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Archeologia

Walter Bianchi

Walter Bianchi "Velsina"
 
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Ogni studioso di diritto romano sa che lo status di prefettura era il peggiore tra quelli ("Municipium", ?Colonia, "Civitas foederata") che i Romani assegnavano alle città da essi assoggettate. Tale status" comportante, come è noto, l'assenza di ogni autonomia e quindi la dipendenza assoluta dal centro peri i tramite del prefetto designato dal popolo romano nei Comizi o dal pretore (1) venne notoriamente riservato alle città italiane che più si erano segnalate per comportamento ostile verso Roma o avevano comunque costituito per essa un pericolo. Celebre è l'esempio fornito da Capua ridotta a prefettura per la sua adesione ad Annibale. Considerata tale sua natura giuridica, l'istituto prefettizio non potè sorgere che prima dell'unificazione dell'Italia sotto il dominio di Roma e quindi in epoca regia (2) o repubblicana. L'elenco delle città etrusche fornito da Plinio nella sua Storia naturale (al quale si è già accennato nel Cap. prec.) essendo tratto dalla ripartizione dell'Italia effettuata da Augusto (ce lo dice Plinio stesso) va ovviamente considerato alla stregua d'un documento ufficiale. Da tale elenco risulta che, almeno all'epoca di Plinio il Vecchio, esisteva in Etruria una sola prefettura: la "Praefectura Claudia (N.H., 111, 52). Nell'elenco delle prefetture italiane fornito dal più tardo P. Festo la prefettura Claudia non figura, figurandovi invece per l'Etrurìa una" prefettura di Cere 3) ed unaprefettura di Saturnia. Ma è la situazione dei I secolo che a noi interessa ai fini del presente saggio. Considerando però che Cere non meritò mai, come è notorio, un cattivo trattamento da parte di Roma e che di Forum Clodi , quale prefettura, non si sente più parlare nella tarda romanità e e cioè all'epoca di P. Festo, questa circostanza induce a ritenere che si trattasse sempre dello stesso territorio e che a variare fosse soltanto la sede del prefetto, spostatasi, nel tardo impero (forse per ragioni di viabilità), da ForumClodi, identificata, oggi, con S. Liberato di Bracciano (cfr. la nota precedente), a Cere. Occorre però preliminarmente precisare che la locuzione praefectura Claudia Foroclodi" è preceduta, nel passo pliniano sopra citato, dal toponimo NovernPagi. Poichè queste ultime parole non potevano avere isolatamente alcun significato orientativo per chi leggeva (al contrario dei Septem Pagi menzionati da Dionisio d'Alicarnasso 11,55 identificabili, come è noto, con località prossime al Tevere: ne riparleremo). noi riterremo, anche col conforto dei Cluverio e dell'Ostenio (citati, al riguardo, da Giuseppe Cola, op. cit., pag. 59) che le parole pliniane Novem Pagi praefectura Claudia Foroclodi" costituiscano un'unica frase nella quale la locuzione "praefectura Claudia Foroclodi" va considerata una apposizione esplicativa del toponimo "Novem Pagi''. Per questo motivo, secondo noi, l'intera frase non può avere che uno di questi due sensi:"I nove ''pagi'' (vedere appresso l'antichissimo significato di "pagus) (ossia) la prefettura Claudia di Foroclodio";  Torna su"I nove "pagi" (idemc.s.) (con) sede prefettizia ("praefectura") nel Foro di Clodio. dei due significati sia da ritenersi esatto, è tuttavia certo che, ai tempi di Plinio il Vecchio, il capoluogo dei territorio amministrato dal magistrato titolare della prefettura claudia era Forum Clodi (S. Liberato di Bracciano). Ma occorre aver ben chiaro il significato del termine latino praefectura: è la carica di prefetto; è la amministrazione, per conto del governo centrale, d'una città o d'una provincia (o regione) priva d'autonomia amministrativa, è anche (e cfr., per questo, il vocabolario lat/ital. sopra citato) la stessa città o provincia in cui risiede il prefetto. Al tempo di Plinio la zona territoriale retta dal prefetto sedente in Forum Clodi (la citata S. Liberato) non poteva certo estendersi, verso oriente, oltre la prossima via Cassia comportando ciò uno sconfinamento nel territorio di Sutri, città autonoma nominata nell'elenco pliniano augusteo, nè, verso occidente, poteva comprendere, trai NovenPagi, le nobili città di Cere e di Tarquinia: comprendeva quindi, all'incirca, sempre considerando la direttrice estovest, il territorio che dalla via Cassia si estende fino alla via Aurelia. Ma, allora, perchè il prefetto risiedeva in un luogo così decentrato quale indubbiamente era da considerarsi Forum Clodi (S. Liberato di Bracciano)? A questa naturale domanda rispondiamo: per lo stesso motivo che, verso la fine della Repubblica, aveva indotto Catone Minore (l'Uticense), proconsole che governava l'Africa mediterranea occidentale, ad installare il suo Ufficio nella decentrata Utica. Ma, sia gli amministratori delle Provincie (e cioè dei territori siti fuori d'Italia), sia i prefetti, che amministravano città e regioni italiane prive di autonomia e di autarchia, mentre avevano poteri pressochè regali nelle zone amministrate, erano tuttavia dei semplici cittadini (anche se investiti di cariche) nei confronti di Roma, dei Senato e dei Consoli. A loro quindi, interessava (ed era necessario) risiedere nel luogo meno lontano dalla fonte dei loro potere onde poter inviare con rapidità, al Centro, relazioni sulla situazione locale, ricevere rapidamente eventuali direttive e soprattutto rendersi conto tempestivamente degli eventuali mutamenti nella situazione politica nell'Urbe, mutamenti che avrebbero potuto influenzare, positivamente o negativamente, il loro "cursus honorum". Scegliendo Utica, vicinissima alla Sicilia, Catone aveva indubbiamente scelto a sua sede il luogo più idoneo a rapide comunicazioni con Roma. Allo stesso modo dovettero quindi regolarsi i magistrati titolari della prefettura Claudia allorchè scelsero di risiedere in ForoclodioS. Liberato, luogo che, per essere prossimo alla via Cassia, consentiva veloci comunicazioni con l'Urbe. Anzi, nei secoli successivi, dopo essere trasmigrati a Cere (v. sopra), dovettero spostarsi in luogo ancor più vicino a quella via consolare e cioè nell'attuale Vicarello