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Cap. 6 - LE DOTI ALLE ZITELLE

Le congregazioni della Confraternita mettono in rilievo oltre il peso occupato dalla gestione dell'Ospedale e del Santuario della Rocca, anche una particolare attenzione alla distribuzione di doti per le zitelle povere. Un'opera di carità molto diffusa nei tempi passati a Tolfa, esercitata parzialmente anche da altre confraternite ma in modo degno dì nota solo dalla nostra.
Nella congregazione segreta del 21 novembre 1847 alla presenza del canonico Don Angelo Tonelli Vicario foraneo in Tolfa, la Confraternita del Santissimo Nome di Dio nelle persone dell'Arciprete Don Bartolomeo Pucilli Priore, del Canonico Giuseppe Ruina, del Reverendo Don Gregorio Galletti e dei confrati Giacomo Bartoli, Luigi Costanzi, Carlo Fronti, Francesco Marisanti si prende visione del lascito di Anna Maria Buttaoni e al punto due si prende atto che con i soldi dello stesso lascito si diano ogni anno due doti alle zitelle povere del paese, cosa che in precedenza era già stata ribadita dai lasciti Colelli (1671 ) e Pugnaletti ( 1701 ), infatti nel 1792 viene conferito un sussidio totale in favore di Domenica Mori e Rossi Paola, povere zitelle orfane " elette per pluralità di voti" (85 ).
Molto spesso gli amministratori delle Confraternite evitavano di scegliere le zitelle a cui assegnare la dote, non tanto per la mancanza delle loro presenze nel paese, ma soprattutto per difficoltà economiche intervenute nella gestione dell'Ospedale. Infatti nel 1843 gli amministratori lamentano carenze di disponibilità finanziaria, in quanto le entrate sono state totalmente assorbite dalle spese per gestione dell'Ospedale e degli infermi a causa anche di un aumento di popolazione avvenuto in quegli anni, pertanto si decide di soprassedere a fornire la dote alle zitelle.
Le zitelle censite in quell'anno sono diciotto di un'età compresa tra i diciassette e ventinove anni, nove delle quali avevano i genitori a Tolfa, cinque con i genitori forestieri e quattro con uno dei genitori forestieri.
Le richieste pervenute alla Confraternita sono le più diversificate, alcune di loro chiedono un sussidio che va da otto a dodici ducati, altre invece beni materiali: come un letto completo, due coperte, due lenzuola e un pagliericcio, facendo presente nelle loro richieste la situazione familiare che in molti casi è fortemente disagiata, infatti alcune sono prive di padre e sei addirittura orfane, per le quali la Confraternita, una volta riconosciuta la buona condotta morale e lo stato di necessità, dovrebbe deliberare quanto loro hanno richiesto.
Nel 1849 la situazione finanziaria è sicuramente cambiata in meglio ed infatti alle quindici zitelle che hanno fatto domanda viene data una risposta positiva, vengono vagliate attentamente le posizioni morali e finanziarie di ognuna di loro ed alla fine la Congregazione, con undici voti bianchi e nessuno nero, sceglie Anna Maria Catenacci e Franca Torroni (86 ).
Nella stessa Congregazione alla presenza del Vicario foraneo viene ribadito che " si dispensassero puntualmente da questa Confraternita nei modi e nei termini voluti dai rispettivi fondatori' cioè Colelli e Pugnaletti.
Probabilmente in quegli anni c'erano stati "troppi abusi arbitrari che essi non potevano essere perseguiti in appresso facendo alcun conto delle enunciate disposizioni alla visita di sua Eccellenza Monsignor Vescovo il quale potrà sempre intervenire sulla Congregazione col suo cancelliere".
Vediamo adesso quali sono le disposizioni emesse: " scelta che sia stata la zitella dotanda sarà consegnato alla medesima un certificato di polizza di pagamento, e intanto sarà premura del Camerlengo amministratore di far depositare la dote o doti nella Cassa di Risparmio di Roma non più tardi del mese dopo la predisposta nomina, onde il denaro divenga fruttifero a vantaggio della dotata o dotate. Non si permetterà poi la consegna del capitale se non dopo il celebrato matrimonio e se non sarà dato un fondo per assicurarla onde non si disperda e non corran pericolo che la donna resti indotata per il dissipamento del marito".
Tutti questi accorgimenti erano fatti a beneficio e salvaguardia delle zitelle tolfetane se la Congregazione arriva al punto anche dì salvaguardare fino in fondo la dote assegnata. (87 )
Nel 1855 troviamo che vengono assegnate doti alle zitelle Teresa Bottaccio, Filomena Bottaccio, Anna Giganti e Caterina Kesel, le domande erano state ben ventitre ed attentamente analizzate sia nelle richieste, che nelle persone che di esse si erano fatte carico.
Nella congregazione del 12 gennaio 1856 viene fatto il bando per le dote di due zitelle al quale vengono presentate ventiquattro domande ,la Congregazione dopo attento esame assegna la dote di scudi sei alle zitelle Maria Carassi ed Antonietta Antinori.
