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Archeologia

Walter Bianchi

Walter Bianchi "Velsina"
 
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A) Livio distingue sempre nettamente tra Etruria ed Umbria pur essendo quest'ultima o soggetta agli Etruschi o compresa nella sfera d'influenza di questi.
B) Sutri, che fu l'epicentro dei combattimenti nella prima fase della guerra, viene definita, come è noto, dallo storico, porta ("claustra") dell'Etruria, non dell'Umbria; in altri passi Livio definisce anche Nepi porta dell'Etruria e tale definizione rispecchia perfettamente la situazione politico strategica dell'epoca: quest'ultima città, alleata, come Sutri, dei Romani, era infatti la base ideale per tenera a bada la vicina Faleri Veteres (presso Civitacastellana) abitata dai Falisci, gente "latinosimile" , assai più degli Umbri, dagli Etruschi (si veda, al riguardo, Livio, X, 26, passo, questo, di cui appr. si tratterà).
C) Poichè Falèri dominava il tracciato della via Flaminia e Sutri quello della Cassia, la valle del Tevere, ossia il tracciato della via Salaria, fino al reatino, rimaneva, allora, l'unica via aperta ai Romani onde poter marciare sull'Umbria, abitata da gente affine ai Celti (come molti studiosi riconoscono), al fine di poter contrastare, da lì, la persistente pressione esercitata sull'Italia centrale dai Galli Sènoni i quali, come è noto, avevano usufruito della stessa via, percorrendola in senso inverso quando, nel 390 A.C., presero e devastarono Roma.
D) Che gli Umbri fossero di stirpe celtica (e ci si perdoni questo inciso) è attestato & sia pur "freudianamente" anche da Livio il quale nel cap. 41 del libro IX, qui in precedenza parzialmente riassunto, c'informa, nel parlare delle minacce umbre di marciare su Roma, che Nec Romae spernebatur Umbrorum bellum: et ipsae minae metum fecerant expertis gallica clade ­("nè a Roma era disprezzata la guerra umbra: anche le sole minacce avevano fatto paura a quelli che avevano sperimentato la sconfitta subita ad opera dei Galli''). Lo storico letto, come suoi dirsi, tra le righe dice, in sostanza, la stessa cosa allorchè, nel capitolo 26 del libro X, narrando la sconfitta inflitta ai Romani presso "Clusium" (ma quale Clusium? ved. quanto scritto sopra al riguardo) dai Galli Sènoni, c'informa che, secondo alcuni studiosi dell'epoca, la sconfitta medesima venne invece inflitta dagli Umbri.
Comunque è certo che, all'epoca della violazione romana della selva ciminia, la via per andare da Roma all'Umbria e da lì alle Marche (residenza dei Sènoni) esisteva da tempo immemorabile: era come si è già accennato il tracciato della via Salaria, la più antica delle vie dell'Italia centrale. Per andare nell'Umbria etruschizzata onde farne una base operativa contro i temutissimi Galli Sènoni (poichè questi e non gli Etruschi erano i principali nemici di Roma) i Romani non avevano alcun bisogno di valicare (come già si è accennato) gli attuali Monti Cimini. Chi eventualmente obbietti che potevano seguire il tracciato della via Cassia deve tener presente che come si è detto sopra questo tracciato pressochè pianeggiante non solo non può corrispondere alla selva violata nel 310 A.C., ma non poteva essere tranquillamente attraversato dalle legioni romane che avevano battuto gli Etruschi a Sutri. Infatti, come attesta Livio nel capitolo 42 del libro IX (già sopra citato) la plaga di "Materina", palesemente corrispondente alla zona dell'odierna VicoMatrino, incurante della sconfitta subita dai loro alleati dominatori Etruschi, affrontò i Romani e minacciò di marciare, con gli altri connazionali, sulla stessa Roma. Poichè Vico Matrino è situata a nord di Sutri ma a sud dei Monti Cimini e dominava il transito sulla via Cassia, appare di tutta evidenza che non in quella direzione avevano sfondato i Romani nel 310. Avevano quindi sfondato, violando la selva ciminia, verso occidentee crediamo di averlo sufficientemente provato.
Torna su Ma verso occidente per quale motivo? La violazione dell'impenetrabile selva e le successive sconfitte etrusche presso Sutri provocarono, come attesta Livio, la venuta a patti di Perugia, Arezzo e Cortona con Roma. Ma se i Romani potevano usufruire, come si è già detto, della valle del Tevere perminacciar le, perchè mai queste lontane città s'impressionarono tanto per l'attraversamento romano della selva ciminia mentre gli Umbri di Materina (Vico Matrino) benchè vicinissimi ai luoghi della battaglia silvestre non se n'erano impressionati affatto?
Che c'era di tanto importante in mezzo a quella selva? Certo è però che i Romani non vi penetrarono per raccogliervi funghi!
