone; e benché presentemente detta Rocca sia la maggior parte caduta, riserba il titolo di Castellano, quale suol darsi dalla Camera Apostolica all'appaltatore pro tempore delle Lumiere" (63) .
b) II Catasto delle tenute delle Allumiere da cui abbiamo tratto quanto riguarda il titolo di castellano attribuito all'appaltatore, ci offre un secondo indizio per affermare che la chiesa mariana di cui ci interessiamo è stata anticamente la chiesa del castello.
Sembra infatti che la denominazione " Chiesa della Rocca " non sia solo di origine popolare, ma per il catasto la chiesa e il castello sono inscindibilmente uniti sia per la posizione geografica, che per la proprietà spettante alla Rev; Camera Apostolica.
Nel catasto si offre una " descrizione della chiesa et Rocca della R. Camera Apostolica posta dentro la Tolfa " facenti parte delle tenute delle Allumiere, non si descrive solo il castello, ma anche la chiesa segno evidente che veniva inclusa in queste tenute spettanti alla Camera Apostolica e affidate all'appaltatore pro - tempore che aveva il titolo di Castellano.
Mentre della Rocca si asserisce: " Non si é presa la misura dé muri... né dei vani di detta Rocca, conforme all'altre fabbriche, per non essere fabbrica coperta, né da doversi coprire o mantenere se non fino a quel tempo che sarà permesso dal tempo " ( 64 ); della chiesa si dà una descrizione precisa, una pianta tanto dell'edificio sacro che dell' abitazione eremitica annessa.
Quanto viene affermato in questa dichiarazione del catasto ci fa intuire che la Camera Apostolica e per essa l'appaltatore avevano pressoché abbandonato il castello di Tolfa, considerandolo inutilizzabile per qualsiasi abitazione o opera; di conseguenza intuiamo anche il motivo dell'intervento di restauro alla vecchia chiesa fatiscente che fu sostenuto non dalla Camera Apostolica, ma dalla Comunità di Tolfa (65) .
c) Un terzo indizio ci viene offerto dalle memorie di Alessandro Bartoli riportate da O. Morra (66 ).
Il raccoglitore di memorie storiche tolfetane afferma : " Il paramento esteriore nel muro orientale della chiesa della Rocca formato con pietre bislunghe e parallelepipede (sic) a corsi verticali e l'altro con simili pietre più pulimentate nell' orticello dell'eremita, ivi et arroge l'apparecchio policromo a filari alternati di tufo giallo e nero che si rese visibile nella demolizione della Porta del Castello sono date per argomentarne l'esistenza prima del sec. Xl " ( 67 ).
Pur essendo difficile dare un giudizio sull'interpretazione delle vestigia strutturali e murarie offerta dal Bartoli, la notizia da lui riportata resta una traccia per asserire l'antichità della chiesa della Madonna della Rocca e congiungerla sempre più alla storia del Castello.
Avendo presentato le più antiche testimonianze rintracciabili sulla chiesa tolfetana, possiamo trarre alcune conclusioni utili ai fini della nostra ricerca.
Rifacendoci al citato documento dell'archivio storico del Comune di Tolfa, individuiamo nel 1567 un anno fondamentale per la storia del santuario.
Del periodo storico precedente a questa data possiamo affermare che con tutta probabilità la chiesa mariana era la stessa chiesa del Castello; possiamo attestare che si trattava realmente di una chiesa dedicata alla Madonna; è difficile però stabilire se la pietà verso Maria, che si esercitava nel tempietto, assumeva Io stesso fenomeno che si registra nei Santuari mariani.
Ciò nonostante il vivo interessamento del Consiglio della Comunità per il restauro della chiesa ha accolto "una voce" dei membri, rivela come l'edificio sacro stesse a cuore ai tolfetani, che forse nelle vicende belliche che avevano coinvolto la città avevano invocato la Madonna venerata nel piccolo tempio e vi si erano affettivamente legati.
La data del restauro segna la rinascita della chiesa della Rocca, grazie all'intervento del comune e al patronato acquisito sull'edificio dalla Confraternita del SS. mo Nome di Dio che si costituiva proprio intorno al 1567: un motivo in più per riconoscere in questo anno un punto cronologico fondamentale.

