Cap. 6 - LE DOTI
ALLE ZITELLE
Le
congregazioni della Confraternita mettono in rilievo oltre il peso occupato
dalla gestione dell'Ospedale e del Santuario della Rocca, anche una
particolare attenzione alla distribuzione di doti per le zitelle povere.
Un'opera di carità molto diffusa nei tempi passati a Tolfa, esercitata
parzialmente anche da altre confraternite ma in modo degno dì
nota solo dalla nostra.
Nella congregazione segreta del 21 novembre 1847 alla presenza del canonico
Don Angelo Tonelli Vicario foraneo in Tolfa, la Confraternita del Santissimo
Nome di Dio nelle persone dell'Arciprete Don Bartolomeo Pucilli Priore,
del Canonico Giuseppe Ruina, del Reverendo Don Gregorio Galletti e dei
confrati Giacomo Bartoli, Luigi Costanzi, Carlo Fronti,
Francesco Marisanti si prende visione del lascito di Anna Maria Buttaoni
e al punto due si prende atto che con i soldi dello stesso lascito si
diano ogni anno due doti alle zitelle povere del paese, cosa che in
precedenza era già stata ribadita dai lasciti Colelli (1671 )
e Pugnaletti ( 1701 ), infatti nel 1792 viene conferito un sussidio
totale in favore di Domenica Mori e Rossi Paola, povere zitelle orfane
" elette per pluralità di voti" (85 ).
Molto spesso gli amministratori delle Confraternite evitavano di scegliere
le zitelle a cui assegnare la dote, non tanto per la mancanza delle
loro presenze nel paese, ma soprattutto per difficoltà economiche
intervenute nella gestione dell'Ospedale. Infatti nel 1843 gli amministratori
lamentano carenze di disponibilità finanziaria, in quanto le
entrate sono state totalmente assorbite dalle spese per gestione dell'Ospedale
e degli infermi a causa anche di un aumento di popolazione avvenuto
in quegli anni, pertanto si decide di soprassedere a fornire la dote
alle zitelle.
Le zitelle censite in quell'anno sono diciotto di un'età compresa
tra i diciassette e ventinove anni, nove delle quali avevano i genitori
a Tolfa, cinque con i genitori forestieri e quattro con uno dei genitori
forestieri.
Le richieste pervenute alla Confraternita sono le più diversificate,
alcune di loro chiedono un sussidio che va da otto a dodici ducati,
altre invece beni materiali: come un letto completo, due coperte, due
lenzuola e un pagliericcio, facendo presente nelle loro richieste la
situazione familiare che in molti casi è fortemente disagiata,
infatti alcune sono prive di padre e sei addirittura orfane, per le
quali la Confraternita, una volta riconosciuta la buona condotta morale
e lo stato di necessità, dovrebbe deliberare quanto loro hanno
richiesto.
Nel 1849 la situazione finanziaria è sicuramente cambiata in
meglio ed infatti alle quindici zitelle che hanno fatto
domanda viene data una risposta positiva, vengono vagliate attentamente
le posizioni morali e finanziarie di ognuna di loro ed alla fine la
Congregazione, con undici voti bianchi e nessuno nero, sceglie Anna
Maria Catenacci e Franca Torroni (86 ).
Nella stessa Congregazione alla presenza del Vicario foraneo viene ribadito
che " si dispensassero puntualmente da questa Confraternita nei
modi e nei termini voluti dai rispettivi fondatori' cioè Colelli
e Pugnaletti.
Probabilmente in quegli anni c'erano stati "troppi abusi arbitrari
che essi non potevano essere perseguiti in appresso facendo alcun conto
delle enunciate disposizioni alla visita di sua Eccellenza Monsignor
Vescovo il quale potrà sempre intervenire sulla Congregazione
col suo cancelliere".
Vediamo adesso quali sono le disposizioni emesse: " scelta che
sia stata la zitella dotanda sarà consegnato alla medesima un
certificato di polizza di pagamento, e intanto sarà premura del
Camerlengo amministratore di far depositare la dote o doti nella Cassa
di Risparmio di Roma non più tardi del mese dopo la predisposta
nomina, onde il denaro divenga fruttifero a vantaggio della dotata o
dotate. Non si permetterà poi la consegna del capitale se non
dopo il celebrato matrimonio e se non sarà dato un fondo per
assicurarla onde non si disperda e non corran pericolo che la donna
resti indotata per il dissipamento del marito".
Tutti questi accorgimenti erano fatti a beneficio e salvaguardia delle
zitelle tolfetane se la Congregazione arriva al punto anche dì
salvaguardare fino in fondo la dote assegnata. (87 )
Nel 1855 troviamo che vengono assegnate doti alle zitelle Teresa Bottaccio,
Filomena Bottaccio, Anna Giganti e Caterina Kesel, le domande erano
state ben ventitre ed attentamente analizzate sia nelle richieste, che
nelle persone che di esse si erano fatte carico.
Nella congregazione del 12 gennaio 1856 viene fatto il bando per le
dote di due zitelle al quale vengono presentate ventiquattro domande
,la Congregazione dopo attento esame assegna la dote di scudi sei alle
zitelle Maria Carassi ed Antonietta Antinori.
