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Archeologia

Walter Bianchi

Walter Bianchi "Velsina"
 
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Discorso sull'ubicazione di Velsna

 

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Copyright (c) 1993 by Valter Bianchi, Roma

Tutti I diritti riservati

 

Pubblicato da Valter Bianchi, nazionalità italiana, Roma 1993

 

Stampato da Tipolitografia Grassini Marcello, Via Attío Labeone, 58 ‑ Roma

 

PREMESSA

 

Bolsena ereditò il nome di Volsinii e questo lascito puramente onomastico parve a molti studiosi una base sufficiente per cercare di identificare con i tardi ruderi ubicati presso quella cittadina l'antica capitale d'Etruria distrutta dai Romani nel 264 A. C..

Constatata l'inattendibilità di tale identificazione, " ripiegarono " su Orvieto, tanto per non discostarsi troppo dal lago che di Bolsena porta il nome.

Ma il lago medesimo viene chiamato da Plinio " lago di Tarquinia " (e non "di Volsinii" Plinio, " Storia naturale", ΙΙ, 209) malgrado che il naturalista comasco, nel trascrivere il decreto augusteo sulla ripartizione dell'Italia, elenchi il centro rivierasco di Volsinii tra i Comuni indipendenti dell'Etruria. In questa città (costruita ex novo) erano stati deportati, nel 264 A. C., i debellati rivoltosi di VELSNA (= Volsinii). I moderni studiosi la chiamano ‑ giustamente ‑ ''Volsinii Novi" presupponendo ‑ altrettanto giustamente- l'esistenza in altro luogo d'una "Volsinii Veteres". Nel nome di Orvieto vollero quidi ravvisare la corruzione tarda d'una presunta "Urbs Vetus" passando per il "procopiano" ("La guerra gotica") "Ourbibentos" contrapposta all'urbs nova "VoIsinii”      ( Novi ) ‑ Bolsena. Dimenticarono però che la contrapposizione tra la città di Volsinii vecchia (quella distrutta nel 264 A.C.) e la città di Volsinii nuova (quella fondata in riva al lago di Bolsena per ospitare la domata popolazione ribelle della prima) sarebbe certamente stata documentata dalle fonti antiche ‑ qualora accertata ‑ già sin dai primi anni successivi alla distruzione di VELSNA (= Volsinii (veteres), capitale d' Etruria come attesta Valerio Massimo) avvenuta, come si è detto, nel 264 A. C.. Ma questa contrapposizione non trovò, allora ed in seguito per molti secoli, riscontro onomastico. “L'Urbs vetus", ossia La città vecchia "(presunta Orvieto ) non risulta infatti ricordata nè da Plinio nè da Strabone, come constata Arturo Solari il quale, malgrado ciò fonda su tale contrapposizione, risalente al medioevo, l'identificazione di VELSNA con Orvieto (A. Solari, " Topografia storica dell'Etruria, pagg. 91 e 361 Vol. Ι, Multigrafica editrice ). A far escludere tale identificazione dovrebbe bastare, del resto, il toponimo " lago di Tarquinia" (città, questa, molto lontana dal lago) usato da Plinio per designare il lago di Bolsena. Ma che l'antichissima VELSNA potesse essere ubicata nella zona del lago di Bolsena ci sembra smentito ‑ e " ad abundantiam" ‑ da tutta la serie di fatti e circostanze che stiamo per esporre.

Nelle pagine che seguono sono illustrati anche imotivi ‑ da valutarsi congiuntamente ‑ che, a nostro avviso, impongono di ricercare il sito dell'antichissima capitale d'Etruria nel territorio degli ex "Novem Pagi ‑ Praefectura claudia Foroclodi " di pliniana memoria.

Tale zona ‑ che gli studiosi non sono mai riusciti ad "assegnare" nè a Cere nè a Tarquinia ‑ era compresa, come si evince dalle fonti, tra il mare Tirreno a sudovest, il territorio tarquiniese a nord ovest, quello di Cere a sud est e quello di Sutri a nord est. In questa zona territoriale era sita, a nostro avviso, la città di VELSNA ( = Volsinii veteres). Alle considerazioni che al riguardo sono esposte nel testo riteniamo opportuno premettere un breve cenno in merito alla provenienza del popolo etrusco.