Nell'anno 1862 in una nota riservata di Monsignor Vescovo della Congregazione dell'Ospedale rispetto al problema delle doti delle zitelle, prevista dal testamento di Colelli, lo stesso Vescovo fa presente di aver avuto notizie che erano state incluse nella nota delle zitelle due ragazze Mariangela Zecchinelli e Prudenza Torelli.
Il Vescovo nella nota fa presente che le due giovani non possono essere ammesse a riscuotere la dote in quanto la prima per la " continua pratica scandalosa con il giovane Egidio Fronti da cui, si dice, esservi seguito un abbordo ".
Per la seconda la situazione, dal punto di vista morale è ancora più pesante in quanto, si dice, "che abbia avuto una gravidanza e l'autore di ciò ne frequenta ancora la casa per cui di conseguenza tutto ciò é contro la volontà del testamento in quanto le due ragazze sono prive del primario requisito di castità."
Qualche anno più tardi il capitano Giustino Colelli erede della signora Antonia Panetti destina una somma di 25 scudi annui da assegnare ad " una povera zitella nata nella Tolfa che sia vissuta casta e che sia priva del padre o della madre ", in più la ragazza però dovrà " recitare per lo spazio di un anno la terza parte del Santissimo Rosario e pregare Dio per l'anima dell'Antonia Panetti ".
Qualche anno più tardi da una nota riservata riguardante alcune zitelle ammesse a poter usufruire della dote si può rilevare che la Congregazione aveva approfondito a tal punto le indagini che per molte di loro non esistono i requisiti per poter ottenere la dote in quanto innamorate.

Cap. 7 - DONAZIONI E LASCITI

Intimamente collegato al discorso sulle doti alle zitelle e, a testimonianza della stima che ha goduto nel corso dei secoli il sodalizio di cui ci occupiamo, veniamo a trattare del sostegno economico che permetteva alla Confraternita del SS.mo Nome di Dio di gestire due chiese, amministrare un Ospedale, esercitare piccole o notevoli opere di carità. Certamente non sarebbero bastate le sole elemosine reperite dai " cercatori "o dall'eremita della Rocca o la Soccida delle vacche. Nel corso dei secoli la Confraternita invece beneficiò di numerosi lasciti. Anche questo fa parte di una tipica forma di sussistenza delle opere pie che ci aiuta anche a conoscere un discreto numero di notabili, famiglie tolfetane che condivisero nei secoli le iniziative caritative e culturali della nostra Confraternita.
Ferdinando Bianchi nella sua opera "Storia dei tolfetani " ci parla che l'Ospedale e la Confraternita del SS. Nome di Dio aveva potuto, attraverso il tempo, usufruire di numerosi lasciti e donazioni da parte di persone influenti che avevano destinato come loro erede il nosocomio tolfetano, affinché i malati del nostro paese potessero essere serviti e tenuti in buone condizioni.
Le numerose donazioni, ci dice il Bianchi, iniziarono col Giulianetti (1653 ), Ponsuola (1669 ), Colelli (1671), Pugnaletti ( 1701 ), Biagia (1705 ), Tavernelli ( 1735 ), Pierini ( 1778 ), Cappadoro ( 1785 ), Cherubini (1806 ), Lauteri (1821 ), Tonti ( 1838 ), Panetti ( 1855 ), e nonostante che il Lazio fosse ormai parte integrante del Nuovo Regno d'Italia e quindi gestito dal nuovo potere laico - massonico, altri generosi cittadini lasciarono i loro beni alla Confraternita: Buttaoni ( 1872 ), Zuini ( 1877 ), Colini ( 1878 ), (88).
Di questi numerosi lasciti purtroppo non è rimasto un gran che tra le carte a noi pervenute che invece riportano con maggior attenzione quelli di Pugnaletti e Colelli ed infine quello di Anna Maria Buttaoni.
Le doti di Pugnaletti e Colelli anche se antecedenti iniziano le loro trascrizioni nel 1755 ed i libri contabili attualmente presenti presso l'Archivio Comunale sono coerenti in quanto coprono due periodi che vanno dal 1761 al 1775 e dal 1794 al 1843, attraverso questi libri abbiamo potuto verificare che i beni pervenuti alla Confraternita ed all'Ospedale da questi due generosi benefattori non sono molto numerosi e danno una rendita estremamente limitata che varia negli anni tra i 25 e i 33 scudi, si evidenzia anche che i pochi beni, tra l'altro una casa, una stalla e qualche rubbio di terra, sono spesso affittati a prezzi estremamente modici, qualche volta, se non spesso, ai confrati che prestano la loro opera gratuitamente presso l'Ospedale ( 89).
Uno degli elementi portanti di queste donazioni è quello che le entrate, o per lo meno la maggior parte di esse, debbano essere utilizzate per la dote delle zitelle povere del paese, cosa che infatti avverrà stabilmente anche se non in modo continuo.