Nell'anno 1862 in una nota riservata di Monsignor Vescovo della Congregazione
dell'Ospedale rispetto al problema delle doti delle zitelle, prevista
dal testamento di Colelli, lo stesso Vescovo fa presente di aver avuto
notizie che erano state incluse nella nota delle zitelle due ragazze
Mariangela Zecchinelli e Prudenza Torelli.
Il Vescovo nella nota fa presente che le due giovani non possono essere
ammesse a riscuotere la dote in quanto la prima per la " continua
pratica scandalosa con il giovane Egidio Fronti da cui, si dice, esservi
seguito un abbordo ".
Per la seconda la situazione, dal punto di vista morale è ancora
più pesante in quanto, si dice, "che abbia avuto una gravidanza
e l'autore di ciò ne frequenta ancora la casa per cui di conseguenza
tutto ciò é contro la volontà del testamento in
quanto le due ragazze sono prive del primario requisito di castità."
Qualche anno più tardi il capitano Giustino Colelli erede della
signora Antonia Panetti destina una somma di 25 scudi annui da assegnare
ad " una povera zitella nata nella Tolfa che sia vissuta casta
e che sia priva del padre o della madre ", in più la ragazza
però dovrà " recitare per lo spazio di un anno la
terza parte del Santissimo Rosario e pregare Dio per l'anima dell'Antonia
Panetti ".
Qualche anno più tardi da una nota riservata riguardante alcune
zitelle ammesse a poter usufruire della dote si può rilevare
che la Congregazione aveva approfondito a tal punto le indagini che
per molte di loro non esistono i requisiti per poter ottenere la dote
in quanto innamorate.
Cap. 7 - DONAZIONI E LASCITI
Intimamente
collegato al discorso sulle doti alle zitelle e, a testimonianza della
stima che ha goduto nel corso dei secoli il sodalizio di cui ci occupiamo,
veniamo a trattare del sostegno economico che permetteva alla Confraternita
del SS.mo Nome di Dio di gestire due chiese, amministrare un Ospedale,
esercitare piccole o notevoli opere di carità. Certamente non
sarebbero bastate le sole elemosine reperite dai " cercatori "o
dall'eremita della Rocca o la Soccida delle vacche. Nel corso dei secoli
la Confraternita invece beneficiò di numerosi lasciti. Anche
questo fa parte di una tipica forma di sussistenza delle opere pie che
ci aiuta anche a conoscere un discreto numero di notabili, famiglie
tolfetane che condivisero nei secoli le iniziative caritative e culturali
della nostra Confraternita.
Ferdinando Bianchi nella sua opera "Storia dei tolfetani "
ci parla che l'Ospedale e la Confraternita del SS. Nome di Dio aveva
potuto, attraverso il tempo, usufruire di numerosi lasciti e donazioni
da parte di persone influenti che avevano destinato come loro erede
il nosocomio tolfetano, affinché i malati del nostro paese potessero
essere serviti e tenuti in buone condizioni.
Le numerose donazioni, ci dice il Bianchi, iniziarono col Giulianetti
(1653 ), Ponsuola (1669 ), Colelli (1671), Pugnaletti ( 1701 ), Biagia
(1705 ), Tavernelli ( 1735 ), Pierini ( 1778 ), Cappadoro ( 1785 ),
Cherubini (1806 ), Lauteri (1821 ), Tonti ( 1838 ), Panetti ( 1855 ),
e nonostante che il Lazio fosse ormai parte integrante del
Nuovo Regno d'Italia e quindi gestito dal nuovo potere laico - massonico,
altri generosi cittadini lasciarono i loro beni alla Confraternita:
Buttaoni ( 1872 ), Zuini ( 1877 ), Colini ( 1878 ), (88).
Di questi numerosi lasciti purtroppo non è rimasto un gran che
tra le carte a noi pervenute che invece riportano con maggior attenzione
quelli di Pugnaletti e Colelli ed infine quello di Anna Maria Buttaoni.
Le doti di Pugnaletti e Colelli anche se antecedenti iniziano le loro
trascrizioni nel 1755 ed i libri contabili attualmente presenti presso
l'Archivio Comunale sono coerenti in quanto coprono due periodi che
vanno dal 1761 al 1775 e dal 1794 al 1843, attraverso questi libri abbiamo
potuto verificare che i beni pervenuti alla Confraternita ed all'Ospedale
da questi due generosi benefattori non sono molto numerosi e danno una
rendita estremamente limitata che varia negli anni tra i 25 e i 33 scudi, si evidenzia anche che i pochi beni, tra l'altro
una casa, una stalla e qualche rubbio di terra, sono spesso affittati
a prezzi estremamente modici, qualche volta, se non spesso, ai confrati
che prestano la loro opera gratuitamente presso l'Ospedale ( 89).
Uno degli elementi portanti di queste donazioni è quello che
le entrate, o per lo meno la maggior parte di esse, debbano essere utilizzate
per la dote delle zitelle povere del paese, cosa che infatti avverrà
stabilmente anche se non in modo continuo.