il cui nome, non potendo derivare da un antico, presunto" Vicus Aurelii (come si legge, ad es. nella Guida d'Italia Lazio, non compr. Roma, del Touring Club Italiano, pag. 155) dato che lo vietano i troppi Vici della zona(oltre "Vicarello", Vico Matrino e soprattutto Lago di Vico), non è che il diminutivo tardo di Vicus,vocabolo, questo, che può ritenersi connesso con Vi(lli)cus vocabolo significante, oltre che campagnolo, fattore ecc. proprio prefetto (vocab. Lat/Ital. cit.) anche se aggiungiamo noi prefetto di prefettura poco importante e quindi poco considerata a Rorna('). In epoca più tarda le funzioni del villicus già sedente in Forum Clodi (S. Liberato) dovettero ridursi al controllo ed all'amministrazione dei taglio dei grandi boschi della zona specie di quelli vicini al lago di Vico, se, ai fini di tali funzioni, dovette trasferirsi in un territorio nel quale sorse quel piccolo centro che dalla materia, termine latino significante legname da costruzione, prese il nome di "Vicus Materinus (= "Vi(lli)cus ossia sede del prefetto addetto al legname) poi corrottosi nel volgare "Vico Matrino onde il nome del finitimo lago. Nei tempi in cui ciò accadeva i "Novem Pagi, amministrati all'epoca di Plinio dal prefetto sedente in Forum Clodi S.Liberato(e poi a Vicarello) avevano glà cessato da tempo di avere importanza. Nelle pagine che seguiranno potremo renderci conto dei motivi. soprattutto di natura religiosa, di tale decadenza.
2. Il laticlavio dei senatori romani e l'angusticlavio dei cavalieri vengono di solito identificati, dagli studiosi, con una striscia purpurea larga nel primo caso, strettane nel secondo applicata alla toga indossata dagli appartenenti ai primi due ordini dei cittadini di Roma. 
Torna su   Che sulle toghe di senatori e cavalieri fossero cucite le due strisce è vero almeno a decorrere dalla tarda Repubblica in poi ma il nome clavus significante chiodoqualifica incontestabilmente le strisce stesse quali simboli di contrassegni di più antica origine, diversi e specifici. Nel già ripetutamente citato Vocabularium latinum et italicum ad usum Regiae Taurinensis Academiae (Pezzana,Venetiis 1781) alla voce ci avus" si legge:?...Latus clavus (Svet(onius): nodo di porpora o d'oro in forma di testa di chiodo, di cui i senatori ornavano le loro toghe, onde, appresso lo stesso Svetonio, vale dignità di senatore (idem, per i cavalieri, perciò che concerne l'?angustus clavus?: testadi chiodo più piccola?).Come è noto, sul litorale tirrenico, a circa 70 chilometri a nord ovest di Roma, Traiano fece costruire un porto cui seguì la fondazione d'una attigua città che prese il nome (secondo noi giàdesignante il sito) di "Centumcellae", corrispondente alla odiema Civitavecchia (sul significato dei toponimo Centumcellae vedere oltre). Il territorio ove sorse tale città, non appartenente, per quanto si sa, nè a Cere nè a Tarquinia, deve ritenersi, a nostro avviso, anticamente compreso nella prefettura Claudia. Nel 1932 lo studioso civitavecchiese S. Bastianelli, allora direttore onorario dei Museo della sua città, così scriveva (in Civitavecchia vedetta imperiale sul mare latino, ediz. Latina Gens, pag. 33) descrivendo gli oggetti conservati nel Museo medesimo: Una particolare attenzione, meritano gli oggetti trovati nel sepolcreto del viale Guido Baccelli, il più antico, finora scoperto, della Centocelle romana, poichè va dal 140 al 150 d.C.. In queste tombe,era quasi sempre (sottol. nostra) deposto, a fianco del morto, un grosso chiodo di ferro (sottol. nostra), quale amuleto (fig.8). Nella figura 8, visibile apag. 36 dell'opera citata, si possono vedere i chiodi in questione frammisti al corredo funebre. Amuleti quei chiodi? No! simboli di cariche municipali (corrispondenti alle dignità senatorie ed equestri in Roma) rivestite in vita dal defunto o dai suoi antenati li definiamo noi! Vero è che, nella nostra epoca, da quelle parti, trovare un chiodo è considerato segno di fortuna, ma quella popolare credenza è certamente da ritenersi, a nostro avviso, un relitto d'una antichissima consuetudine che con la magia (disciplina, questa, peraltro estranea all'Italia antica) aveva ben poco a che fare. Torna su Da, quanto apprendiamo dal Bastianelli, l'inserimento di chiodi (grossi) nelle tombe (di cittadini illustri precisiamo noi) sembra peculiare alla sola zona di Civitavecchia la quale, come si è già detto prima (ma se ne riparlerà), nell'epoca anteriore alla costituzione del locale Municipium, aveva certamente fatto parte della prefettura claudia. Anche nella non lontana Cere (sede del magistrato titolare della predetta prefettura ai tempi di P. Festo: v. sopra) è attestata una sepoltura col chiodo: risulta da un noto epitaffio in lingua etrusca che noi abbiamo tradotto in modo diverso dalle versioni ufficiali (cft. Appendice n. 5). Fissare qualche avvenimento mediante con un chiodo da trave (trabaliclavo figere) significava, all'epoca di Cicerone rendere eterna la memoria di quell'avvenimento (Voc. Lat./Ital. cit., voce trambalis da Cic.). Si è già accennato, in precedenza, ai nodi fatti a forma di testa di chiodo che ornavano le toghe dei senatori e dei cavalieri romani. Tito Livio (con altri autori) c'informa, come è noto dell'usanza volsiniese d'infiggere un chiodo in una trave del locale tempio della Dea Norzia. Considerato che anche aRoma, teste lo stesso Livio, si ficcava annualmente un chiodo in una delle tre celle dei tempio di Giove Capitolino (si creava addirittura un dittatore per l'infissione dei chiodo!), appare evidente che tale usanza di palese origine etrusca, anzi volsiniese, derivarono i nodi a testa di chiodo delle toghe senatorie ed equestri romane. E' in oltre da ritenersi probabile, sulla base di quanto si è detto sopra in merito alla peculiarità delle sepolture civitavecchisi col chiodo, che l'usanza dell'infissione del "trabalis clavus" fosse particolarmente radicata, al tempo della potenza etrusca, nel territorio di quella che si sarebbe inseguito chiamata prefettura claudia, territorio nel quale è da ritenersi che fosse compreso il sito di Civitavecchia. E' quindi possibile che il nome di quella prefettura, certamente connesso coi clavus clodus (nonchè con clavis) possa risultare utile ai fini della presente indagine diretta a provare, se ci risulterà possibile, che Volsinii Veteres, ossia la sede storica principale e più antica dell'infissione di chiodi a fini celebrativi (del finir degli anni e dei secoli nonchè di importanti eventi) era ubicata proprio nel territorio della prefettura medesima e più precisamente per motivi che esporremo in seguito, tra i Novern Pagi menzionati nella sua Storia naturale da Plinio il Vecchio (v. sopra).