b) Rapporto tra Santuario, eremita e Confraternita

Nei verbali delle congregazioni della Confraternita e in quelli delle visite pastorali più volte si trova l'espressione che la compagnia ab immemorabili o da sempre o fin dalla sua fondazione ha ritenuto il ius patronatus sulla Chiesa della Rocca (68 ).
Se la fondazione risale al 1567, ciò equivale a dire, che fin dall'anno del restauro totale della chiesa del castello, la Confraternita si è interessata della sua cura.
Possiamo ipotizzare infatti che la comunità, forse sollecitata dalla stessa Confraternita, da poco costituitasi, abbia pensato di affidare la chiesa mariana a un sodalizio, affinché non ricadesse nello stato di abbandono in cui versava prima del restauro; oppure che la Confraternita del Nome di Dio, dovendo ristrutturare la chiesa di S. Giovanni affidatagli nel 1568, in un primo tempo per celebrare le sue funzioni si sia servita della chiesa della Madonna della Rocca accettandone poi il patronato e la custodia.
Sta di fatto che tutta la documentazione che abbiamo, pur non informandoci dei motivi per cui la chiesa della Rocca passò alla Confraternita dell'Ospedale, dà per scontati i diritti della Confraternita sul piccolo santuario fin dagli inizi.
Nei registri di amministrazione si trovano elencate tutte le spese sostenute dalla Compagnia per la manutenzione della chiesa.
Ad esempio: nel 1632 si accomoda il tetto; nel 1642 si sostituisce la porta della cella e la finestra; il 19 gennaio 1642 si paga Marchidrino picconiero per aggiustare la strada e il territorio intorno alla chiesa per una processione; nel 1667 si fanno restaurare ancora i tetti da mastro Giuseppe muratore; vi sono poi elencate spese per chiodi, canali, limarelle, pianelle, legna...e altre cose necessarie per il culto (69 ).
Alla Rocca la Confraternita faceva celebrare determinate funzioni e sante Messe da sacerdoti invitati di volta in volta: non ci risulta che vi sia stato un cappellano stabile per la chiesa.
All'inizio non troviamo nessuna celebrazione solenne in onore della Madonna; viene invece sottolineata la solenne adorazione della S. Croce. Nel 1642 viene celebrata nel mese ( 70 ) di aprile; in tale ricorrenza venivano raccolte delle elemosine che sono puntualmente annotate ( vedi ad esempio nel 1632 ) Solo in un secondo momento si parla di celebrazione di messe nelle principali feste di Maria SS. ma per un legato di otto messe lette (sic) stabilito da una certa Caterina Allegri (71 ).
L'onere di assolvere al legato spettava alla Compagnia nei giorni 2 febbraio ( Purificazione di Maria ) 25 marzo ( Annunciazione ) , 2 luglio ( Visitazione ) , 5 agosto (Dedicazione di S. Maria Maggiore o popolarmente Madonna della Neve) , 15 agosto ( Assunzione ), 8 settembre ( Natività di Maria ), 21 novembre ( Presentazione di Maria al Tempio ), 8 dicembre ( Immacolata ).
All'obbligo della celebrazione di queste messe, il cui elenco abbiamo ricavato da un promemoria del 1756 (72 ), la compagnia è rimasta sempre fedele, lo attestano concordemente le Visite Pastorali e ciò è riscontrabile nei registri di amministrazione (73 ).
Altre messe venivano fatte celebrare ex devotione dai .l. 1640; Archivio ECA, Tolfa. fedeli.
Comunque, le celebrazioni più solenni della Confraternita venivano effettuate nella Chiesa di S. Giovanni.
Una celebrazione molto sentita era quella della Circoncisione, in occasione della quale i Confratelli facevano una raccolta straordinaria della questua che devolvevano a totale beneficio per la riuscita della festa.
Nella seconda metà del Seicento assunsero importanza per la Chiesa della Rocca la celebrazione della festa dell'Assunzione, alla quale veniva annessa l'indulgenza plenaria, e la festa di S. Bartolomeo ( 74 ).
Nella Chiesa della Rocca e successivamente nella Chiesa di S, Giovanni la Compagnia dell'Ospedale ospitava l'Università dei Calzolai sotto l'invocazione dei Santi Crispino e Crispiniano, loro protettori (75) .