Nei 1853 tutti i beni delle due eredità Pugnaletti e Colelli vengono riuniti insieme e si può annoverare tra essi la presenza, oltre a quanto descritto sopra, di un magazzino, una cantina, un orto e un sodo che danno globalmente una rendita di 75 scudi annui.
IL salto di qualità per quanto riguarda i beni lasciati all'Ospedale dai benefattori, avviene nel 1846 quando si dà esecutività al testamento di Anna Maria Buttaoni redatto nel 1842, infatti lo stato attivo dei capitali ammontava ad un valore di 23.435 scudi, una cifra enorme per quei tempi (90 ).
La Buttaoni nel proprio testamento lascia più eredi tra cui ripartire le proprie sostanze, infatti vediamo che non è soltanto l'Ospedale di Tolfa ad usufruire di detto testamento ma anche altre opere pie, ordini religiosi, cittadini privati e parenti prossimi alla testatrice, infatti a beneficiare della Buttaoni è l'Ospedale Santo Spirito in Sassia, l'istituto di carità di Roma, una parente certa Caterina Sgambati che ottiene 100 scudi, un nipote Egidio Bonizi una casa in Tolfa, un'altra parente Angelina Petrosi 50 scudi, alla serva Epifania Ambrogini 9 scudi al mese ed in più il letto, le lenzuola ed altra biancheria.
La parte del leone oltre all'Ospedale la fa anche un lontano parente, un pronipote Angelino Bonizi che si trova improvvisamente padrone di tutti i terreni le vigne, i fabbricati e gli annessi che si trovano a Tolfa.
Ottanta scudi vanno alla Chiesa di San Giuseppe in San Marcello a Nocera, duemilacinquecento invece alla Chiesa delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento in Roma affinché erigano una cappellania ed in essa venga officiata una messa quotidiana perpetua in suffragio della sua anima ed a quella dei suoi familiari : del fratello Monsignor Vescovo di Fabriano Domenico Buttaoni e dell'avvocato Luigi Buttaoni.
All'Ospedale della Tolfa va tutto il restante patrimonio e quanto da esso sarà ricavato con la sua vendita onde.. " soccorrere in perpetuo li poveri infermi della Tolfa secondo il Pio Istituto dí San Vincenzo de Paoli e che vadano all'Ospedale medesimo tutte le proprietà ed i redditi derivanti dalle prestazioni vitalizie cessate per la morte delle persone a cui esse sono state lasciate", terminando questa parte del testamento con l'imperativo che questi redditi " abbiano l'oggetto dí soccorrere li poveri infermi della Tolfa " ( 91).
Per quanto riguarda questa eredità un anno più tardi dall'apertura del testamento già la comunità vuole parzialmente destinarla ad altri scopi, infatti da una congregazione segreta nel 1847 viene fatta istanza al Vescovo di poter utilizzare parzialmente le entrate del lascito Buttaoni per l'istruzione dei fanciulli, facendo presente che l'Ospedale ha un sopravanzo di centinaia di scudi, mentre è fortemente carente l'educazione dei fanciulli che sono di numero cinquecento, mettendo in rilievo che già con il sopravanzo di ogni anno vengono date due doti alle zitelle povere del paese.
La risposta del Vescovo non si fa attendere, ed infatti non può essere che negativa, " in quanto il lascito Buttaoni é finalizzato esclusivamente per gli infermi dell'Ospedale, e quindi non può essere deviato per altri scopi e che inoltre non é strettamente necessario", e qui siamo di opinione completamente diversa dal pensiero del Vescovo, "che tutti i fanciulli debbano per forza seguire l'istruzione in quanto le possibilità di poter, da detta istruzione, ricavare un reddito non esiste, poiché le attività preminenti sono esclusivamente agricole o legate alle miniere dell'allume e del ferro" (92 ).

Cap. 8 LA CONFRATERNITA - L' OSPEDALE E LE SUORE DI SAN GIUSEPPE DELL' APPARIZIONE

Oltre a reperire i fondi necessari, ad utilizzarli per le finalità caritative, il consiglio della Confraternita dovette sempre preoccuparsi del personale sanitario. Lo si evince dai verbali e dal regolamento dell'Ospedale da noi citato in appendice (nota con pag. 45 della tesi). Non si trattava solo di reperire personale, quanto di guidarlo in un esercizio dell'attività ospedaliera ispirato alla carità cristiana.
La Confraternita dopo circa tre secoli di gestione dell'Ospedale, informata dell'opera svolta a servizio degli ospedali da alcune congregazioni religiose femminili, decide di rivolgersi a una di esse per ottenere alcune suore a servizio dell'ente ospedaliero tolfetano.