3. Possiamo qui fornire solo indizi, anzi solo sintomi, al riguardo, uno dei quali è costituito dai reperti archeologici di Civitavecchia sopra citati. Ma sono da prendersi in considerazione anche alcune connessioni linguistico lessicali riscontrabili tra il nome della prefettura claudia e quello di Volsinii. Al riguardo occorre ovviamente trarre spunto, oltre che dal clavus clodus di cui si è già detto, anche dai verbi latini "claudo (= io chiudo, serro, schiavo stipo, circondo, rinchiudo, fermo finisco, termino (Cic. in vocab. cit.) e claudeo (= io zoppico, sono sciancato, sono ciotto (Cic. in medes. Voc. cit.). Chi è zoppo " ferma il passo momentaneamente: cfr. il francese cloppin= zoppo). Con queste parole è palesemente connesso anche il nome clavis(sul quale dovremo poi ritomare) (Vocab. Lat/ Ital. cit.).
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questi termini latini sono a loro volta collegati con le seguenti parole greche: " kleio (=lat. claúdo)= chiudo ecc; klèo(= rendo conosciuto o famoso, lodo, esalto; klèis, genit. kleidos... (=lat. clavis)=chiave, "anche come simbolo di sopraintendenza, di potere, diforza... (dal Vocabolario greco italiano di Carlo Schenkl trad. daF.Ambrosoli,ediz. XIII di Carlo Clausen, Torino).implicazioni di natura storica, che sono ravvisabili, a nostro avviso, in quest’ultimo significato di “ klèis” – “clavis” avremo occasione di accennare brevemente in seguito (cfr. Cap. IV, pagina 44 e nota ivi). Tentiamo ora di accennare con “ clavus” e con “clavis” nomi i quali è certamente collegato quello della prefettura Claudia, abbia eventualmente una qualche relazione il nome di Volsinii, città di cui ipotizziamo l’ubicazione nel territorio della prefettura stessa.toponimo – che è la latinizzazione dell’etrusco Vels(i)na – è certamente da connettersi col verbo latino ?volvere? (= volgere al passivo volgersi, girare ecc.).a sua volta, è da collegarsi col verbo greco "eilèo". La radice di quest'ultimo verbo è FEL (pron. Vèl), onde equivale, al presente, all'incirca a FELFO (pron. Vèlvo) e quindi al lat. "volvo: significa, dei resto, "torco, e, contorco, "stringo insieme, "riduco alle strette; quindi anche "stringo, "serro, "chiudo (nostra sottol.); e poi anche "stringersi o raccogliersi insieme"..."" (connessioni e significati tratti dal vocabolario greco italiano sopra citato, voci relative). Inoltre il verbo ,'eiluo'' (deriv. da eilo sopra) significa ìo volgo, "torco; al passivo significa "mi uovo,o mi trascino oltre, "parlando del faticoso andare d'uno storpio (nostra sottol.): così si legge nel vocabolario greco-italiano sopra citato: l'ultimo significato è l'equivalente greco dell'equivalenza latinatra "claudio" (= chiudo) e "claudeo" (= io zoppico).A sua volta il verbo "elàuno" significa propriamente io torco e poi genericamente, e metto in movimento"""specialmente parlandodi cavalli o carri (nostra sottol.); al passivo significa "io corro a cavallo, "cavalco: così nel vocab. grecoital. citato. tanto per limitarci ad alcuni termini omotematici, "elos" significa "chiodo, 1 ,chiavo'', "borchia (ns. sotto.vocab. grecoitaliano sopra citato). Col celebre Rescritto di Spello (C.I.L., XI, 5265), come è noto, Costantino consentì agli abitanti di quella città umbra, che gli avevano inoltrato apposita istanza, di poter celebrare in loco le cerimonie religiose (pagane) che, annualmente, venivano celebrate, da tempo immemorabile, congiuntamente da Umbri e da Etruschi, a Volsinii (ovviamente nel sito di Volsinii Veteres: cfr. in tal senso H.H. Scullard, op. cit. pag. 136: tale autore ritiene "improbabile che il luogo delle celebrazioni fosse mutato), sotto la direzione di due "Sacerdotes", uno per gli Etruschi ed uno per gli Umbri, eletti da ciascuno dei due popoli. Poichè la richiesta era stata motivata dalle asperità dei monti e dalle difficoltà dei viaggi verso luoghi oltremodo boscosi ("propter ardua montium ed difficultstes itinerum saltuosa inpendio: cfr., sul Rescr. Arturo Solari, "Topografia storica del l'Etruria", Vol. 1, p. 59seg., Multigrafica editrice), è chiaro che la meta di tali viaggi annuali meta che nel Rescritto imperiale è indicata espressamente in Volsinii, non poteva essere nè Orvieto nè Bolsena (identificate, alternativamente, dagli studiosi, con Volsinii Veteres) bensì una località molto più lontana da Spello nonchè di più difficile accesso di quanto non lo fossero le due predette città e situata, per di più, come Giovenale disse di Volsinii (v. sopraal cap. 1), internernorosa juga ossia "tra giogaie boscose. Altrimenti la richiesta dei cittadini di Spello non avrebbe avuto senso e comunque ben difficilmente sarebbe stata accolta dall'imperatore. Il rescritto di Spello a.Giunge quindi altri argomenti a quelli esposti in precedenza, a conforto dell'ipotizzata ubicazione di Volsinii Veteres nella regione dell'Etruria meridionale amministrata in antico dal prefetti romani sedenti in Forum Clodi. Questa regione è, infatti molto aspra per monti e boscaglie: lo è soprattutto nella zona dei Monti della Tolta.Un importante documento archeologico, a tutt'oggi, a quanto ci sembra, non preso in considerazione dagli studiosi, fornisce un indizio, a nostro avviso, rilevante nonchè riscontro a quanto sopra dedotto dal rescritto di Spello circa l'ipotizzata ubicazione tra predetti Monti della Tolfa dell'antica Capitale della Confederazione etrusca.In "Notizie degli scavi d'antichità dei marzo 1882, a pag. 111, si legge quanto segue:Presso il sig. Pergi, il cav. Gamurrini ha preso copia della seguente iscrizione trovata di recente nel territorio della Tolfa:

L. F. LEI PR.TER. SACER ENSIUM. II

MARCIA

PIISSIMO POSTERISQUE OMBITUSC

(La riproduzione non essendo perfetta, per nostra inabilità, si rinvia al I' esemplare pubbl. nella rivista citata.) Tentiamo ora di ricostruire la scritta, evidentemente mutilata nei due lati longitudinali, nel modo seguente, scrivendo in lettere minuscole le parti reintegrate:

LIO. L. F. LEIvio (?)

TER SACERd. Clod

il pe

MARCIA co

SUO PIISSIMO. Eoru

POSTERISQUE. in sac

AMBITU S C Torna su

Sulla base di questa integrazione, la nostra versione della scritta è la seguente:
Questa tomba ha dedicato) ad Elio, (figlio) di L(ucio) (?) Li(vio) (,), Pr(efetto) (o Pretore) per la terza volta (e) Sacerdote dei Clodiesi, in un ambito inviolabile (1) di 2000 piedi, Marzia, al coniuge suo piissimo ed ai loro discendenti, in forza di senatoconsulto (adottato in)R(oma»
Malgrado l'inevitabile incertezza dell'integrazione, evidenti e di somma importanza sono le notizie storiche fornite dall'iscrizione di Tolfa. Questa prova, infatti, che, nel territorio di quella cittadina compreso, come attesta la scritta stessa, in quello dell'antica prefettura Claudia venne sepolto un prefetto (o pretore) e Sacerdote il quale, con ogni probabilità, esercitava in loco il suo ministero religioso,
Considerata l'estensione dell'ambitus sacer destinato alla tomba, tale ministero religioso doveva essere di alto rilievo.Nelle fonti leggiamo d'un Sacerdos ,di un Praetore perfino di un Aedilis Etruriae XV populorum. La pretura poteva essere esercitata da senatori romani e lo stesso imperatore Adriano non la disdegnò: ciò afferma H.H. Scullard a pag. 296 del suo lavoro 'Te città etrusche e Roma qui da noi più volte citato. Le cariche rivestite dal pretore sacerdote (forse con funzioni prefettizie) sepolto in territorio di Tolfa dovevano essere comunque molto importanti se occorse un senato consulto per assegnare alla sua tomba il privilegio attestato dalla scritta. Abbiamo integrato con "Clodiensium" il relitto grafico ENSIUM e tale integrazione non può ritenersi matematicamente certa. Se però l'integrazione è esatta, va tenuto presente che i Claudienses in base alla nostra ipotesi fondata sugli argomenti già esposti e su quelli che andremo ad esporre corrispondono ai Volsinienses ossia agli abitanti del territorio nel quale anticamente sorgeva Volsinii Veteres, città presso la quale era come gli studiosi ritengono il celebre Fanum Voltumnae" e che fu sede delle cerimonie annuali panetruscoumbre fino ai tempi di Costantino (su questo punto cfr. il rescritto di Spello ed H.H. Scullard, op. cit. p. 296).Vero è che nel citato rescritto costantiniano si parla di cerimonie celebrate annualmente a Volsinii e non nella prefettura Claudia (nella quale esercitava il suo ministero il Sacerdos dei Claudiesi di cui all'iscrizione di Tolfa, ma è anche vero che tale discrepanza appare del tutto inidonea ad inficiare l'eventuale identificazione del territorio claudiese con quello di Volsinii Veteres. Infatti il provvedimento imperiale era scritto sul retro (rescritto) d'una istanza di privati pagani i quali preferivano, ovviamente, usare il religioso e venerabile nome di Volsinii in luogo di quello ufficiale della PrefetturaClaudia. L'imperatore, quindi, nel dichiarare, sul retro dell'istanza, di accogliere la medesima, non poteva che adoperare, se non altro per ragioni di chiarezza, lo stesso toponimo usato dai postulanti.Sopra la tomba dei tolfetano Elio Livio (se era proprio questo il suo nome), come su ogni tomba, il defunto poteva, invece essere designato solo coi titolo ufficiale e cioè Sacerdos Clodiensium" e non coi termine "popolare" di "Sacerdos Volsiniensium". Nel caso in esame, peraltro, l'uso dei titolo ufficiale era da ritenersi obbligatorio in quanto doveva essere necessariamente identico a quello che venne certamente adoperato nel senatoconsulto citato nell'epitaffio. Quello di Sacerdos era titolo di antichissima origine ed era portato dalla massima autorità della Confederazione etrusca cui era conferito nell'annuale assemblea (che si teneva presso il volsiniese Fanum Voltumnae). Lo attesta Livio nel libro quinto della sua Storia di Roma allorchè c'informa dell'avversione delle genti etrusche peri i re di Veio il quale, irato perchè nell'annua riunione confederale era stato eletto Sacerdos un altro, aveva fatto 1 "empiamente'' interrompere le solennità dei ludi ritirando gli artisti che erano in gran parte suoi servi ("... quia solemnia ludorum, quos intermitti nefas est, violenter diremisset quum, ob iram repulsae, quod suffragio duodecim populorum alius Sacerdos ei praelatus esset, artifices, quorum magna pars ipsius servi erant, ex medio ludicro repente abduxit.")
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Questa notizia di Livio ci fa sospettare che il celebre Fanum Voltumnae (prossimo a Volsinii V. come quasi tutti gli studiosi ritengono) presso il quale si svolgeva l'annuale riunione panetrusca della quale paria, come è notto, tanto spesso il Padovano, non doveva essere molto lontano dal territorio di Veio, luogo, questo, di provenienza (come si evince dal passo citato) degli artifices che si esibivano negli spettacoli dati nei giomi delle riunioni (circa la vicinanza a Velo del F. Voltumnae cfr. anche G. Camporeale, PP, 1958, pag. 4 seg., citato da H.H. Scullard, op. cit., nota 18 al cap. VIII, pag. 322). Il territorio di Tolfa, nel quale, come si èvisto, risulta sepolto un Sacerdos, non è molto lontano da quello anticamente vastissimo di Veio. Forse all'epoca del fatto riferito da Livio, i due territori confinavano tra loro, dato che non si ha notizia, nell'epoca medesima, di città indipendenti intermedie. A questo punto, se i Novem Pagi menzionati  da Plinio erano compresi come molti, noi inclusi, ritengono nel territorio dell'attuale Tolfa, non possiamo fare a meno di osservare che un Sacerdos, carica anticamente importantissima, come si è visto, sembra veramente eccessivo per dei semplici villaggi, sia pure in numero di nove. A ciò va aggiunto che Volsinii V. era sita, teste Giovenale (v. sopra), tra giogaie boscose ("inter nemorosa juga") come lo è anche Tolfa e che il termine fimurn (dell'espressione fanuin Voltumnae") prima di significare tempio significò, come è noto, bosco.

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1) Cfr. Jo. Gothieb. Heineccius J e, Antiquitatum romanarum jurisprudentiam illustrantium syntagma..." pars I, Venetiis 1744, ex Typografia Balleoniana, pag. 399.
2) Cfr., ad es. Collatia, la più antica delle prefetture (cfr. Tito Livio, 111, 38 congiuntamente a Dion. D'Aicarn. 111, 50, in Jo, Heineccius Jc, op. cit., parte I, pag. 398).
3) P. Festo, voce "praefecturae", p. 374 in Jo. G. Heineccius Je, op. cit., pagg. 399-400. Come sembra evidente, il territorio amministrato dal prefetto sedente in Cere non doveva essere diverso da quello già compreso nella prefettura Claudia il cui prefetto risiedeva, al tempo di Plinio, in 'Foroclodi" (S. Liberato di Bracciano).
4) L'ambito d'una tomba o di un monumento denotava un certo numero di metri di larghezza in cui veniva circoscritta la santità assegnatagli. Lo intero terreno in cui una tomba era eretta non doveva essere adibito ad usi comuni; perciò sopra di esso si indicava spesso l'ambito affinchè fosse nota a tutti la santità dei luogo" (da Pinto, "Dizionario delle antichità romane", GHE, disp. 1, pag. 58).
5) SC = senatus consultuin (cfr. Ida Calabi Limentani, "Epigrafia latina-, Cisalpino goliardica, p. sii.
6) R è "compendium" di Roma. Per il compend. in gen. v. G. Cencetti ''Paleografia latina-, cap. "Sisterna abbreviativo", p. 156-66 Edit. Jouvence, Roma '78. 