Nei 1853 tutti i beni delle due eredità Pugnaletti e Colelli
vengono riuniti insieme e si può annoverare tra essi la presenza,
oltre a quanto descritto sopra, di un magazzino, una cantina, un orto
e un sodo che danno globalmente una rendita di 75 scudi annui.
IL salto di qualità per quanto riguarda i beni
lasciati all'Ospedale dai benefattori, avviene nel 1846 quando si dà
esecutività al testamento di Anna Maria Buttaoni redatto nel
1842, infatti lo stato attivo dei capitali ammontava ad un valore di
23.435 scudi, una cifra enorme per quei tempi (90 ).
La Buttaoni nel proprio testamento lascia più eredi tra cui ripartire
le proprie sostanze, infatti vediamo che non è soltanto l'Ospedale
di Tolfa ad usufruire di detto testamento ma anche altre opere pie,
ordini religiosi, cittadini privati e parenti prossimi alla testatrice,
infatti a beneficiare della Buttaoni è l'Ospedale Santo Spirito
in Sassia, l'istituto di carità di Roma, una parente certa Caterina
Sgambati che ottiene 100 scudi, un nipote Egidio Bonizi una casa in
Tolfa, un'altra parente Angelina Petrosi 50 scudi, alla serva Epifania
Ambrogini 9 scudi al mese ed in più il letto, le lenzuola ed
altra biancheria.
La parte del leone oltre all'Ospedale la fa anche un lontano parente,
un pronipote Angelino Bonizi che si trova improvvisamente padrone di
tutti i terreni le vigne, i fabbricati e gli annessi che si trovano
a Tolfa.
Ottanta scudi vanno alla Chiesa di San Giuseppe in San Marcello a Nocera,
duemilacinquecento invece alla Chiesa delle Adoratrici Perpetue del
Santissimo Sacramento in Roma affinché erigano una cappellania
ed in essa venga officiata una messa quotidiana perpetua in suffragio
della sua anima ed a quella dei suoi familiari : del fratello Monsignor
Vescovo di Fabriano Domenico Buttaoni e dell'avvocato Luigi Buttaoni.
All'Ospedale della Tolfa va tutto il restante patrimonio e quanto da
esso sarà ricavato con la sua vendita onde.. " soccorrere
in perpetuo li poveri infermi della Tolfa secondo il Pio Istituto dí
San Vincenzo de Paoli e che vadano all'Ospedale medesimo tutte le proprietà
ed i redditi derivanti dalle prestazioni vitalizie
cessate per la morte delle persone a cui esse sono state lasciate",
terminando questa parte del testamento con l'imperativo che questi redditi
" abbiano l'oggetto dí soccorrere li poveri infermi della
Tolfa " ( 91).
Per quanto riguarda questa eredità un anno più tardi dall'apertura
del testamento già la comunità vuole parzialmente destinarla
ad altri scopi, infatti da una congregazione segreta nel 1847 viene
fatta istanza al Vescovo di poter utilizzare parzialmente le entrate
del lascito Buttaoni per l'istruzione dei fanciulli, facendo presente
che l'Ospedale ha un sopravanzo di centinaia di scudi, mentre è
fortemente carente l'educazione dei fanciulli che sono di numero cinquecento,
mettendo in rilievo che già con il sopravanzo di ogni anno vengono
date due doti alle zitelle povere del paese.
La risposta del Vescovo non si fa attendere, ed infatti non può
essere che negativa, " in quanto il lascito Buttaoni é finalizzato
esclusivamente per gli infermi dell'Ospedale, e quindi non può
essere deviato per altri scopi e che inoltre non é strettamente
necessario", e qui siamo di opinione completamente diversa dal pensiero del Vescovo, "che tutti i fanciulli debbano per forza
seguire l'istruzione in quanto le possibilità di poter, da detta
istruzione, ricavare un reddito non esiste, poiché le attività
preminenti sono esclusivamente agricole o legate alle miniere dell'allume
e del ferro" (92 ).
Cap. 8 LA CONFRATERNITA - L' OSPEDALE E LE SUORE DI SAN GIUSEPPE
DELL' APPARIZIONE
Oltre
a reperire i fondi necessari, ad utilizzarli per le finalità
caritative, il consiglio della Confraternita dovette sempre preoccuparsi
del personale sanitario. Lo si evince dai verbali e dal regolamento
dell'Ospedale da noi citato in appendice (nota con pag. 45 della tesi).
Non si trattava solo di reperire personale, quanto di guidarlo in un
esercizio dell'attività ospedaliera ispirato alla carità
cristiana.
La Confraternita dopo circa tre secoli di gestione dell'Ospedale, informata
dell'opera svolta a servizio degli ospedali da alcune congregazioni
religiose femminili, decide di rivolgersi a una di esse per ottenere
alcune suore a servizio dell'ente ospedaliero tolfetano.