Nonostante i tempi difficili, siamo nel pieno della Repubblica Romana, nella congregazione del 28 gennaio 1849, viene fatto voto, visto il lascito Anna Maria Buttaoni che devolve all' Ospedale " ....una somma considerevole, " che sarebbe stato necessario impiantare subito la Compagnia delle Sorelle della Carità, istituita da S. Vincenzo de Paoli, o forse meglio far venire dal Piemonte, invitandole, cinque figlie cosiddette Carità, con le quali si sarebbe ottenuto il doppio scopo di provvedere agli infermi, ed alla istruzione delle fanciulle del luogo " purtroppo, " continua la nota della Congregazione "difficoltà dei tempi e la lontananza di Monsignor Vescovo dalla Diocesi " il Vescovo probabilmente era fuggito per non cadere nelle mani dei repubblicani," non permettono di sistemare quella utile situazione ".
La Congregazione poi dà mandato a quattro deputati di supplire, in mancanza delle Suore di Carità, alle loro funzioni.
Uno farà le veci di archivista, il secondo avrà l'impiego di copiare gli atti, gli altri due gli infermieri e detto incarico avrà la durata di un anno.
Agli stessi deputati verrà dato l'incarico di attivarsi in modo da far arrivare al più presto le Suore della Carità.
Immaginiamo quindi che sicuramente i deputati addetti a tale incombenza si saranno attivati fattivamente in modo che íl loro nuovo incarico dovesse durare il meno possibile.
La proposta è votata all'unanimità, tanto è vero che riporterà venti voti bianchi dei venti presenti (93 ).
Evidentemente nonostante il gravoso impegno affidato ai deputati per risolvere il problema dell'arrivo a Tolfa delle Suore, la cosa non ha sortito effetto alcuno se nella Congregazione del 29 luglio 1852 si fa di nuovo la proposta di chiamare a Tolfa le Suore della Carità di San Vincenzo de Paoli e viene dato mandato questa volta, al canonico Domenico Mignanti perché prenda accordi con la provinciale dell'ordine in modo da poter ottenere un risultato positivo. E' evidente che l'amministrazione della Confraternita ha cambiato il tiro rispetto all'urgenza dispensando da oneri gravosi i deputati della stessa Congregazione, comunque sembra che qualcosa si stia muovendo, infatti nella congregazione del 25 febbraio 1854 vengono individuati alcuni locali dell'Ospedale che dovranno essere ristrutturati ed adibiti a casa per le Suore di Carità; nella stessa congregazione viene data lettura della perizia predisposta dal mastro muratore Vincenzo Conti che propone per la ristrutturazione dei locali una spesa di scudi 60.
Evidentemente o la perizia fatta in precedenza non era adeguata o venne deciso un ampliamento dei lavori da farsi, tanto è vero che nella Congregazione del 19 giugno 1854 si chiede al Vescovo della Diocesi di Civitavecchia di fare un debito accessorio di scudi 150 per i lavori da farsi nell'Ospedale per la casa delle Suore di Carità.
Comunque i lavori vengono avviati e probabilmente sono a buon punto che, infatti, nella Congregazione del Dicembre 1854 si parla di nuovo dei lavori iniziati per la costruzione della case delle Suore ritenendo molto positivo il fatto che detta casa " sia stata costruita dentro l'Ospedale, in tal modo l'assistenza potrà essere effettuata dalle stesse nell'arco delle 24 ore " (94).
Detti lavori di ristrutturazione che vennero portati a termine qualche tempo più tardi, in realtà non servirono allo scopo prefissato in quanto non vennero a Tolfa le Suore di Carità di San Vincenzo de Paoli, ma bensì erano arrivate nel 1853 quelle della Congregazione di San Giuseppe dell'Apparizione.
L'incarico affidato nel 1852 dalla Congregazione dell'Ospedale a Don Domenico Mignanti di prendere accordi con le Suore di Carità non aveva sortito lo scopo prefissato, ma il Canonico aveva sicuramente nel frattempo contattato anche altri ordini religiosi, tanto è vero che da una lettera della fondatrice dell'Ordine delle Suore di San Giuseppe, Suor Emilia de Vialar, indirizzata a suor Celeste Peyre in data 29 luglio 1853 gli chiede "....se aveste una casa vicino a Roma...." evidentemente la fondatrice dell'Ordine ha le idee ben chiare di quanto vuoi fare se in una lettera del!' 8 settembre dello stesso anno scrive alla medesima suora queste parole "....tu conosci il mio desiderio di fare una fondazione in qualche località elevata, non molto lontano da Roma e mandarvi le suore per curare la salute senza essere costrette a fare lunghi viaggi.
Non avrei ambito ad una fondazione così vantaggiosa come quella che ci propone e per la quale Monsignor Cruciani," I' allora vescovo di Civitavecchia "fa delle condizioni favorevolissime ho l'onore di scrivergli che accetto con piacere l'offerta degli ecclesiastici di Tolfa manderò come superiora suor Maria Teresa, suor Giuseppina Ciccarelli come insegnante.