La notizia erodotea relativa alla provenienza degli Etruschi dalla Lidia (Erod., Storie, Ι, 94) venne ritenuta vera da tutta la cultura dell'antichità (Virgilio compreso). Dissentì allora, come è noto, solo Dionisio d'Alicarnasso. Dissentono ora soltanto i " discepoli " modemi di quest'ultimo.

Nell'Italia preromana ‑ notoriamente ‑ nessun popolo fu marinaro fatta eccezione per gli Etruschi ed i coloni greci del meridione. Poiché questi ultimi erano venuti dalla Grecia per mare è lecito supporre che fossero venuti da fuori per mare anche i primi.

Originario che fosse dalla Lidia o da altre regioni parimente lontane dall'Italia, considerati i limiti tecnici della navigazione antica, è da ritenersi certo che il popolo etrusco emigrante dovesse fare molte tappe intermedie prima di poter raggiungere la loro ultima sede.

Ma dove sostarono gli Etruschi? E per quanto tempo?

Per doverosa esclusione d'ogni altra plausibile ipotesi riteniamo che sostassero ‑ e per un lungo periodo di tempo - in Sardegna. Che da quest'isola provenissero gli Etruschi è sintomo il fatto che le loro due più importanti ed antiche città, Tarquinia e Cere, erano situate ai lati ‑ rispettivamente, settentrionale e meridionale del sito dell'odierna Civitavecchia il cui porto, come è noto, è il " Capolinea "continentale della rotta più breve che le navi provenienti dalla Sardegna seguono per raggiungere il continente.  Torna su

Se non fosse da individuarsi nella provenienza da quell'isola sarebbe infatti molto difficile chiarire il motivo per cui gli Etruschi, gente marinara, andarono a " ficcarsi " proprio li ove il litorale era pressoché privo di porti naturali ed il retroterra montuoso e boscoso non offriva, apparentemente, nulla di appetibile agli immigrati. Né si potrebbe validamente eccepire che gli Etruschi si stabilirono in quella zona solo perché attratti  dai minerali di cui abbondavano i Monti della Tolta situati tra Cere e Tarquinia. Sarà stato probabilmente così, ma minerali in abbondanza avrebbero potuto trovarne nella fascia tirrenica settentrionale e nell'isola d'Elba. Va però tenuto presente che queste ultime zone minerarie dovettero essere conquistate dagli Etruschi soltanto molto tempo dopo il loro insediamento a Tarquinia ed a Cere dato che queste città sono unanimamente ritenute le più antiche della confederazione dei " XII populi ''. Data la brevità della rotta marittima, i minerali della Tolfa erano comunque quelli più a portata di mano per chi risiedeva in Sardegna. Va per di più aggiunto che non è affatto sicuro che i minerali del nord toscano fossero stati a quell'epoca già scoperti, mentre è certo che fin dall'età del bronzo finale risultano utilizzati quelli dei Monti della Tolfa: ne fanno fede, tra l'altro, i numerosi oggetti di bronzo (tra cui due tazze) del " ripostiglio " protovillanoviano di "Coste del Marano " che sono esposti nel Museo Pigorini di Roma.

Che le antiche città di Cere e di Tarquinia non fossero sorte in riva al mare (come discoste da questo erano anche le altre città della fascia tirrenica esclusa Populonia ) malgrado la vocazione marinara di coloro che andarono ad abitarle, ma fossero ubicate a pochi chilometri dal litorale, non deve meravigliare. Tucidide ci spiega infatti che tutte le città più antiche erano state fondate nel retroterra per timore della pirateria, attività, questa, ritenuta allora non illecita (Tuc., "La guerra del Peloponneso", trad. di F. Savino Garzanti, lib. I, 7). Gli Etruschi, pirati essi stessi, conoscevano bene tale pericolo ed evitavano, quindi di abitare sul lido del mare ove potevano essere sorpresi, specie di notte, da flotte piratesche.