Nonostante i tempi difficili, siamo nel pieno della Repubblica Romana,
nella congregazione del 28 gennaio 1849, viene fatto voto, visto il
lascito Anna Maria Buttaoni che devolve all' Ospedale " ....una
somma considerevole, " che sarebbe stato necessario impiantare
subito la Compagnia delle Sorelle della Carità, istituita da
S. Vincenzo de Paoli, o forse meglio far venire dal Piemonte, invitandole,
cinque figlie cosiddette Carità, con le quali si sarebbe ottenuto
il doppio scopo di provvedere agli infermi, ed alla istruzione delle
fanciulle del luogo " purtroppo, " continua la nota della
Congregazione "difficoltà dei tempi e la lontananza di Monsignor
Vescovo dalla Diocesi " il Vescovo probabilmente era fuggito per
non cadere nelle mani dei repubblicani," non permettono di sistemare
quella utile situazione ".
La Congregazione poi dà mandato a quattro deputati di supplire,
in mancanza delle Suore di Carità, alle loro funzioni.
Uno farà le veci di archivista, il secondo avrà l'impiego
di copiare gli atti, gli altri due gli infermieri e detto incarico avrà
la durata di un anno.
Agli stessi deputati verrà dato l'incarico di attivarsi in modo
da far arrivare al più presto le Suore della Carità.
Immaginiamo quindi che sicuramente i deputati addetti a tale incombenza
si saranno attivati fattivamente in modo che íl
loro nuovo incarico dovesse durare il meno possibile.
La proposta è votata all'unanimità, tanto è vero
che riporterà venti voti bianchi dei venti presenti (93 ).
Evidentemente nonostante il gravoso impegno affidato ai deputati per
risolvere il problema dell'arrivo a Tolfa delle Suore, la cosa non ha
sortito effetto alcuno se nella Congregazione del 29 luglio 1852 si
fa di nuovo la proposta di chiamare a Tolfa le Suore della Carità
di San Vincenzo de Paoli e viene dato mandato questa volta, al canonico
Domenico Mignanti perché prenda accordi con la provinciale dell'ordine
in modo da poter ottenere un risultato positivo. E' evidente che l'amministrazione
della Confraternita ha cambiato il tiro rispetto all'urgenza dispensando
da oneri gravosi i deputati della stessa Congregazione, comunque sembra
che qualcosa si stia muovendo, infatti nella congregazione del 25 febbraio
1854 vengono individuati alcuni locali dell'Ospedale che dovranno essere
ristrutturati ed adibiti a casa per le Suore di Carità; nella
stessa congregazione viene data lettura della perizia predisposta dal
mastro muratore Vincenzo Conti che propone per la ristrutturazione dei
locali una spesa di scudi 60.
Evidentemente o la perizia fatta in precedenza non era adeguata o venne
deciso un ampliamento dei lavori da farsi, tanto è vero che nella
Congregazione del 19 giugno 1854 si chiede al Vescovo della Diocesi
di Civitavecchia di fare un debito accessorio di scudi 150 per i lavori
da farsi nell'Ospedale per la casa delle Suore di Carità.
Comunque i lavori vengono avviati e probabilmente sono a buon punto
che, infatti, nella Congregazione del Dicembre 1854
si parla di nuovo dei lavori iniziati per la costruzione della case
delle Suore ritenendo molto positivo il fatto che detta casa "
sia stata costruita dentro l'Ospedale, in tal modo l'assistenza potrà
essere effettuata dalle stesse nell'arco delle 24 ore " (94).
Detti lavori di ristrutturazione che vennero portati a termine qualche
tempo più tardi, in realtà non servirono allo scopo prefissato
in quanto non vennero a Tolfa le Suore di Carità di San Vincenzo
de Paoli, ma bensì erano arrivate nel 1853 quelle della Congregazione
di San Giuseppe dell'Apparizione.
L'incarico affidato nel 1852 dalla Congregazione dell'Ospedale a Don
Domenico Mignanti di prendere accordi con le Suore di Carità
non aveva sortito lo scopo prefissato, ma il Canonico aveva sicuramente
nel frattempo contattato anche altri ordini religiosi, tanto è
vero che da una lettera della fondatrice dell'Ordine delle Suore di
San Giuseppe, Suor Emilia de Vialar, indirizzata a suor Celeste Peyre
in data 29 luglio 1853 gli chiede "....se aveste una casa vicino
a Roma...." evidentemente la fondatrice dell'Ordine ha le idee
ben chiare di quanto vuoi fare se in una lettera del!' 8 settembre dello
stesso anno scrive alla medesima suora queste parole "....tu conosci
il mio desiderio di fare una fondazione in qualche località elevata,
non molto lontano da Roma e mandarvi le suore per curare la salute senza
essere costrette a fare lunghi viaggi.
Non avrei ambito ad una fondazione così vantaggiosa come quella
che ci propone e per la quale Monsignor Cruciani," I' allora vescovo
di Civitavecchia "fa delle condizioni favorevolissime ho l'onore
di scrivergli che accetto con piacere l'offerta degli ecclesiastici
di Tolfa manderò come superiora suor Maria Teresa, suor Giuseppina
Ciccarelli come insegnante.