Una cosa, Tullo, vorrei farti osservare: quale sia la potenza etrusca intorno a noi e soprattutto a te, quanto più sei vicino ai Tusci". Mario Scandola che così traduce dal latino queste parole rivolte dal Capo albano Mezzio Fuffezio al re Tullo Ostilio cui propone il celebre duello tra Orazi e Curiazi (Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione" a c. di M. Scandola, B.U.R., Rizzoli, pag. 52, Lib. 1, 23), alla parola Tusci annota (nota 1) quanto segue: S'è accolta la dizione Tuscis anzichè quella data dai codici (Vulscis) che non pare sostenibile. Essendo però pacifico che va scrupolosamente rispettata la dizione Vulscis data dai codici, dal citato passo liviamo risulta:  Torna su
a) che i Vulsci palesemente corrispondenti ai Volsci residenti a sud est di Roma erano insediati, secondo Mezzio Fuffezio (e Livio) anche a nord ovest dell'Urbe;
b) che quello abitato, a sud est di Roma, da popoli così denominati (evidentemente dai dominatori) era un territorio etruschizzato ad opera degli abitanti dell'Etruria propria. Ciò è confermato da Catone il quale, nel De originibus (framm. in Servio, Adaeneidem,11) c'informa di "Metabus pulsus a gente Volscorum quae Etruscorum potestate regebatur.
c) che Roma, come dice Mezzio Fuffezio e come in realtà era, stava più di Alba vicino a quelli che, con denominazione palesemente connessa con il nome dell'etrusca Volsinii, si chiamavano Vulsci: era infatti etrusca, come è noto, la riva destra del Tevere.
Dall'analisi critica del passo liviano emerge che il discorso di Mezzio Fuffezio può avere un senso logico soltanto supponendo che i Vulsci confinanti a nord con Roma fossero molto più potenti e quindi più temibili dei Vulsci stanziati a sud est ed a sud (a Velletri e ad Anzio) di Alba. La maggior distanza di questa città "latina (1) dai Vulsci del sud rispetto a quella intercorrente tra Roma ed i Vulsci dei nord era infatti da considerarsi pressochè irrilevante dal punto di vista strategico. A nord di Roma c'erano, infatti, Veio (la cui conquista richiederà poi ben dieci anni di assedio ai Romani) e sebbene più lontana la potente Tarquinia (Cere non fu mai in guerra coi Romani se si eccettua un piccolo, noto, episodio). Dal discorso che Livio mette in bocca a Mezzio Fuffezio e dall'identità etimologica che accomuna il toponimo Volsinii e l'etnico Vulsci non può non dedursi che la Capitale della confederazione etruscae cioè Volsinii Veteres dovesse essere sita in luogo non molto lontano da Roma. Che il territorio romano e quello volsiniese fossero piuttosto vicini se non finitimi è dei resto incontestabilmente attestato dall'invasione dei territorio romano effettuata dall'esercito di Volsinii già nel 392 A.C. (Livio, V/31,32) ossia appena quattro anni dopo la presa di Veio. Poichè allora il territorio di Roma non si estendeva, verso nord, oltre la conquistata città etrusca, è evidente che i Volsiniesi invasori non potevano essere gli abitanti delle lontane Orvieto e Bolsena i quali, oltre ad aver poco da temere dalla presa romana di Veio, per poter effettuare l'invasione, avrebbero dovuto prima invadere cosa che non risulta avvenuta i territori di altre città, quali Tarquinia, Cere o Nepi e Sutri.
2. Ma la storia e la comune logica forniscono altri più decisivi argomenti contro l'identificazione con Volsinii Veteres di Orvieto o di Bolsena. Quando i Galli minacciarono, come è noto, Chiusi muovendo poi da lì su Roma che presero nel 390 A.C., perché mai i Chiusini chiesero soccorso ai lontani Romani e non, come sarebbe stato logico, ai vicini
Volsiniesi se la potente Volsinii Veteres corrispondeva, come sostengono gli studiosi, ad Orvieto, città vicinissima a Chiusi (od a Bolsena, come pochi ritengono, città che da Chiusi non è molto lontana)?
Quale fu l'atteggiamento di Volsinii (VELSNA) durante l'invasione gallica? Narrando questo importantissimo avvenimento Livio non la nomina nemmeno (o almeno cosi sembra: ved. oltre). Eppure i Galli Sènoni (ai quali lo storico attribuisce l'invasione) quando, dai dintorni di Chiusi, si diressero verso Roma, dovettero pur attraversare il territorio volsiniese sotto il naso degli abitanti della Capitale d'Etruria e saccheggiarlo come erano soliti fare, se tale territorio era, come pensano gli studiosi modemi, quello stesso di Orvieto (od anche quello di Bolsena). Basta dare uno sguardo alla carta geografica per rendersene conto. E che ne fu della città di Chiusi dopo la partenza per Roma dell'esercito gallico che l'aveva minacciata? In base a quale criterio strategico il comandante Brenno potè impunemente marciare sull'Urbe lasciandosi alle spalle l'esercito di Chiusi, città che, come è noto, è definita da Livio potentissima in quei tempi?
Queste naturali domande ma gli studiosi se le sono poste? sembrano non trovare una logica risposta nel testo liviano. Ma era proprio l'odiema Chiusi la città di CLUSIUM menzionata dallo storico padovano nel corso della sua narrazione dell'invasione celtica?
3. Se era la stessa città sulla quale aveva regnato Porsenna intorno al l'epoca in cui sorse la repubblica romana (509 A.C.) c'è da dubitarne fortemente. Come è noto, Porsenna, che, in quel lontano tempo, assediava Roma (e forse la conquistò, teste Tacito), aveva fatto venire navi da ogni parte per bloccare i rifornimenti, via mare, alla città (Tito Livio, Il, 11). 
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Come?! il re dell'i nterna Chiusi poteva mobilitare una flotta?             
Poteva fare ciò, ovviamente, solo il re d'una città marittima o sita non molto lontano dal mare e con un vicino porto a disposizione. il che non poteva certo dirsi del re dell'intema Chiusi. Ma Livio c'informa che Porsenna aveva fatto venire navi da ogni luogo (Il, 11). E' allora probabile che questo Porsenna avesse potere su ogni luogo ossia su ogni città della confederazione etrusca dei XII populi che disponesse d'un porto. E' inoltre pacifico tra gli studiosi che un simile potere sui "duodecim Lucumones, id est reges, quibus unus preerat(Servio, Ad Aeneidem, VIII, 475, cit. da H.H. Scullard, op. cit. nota 19 al Cap. VIII, pag. 3 22) spettasse, previa deliberazione panetrusca (presa presso i solito,volsiniese, Fanurn Voltumnae"), soltanto al re lucumone che era a capo della confederazione. Vero è, come attesta il già riferito episodio relativo al trombato redi Veio, che l'altissima carica poteva essere conferita ad uno qualunque dei dodici re lucumoni e che quindi anche il re di quella che è l'odiernaChiusi (sempre che anticamente fosse compresa tra le 12 lucumonie) una volta ottenuta l'elezione di cui sopra, avrebbe avuto il potere di mobilitare le navi delle città etrusche che ne potevano disporre. E' vero anche, sebbene improbabilissimo, che il predetto re avrebbe potuto continuare a risiedere a Chiusi anzichè in VELSNA (che era, teste Valerio Massimo, la Capitale confederale) anche durante l'esercizio delle nuove più importanti funzioni. Tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che VELSNA (Volsinii Veteres) non fosse ubicata in riva al mare. Noi, per motivi già adombrati e per altri che esporremo, pensiamo che fosse sita nel territorio della prefettura Claudia, territorio che, in base a quanto si è già detto, doveva estendersi fino al mare toccando questo in una zona compresa tra gli Stati di Cere e di Tarquinia. Ma, come si è qui accennato, l'ubicazione interna di VELSNA deve ritenersi ininfluente sulla possibilità di mobilitazione dell'intera flotta etrusca da parte del Capo confederale sedente in quella città. Era invece, per ovvii motivi, impossibile che tale mobilitazione potesse effettuare il re della città che era sita nel luogo dell'odiema Chiusi.