Ma la presenza delle maggiori città degli Etruschi nella zona della Penisola più vicina alla Sardegna non è il solo sintomo della provenienza di tale popolo da quell'isola.

Gli Etruschi dovevano avervi soggiomato a lungo.

Ne sono indizio alcuni toponimi, primo tra tutti il nome stesso dell'isola. Sardi, come è noto, era la capitale della Lidia regione dalla quale, secondo Erodoto, era emigrata metà del popolo ivi residente (che si chiamò poi Tirreno, dal nome del principe che guidò la spedizione). Colonia dei Sardi (o "di Sardi " ? erano ritenuti gli Etruschi in base ad un'antica tradizione romana tramandataci da Plutarco ("Le vite", vita di Romolo, vers. ital. di Girolamo Pompei, Casa ed. M. Guigoni, Milano, 1875, Vol. Ι., pag. 140). Il nome del fiume Tirso (il principale della Sardegna) può apparire connesso con "Tirseni", appellativo col quale, come si sa, i Greci contrassegnavano ‑ in una con "Tirreni"‑ gli Etruschi. Qualora tale accostamento linguistico fosse confortato da elementi di prova storico‑archeologici, "Tirseni" potrebbe significare “gli abitanti della zona bagnata dal Tirso" anche se, eventualmente, immigrati lì dalla Lidia.

I toponimi sardi "Orgosolo", "Oruni", "Orosei", "Ogliastra" insieme a molti altri etimologicamente simili possono essere linguisticamente connessi col nome della principessa etrusca Urgulanilla (figlia della matrona Urgulania) la quale fu, come è noto, la prima moglie di Claudio (celebre per i suoi studi sugli Etruschi) che la sposò in epoca precedente alla sua ascesa all'impero. Con questi nomi appare inoltre collegato il nome, "Olchio", d'una città dell'Etruria secondo Polibio (Pol., Storie, libro VI, framm. min. n. 7, trad. di F. Brindesi, B. U. R., Rizzoli, Vol. ΙΙ, p. 538).

Col latino "nurus " ( "nuora " ma, anche, genericamente, "donna" ) può essere, a sua volta, connesso il termine "nuraghe" (designante la celebre struttura turrita diffusa a migliaia di esemplari in Sardegna) significante, probabilmente, ""(oppidum) nuraceum"" ossia "(Città (dina) delle donne" - e lo stesso significato dovrebbe avere il toponimo ''Nuoro'' ‑ in quanto così denominata dagli uomini quasi sempre assenti a causa delle lunghe navigazioni (cfr. nella marinara Liguria "Camogli" = "casa delle mogli). Fu forse nel corso d'uno di questi viaggi per mare che i "Tirseni" raggiunsero le rive del continente più vicine alla Sardegna.

Per quella generazione di Etruschi abitare in un continente doveva sembrare una novità. I loro antenati (pur provenienti dalla continentale Tessaglia e di li emigrati nella continentale Lidia secondo Plutarco : op. cit., vita di Romolo) avevano forse abitato l'isola di Lemmo come sembra attestare la lingua della celebre stele locale dagli studiosi giudicata etruscosimile. Nelle età remote, infatti, i popoli marinari (e dediti alla pirateria: circa la pirateria etrusca cfr. Bianchi, ''Leges Iguvinae", Roma 1993) quali erano, ad esempio i Cani ed i Fenici, erano soliti risiedere nelle isole come c'informa l'attendibilissimo Tucidide (op. cit., Ι, 5, 8). Per quanto riguarda gli Etruschi il loro soggiorno in Sardegna (ed in altre isole vicine) appare attestato dalla testimonianza di Esiodo. Questo antico poeta c'informa infatti che ““ Circe (ma si veda nell'appendice al pres. lavoro intitolata "Còrito" che cosa significhi, in realtà quel nome) figliuola di Elio (ossia del Sole, ascendenza, questa, che conferma il vero significato di "Circe") figlio di Iperione, generò, da Ulisse, Agrio… e Latino e poi partoriva Telefono… i quali, nell'interno delle isole sacre, regnarono su tutti i Tirreni. ""(Esiodo, Teogonia, versi 1011‑1016, trad. e note di F. Gargiulo, B. U. R., Rizzoli).    Torna su

Quali fossero queste "isole sacre" ce lo dicono Strabone e Diodoro Siculo “(citaz. tratta da Werner Keller, "La civiltà etrusca ", trad. di Gianni Pilone ‑ Colombo, Garzanti, pag. 71): il primo ci informa che gli Etruschi si stabilirono in Sardegna e dal secondo apprendiamo che occuparono la Corsica.