Mi affretto a prepararti una farmacista , suor Carolina Lassalle Le
suore di San Giuseppe faranno il loro ingresso a Tolfa il 13 dicembre
del 1853.
Come abbiamo visto dalle deliberazioni della Congregazione dell'Ospedale
i lavori per la casa delle suore non sono ancora stati portati a termine
per cui esse saranno costrette a trovarsi una temporanea abitazione,
ed infatti per un certo periodo saranno ospitate dalla famiglia Pergi.
Il 28 dicembre, sempre la fondatrice dell'Ordine, scrive alla superiora
"penso che tu sia stata soddisfatta della scelta che ho fatto e
che suor Carolina farà bene il lavoro affidatole, non vedo il
momento che il signor Canonico", sicuramente don Domenico Mignanti
"che si é dato tanto da fare per questa fondazione, veda
le suore all'opera, non metto in dubbio il suo contento e quello degli
abitanti di Tolfa i quali si feliciteranno della scelta delle suore
che abbiamo donato loro..."
Il 23 ottobre 1853 Monsignor Gaetano Brinciotti Vescovo di Leros e suffraganeo
della Diocesi di Civitavecchia, approvò il concordato stipulato
tra il Canonico Don Domenico Mignanti in rappresentanza della Congregazione
dell'Ospedale da una parte e il canonico Don Giovanni Cruciani, superiore
ecclesiastico della casa di Roma delle Suore di San Giuseppe dall'altra.
Quest'ultimo era stato a ciò delegato dalla superiora della casa
suor Celeste Peyre.
Il concordato, alla realizzazione del quale a suo tempo aveva partecipato
anche il Cardinale Luigi Lambruschini, allora vescovo della Diocesi
di Civitavecchia, non aveva presentato particolari difficoltà,
soprattutto per la buona volontà e l'abnegazione che animava
le parti contraenti, preoccupate solo della efficienza e della funzionalità
dell'Ospedale.
Nella convenzione, dopo aver sottolineato che l'ordine delle Suore di
San Giuseppe (dette del!' Apparizione) aveva come scopo istituzionale
l'assistenza ai malati ospedalizzati e non, l'educazione delle fanciulle,
e che in quel campo si era distinto anche per le sue missioni all'estero,
si precisavano i compiti che le suore si assumevano e gli obblighi ai
quali si sottoponeva l'amministrazione dell'Ospedale e per esso la Confraternita
di San Giovanni.
Si deve precisare che tanto la permanenza in Ospedale degli infermi
che le cure prestate a domicilio, per gli abitanti di Tolfa, erano assolutamente
gratuite e totalmente sostenute dalla Confraternita che vi provvedeva
con le proprie rendite derivanti da proprietà lasciate a tale
scopo e da questue dei propri " cercatori ".
Cap. 9 - IL DECLINO DELLA CONFRATERNITA E DELL' OSPEDALE
a ) La necessità di ricostruire la Chiesa di San
Giovanni
Uno
degli impegni maggiori della Confraternita che lentamente si estingueva
fu determinato dal disastroso stato in cui versava la Chiesa di san
Giovanni già riedificata dal sodalizio dalla seconda metà
del Cinquecento.
Alla fine del 1850 appare evidente, da alcune note rilevate nelle varie
congregazioni dell'Ospedale, che la Chiesa di San Giovanni che era stata
per secoli la chiesa e la sede della Confraternita del Santissimo Nome
di Dio , per di più attigua all'Ospedale è dichiarata
inagibile, in quanto parte del tetto e delle mura hanno subito una decadenza,
e la mancanza di apposita manutenzione ha portato alla fine alla sua
chiusura.
Questa situazione di precarietà della Chiesa viene notificata
agli amministratori della Congregazione che a più riprese avevano
cercato di porvi rimedio, ma l'alto costo delle ristrutturazioni ne
aveva sempre rinviato i lavori.
Evidentemente una situazione migliore di cassa o, pensiamo noi, l'utilizzo in parte del lascito Buttaoni aveva permesso agli amministratori
di predisporre un progetto di rifacimento quasi intero della Chiesa
che nella congregazione del gennaio 1864 (95)
viene affidata la progettazione, ed il relativo capitolato, all'ingegner
Alessandro Bartoli che già in precedenza aveva predisposto una
perizia dei lavori.
La congregazione del 24 giugno 1864 decide di approvare il progetto
di riedificazione della Chiesa predisposto dal sopraccitato ingegnere
e si stabiliscono anche le modalità d'appalto previste dal capitolato.
Evidentemente la Congregazione vuole seguire molto da vicino i lavori
della Chiesa tanto è vero che insieme all'ingegnere Bartoli vengono
nominati altri quattro controllori dei lavori nella figura dei signori:
canonico G. Fronti, Don Girolamo Pergì, Achille Bonizi e Vincenzo
Conti.
Brevissimi sono í tempi che intercorrono tra l'approvazione del
capitolato e l'esame delle proposte fatte dagli eventuali appaltatori.