Mi affretto a prepararti una farmacista , suor Carolina Lassalle Le suore di San Giuseppe faranno il loro ingresso a Tolfa il 13 dicembre del 1853.
Come abbiamo visto dalle deliberazioni della Congregazione dell'Ospedale i lavori per la casa delle suore non sono ancora stati portati a termine per cui esse saranno costrette a trovarsi una temporanea abitazione, ed infatti per un certo periodo saranno ospitate dalla famiglia Pergi.
Il 28 dicembre, sempre la fondatrice dell'Ordine, scrive alla superiora "penso che tu sia stata soddisfatta della scelta che ho fatto e che suor Carolina farà bene il lavoro affidatole, non vedo il momento che il signor Canonico", sicuramente don Domenico Mignanti "che si é dato tanto da fare per questa fondazione, veda le suore all'opera, non metto in dubbio il suo contento e quello degli abitanti di Tolfa i quali si feliciteranno della scelta delle suore che abbiamo donato loro..."
Il 23 ottobre 1853 Monsignor Gaetano Brinciotti Vescovo di Leros e suffraganeo della Diocesi di Civitavecchia, approvò il concordato stipulato tra il Canonico Don Domenico Mignanti in rappresentanza della Congregazione dell'Ospedale da una parte e il canonico Don Giovanni Cruciani, superiore ecclesiastico della casa di Roma delle Suore di San Giuseppe dall'altra.
Quest'ultimo era stato a ciò delegato dalla superiora della casa suor Celeste Peyre.
Il concordato, alla realizzazione del quale a suo tempo aveva partecipato anche il Cardinale Luigi Lambruschini, allora vescovo della Diocesi di Civitavecchia, non aveva presentato particolari difficoltà, soprattutto per la buona volontà e l'abnegazione che animava le parti contraenti, preoccupate solo della efficienza e della funzionalità dell'Ospedale.
Nella convenzione, dopo aver sottolineato che l'ordine delle Suore di San Giuseppe (dette del!' Apparizione) aveva come scopo istituzionale l'assistenza ai malati ospedalizzati e non, l'educazione delle fanciulle, e che in quel campo si era distinto anche per le sue missioni all'estero, si precisavano i compiti che le suore si assumevano e gli obblighi ai quali si sottoponeva l'amministrazione dell'Ospedale e per esso la Confraternita di San Giovanni.
Si deve precisare che tanto la permanenza in Ospedale degli infermi che le cure prestate a domicilio, per gli abitanti di Tolfa, erano assolutamente gratuite e totalmente sostenute dalla Confraternita che vi provvedeva con le proprie rendite derivanti da proprietà lasciate a tale scopo e da questue dei propri " cercatori ".

Cap. 9 - IL DECLINO DELLA CONFRATERNITA E DELL' OSPEDALE

a ) La necessità di ricostruire la Chiesa di San Giovanni

Uno degli impegni maggiori della Confraternita che lentamente si estingueva fu determinato dal disastroso stato in cui versava la Chiesa di san Giovanni già riedificata dal sodalizio dalla seconda metà del Cinquecento.
Alla fine del 1850 appare evidente, da alcune note rilevate nelle varie congregazioni dell'Ospedale, che la Chiesa di San Giovanni che era stata per secoli la chiesa e la sede della Confraternita del Santissimo Nome di Dio , per di più attigua all'Ospedale è dichiarata inagibile, in quanto parte del tetto e delle mura hanno subito una decadenza, e la mancanza di apposita manutenzione ha portato alla fine alla sua chiusura.
Questa situazione di precarietà della Chiesa viene notificata agli amministratori della Congregazione che a più riprese avevano cercato di porvi rimedio, ma l'alto costo delle ristrutturazioni ne aveva sempre rinviato i lavori.
Evidentemente una situazione migliore di cassa o, pensiamo noi, l'utilizzo in parte del lascito Buttaoni aveva permesso agli amministratori di predisporre un progetto di rifacimento quasi intero della Chiesa che nella congregazione del gennaio 1864 (95) viene affidata la progettazione, ed il relativo capitolato, all'ingegner Alessandro Bartoli che già in precedenza aveva predisposto una perizia dei lavori.
La congregazione del 24 giugno 1864 decide di approvare il progetto di riedificazione della Chiesa predisposto dal sopraccitato ingegnere e si stabiliscono anche le modalità d'appalto previste dal capitolato.
Evidentemente la Congregazione vuole seguire molto da vicino i lavori della Chiesa tanto è vero che insieme all'ingegnere Bartoli vengono nominati altri quattro controllori dei lavori nella figura dei signori: canonico G. Fronti, Don Girolamo Pergì, Achille Bonizi e Vincenzo Conti.
Brevissimi sono í tempi che intercorrono tra l'approvazione del capitolato e l'esame delle proposte fatte dagli eventuali appaltatori.