Dovette essere il dominio etrusco sulle opposte sponde, quella peninsulare e quelle sardocorse a far denominare "Tirreno" il mare intercluso. Del resto, l’ubicazione in faccia al Tirreno (sia pure, per ciò che si è detto, non proprio sul lido) delle principali città degli Etruschi (gente marinara al contrario degli Umbri, dominatori, allora, della Penisola) fa chiaramente intuire "ictu oculi" che le stesse non poterono essere fondate (o conquistate ai Pelasgi, gente parimenti marinara) che dagli abitanti dell' opposta riva del mare.

Il primo sbarco degli Etruschi, con costituzione d'una testa di ponte, dovette aver luogo sul litorale prossimo al sito di Tarquina; forse usufruendo del porto naturale (unico di tutta la costa) detto ora di S. Agostino ed allora di " Pisa " (cfr. l'append. al pres. saggio intit. "L'altra Pisa "). Si trattava di quella Pisa che, teste Catone, gli Etruschi tolsero ai Pelasgi (Catone, "Origini" in Dionisio d'Alic., "Antichità romane ", I. Ι).

E' lo stesso toponimo "Tarquinia " a far supporre che il primo sbarco avvenisse davanti al sito di quella città. Tale toponimo (in etrusco TARKUNA) è evidentemente connesso con "Tarconte" nome (o nomignolo) del mitico Fondatore della città.

Dovendosi ritenere (in una col Corssen e con Lattes) la lingua etrusca strettamente connessa col latino arcaico, non può non notarsi che il nome latino Tarco (il cui tema, tratto dal genitivo, è "Tarcont") potrebbe rispecchiare la novità che, come si è sopra accennato, costituiva per gli Etruschi l'arrivo, da un'isola nella terraferma.

"Tarconte", infatti, sembra corrispondere al latino "(quello che guidò lo sbarco nella) “terra continens", locuzione, questa, significante, come è noto, continente o terraferma. Per lo stesso motivo, ovviamente, “Tarquinia" significherebbe" (Città di) terraferma”. Questa interpretazione del toponimo “Tarquinia" sembra trovare riscontro nel nome di "Terracina"(quella sita sul colle interno detta anticamente Anxur) e nel nome di Tarragona (Spagna), città site entrambe vicino al mare come Tarquinia e Cere. Secondo alcuni autori gli Etruschi avrebbero Fondato colonie nelle Baleari e in Spagna (cfr. Keller, op.cit., p. 71).

Ma basta dare un'occhiata alla carta geografica della zona per accorgersi che gli Etruschi sbarcati mai avrebbero potuto mantenere il possesso della testa di ponte appena costituita senza acquisire il possesso delle alture (dette "Juga etrusca" da Virgilio ed attualmente denominate "Monti della Tolfa") che dominano la pianura litoranea.

Fu evidentemente per questo motivo (oltre che per impossessarsi delle miniere esistenti su quelle alture) che ‑ come apprendiamo da Virgilio – ““la gente che un tempo era Lidia, essendo illustre in fatto di guerra, si insediò sulle "giogaie etrusche "" ove era ubicata la pelasgica città di Agilla (cfr. Eneide, Ι. VIII, vv. 479‑80 e l'appendice al pres. saggio intitolata "Agylla"). Conquistata dagli Etruschi (forse a seguito di trattative: cfr. Catone, ''Origini'' in Dion. d'Alic., I), la montana Agilla scomparve dalla storia, almeno per ciò che riguarda il toponimo. I nomi di “Caere “e di “Pyrgi" (d'origine greca) ci attestano che nel “Iuogo opportuno" ("Caere"da "Kairos”) si trasferì (o fu trasferita) la pelasgica “civitas" (= cittadinanza, nel senso di popolazione) di Agilla e che del porto delle "Torri" (Pyrgi da "Pyrgoi”) la stessa usufruì dopo essere stata privata del suo porto di "Pisa" (non quella dell'Arno ma quella menzionata da Catone (in op. cit): cfr. l'appendice "L'altra Pisa”).