Infatti vengono esaminate le uniche due proposte: la prima di Pasquale
Federici che fa un ribasso del 2%, la seconda di Carlo Gentili che offre
un ribasso del 4%.
Messe a votazione le proposte ottengono la prima un voto bianco e undici
neri, la seconda dieci bianchi e due neri. Viene così accettata
la seconda proposta che verrà inviata per la superiore autorizzazione.
II 10 agosto 1864 possiamo rilevare che il signor Federici ha scritto
alla Confraternita proponendo un ribasso del 7% su quanto proposto dal
Gentili. Giustamente la Congregazione negli interessi della propria
amministrazione annulla la precedente delibera, ritenendo vantaggiosa
la proposta del Federici, la spesa totale prevista è di 1.900,
32 scudi.
La realtà dell'appalto, non è molto dissimile da quella
attuale, difatti scopriamo che nella congregazione del 27 novembre 1866,
due anni più tardi, la Chiesa non è ancora finita di edificare
ma che nello stesso tempo il costo è lievitato a 2.200 scudi,
pertanto necessita far fronte all'aumento di spesa.
Purtroppo non abbiamo più notizie dei tempi di costruzione della
chiesa ma nella congregazione del febbraio 1873 (96 ) si legge che la riunione si tiene nella sacrestia della Chiesa di
San Giovanni, ciò sta a significare che i lavori erano evidentemente
terminati.
Alcune note del capitolato dell'appalto ci fanno conoscere il materiale
usato per la costruzione e tra essi scopriamo che le colonne dovranno
essere edificate con pietra della cava di Pozzo Ferruzzo, il tufo dovrà
essere cavato alle Prata mentre la rena per la malta dovrà essere
quella degli Sbroccati, poi sono descritti tutti gli altri materiali
ed i lavori che dovranno essere effettuati (97).
La Chiesa di san Giovanni oggi non esiste più. Della facciata
rimane una riproduzione in un caratteristico acquerello dipinto del
1954 da Aristide Capanna e conservato nel Museo Civico di Tolfa, molto
vicino alla facciata che presentiamo nella Tavola 10.
b) La legislazione anti ecclesiastica dello stato liberale
e gli enti assistenziali
L'Italia
e soprattutto lo Stato della Chiesa avevano visto fiorire, per molti
secoli, attività meritorie : ospedali, luoghi di cura degli anziani
e orfani, lazzaretti, centri di raccolta per senza tetto etc., dove
laici ed ecclesiastici prestavano gratuitamente la loro opera per il
bene della comunità, spinti dagli insegnamenti del Vangelo.
C'è da tener presente anche la favorevole situazione politica
del tempo, spesso Chiesa e Stato avevano un fortissimo collegamento
che cominciò ad entrare in crisi con l'Illuminismo e con l'avvento
dello Stato laico repubblicano, prima in Francia, e poi, per l'espansione
di dette idee nel resto dell'Europa.
In Italia detto rapporto entrò in crisi con l'avvento del periodo
risorgimentale, soprattutto a causa del potere temporale della Chiesa
sull'Italia centrale, cosa questa che creò gravi pregiudizi nei
confronti delle opere religiose, gestite da ecclesiastici ed anche delle
opere caritatevoli nelle quali la Chiesa era in parte coinvolta.
Per capire ciò che più andava caratterizzando l'Italia
post unitaria in merito al rapporto tra organizzazioni religiose e Stato,
è necessario avere un quadro d'insieme sulla politica del rapporto
tra Stato e Chiesa nella metà dell'ottocento.
Normalmente l'atteggiamento di cattolici, dirigenti e gerarchie ecclesiastiche,
fu in generale di diffidenza e di distanziamento dallo Stato liberale,
sentimenti vissuti in maniera diversa a seconda della classe sociale
di appartenenza; la gerarchia era in genere ostile ed anche il clero
in parte lo era, perché si sentivano feriti nel prestigio, nella
coscienza religiosa, dal nuovo regime.
Una parte del clero però, e una gran parte dei laici si pronunciò
per l'opportunità di valorizzare, se non proprio i principi,
almeno le istituzioni liberali, non esitando a denunciare gli inconvenienti
del privilegio che creava una pericolosa solidarietà tra Trono
e Altare.
Lo stato laico, il separatismo tra Stato e Chiesa, evidenziato nel periodo
repubblicano e napoleonico, soprattutto l'indifferenza alle idee e alle
istituzioni religiose come principio di diritto pubblico, derivava soprattutto
dalla formazione razionalistica della vecchia classe dirigente, costituita
dalla burocrazia e della nuova, venuta su attraverso le battaglie elettorali,
mentre la ventata patriottica del 1848 aveva investito buona parte del
basso clero.
Pio IX aveva accettato il programma delle riforme costituzionali , ma
agli entusiasmi della prima metà del Quarantotto, seguivano le
delusioni ed i ritorni reazionari del Quarantanove, il clero ritornava
alle vecchie posizioni contestando i principi e gli sviluppi della rivoluzione
costituzional - nazionale albertina.