Ai due santi era dedicata una cappellina sul lato sinistro della chiesa, soppressa poi per decreto di Visita Pastorale e trasformata in magazzino di legna ( 76 ).
Un altro altare collocato in una cappellina sul lato sinistro era dedicato a san Antonio di Padova; anche questa cappellina fu soppressa e trasformata in seguito in sacrestia.
Così successivamente la Chiesa della Rocca si presentava con un unico altare: quello dedicato alla Madonna.
La Confraternita, o Corporazione dei Calzolai, privata del suo altare della Rocca, viene ospitata sempre dalla Compagnia del Nome di Dio nella Chiesa di S. Giovanni, e ad essa verrà concesso uno dei sei altari laterali esistenti in detta Chiesa (77 ).
Davanti all'autorità ecclesiastica la Compagnia rispondeva della cura degli arredi sacri della chiesetta e custodiva gli ex - voto (in argento, oro o altro materiale ) offerti alla Madonna (78) .
Una particolare sorveglianza esercitava sull'eremita che viveva stabilmente in alcune stanze annesse alla Chiesa della Rocca.
La nomina di questo laico custode spettava direttamente alla Confraternita.
L'eremita della Rocca non almeno agli inizi affiliato a un qualche Ordine Mendicante, di certo vestiva un abito eremitico, ma molto generico.
Solo nell'Ottocento abbiamo per certo che l'eremita Benedetti e forse anche il Catalini, erano iscritti al Terz'Ordine dei Servi di Maria; del Benedetti abbiamo l'attestato del Priore di Cibona, nel Catalini scorgiamo degli usi devozionali propri della tradizione Servita (famiglia religiosa molto diffusa nel territorio ), come ad esempio l'erezione della Via Matris (79).
Le prime notizie di un eremita alla Rocca le troviamo fin nella prima metà del Seicento; ma è probabile che fin dagli inizi del patronato, la Confraternita abbia collocato un eremita a custodia della chiesetta.
La Confraternita che si interessava della sussistenza dell'eremita anche in caso di malattia e di anzianità, provvedeva ad esso l'occorrente per la questua del grano e del vino (le botti, la barlozza..), lo forniva di vestiario, tonaca nera, cappellone, calzature, legna (80 ).
Dava ad esso un sussidio particolare se in caso di tempo cattivo non avesse potuto effettuare la questua; oltre la questua del grano e del vino poteva chiedere elemosine in giorno di domenica (81) .
La Compagnia vigilava sulla condotta dell'eremita, lo indirizzava a pratiche di devozione e di vita spirituale, sorvegliava in particolare che l'eremita si attenesse alle norme del Concilio Romano e cioè:
1) che portasse un abito non identico a quello dei religiosi;
2) che rendesse conto delle elemosine al Vescovo diocesano (e alla Confraternita );
3) che si recasse alle funzioni delle feste di precetto in parrocchia;
4) che si confessasse e comunicasse in tutte le feste solenni;
5) che recitasse alcune orazioni tra cui il Rosario e le litanie;
6) che non tenesse alcun libro senza prima averlo mostrato al
Parroco e averne avuta licenza
7) che non ammettesse nessuno a pernottare presso il romitorio senza licenza del parroco;
8) soprattutto non ammettesse " sotto qualsivoglia pretesto o licenza alcuna donna di qualsivoglia condizione in qualunque tempo " (82).
La Confraternita esigeva il rendiconto amministrativo delle questue dell'eremita, dalle quali ritirava una parte che devolveva a beneficio delle opere assistenziali dell'Ospedale (83) .
Evidentemente la situazione era sfuggita di mano agli amministratori se nella Congregazione del 17 novembre 1837, dopo i soliti preamboli e l'elenco dei partecipanti, venne annotato che l'eremita della Rocca, sig. Luigi Fatica, aveva prestato 25 scudi a tal Giovanni Andrea Urbani nonché " due rubbia di grano concio " ( circa cinque quintali ) a tal Michele Fronti, come risulta da dichiarazioni sottoscritte dagli interessati stessi.
Ricordiamo che la Confraternita, e quindi l'Ospedale, viveva di proprie rendite e di elemosine e che fra quest'ultime c'era anche quella ottenuta dall'eremita della Rocca.