Se la nostra ipotesi ubicativa è esatta, VELSNA avrebbe indubbiamente potuto dìsporre d'un proprio, autonomo scalo marittimo così come ne disponevano le meno importanti città di Cere e di Tarquinia (in merito a tale porto cfr. appresso e l'appendice n. 2).
Quelle che, secondo Livio, furono fatte venire da ogni luogo subito dopo la nascita della repubblica romana (509 A.C.) da Porsenna, non erano però le prime navi mobilitate verso il sito di Roma da un re di Clusium.
Infatti Virgilio, contemporaneo di Livio, nel fare l'elenco degli alleati etruschi di Enea, nel libro decimo dell'Eneide (vv. 164 segg. .)ci narra di Massíco che per primo fende le acque con la nave Tigre corazzata di bronzo, sotto il quale era una schiera di mille giovani che lasciarono lemura di Clusium e la città di Cosa (Massicusaerata princepssecat aequora Tigri / Sub quo mille manus juvenum qui moenia Clusi / Quique urbem liquere Cosas...).      
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Nei successivi versi 653-655 dello stesso libro decimo Virgilio, nel narrare i combattimenti tra i Troiani e le truppe di Mezenzio, c'informa che Per caso. stava (lì ferma), con le scale messe fuori e con il ponte preparato, la nave con la quale il re Osinio (era stato) trasportato (lì) dai lidi chiusini (Forte ratis ... /Expositis stabat scalis et ponte parato/ Qua rex e lusinis advectus Osinius oris). 
Il termine latino ora significa, come è noto, sia lido,"spiaggia di mare (e simili), sia regione, zona territoriale (e simili: cfr. l'ital. piaga connesso a spiaggia ma significante regione). Poichè Virgilio, nei versi quì sopra citati, non può aver inteso affermare che il re Osinio era arrivato in nave dalla regione incudente quella che è l'odierna Chiusi, il problema relativo all'esistenza d'un'altra antichissima "Clusium", prossima al mare e comunque con un vicino porto a disposizione, ben più potente di quanto lo dovette essere quella che è oggi la moderna ed interna città di Chiusi, si pone con ineludibile evidenza come infatti valorosi studiosi, prima di noi, se lo sono già posto. Se lo è posto, tra gli altri, Michael Grant ("Le città e i metalli Società e cultura degli Etruschi , Sansoni edit., pagg. 291 seg.) per il quale, però, (in una col Pallottino, S.E., XXXIV, 1966, p. 427 ed altri da lui citati) supporre che il poeta si riferisca ad un'altra ed ignota Clusium marinara sembra una scappatoia infondata, giacchè nessun'altra fonte ci documenta dell'esistenza d'un centro simile.  
Ma a porre il problema pensò Plinio il Vecchio allorchè, tramandandoci nella sua Storia Naturale (2), come è noto, la notizia di Porsenna re di Volsinii e non di Chiusi, ci fece fortemente sospettare che Clusium e Volsinii fossero in realtà due denominazioni della stessa città e che gli antichi resti scoperti nel sito della moderna Chiusi possano riguardare un altro, posteriore, centro antico. Inutile, a questo punto, osservare che l'oscurità in cui naviga tale sospetto potrebbe venir rischiarata dal] e lucidi bordo delle navi di cui letteralmente brulicano le citate notizie di Virgilio e di Livio.
Il toponimo Clusium è da ritenersi certamente connesso col nome della prefettura Claudia. Motivi già accennati ed altri da esporsi c'inducono a ravvisare in tale connessione onomastica la causa principale della probabile confusione fatta dai due citati Autori tra l'ormai distrutta Volsinii e la prefettura Claudia che ai loro tempi, come riteniamo, amministrava il territorio dell'ex Capitale della confederazione etrusca. Ma di ciò tratteremo ancora in seguito. Ora, dopo esserci occupati di mare e di navi, dovremo occuparci, ai fini del presente saggio, di alcune campagne belliche, terrestri, sostenute dai Romani contro gli Etruschi.
4. La Selva Ciminia che il console Quinto Fabio Ruffiano violò nel 310 A.C. (soprattutto per merito della sua cavalleria: ved. oltre) dopo aver liberato Sutri dall'attacco di forze tarquiniesi (e forse anche di quelle di Volsinii, sostiene H.H. Scullard, op.cit., p 285) 'è una catena di monticoli a "sud" (sottol. nostra) di Viterbo (T. Mommsen, StoriadiRomaa c. di A. Quattrini, ed. AEQUA, Roma, Vol. 1, p. 140).
La definizione e la localizzazione dell'autorevole Mommsen, in quanto concordanti con la descrizione liviana della battaglia (I. IX,32 seg.) alla quale si rinvia, sono pienamente da condividersi. Al riguardo va tenuto presente che i monti attualmente detti Cimini sono situati non già a sud, bensì ad est sud est di Viterbo e non possono certamente definirsi monticoli dato che il monte Cimino si eleva a ben 1056 metri di altezza. Va d'altra parte, considerato che, dopo aver liberato Sutri dall'attacco etrusco, i Romani non avevano alcun valido motivo strategico per dirigersi verso nord, ossia verso gli attuali Monti Cimini: così facendo, infatti, essi avrebbero lasciato il loro fianco sinistro improvvidamente scoperto e quindi alla mercè delle truppe tarquiniesi che sono peraltro, le uniche forze etrusche (oltre agli agrestes della 1 'silva dei quali tratteremo oltre) menzionate da Livio in questa circostanza. Poichè le forze di Tarquinia erano ovviamente partite, all'attacco di Sutri, dalla loro città la quale è situata ad occidente di quel centro, era logico che i Romani avanzassero non già verso nord, bensì verso ovest. Ma se deve ritenersi con lo Scullard: v. sopra che anche i Volsimesi fossero scesi in campo contro i Romani, delle due l'una: o i Volsiniesi provenivano da Orvieto o da Bolsena città che gli studiosi identificano, alternativamente, con Volsinii Veteres (VELSNA) ed allora, in tal caso, i Romani, per affrontarli, pur dovendo dirigersi verso il nord, donde provenivano i nemici, non avevano necessità alcuna di valicare gli attuali Monti Cimini, bastando loro di seguire il tracciato (a quell'epoca ancora non lastricato) della via Cassia che è pressochè pianeggiante (fino all'erta salita di Radicofani) e rasenta, come è noto, senza valicarli, i predetti Monti; oppure i Volsimesi minacciavano i Romani da altra direzione ed allora deve ritenersi che Volsinii (VELSNA) non fosse ubicata a nord di Sutri (e più precisamente nel sito di Orvieto o in quello di Bolsena) ma che fosse invece situata ad occidente di Sutri medesima ossia proprio tra i monticoli della silva ciminia, siti, come afferma il Mommsen, a sud di Viterbo e la cui altezza massima supera di pochissimo i 600 metri.