Allora qualche anno dopo, il Piemonte, unico Stato rimasto fedele alla
Costituzione, dà il via tra il 1851 e 1855 ad una serie di leggi
(Siccardi - Rattazzi ) che prevedevano tra l'altro l'abolizione di alcuni
ordini religiosi e l'incameramento da parte dello Stato , dei beni delle
congregazioni soppresse.
Questa iniziativa dello Stato Piemontese si inquadrava nelle iniziative
di carattere politico ed economico intraprese da Cavour in funzione
della destra imprenditoriale, che acquistò all'asta pubblica
i beni sottratti alla Chiesa, quindi spesso dietro la facciata della
laicizzazione e della modernizzazione del regno dei Savoia, si nascondevano
evidenti interessi economici di alcune classi sociali.
La stessa situazione si ripeté quasi identica al momento del
passaggio dallo Stato borbonico a quello del Regno d'Italia nel 1861,
con le gravi conseguenze che ciò creò nelle classi contadine
e bracciantili, che si videro defraudate delle terre che da secoli coltivavano,
con modici affitti, creando situazioni drammatiche, che saranno raccontate
nelle pagine di G. Verga.
Nonostante la protesta della gerarchia ecclesiastica, che vide anche
l'intervento di Pio IX su Vittorio Emanuele Il, la strada intrapresa
dal governo non solo non venne interrotta , ma la legislazione anti
ecclesiastica piemontese venne estesa alle regioni annesse nel 1861
poi al Veneto nel 1866 ed al Lazio nel 1870.
Questo atteggiamento dello Stato nei confronti della Chiesa cattolica
italiana determinò l'assenteismo dei cattolici dalla vita dello
Stato stesso, e ciò permise che la legislazione si svolgesse
sotto influssi anticlericali ed antireligiosi, sull'esempio di quella
francese; che la Massoneria controllasse l'amministrazione e ispirasse
la legislazione: così si ebbe la laicizzazione progressiva della
scuola (l'insegnamento della religione ridotto o facoltativo, soppresse
le scuole di Teologia), si accentuò la parità dei culti
sul piano negativo del!' agnosticismo religioso dello Stato.
Il clima generale che si respirava in Italia non era diverso da quello
di altri stati europei quali quello tedesco, che in questi anni viene
sviluppando il Kultur-Kampf (lotta dello Stato contro i cattolici),
che si caratterizza per la lotta contro i cattolici.
Questa parentesi di carattere storico-legislativo è importante per comprendere quanto avviene in Italia sul finire del secolo,
quando il Parlamento, sempre più caratterizzato da una presenza
di lobbies massonico-liberali, decise a sciogliere tutti gli enti che
in qualche modo gestivano assistenza e beneficenza (I. P.A. B.) (98).
Quanto descritto nelle linee generali degli avvenimenti nazionali, lo
possiamo riscontrare anche nel paese di Tolfa, da secoli centro di attività
religiose e socio sanitarie, gestite attraverso il tempo, da numerose
Confraternite religiose, (99 ) che
avevano accumulato un discreto patrimonio sia in terreni, che in immobili;
a testimonianza di ciò sono le ben cinque Confraternite ancora
operanti nel nostro Comune, di cui tre con riconoscimento giuridico
da parte dello Stato (L.222 / 85) e due con il solo riconoscimento diocesano
(100 ).
Dicevamo che con l'annessione dello Stato Pontificio al Regno d'Italia,
vennero applicate anche al Lazio e quindi a Tolfa, che di esso faceva
parte, le stesse leggi che avevano già in precedenza espropriato
gran parte dei beni della Chiesa, vennero quindi tolti alla Chiesa locale
il Seminario con annesso giardino (la Chiesa della Misericordia, attuale
sede dell'Associazione Calcio), il convento degli Agostiniani e la
Chiesa della Sughera, il terreno limitrofo venne poi parzialmente utilizzato
per la costruzione del Cimitero ed il resto venduto all'asta.
Il Seminario venne invece utilizzato per gli uffici pubblici, la sede
del Comune (trasferita dal Vecchio Palazzaccio), la sede della Pretura
ed ai piani inferiori il Carcere.
Con la statalizzazione della scuola dell'obbligo e l'abbandono di Tolfa
da parte della Congregazione religiosa delle Maestre Pie Filippini l'ex
seminario divenne anche la sede della Scuola Elementare.
La legge 17 luglio 1890 n.6972 che detta le norme sulle istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza, prendeva atto della esistenza
di opere pie che avevano come fine l'assistenza sanitaria ai poveri,
e l'educazione e l'istruzione, le trasformava in I.P.A.B. e ne devolveva
alle stesse tutto il patrimonio che con il tempo avevano accumulato
e così la Confraternita del SS.Nome di Dio che a Tolfa aveva
svolto per secoli una utile e necessaria attività di carattere
assistenziale e sanitaria, divenne un I.P.A.B. con il nome di Congregazione
di Carità, e con il regolamento approvato con R.D. 99 del 5 febbraio
1891 vennero nominati i nuovi amministratori.