Sulle alture boscose ricche di minerali - tra i quali l'allume, (necessario, questo, per fissare la tinta sui tessuti nonchè per la concia delle pelli ‑ ove sorgeva la pelasgica Agilla, si insediarono, dunque, i Tirseni che erano sbarcati sul litorale antistante il sito di Tarquinia. Se erano originari della Lidia, come afferma Erodoto, essi dovevano essere espertissimi (al contrario, forse, dei Greco‑pelasgi) nella lavorazione dei minerali in genere e dell'allume in particolare. Furono infatti i Lidi di Sardi (capitale della Lidia) ad inventare, secondo Plinio (N.H.,VII,196), la tintura delle lane. Per tale lavorazione era (ed è) necessario, come si è accennato, l'allume, minerale che abbonda, guarda caso, “sia nella Turchia nel cui territorio era compresa l'antica Lidia” sia sulle alture di Agilla (odierni Monti della Tolfa). Plinio ci informa anche che, secondo Aristotele, fu uno Scite della Lidia ad inventare la fusione e la tempera dei metalli (N. H., VII, 19 7)(1). Anche per la tempera (o riduzione) della fusione era necessario l'allume (cfr. stessa osservazione in Mario Torelli, Storia degli Etruschi, Laterza, p. 31). Sui Monti della Tolfa, quindi, gli Etruschi trovarono, ai fini dell'esercizio della metallurgia, tutto quello che avevano lasciato in Asia minore e cioè metallo grezzo ed allume per regolarne la fusione (oltre, per soprammercato, a vastissimi e folti boschi che fornivano la legna necessaria per alimentare i forni delle fonderie). E' perciò impensabile che essi, conoscitori dell'allume della loro madrepatria, non si accorgessero della presenza di questo minerale tra i predetti monti e che non lo utilizzassero. Torna su

Ma dopo l'inizio della definitiva dominazione romana sull'Etruria e cioè a decorrere dalla distruzione di VELSNA (avvenuta nel 264 A. C.) l'allume di Tolfa non fu più (per millenni) utilizzato. Plinio, infatti, elencando nella sua Storia naturale, i luoghi di produzione dell'allume, tace dell'Etruria: Gli studiosi non spiegano soddisfacentemente tale silenzio. Ad esempio Michael Grant (in "Le città e i metalli", Sansoni edit., pag. 25) giustifica il silenzio del naturalista comasco sull'allume d'Etruria col fatto che “ il territorio etrusco aveva smesso di fornirne" avallando così l'ipotesi d'un esaurimento delle relative miniere (pur dicendo che in epoca successiva la produzione sarebbe stata ripresa, come in effetti fu). Non dice però il citato autore perchè avesse smesso, il territorio etrusco, di fornire allume. Ce lo dice, invece, Plinio stesso: un antico senatoconsulto aveva infatti vietato l'estrazione in Italia di tutti i minerali compreso, ovviamente, l'allume. Di tale divieto e dei motivi dello stesso si tratta diffusamente nelle pagine che seguono.