Certamente questa fu la delibera più delicata che abbiano dovuto prendere i Confratelli riuniti. Essa, dopo aver ricordato che, quando Luigi Fatica fu deputato (nominato) Eremita della Rocca, era così misero che l'Ospedale gli aveva dovuto dare un vestito decente, così prosegue: "...questo ven. Ospedale sempre ha avuto il diritto di patronato sulla Chiesa sempre la manutenzione della chiesa e locale medesimo non solo per quel che riguarda i restauri ma ancora i suoi arredi" come risulta dai registri della Confraternita ( congregazione del 29 dicembre 1799 e del 28
dicembre 1806) "nonché il provvedimento dei mezzi di sussistenza, tanto nello stato di salute quanto in caso di infermità del medesimo eremita, ed a cui ( Confraternita) perciò appartiene il diritto di nominare ( l'eremita) sempre esercitato come risulta dai registri della Congregazione " (congregazione del 30 settembre 1795 e del 28 dicembre 1796).
Pertanto, quanto sopra riportato e il seguito della delibera stessa si possono così riassumere:
- l'eremita della Rocca dipendeva dalla Confraternita del SS. mo Nome di Dio o di S. Giovanni come più brevemente era chiamata;
- compiti dell'eremita erano la sorveglianza e la manutenzione della Chiesa della Rocca, alle quali avrebbe dovuto provvedere con le questue domenicali e con la " cerca " del grano e del vino che doveva fare nelle opportune stagioni;
- questo eremita da parecchi anni, sembra quattordici, buono o cattivo che fosse il raccolto, versava all'amministrazione dell'Ospedale solo due rubbie di grano ( circa cinque quintali ).
Pertanto si cominciò a dubitare della lealtà e dell'onestà dell'eremita, anche perché lungo tutto questo tempo non aveva speso un soldo per la manutenzione della chiesa,né per rinnovare gli arredi, cosa sempre fatta dai precedenti eremiti.
Esposto quanto sopra e dopo lunga discussione la Congregazione così decise:
1 ) l'eremita dovrà presentare un rendiconto mensile di qualunque elemosina ricaverà;
2) il Priore lascerà all'eremita il sufficiente per vivere e il restante lo verserà all'Ospedale;
3 ) gli scudi 25 saranno restituiti dal sig. Urbani al Priore dell'Ospedale che li impiegherà per la Chiesa della Rocca, così pure i due rubbia di grano e qualsiasi altra somma che fosse eventualmente recuperata;
4 ) si darà all'eremita copia delle regole stabilite dal Concilio Romano per tutti gli eremiti, regole integralmente trascritte nel verbale.
Infine venne precisato che la Congregazione aveva stabilito quanto sopra:
- per togliere dubbi ai fedeli che si rivolgevano con elemosine alla Madonna della Rocca:
- perché era scandaloso che gli eremiti negoziassero i denari delle elemosine.
La Congregazione desiderava anche troncare le chiacchiere sull'eremita che già nel 1832 aveva prestato scudi 8 ad un certo Fortunato Martini ed essa decise infine di dare lettura di quanto stabilito all'eremita in presenza del Segretario, del Vicario, dell'Arciprete e del Priore dell'Ospedale.
Dopo aver ricordato alcuni lavori eseguiti nella Chiesa della Rocca e nel romitorio, la Congregazione venne chiusa con la solita formula.
La Confraternita infatti manteneva " propriis expensis " l'Ospedale di S. Giovanni, dove i fratelli prestavano gratuitamente il loro servizio.
Una particolare forma assistenziale svolgeva con l'assegnazione di numerose doti alle zitelle erogando in loro favore il reddito di alcuni lasciti; a ciò aggiungeva l'assegnazione di un sussidio a famiglie di ebrei o eretici convertiti e battezzati nella chiesa di S. Giovanni (84).
Concludiamo questo punto, richiamando al fatto che la presenza di un eremita presso una chiesa, denota, oltre alla necessità di una ordinaria custodia - manutenzione, anche l'indizio che il tempio, nel nostro caso dedicato alla Madonna, è un centro di particolare pietà per il popolo e custodisce insigni memorie religiose.
Non possediamo nessuna notizia che dimostri una presenza eremitica prima del 1567; numerose sono invece le testimonianze sui numerosi eremiti che si sono avvicendati alla Madonna della Rocca dopo che la chiesa passò sotto la cura della Confraternita del SS. mo Nome di Dio e suo Ospedale.