Successivamente il 3 giugno 1937 L.847 le Congregazioni di Carità
divennero Enti Comunali di Assistenza, con la esclusione totale
dai Consigli di Amministrazione dei rappresentanti della Chiesa, così
si recise completamente ogni legame con l'istituzione religiosa che
era stata l'iniziatrice delle attività.
Il D.P.R. 616 del 1977 sciolse definitivamente gli E.C.A. ed integrò
il patrimonio in quello comunale, finalizzandolo per le attività
benefiche ed assistenziali (101 ).
CONCLUSIONE
Non
vogliamo ripetere le conclusioni che man mano sono emerse dalla trattazione
e che abbiamo anche parzialmente anticipato nell'introduzione.
Quanto ci eravamo prefissi , e cioè di dare un quadro abbastanza
completo della storia della Confraternita del SS.mo Nome di Dio, ci
sembra ora sostanzialmente conseguito.
Ma, a chiusura del lavoro, ripercorrendo il cammino svolto soprattutto
della ricerca del materiale archivistico ci siamo resi conto che per
arricchire Io studio sulla Confraternita del Nome di Dio di Tolfa sono
necessari numerosi approfondimenti e si aprono alcune vie per la ricerca..
Ci limitiamo a citarne alcune.
- Restano da riscoprire quasi totalmente le due corporazioni che ricevevano
ospitalità dalla nostra Confraternita: l'Università dei
Calzolai ( sotto l'invocazione dei SS. Crispino e Crispiniano ) e soprattutto
quella dei Vaccari ( sotto l'invocazione dell'Ascensione ). Due corporazioni
costantemente richiamate dalle Visite Pastorali e documentabili con
numerose altre fonti manoscritte. Il lavoro da noi condotto sulla Confraternita
del Nome di Dio, potrebbe essere affrontato dalla ricostruzione dell'identità
delle due corporazioni, espressione tipica dell'attività lavorativa
e artigianale di Tolfa ieri come oggi (si pensi ad esempio alla lavorazione
delle pelli con marchio depositato originale " vera Tolfa ").
- Andrebbe poi approfondito il rapporto della nostra Confraternita con
le altre, come si è visto, numerose e soprattutto con quelle
che esercitavano attività caritative (come la Misericordia) e
con la Confraternita del SS.mo Salvatore che oltre alla correzione della
bestemmia, impegno tipico di quella del Nome di Dio, aveva in comune
con la nostra il rapporto con gli allevatori di bestiame. Altro rapporto
da illuminare in modo più preciso è quello con l'autorità
ecclesiastica gestita a Tolfa, soprattutto dalla Vicaria Foranea e dal
capitolo della Chiesa Collegiata di S. Egidio Abate.
- Tra le ricerche che meritano di essere condotte resta inoltre quella
sull'iconografia, le testimonianze artistico - monumentali e sui segni
della pietà popolare lasciati in eredità dal sodalizio.
Si tratta di una paziente ricerca sulle opere d'arte sacra e sulle sacre
suppellettili acquistate o commissionate dalla Confraternita, in parte
scomparse, o collocate in altra chiesa o casa privata oppure affidate
alla sola memoria di inventari conservati nell'archivio di S. Egidio
o in quelli delle Curie di Sutri o Civitavecchia e, soprattutto, citate
nelle Visite Pastorali.
- Manca pure una cronistoria dettagliata che metta in luce l'opera delle
Suore di San Giuseppe dell'Apparizione, congregazione religiosa chiamata
a Tolfa dalla Confraternita del SS.mo Nome di Dio e che, oltre all'attività
nell'Ospedale, ha sostenuto un costante servizio nella parrocchia, soprattutto
nella catechesi e che in tempi recentissimi è tornata ad occuparsi
delle opere caritative con il pieno sostegno dato alla nascita di un
centro educativo di riabilitazione dei portatori di handicap (C.E.R.
).
- Alla sintesi storica del Santuario della Madonna della Rocca vista
nella luce delle testimonianze sulla vita eremitica individuale ivi
condotta e nei rapporti con la Confraternita, manca un esame dello sviluppo
del culto mariano, della religiosità popolare e dell'incidenza
che continua ad avere eccellendo su altre immagini o luoghi mariani.
Così pure, in questo e altri studi finora prodotti, rimane da
approfondire il ruolo che nelle tradizioni religiose tolfetane è
stato esercitato dalle singole confraternite.
Infine , anche se abbiamo dichiarato che alcune confraternite continuano
a vivere nel tessuto ecclesiale di Tolfa, dobbiamo però affermare
che oggi. pur eredi di una storia ricca di valori ( e molti di questi
da recuperare ), le confraternite tolfetane non esercitano un ruolo
di primo piano nell'associazionismo cristiano presente nell'unica parrocchia,
sempre dedicata a S. Egidio Abate. Oltre al citato C.E.R., espressione
del volontariato sono i gruppi dei Volontari del Soccorso, dell'Unitalsi,
del Centro di Solidarietà Cristiana Allumiere e Tolfa, dell'A.S.D.A.
(al servizio degli altri). Altre associazioni ecclesiali aggregano ragazzi,
giovani, adulti, catechisti.
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