Proprio tra questi monticoli, infatti, irruppe, come era logico, la cavalleria romana. Ma, a fare che cosa? Se i Romani volevano contrattaccare gli assalitori tarquiniesi, partendo dall'ormai sbloccata Sutri essi avrebbero potuto agevolmente marciare verso il territorio di Tarquinia lasciandosi alla loro sinistra gli accidentati e selvosi (cfr. Livio) monticoli! Quale importanza strategica avava dunque l'attraversamento di quelle alture? Prima di dare una risposta a questa domanda ci sembra opportuno un breve cenno descrittivo delle condizioni di viabilità (antiche) delle alture medesime le quali per doverosa esclusione di ogni altra identificazione non possono che corrispondere agli attuali Montidella Tolfa.
5. Questo territorio, in prevalenza collinoso, aspro e tuttora ombreggiato da vaste foreste, somiglia in modo impressionante alla Silvia Ciminia quale ci viene descritta da Livio (A.U.C., IX,35: Consul ... flectit in colles (aspreta erant strata saxis) ..."; IX,36 (Silvia Ciminia erat) tum invia atque horrenda quam nuper fucre germanici saltus").
Questa somiglianza riguarda sia la difficile accessibilità del territorio sia la via che, in antico, partendo da Roma, si era obbligati a percorrere per accedere al territorio stesso. Questa via passava per Sutri. Giunto, percorrendo il tracciato della via Cassia, in questa città, il viandante era costretto a piegare a sinistra (verso occidente) ed a passare attraverso una lunga serie di colli boscosi e privi di strade. Tale situazione viaria della zona durò forse, però, con interruzioni nell'epoca imperiale almeno fino al Rinascimento.
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Come soltanto via Sutri teste Livio era possibile, in epoca classico repubblicana, penetrare nella selva ciminia ed Etruschi e Romani, si contesero il possesso di quella cittàchiave (claustrum Etruriae la definisce, infatti, con Nepi, Livio) fin dai tempi di Furio Camillo così anche durante il Rinascimento soltanto passando da Sutri i viaggiatori provenienti da Roma potevano accedere ai Monti della Tolfa onde giungere all'omonima cittadina. Ciò è inconfutabilmente attestato dalla descrizione d'un simile viaggio, attraverso gli stessi luoghi percorsi dall'esercito romano nel 310 A.C., effettuato nella prima metà del '500 da Annibal Caro:
" (Dalla lettera a tutti i famigliari di Monsig. de' Gaddi in Roma datata "Di Castro a li 13 ottobre 1537, da "Le più belle pagine di Annibal Caro scelte daF. Pastonchi, Treves, Milano 923, p. 3 seg.)
"Siamo in un deserto (sottol. nostra) e volete lettere da noi ... Arrivammo la "prima sera" (sottol. nostra, v. appresso) a la "gran villa di Monte Ruosi (= Monterosi (ns. nota) ... Il "secondo dì" (sot. nostra, v. appresso) passando da Sutri (sot. ns.), vedemmo case d'incomprensibile architettura. Entrammo poi in una foresta tale che ci smarrimmo e tempo fu ch'io credetti di non avere mai più a capitare in paese abitato trovandone rinchiusi e aggirati per lochi dove l'astrolabio ed il quadrante vostro (il C. si rivolge quì a Giovanni da Verrazzano, in prec. nominato, suo amico e celebre viaggiatore nel nuovo mondo) non avrebbero calcolato il sito dei burroni l'altezza dei macigni e gli abissi dei catrafossi, in che ci eravamo ridotti ... Ma tanto ci avvoltacchiammo alla fine, che vedemmo come per cerbottana, un poco di piano. E' tirando a quella volta, meravigliosamente ci si presentarono avanti alcuni morbisciatti (= malnutriti) che ne diedero lingua e indirizzo per venir dove siamo (e cioè a Tolfa: ved. oltre). E questo è quanto al viaggio. De la stanza poi, Iddio ne guardi i cani (P). ... Voi Barbagrigia (un amico del C.) conoscete il Bistolfo (ns. sott. =le due Tolfe, corrisp., ai due centri di Tolfa Vecchia e di Tolfa Nuova, quest'ultima diruta) a discrezione di chi siamo.... Ora parlerò delle miniere (su questo cfr. quanto detto sopra circa l'ubicazione di Volsinii V. in zona mineraria) a tutti in solido. Qui si soffia a più potere e l'Allegretto, e io siamo sopra i mantici.... Monsignore col suo bastoncino (=Mons. de' Gaddi che dirigeva la Rev. Camera Apostolica, incaricato dal governo pontificio di ricerche minerarie ed avente alle sue dipendenze il Caro) e col petasetto, al solito sollecita il ministerio
Vassi ogni dì castrando montagne, ora quella di Castro, ora questa de la Tolfa Lasciando alla perspicacia del benevolo lettore il compito, in verità non troppo arduo, di ravvisare l'evidente identità tra il percorso seguito da Annibal Caro e quello effettuato dalla cavalleria dei console Q. Fabio Rulliano nel 3 10 A.C., non possiamo omettere di osservare che tre giorni di viaggio occorsero al poeta marchigiano per arrivare da Roma a Tolfa, cittadina, questa, che dista (senza passare per Sutri) circa 70 chilometri da Roma.Ma parimenti tre giorni di viaggio, c'informa Polibio (Storie, 11,25, trad. e note di Fausto Brindesi, Rizzoli edit.) doveva compiere, ai tempi dello storico greco, il viaggiatore che volesse recarsi dall'Urbe a Chiusi, città, questa, che dista dalla prima più di 160 chilometri. Tralasciando inutili commenti al riguardo, aggiungiamo questa ennesima incongruenza storica alle altre già riscontrate in ordine al problema relativo all'altra Clusium e passiamo oltre. Ben altri problemi pone infatti la descrizione liviana della battaglia nella selva ciminia. Infatti, come Livio ci racconta che i Romani, penetrati nel 310 A.C. nella celebre selva, furono assaliti da coorti di agrestes (= abitanti in campagna, non necessariamente agricoltori) (Livio, IX, 36) mobilitati in fretta e furia da" principes;così il suo contemporaneo Virgilio fa dire ad Iride (mandata da Giunone a Turno) che Enea è penetrato finoalle estreme città di Còrito e che egli arma una moltitudine di Lidi (=Etruschi) abitanti del contado (all'uopo) mobilitati ("Lidorum manum collectos armat agrestes: Aen., IX, 10,11). La zona territoriale in cui Enea mobilitò gli "agrestes" etruschi è ben nota: è l'"ingens gel idum lucus prope Caeritis amnem (= "la grande foresta presso il freddo fiume di Cere: Aen. VIII, 597). Dopo la notissima descrizione dei luoghi, Virgilio ci narra che huc pater Aeneas ed bello lecta juventus succedunt, fessique ed equos et corpora curant (Quà, il padre Enea e la gioventù mobilitata per la guerra discendono e, stanchi, hanno cura del corpo e dei cavalli, evidentemente usando, per bere, l'acqua dei caeritisamnis identificato da Servio col fiume Mignone fluente presso i Monti della Tolfa (cfr. Aen. VIII, 597 607). Quindi le estreme città di Còrito" ove Enea mobilitò gli "agrestes" (Aen. IX, 10,11, versi già sopra cit.) devono intendersi situate nelle vicinanze del Caeritis amnis e della grande foresta (ingens lucus) menzionati nel versi del libro VIII dell'Eneide qui sopra riassunti. Queste estreme città di Còrito", che il Mantovano non nomina, sono però nominate e precisamente ubicate da Catone il Censore nelle sue "origini":"Cortnossa, Contenebra, mons Còriti, in Jugis Ciminiis" (3)