Infatti vengono esaminate le uniche due proposte: la prima di Pasquale Federici che fa un ribasso del 2%, la seconda di Carlo Gentili che offre un ribasso del 4%.
Messe a votazione le proposte ottengono la prima un voto bianco e undici neri, la seconda dieci bianchi e due neri. Viene così accettata la seconda proposta che verrà inviata per la superiore autorizzazione.
II 10 agosto 1864 possiamo rilevare che il signor Federici ha scritto alla Confraternita proponendo un ribasso del 7% su quanto proposto dal Gentili. Giustamente la Congregazione negli interessi della propria amministrazione annulla la precedente delibera, ritenendo vantaggiosa la proposta del Federici, la spesa totale prevista è di 1.900, 32 scudi.
La realtà dell'appalto, non è molto dissimile da quella attuale, difatti scopriamo che nella congregazione del 27 novembre 1866, due anni più tardi, la Chiesa non è ancora finita di edificare ma che nello stesso tempo il costo è lievitato a 2.200 scudi, pertanto necessita far fronte all'aumento di spesa.
Purtroppo non abbiamo più notizie dei tempi di costruzione della chiesa ma nella congregazione del febbraio 1873 (96 ) si legge che la riunione si tiene nella sacrestia della Chiesa di San Giovanni, ciò sta a significare che i lavori erano evidentemente terminati.
Alcune note del capitolato dell'appalto ci fanno conoscere il materiale usato per la costruzione e tra essi scopriamo che le colonne dovranno essere edificate con pietra della cava di Pozzo Ferruzzo, il tufo dovrà essere cavato alle Prata mentre la rena per la malta dovrà essere quella degli Sbroccati, poi sono descritti tutti gli altri materiali ed i lavori che dovranno essere effettuati (97).
La Chiesa di san Giovanni oggi non esiste più. Della facciata rimane una riproduzione in un caratteristico acquerello dipinto del 1954 da Aristide Capanna e conservato nel Museo Civico di Tolfa, molto vicino alla facciata che presentiamo nella Tavola 10.

b) La legislazione anti ecclesiastica dello stato liberale e gli enti assistenziali

L'Italia e soprattutto lo Stato della Chiesa avevano visto fiorire, per molti secoli, attività meritorie : ospedali, luoghi di cura degli anziani e orfani, lazzaretti, centri di raccolta per senza tetto etc., dove laici ed ecclesiastici prestavano gratuitamente la loro opera per il bene della comunità, spinti dagli insegnamenti del Vangelo.
C'è da tener presente anche la favorevole situazione politica del tempo, spesso Chiesa e Stato avevano un fortissimo collegamento che cominciò ad entrare in crisi con l'Illuminismo e con l'avvento dello Stato laico repubblicano, prima in Francia, e poi, per l'espansione di dette idee nel resto dell'Europa.
In Italia detto rapporto entrò in crisi con l'avvento del periodo risorgimentale, soprattutto a causa del potere temporale della Chiesa sull'Italia centrale, cosa questa che creò gravi pregiudizi nei confronti delle opere religiose, gestite da ecclesiastici ed anche delle opere caritatevoli nelle quali la Chiesa era in parte coinvolta.
Per capire ciò che più andava caratterizzando l'Italia post unitaria in merito al rapporto tra organizzazioni religiose e Stato, è necessario avere un quadro d'insieme sulla politica del rapporto tra Stato e Chiesa nella metà dell'ottocento.
Normalmente l'atteggiamento di cattolici, dirigenti e gerarchie ecclesiastiche, fu in generale di diffidenza e di distanziamento dallo Stato liberale, sentimenti vissuti in maniera diversa a seconda della classe sociale di appartenenza; la gerarchia era in genere ostile ed anche il clero in parte lo era, perché si sentivano feriti nel prestigio, nella coscienza religiosa, dal nuovo regime.
Una parte del clero però, e una gran parte dei laici si pronunciò per l'opportunità di valorizzare, se non proprio i principi, almeno le istituzioni liberali, non esitando a denunciare gli inconvenienti del privilegio che creava una pericolosa solidarietà tra Trono e Altare.
Lo stato laico, il separatismo tra Stato e Chiesa, evidenziato nel periodo repubblicano e napoleonico, soprattutto l'indifferenza alle idee e alle istituzioni religiose come principio di diritto pubblico, derivava soprattutto dalla formazione razionalistica della vecchia classe dirigente, costituita dalla burocrazia e della nuova, venuta su attraverso le battaglie elettorali, mentre la ventata patriottica del 1848 aveva investito buona parte del basso clero.
Pio IX aveva accettato il programma delle riforme costituzionali , ma agli entusiasmi della prima metà del Quarantotto, seguivano le delusioni ed i ritorni reazionari del Quarantanove, il clero ritornava alle vecchie posizioni contestando i principi e gli sviluppi della rivoluzione costituzional - nazionale albertina.