Le 2.000 statue di bronzo che i Romani asportarono da Volsinii nel 264 A. C. (Plin., N.H.,XXXIV, 34) dovevano avere, almeno in grandissima parte, carattere votivo data la presenza, nei pressi della città, del "Fanum Voltumnae" che era, come è noto, il santuario nazionale di tutti gli Etruschi. Essendo estremamente improbabile, per ovvi motivi, che le statue venissero trasportate lì da ogni remoto angolo dell'Etruria, è naturale pensare che le stesse fossero fabbricate, su commissione ed a spese dei fedeli, nel luogo stesso di destinazione, con materiale esistente sul posto. Per tale motivo (oltre che per altre ragioni) in Volsinii, ultima città etrusca a cadere in potere dei Romani ed unica da cui questi trassero così ingente bottino di bronzo, deve essere ravvisato un centro minerario ‑ metallurgico di primaria importanza. Il luogo dell'antica VELSNA ‑ che tutti gli studiosi situano nell'Etruria meridionale (cfr., gli altri, M. Pallottino, Etruscologia, Hoepli, pagg. 187‑189) ‑ non può essere, quindi, ricercato né ad Orvieto nè a Bolsena situate in zone non minerarie, nemmeno  nelle zone minerarie dell'Etruria centro ‑ settentrionale. Per tutte queste ragioni il campo dell'indagine diretta ad individuare il sito dell'antica VELSNA deve  essere limitato all'unica zona mineraria dell'Etruria meridionale propria ( ossia dell’Etruria che è sita a sud dei fiumi Fiora e Paglia: per tale delimitazione cfr. M. Pallottino, op. cit. 172) e cioè ai Monti della Tolfa. Queste miniere ‑ ormai in disuso ‑ le quali furono (Come generalmente si ammette: cfr., ad es. W. Keller, op. cit., p. 82-83) le prime ad essere sfruttate in Etruria, sono ubicate tra alture boscose. Non si può fare a meno di osservare, in proposito, che, come attesta Zonara (cfr. H. H. Scullard in “ Le città etrusche e Roma", il Polifilo, p. 130) VELSNA era tra le più antiche città etrusche e che la stessa, come apprendiamo dalla satira III del poeta latino Giovenale, era situata "tra  gioghi selvosi"("nemorosa inter juga”), proprio come le antichissime miniere di Tolfa.

 

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1) Ciò fa sospettare un'antichissima migrazione dalla vasta Scizia (sita nel territorio dell'ex Unione Sovietica che fu patria originaria dei moderni Turchi) nella Lidia (compresa nell'odierna Turchia). Il nome dei Turchi ‑ dei quali nulla si sà prima del VI secolo d.C. (cfr.) Alessio Bombaci, La letteratura Turca, Sansoni, 1969, p. 13) è simile al TURSKUM NUMEN delle Tavole Eugubine. In cima alle insegne dei Turchi preislamici figurava una testa di lupo in oro: cfr. La lupa romana e la celebre scultura etrusca della stessa (A. Bombaci, op. cit., p. 21). I principi turchi sedevano su un trono d'oro (op. cit., p. 23) come i re di Veio (cfr. Properzio, IV, 10, 28). Nella moderna letteratura nazionalistica turca è chiamata “Turan "la madre patria di quel popolo, proprio come TURAN è detta in etrusco la Dea Venere "progenitrice" di Roma (e forse anche degli etruschi presso i quali è attestato il mito di Enea figlio di quella dea ). Nell'antica Italia una città era chiamata Ancara ‑ forse = ad Anghiari" d'Arezzo ‑(cfr. Polibio, Storie, libro III, framm. n. 3, trad. di F. Brindesi, B.U.R., Rizzoli, Vol, II, p. 590) come l'odierna capitale della Turchia. Una selva prossima a Tarquinia si chiama, "ab immemorabili", La Turchina. Appassionatissimi per i cavalli erano sia  i Prototurchi (op.cit., p. 22,30) sia, notoriamente, gli etruschi. La Fortuna Dea adoratissima dagli Etruschi (e dai Romani) lo era in sommo grado anche dai Turchi preislamici (op. cit. - p. 23, 29). I giochi circensi, coltivati con tanto entusiasmo dagli etrusco-romani – unici in ciò nell’antico occidente – trovano singolare riscontro ( con le note differenze ) nell’analoga passione per il circo  dei popoli dell’oriente europeo e dell’Asia Russa. Tali affinità sono certamente troppo poche per poter ipotizzare un'antichissima identità etrusco ‑ turca ma sembrano tuttavia troppe per non essere qui brevemente evidenziate soprattutto in considerazione del mistero che avvolge sia i Turchi preislamici che gli Etruschi.

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