Sui nomi di queste città e su "Còrito" vedasi l'appendice n. 3.
La prima delle due città è chiamata da Livio Cortuosa allorchè ne narra la conquista (insieme a Contenebra) da parte dei Romani (Livio, VI, 4).
Torna su   Come è noto, Livio situa le due città nel territorio tarquiniese. La combinazione delle notizie fornite da Catone e da Livio con quelle date da Virgilio, rispettivamente, nei vv. 597607 del I. VIII e nei VV. 10-11 del 1. IX (V. sopra) consente però di ubicare con maggior precisione, sia le predette città che il "mons Còriti": esse non potevano essere site come si è già accennato che nel luogo ove si accampò il padreEnea ossia nell'ingens lucus vicino al "Caeritis amnis".
Da ciò discende che i Juga Ciminia tra i quali erano situate le due cìttà con il monte zona montuosa) vanno necessariamente identificati, non già con gli attuali Monti Cimini, tra i quali non scorre il freddofiume di Cere bensì con le giogaie (Juga) prossime a quest'ultima città ed attualmente denominate Monti della Tolfa od anche, da alcuni, Moriti Ceriti. Con queste alture vanno certamente identificati i juga di cui parla Virgilio nei celebri versi 478-480 del più volte citato libro VIII dell'Eneide: Haud procul hinc saxo colitur fundata vetusto Urbis Agyllinae sedes ubi Lydia quondam Gens bello praeclara Jugis insedit Etruscis.
Queste parole, dette ad Enea sul Palatino da Evandro, re del colle e tradotte finora erroneamente dagli interpreti (si veda, al riguardo, l'appendice n, 4), significano, in realtà, quanto segue: Non lontano da qui (= dal Palatino) si è tuttora abitata (essendo) fondata (= avendo fondamenta) su sasso durevole, l'originario insediamento della città (murata, ossia "urbs") agillina ove la gente (che era stata) un tempo Lidia, (dato che era) illustre in (fatto di) guerra, si insediò in cima alle Giogaie Etrusche. Premesso che la città di cui si parla in questi versi non è Cere ma la sua madrepatria situata come nei versi stessi è chiaramente detto sui Jugis Etruscis (cfr. la richiamata appendice), sono proprio queste giogaie che qui interessano. Sono questi gli unici juga (dell'Italia Centrale almeno) di cui parla Virgilio. Il combinato contesto (v. sopra) dei versi di cui ai libri VIII e IX dell'Eneide prova senza ombra di dubbio possibile che tra questi juga Enea mobilitò gli "agrestes" etruschi contro Mezenzio. Considerato, come ci dice Livio, che il console Q. Fabio Rulliano "postero die Juga ciminia tenebat (IX, 36) e che poi egli si scontrò con agrestes mobilitati dai principes etruschi, resta da constatare, soltanto, per i motivi già esposti, che la zona che vide la mobilitazione di agrestes fu una sola nell'Italia centrale, sia per lo storico di Padova sia per il poeta mantovano: quella dei Monti della Tolta, situati tra Cere e Tarquinia. A questo punto, però, non può non saltare agli occhi d'un attento lettore come "agrestese" principes rassomiglino maledettamente ai "penèstai" (=lavoratori) ed ai "dunàtotai" (= persone ragguardevoli, ossia principes) che le fonti antiche ci presentano tra di loro in contesa durante la rivoluzione volsiniese del 265 A.C. seguita l'anno successivo dalla distruzione di Volsinii Veteres (ved. quanto, al riguardo, è stato esposto in precedenza). A loro volta, i Juga "virgiliano catoniano liviani" non possono non richiamare alla mente i "nemorosa juga" trai quali, teste Giovenale, era situata l'ex Capitale della Confederazione etrusca. Indizi ubicativi, questi, non prove! 6. Ma, procedendo con ordine, proseguiamo ancora per poco: abbia pazienza chi eventualmente legga la nostra sintetica narrazione degli eventi bellici. Quelli immediatamente successivi alla violazione della selva ciminia (3 10 A.C.) attestano inconfutabilmente che malgrado la venuta a patti di Perugia, Cortona ed Arezzo (Livio IX, 37) e l'infiltrazione d'una pattuglia spionistica fino ad Camertes Umbros (Livio IX 36) i Romani non erano ancora riusciti a sfondare, per il tracciato pressochè pianeggiante della via Cassia, in direzione dell'Umbria (etruschizzata), il che dimostra che la parte della selva ciminia violata non era quella confinante con l'Umbria. Infatti Tito Livio, dopo aver narrato i combattimenti della selva ciminia e poi quelli svoltisi nel Sannio, nei successivi capitoli dei libro IX ci fornisce le seguenti notizie di carattere militare riguardanti in modo specifico Etruria ed Umbria (etruschizzata): (riassunti parziali) Cap. 39 Dopo aver battuto gli Umbri in campo aperto, i Romani sconfissero gli Etruschi presso il lago Vadimone (= I. di Bassano in Teverina). Al riguardo Livio ci dice che "ille dies primum" (ns. sottol.) fortuna veteri abundantes Etruscorum fregit opes (= Quella giomata infranse, per la prima volta, la potenza degli Etruschi (che era) esorbitante a causa dell'antica prosperità). Cap. 40 Battuti i Sanniti, nel 309 A.C., ossia un anno dopo la violazione della celebre selva, i Romani batterono gli Etruschi presso Perugia che aveva rotto l'armistizio ed imposero alla città un presidio.
Cap. 41/42 Dopo che il console Decio Mure ebbe devastato alcuni castelli nei dintorni di Volsinii, tutta la nazione etrusca ("omne nomen etruscum) chiese ed ottenne un armistizio. Questo venner però violato dagli Umbri (etruschizzati: ns. nota). Tale popolo, dopo aver spinto alla rivolta gran parte degli Etruschi, aveva mobilitato un esercito tanto grande da vantarsi di andare ad assediare Roma dopo aver lasciato dietro di sè in Etruria (ns. sottol.) Decio (occupato con Volsiniesi e Tarquiniesi, cfr. il testo orig.). Riferito tale disegno al console Decio, questi si diresse a marce forzate verso l'Urbe e si accampò nell'"agro Pupiniensi­ (=zona di Tivoli: cfr. Varrone in Vocab. Lat/ltal. cit.). Diffusosi a Roma un certo panico, venne richiamato dal Sannio l'altro console, Fabio, il quale si diresse rapidamente a Mevania (=Bevagna, inUmbria) ove erano allora stanziate le forze umbre. L'improvviso sopraggiungere delle truppe di Fabio determinò un ripensamento degli Umbri ad eccezione della piaga detta Materina (corrisp., a nostro avviso, al territorio di quel centro che fu poi detto Vico Matrino) i cui abitanti vennero però sconfitti dal console Fabio medesimo. Gli Umbri si arresero e con la città di Otricoli venne stipulato un patto di amicizia.La narrazione liviana delle campagne belliche svoltesi all'incirca dal 310 al 308 A.C. impone alcune considerazioni di carattere strategico politico:

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