Allora qualche anno dopo, il Piemonte, unico Stato rimasto fedele alla Costituzione, dà il via tra il 1851 e 1855 ad una serie di leggi (Siccardi - Rattazzi ) che prevedevano tra l'altro l'abolizione di alcuni ordini religiosi e l'incameramento da parte dello Stato , dei beni delle congregazioni soppresse.
Questa iniziativa dello Stato Piemontese si inquadrava nelle iniziative di carattere politico ed economico intraprese da Cavour in funzione della destra imprenditoriale, che acquistò all'asta pubblica i beni sottratti alla Chiesa, quindi spesso dietro la facciata della laicizzazione e della modernizzazione del regno dei Savoia, si nascondevano evidenti interessi economici di alcune classi sociali.
La stessa situazione si ripeté quasi identica al momento del passaggio dallo Stato borbonico a quello del Regno d'Italia nel 1861, con le gravi conseguenze che ciò creò nelle classi contadine e bracciantili, che si videro defraudate delle terre che da secoli coltivavano, con modici affitti, creando situazioni drammatiche, che saranno raccontate nelle pagine di G. Verga.
Nonostante la protesta della gerarchia ecclesiastica, che vide anche l'intervento di Pio IX su Vittorio Emanuele Il, la strada intrapresa dal governo non solo non venne interrotta , ma la legislazione anti ecclesiastica piemontese venne estesa alle regioni annesse nel 1861 poi al Veneto nel 1866 ed al Lazio nel 1870.
Questo atteggiamento dello Stato nei confronti della Chiesa cattolica italiana determinò l'assenteismo dei cattolici dalla vita dello Stato stesso, e ciò permise che la legislazione si svolgesse sotto influssi anticlericali ed antireligiosi, sull'esempio di quella francese; che la Massoneria controllasse l'amministrazione e ispirasse la legislazione: così si ebbe la laicizzazione progressiva della scuola (l'insegnamento della religione ridotto o facoltativo, soppresse le scuole di Teologia), si accentuò la parità dei culti sul piano negativo del!' agnosticismo religioso dello Stato.
Il clima generale che si respirava in Italia non era diverso da quello di altri stati europei quali quello tedesco, che in questi anni viene sviluppando il Kultur-Kampf (lotta dello Stato contro i cattolici), che si caratterizza per la lotta contro i cattolici.
Questa parentesi di carattere storico-legislativo è importante per comprendere quanto avviene in Italia sul finire del secolo, quando il Parlamento, sempre più caratterizzato da una presenza di lobbies massonico-liberali, decise a sciogliere tutti gli enti che in qualche modo gestivano assistenza e beneficenza (I. P.A. B.) (98).
Quanto descritto nelle linee generali degli avvenimenti nazionali, lo possiamo riscontrare anche nel paese di Tolfa, da secoli centro di attività religiose e socio sanitarie, gestite attraverso il tempo, da numerose Confraternite religiose, (99 ) che avevano accumulato un discreto patrimonio sia in terreni, che in immobili; a testimonianza di ciò sono le ben cinque Confraternite ancora operanti nel nostro Comune, di cui tre con riconoscimento giuridico da parte dello Stato (L.222 / 85) e due con il solo riconoscimento diocesano (100 ).
Dicevamo che con l'annessione dello Stato Pontificio al Regno d'Italia, vennero applicate anche al Lazio e quindi a Tolfa, che di esso faceva parte, le stesse leggi che avevano già in precedenza espropriato gran parte dei beni della Chiesa, vennero quindi tolti alla Chiesa locale il Seminario con annesso giardino (la Chiesa della Misericordia, attuale sede dell'Associazione Calcio), il convento degli Agostiniani e la
Chiesa della Sughera, il terreno limitrofo venne poi parzialmente utilizzato per la costruzione del Cimitero ed il resto venduto all'asta.
Il Seminario venne invece utilizzato per gli uffici pubblici, la sede del Comune (trasferita dal Vecchio Palazzaccio), la sede della Pretura ed ai piani inferiori il Carcere.
Con la statalizzazione della scuola dell'obbligo e l'abbandono di Tolfa da parte della Congregazione religiosa delle Maestre Pie Filippini l'ex seminario divenne anche la sede della Scuola Elementare.
La legge 17 luglio 1890 n.6972 che detta le norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, prendeva atto della esistenza di opere pie che avevano come fine l'assistenza sanitaria ai poveri, e l'educazione e l'istruzione, le trasformava in I.P.A.B. e ne devolveva alle stesse tutto il patrimonio che con il tempo avevano accumulato e così la Confraternita del SS.Nome di Dio che a Tolfa aveva svolto per secoli una utile e necessaria attività di carattere assistenziale e sanitaria, divenne un I.P.A.B. con il nome di Congregazione di Carità, e con il regolamento approvato con R.D. 99 del 5 febbraio 1891 vennero nominati i nuovi amministratori.