E) Che cosa ci fosse di cosi importante in mezzo alla selva ciminia ce lo dice, sia pure implicitamente, Livio nel cap. 41 del libro IX da noi più volte citato. Come si è già detto (v. sopra) il console Decio stipulò un armistizio con Tarquiniesi e Volsiniesi dopo aver distrutto alcuni castelli di questi ultimi situati, ovviamente, nei dintomi di Volsinii Veteres. Osservato,  "en passant", che gli armistizi si stipulano con coloro contro i quali si è combattuto; che quindi Decio aveva combattuto sia contro i Tarquiniesi che contro i Volsiniesi; che la richiesta di resa formulata, teste Livio (cap. 41 cit.) da tutta la nazione etrusca non potè essere deliberata che nella capitale confederale e cioè a Volsinii; resta da chiedersi come mai lo storico padovano osi abbinare nelle trattative d'armistizio con Decio e quindi nei combattimenti antecedenti Tarquiniesi e Volsiniesi battuti entrambi dal console romano a Sutri e dintorni, disattendendo, con ciò, l'opinione dei moderni studiosi che ritengono Volsinii Veteres ubicata nel sito della lontana Orvieto. Ma poichè è certo che Tarquiniesi e Volsimesi lottarono uniti contro Decio Mure il quale, teste Livio (IX, 4 1) devastò (v. sopra) alcuni castelli dei secondi e che fino ad allora l'esercito romano non si era ancora spinto oltre l'odiema Vico Matrino (v. sopra), riteniamo doveroso affermare che ogni ipotesi che abbia per oggetto l'ubicazione di Volsinii Veteres nel sito di Orvieto (od in quello di Bolsena) si rivela, alla luce dei racconto liviano, al di fuori della comune logica. E' anche alla luce di queste considerazioni che vanno valutate quelle che sono state brevemente esposte in precedenza in ordine all'invasione del territorio romano effettuata dall'esercito volsiniese nel remoto anno 392 A.C. e narrata da Livio nel capitolo 31 e seg. dei libro V della sua storia di Roma.
Nella campagna bellica 310 308 della quale trattiamo, ciascuno dei due consoli comandava, come al solito, due legioni (oltre gli alleati): due ne comandava Decio Mure in Etruria e due Quinto Fabio Rulliano nel Sannio. La durezza, attestata da Livio, dei combattimenti svoltisi presso Sutri e l'ovvia mancanza in Decio Mure del dono dell'ubicuità vietano di pensare che questo console potesse fronteggiare Tarquiniesi e Volsiniesi nella zona della predetta città e contemporaneamente devastare, castelli prossimi alla lontana Orvieto (qualora con tale città si potesse identificare Volsinii). Dovette invece accorrere l'altro console, Fabio, dal Sannio, in aiuto di Decio onde far fronte e ne abbiamo già parlato alla minaccia deoli Umbri meridionali (Livio, IX,41).
7. Nel capitolo 25 del libro X della sua Storia, Livio, prima di narrare, nei capitoli successivi, la celebre vittoria romana di Sentino (295 A.C.), c'informa che il console Q.F. Massimo Rulliano operante nell'Umbria etruschizzata e nell'Etruria del nord dopo l'apertura all'espansione di Roma della valle tiberina al principio della primavera, relicta secunda legione ad Clusium, quod CAMARS olim appellabant ... Romam ... ad consultandum de bello rediit". Queste parole vengono di solito tradotte come segue: (Q1.M. Rulliano), lasciata la seconda legione presso Chiusi, che una volta si chiamava CAMARS ... tornò a Roma per decidere riguardo alla guerra..." (così traduce, ad es., Domenico Aringoli in Tito Livio, Storia romana, (I. X, C. Signorelli edit., pag. 64).
Secondo noi, invece, le parole "Clusium", quod CAMARS olim appellabant vanno tradotte: Clusio, quella che una volta chiamavano CAMARS , sottintendendo quella menzionata nei libri Il (Porsenna re di Chiusi) e V (invasione gallica). Riteniamo, cioè, che Livio abbia qui inteso distinguere questa Clusium da quella ripetutamente nominata in precedenza. Ci sembra infatti evidente che qualora in tutte le tre circostanze storiche sopra richiamate lo scrittore avesse inteso alludere alla stessa città, la precisazione espressa con la frasequod CAMARS olim appellabant (tradotta "che una volta chiamavan CAMARS ") egli l'avrebbe certamente fatta in occasione della prima menzione di Clusium. Farla nelle menzioni successive sarebbe stato illogico oltre che inutile se si trattava sempre della stessa città. Con la frase sopra citata Livio ha quindi voluto distinguere a scanso di equivoci una & Clusium da un'altra. E' proprio lui a porre il problema relativo ad un'altra "Clusium (v. sopra). Altro che mancanza di fonti addotta dai negatori dei problema medesimo (v. sopra)!
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E' per i semplici ma non semplicistici motivi qui brevemente esposti che il "quod" seguente il toponimo "Clusium" nel cap. 25 del libro X di Livio va tradotto "quella che (e letteralmente quello che, dato che "Clusium" è di genere neutro). La precisazione toponomastica fatta da Livio nel suo libro X (cap. 25) è dello stesso tipo di quella fatta da Virgilio nel libro decimo (vv. 179 180) dell'Eneide ove il poeta, menzionando Pisa, la definisce "urbs etrusca solo, ossia (Pisa, "la città etrusca in quanto al territorio (in cui è sita), onde distinguerla diciamo noi dalla Pisa dell'Arno, città, quest'ultima, che non era, evidentemente, situata in Etruria ma in territorio ligure. Oltre a quello relativo all'altra Clusium, esiste, infatti, anche il problema relativo all'altra Pisa. In ordine a questo ultimo problema riguardante indirettamente anche quello dell'ubicazione di VELSNA invitiamo chi eventualmente ci legga a consultare l'appendice numero n. 5) al presente saggio. Per dirla con semplicità, la precisazione di Livio come anche quella di Virgilio è dello stesso tipo di quelle con le quali, ai nostri tempi, vengono indicati molti toponimi identici ad altri onde distinguerli da questi ultimi (ad es. Reggio Emilia Reggio Calabria, Potenza Potenza Picena ecc.). Nel successivo cap. 26 dello stesso libro X Livio menziona ancora Clusiurn registrando una grave sconfitta subita nei pressi della città dai Romani ad opera dei Galli (o degli Umbri: l'autore, incerto, propende per la prima ipotesi: ved. quanto da noi argomentato prima sull'identità d'origine umbroceltica). Ci sembra che qui si tratti di quella Clusium che un tempo chiamavano CAMARS ossia dell'odiema Chiusi. Ma, alla fine del citato capitolo, Livio c'informa che, dopo l'invio nell'Umbria settentrionale di quattro legioni (oltre agli alleati) comandate dai due consoli in carica (Q.F.M. Rulliano e Decio Mure), Roma stanziò altri due eserciti, agli ordini di due pro pretori, non lontano dall'Urbe, dei quali uno nel territorio falisco (= di Civitacastellana) ed un altro addirittura nel territorio vaticano. Livio precisa che tali eserciti erano stati dislocati contro l'Etruria ed alloggiati in accampamenti fissi (Livio, X, 26). Si! proprio presso il colle Vaticano Roma stanziò allora un esercito per guardarsi dall'Etruria! I Romani guerreggiavano ormai nel nord e stavano per affrontare la terribile, decisiva battaglia di Sentino (295 A.C.) eppure avevano ancora da temere minacce provenienti dalla ancora non lastricata via Aurelia che inizia proprio presso il Vaticano! Quale potente città etrusca minacciava Roma da quella direzione? certamente non Cere da tempo. Forse Tarquinia? E' possibile ma non probabile, data la presenza intermedia dello stato cuscinetto costituito da Cere e la costituzione d'un presidio anche contro i Falisci i quali erano fedelissimi alleati degli Etruschi. Ma avrebbero mai potuto Tarquiniesi e Falisci assalire Roma senza l'autorizzazione e il concorso di Volsinii che era la più potente città etrusca e le cui forze vengono sempre definite ingenti da Livio? E se Volsinii (Veteres) corrispondeva ad Orvieto, come pretendono molti studiosi, come poterono i consoli romani osare affrontare la coalizione etrusco celtico sannita a Sentino (Sassoferrato) avendo alle spalle e relativamente vicini i potenti Volsiniesi di Orvieto? Ma l'incertezza al riguardo si dissolve alla luce dei fatti immediatamente successivi narrati da Livio. Lo storico ci narra infatti (cap. 27 dei I. X) che i consoli guerreggianti a Sentino, avuta notizia da disertori di Clusium (ma di quale "Clusium"?) d'un pericoloso piano escogitato dai nemici (di Roma), scrissero al pro pretore Fulvio di muovere l'esercito dal territorio falisco (= di Civitacastellana) ed al pro pretore Postumio (comandante del presidio vaticano) di muovere le proprie truppe dal territorio vaticano verso Clusium (?!) e di devastare con la massima violenza il territorio nemico. La notizia di tali devastazioni fece allontanare gli Etruschi dal territorio di Sentino per difendere le proprie (sottol. nostra) terre". (traduz. Mario Scandola, op. cit.). Considerato che scegliere truppe stanziate al Vaticano per farle marciare su Chiusi (quella odierna, ovviamente) era un'evidente assurdità strategica e che le terre proprie degli Etruschi non potevano essere quelle gravitanti su Chiusi ma solo quelle della regione che Livio considera Etruria propria, sita ad occidente di Sutri (ved. sopra) ci sembra evidente che la "Clusium" oggetto dell'azione militare romana non potesse essere ubicata che nella zona del porto di "Giano Clusio S. Agostino" (sito presso Civitavecchia) da noi supposto di pertinenza Volsiniese, di cui trattiamo oltre, nel successivo capitolo V (par. 4).
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1) Plinio, St. Nat. II, 54 cit. nel cap, II, par. 1 del pres. saggio.
2) Marco Porcio Catone, ' 'De originibus, in "Auctores vetustissimi" stampato a Venezia nel 1498; citazione, questa, tratta da Giuseppe Cola, "I Monti della Tolfa nella storia Itinerarii storici, Pro Loco, Tolfà, aprile 1985, pag. 39.

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