Successivamente il 3 giugno 1937 L.847 le Congregazioni di Carità divennero Enti Comunali di Assistenza, con la esclusione totale dai Consigli di Amministrazione dei rappresentanti della Chiesa, così si recise completamente ogni legame con l'istituzione religiosa che era stata l'iniziatrice delle attività.
Il D.P.R. 616 del 1977 sciolse definitivamente gli E.C.A. ed integrò il patrimonio in quello comunale, finalizzandolo per le attività benefiche ed assistenziali (101 ).

CONCLUSIONE

Non vogliamo ripetere le conclusioni che man mano sono emerse dalla trattazione e che abbiamo anche parzialmente anticipato nell'introduzione.
Quanto ci eravamo prefissi , e cioè di dare un quadro abbastanza completo della storia della Confraternita del SS.mo Nome di Dio, ci sembra ora sostanzialmente conseguito.
Ma, a chiusura del lavoro, ripercorrendo il cammino svolto soprattutto della ricerca del materiale archivistico ci siamo resi conto che per arricchire Io studio sulla Confraternita del Nome di Dio di Tolfa sono necessari numerosi approfondimenti e si aprono alcune vie per la ricerca.. Ci limitiamo a citarne alcune.
- Restano da riscoprire quasi totalmente le due corporazioni che ricevevano ospitalità dalla nostra Confraternita: l'Università dei Calzolai ( sotto l'invocazione dei SS. Crispino e Crispiniano ) e soprattutto quella dei Vaccari ( sotto l'invocazione dell'Ascensione ). Due corporazioni costantemente richiamate dalle Visite Pastorali e documentabili con numerose altre fonti manoscritte. Il lavoro da noi condotto sulla Confraternita del Nome di Dio, potrebbe essere affrontato dalla ricostruzione dell'identità delle due corporazioni, espressione tipica dell'attività lavorativa e artigianale di Tolfa ieri come oggi (si pensi ad esempio alla lavorazione delle pelli con marchio depositato originale " vera Tolfa ").
- Andrebbe poi approfondito il rapporto della nostra Confraternita con le altre, come si è visto, numerose e soprattutto con quelle che esercitavano attività caritative (come la Misericordia) e con la Confraternita del SS.mo Salvatore che oltre alla correzione della bestemmia, impegno tipico di quella del Nome di Dio, aveva in comune con la nostra il rapporto con gli allevatori di bestiame. Altro rapporto da illuminare in modo più preciso è quello con l'autorità ecclesiastica gestita a Tolfa, soprattutto dalla Vicaria Foranea e dal capitolo della Chiesa Collegiata di S. Egidio Abate.
- Tra le ricerche che meritano di essere condotte resta inoltre quella sull'iconografia, le testimonianze artistico - monumentali e sui segni della pietà popolare lasciati in eredità dal sodalizio. Si tratta di una paziente ricerca sulle opere d'arte sacra e sulle sacre suppellettili acquistate o commissionate dalla Confraternita, in parte scomparse, o collocate in altra chiesa o casa privata oppure affidate alla sola memoria di inventari conservati nell'archivio di S. Egidio o in quelli delle Curie di Sutri o Civitavecchia e, soprattutto, citate nelle Visite Pastorali.
- Manca pure una cronistoria dettagliata che metta in luce l'opera delle Suore di San Giuseppe dell'Apparizione, congregazione religiosa chiamata a Tolfa dalla Confraternita del SS.mo Nome di Dio e che, oltre all'attività nell'Ospedale, ha sostenuto un costante servizio nella parrocchia, soprattutto nella catechesi e che in tempi recentissimi è tornata ad occuparsi delle opere caritative con il pieno sostegno dato alla nascita di un centro educativo di riabilitazione dei portatori di handicap (C.E.R. ).
- Alla sintesi storica del Santuario della Madonna della Rocca vista nella luce delle testimonianze sulla vita eremitica individuale ivi condotta e nei rapporti con la Confraternita, manca un esame dello sviluppo del culto mariano, della religiosità popolare e dell'incidenza che continua ad avere eccellendo su altre immagini o luoghi mariani. Così pure, in questo e altri studi finora prodotti, rimane da approfondire il ruolo che nelle tradizioni religiose tolfetane è stato esercitato dalle singole confraternite.
Infine , anche se abbiamo dichiarato che alcune confraternite continuano a vivere nel tessuto ecclesiale di Tolfa, dobbiamo però affermare che oggi. pur eredi di una storia ricca di valori ( e molti di questi da recuperare ), le confraternite tolfetane non esercitano un ruolo di primo piano nell'associazionismo cristiano presente nell'unica parrocchia, sempre dedicata a S. Egidio Abate. Oltre al citato C.E.R., espressione del volontariato sono i gruppi dei Volontari del Soccorso, dell'Unitalsi, del Centro di Solidarietà Cristiana Allumiere e Tolfa, dell'A.S.D.A. (al servizio degli altri). Altre associazioni ecclesiali aggregano ragazzi, giovani, adulti, catechisti.